Hartheim: funzionamento e strategie di difesa psicologica del personale

Nel 1939 Vinzenz Nohel era solo un meccanico qualificato ma mal retribuito perché guadagnava solo 100 marchi al mese, appena sufficienti per sostentare la famiglia. Spinto dalla necessità di un lavoro con un migliore stipendio, egli si rivolse a suo fratello, un SA-Brigadenfuehrer, tornato di recente che riuscì ad organizzargli un colloquio con i dirigenti del partito a Linz. Quando fu dinanzi a loro, questi sorrisero per quanto poco guadagnava. Lui e alcuni altri, poi, furono informati che sarebbero stati mandati ad Hartheim, facendoli giurare di mantenere il segreto. Nohel cominciò a lavorare il 2 aprile 1940 e il suo salario aumentò rapidamente a 170 marchi al mese più vitto e alloggio. Egli riceveva anche 35 marchi come indennità per il servizio svolto come addetto al crematorio.

Nohel divenne un esperto nel campo della distruzione di esseri umani. Secondo la sua testimonianza  la procedura era la seguente: le vittime, dopo essere state condotte all’interno del locale accettazione, venivano ispezionate superficialmente dal dottore e da tre o quattro assistenti. Ognuna veniva marcata con un numero di immatricolazione grande tre centimetri, condotta in uno studio fotografico dove veniva ripresa e rimandata nel locale accettazione. Quando tutte erano state marcate, fotografate ed era stato tracciato sulla schiena un segno che indicava la presenza di denti d’oro, venivano condotte attraverso una porta d’acciaio nella camera a gas che sorgeva a fianco del locale accettazione. La camera conteneva tre getti per la doccia; il pavimento, precedentemente in legno, venne successivamente cementato. I muri e il soffitto erano rivestiti di pittura a olio e col tempo vennero aggiunte delle piastrelle. Un’altra porta corazzata si trovava di fronte a un corridoio ed era dotata di uno spioncino rotondo attraverso il quale gli osservatori potevano seguire quanto accadeva all’interno. Una diversa porta di acciaio portava in una stanza dove si trovavano i contenitori del monossido carbonio collegati a una tubazione d’acciaio attraverso una cannula di gomma. Quando un medico apriva il rubinetto del gas questo si diffondeva dal contenitore alla camera attraverso un tubo di ferro del diametro di poco più di un centimetro. Il gas riempiva la stanza in breve tempo, sottolineava Nohel, ma per ventilarla completamente occorrevano da un’ora a un’ora e mezza.

A gruppi di quattro, con turni alternati di dodici ore, gli inservienti trascinavano via i morti dalla camera a gas in una stanza accanto dove i corpi venivano accatastati in attesa di sbarazzarsene nel forno a carbone. I cadaveri venivano sollevati dalla camera mortuaria e fatti scivolare in un forno vicino, dove bruciavano da due a otto per volta. << Il lavoro continuava, quando necessario, notte e giorno >>.

Dopo la guerra Nohel volle descrivere agli investigatori qual era la pavimentazione più adatta per trascinare un corpo. Egli aveva scoperto, a questo proposito, che un pavimento in cemento era migliore di uno in legno. Le piastrelle poi, se bagnate con l’acqua, erano la migliore delle soluzioni. Aveva imparato che le donne bruciavano meglio degli uomini: lo scheletro più leggero e la più ampia massa di grasso favorivano l’incenerimento: sapeva come si doveva mettere la mano nella cavità orale di un cadavere; macabro cercatore d’oro, sondava la cavità orale con un dito atta ricerca di otturazioni. Scoprì che l’estrazione delle otturazioni si presentava estremamente difficoltosa per uno che, come lui, aveva perso sensibilità a una mano, tanto che fu esonerato da tale compito. Tuttavia Nohel toccava i cadaveri, conosceva la pesantezza dei corpi, sapeva quanto fosse duro districarli quando erano stipati in più di centocinquanta per volta nella camera a gas. Una razione giornaliera da un quarto di litro di grappa aiutava gli uomini a sopportare compiti che erano, come lui stesso dice, << estremamente snervanti >>.

Dal maggio del 1940 fino al dicembre del 1944, per quattro anni e mezzo, Vinzenz Nohel fu un uomo vivo tra i morti. Con le mani nude li aiutava a spogliarsi della propria forma terrena: sue erano le mani con cui i cadaveri venivano separati, accatastati per l’immagazzinamento e poi spinti nel forno, carne bruciata fino a diventare cenere che egli vagliava alla ricerca dei pezzi di osso più grossi per sminuzzarli in un mulino elettrico. Occupati da migliaia di altre mansioni, gli altri collaboratori rimanevano incontaminati da resti o sangue, liberi dal contatto con quella carne senza vita. Essi avevano semplicemente fatto sì che la morte passasse per altre mani, diverse dalle loro: quelle di Nohel e dei suoi sfortunati compagni. […]

Gli addetti al castello trovavano una difesa comune nella linea immaginaria tracciata tra quelli che adempivano a funzioni di routine e quelli che operavano nella camera a gas e nei forni. Era come se la responsabilità fosse più diretta, più facilmente riconoscibile nel punto di transizione, dove gli uomini diventavano cadaveri. In questo senso gli addetti del castello condividevano un’illusione comune, cioè che le loro azioni individuali non fossero funzionali all’intero processo. Perfino quelli che, regolarmente, ogni giorno, provvedevano a far giungere le vittime alla loro destinazione ultima, evitavano di guardarle e toccarle nel momento della morte. Essi credevano che questo stare alla larga potesse liberarli dalle responsabilità. La strage si localizzava così in un laboratorio di distruzione. Persino dentro il castello essa formava un regno isolato le cui frontiere erano segnate dalle pesanti porte d’acciaio che conducevano alla camera a gas e dalla bocca del forno dove le vittime diventavano cenere. Dopo che ciascun gruppo di visitatori ne attraversava la soglia, l’odore della carne bruciata cominciava a diffondersi per il castello. Tuttavia, ogni addetto era lasciato libero di negare che il suo viaggio alla guida del pullman, l’istantanea scattata dalla macchina fotografica, o il ticchettio della macchina da scrivere avessero qualcosa a che vedere con le sgradevoli condizioni dell’atmosfera.

Essi rifiutavano di credere che quegli esseri viventi venissero trasformati in cadaveri e poi in cenere, in parte perché loro li aiutavano nello svolgimento delle procedure. Tutti, dal capitano Wirth, e dai dottori Lonauer e Renno che organizzavano i trasporti, effettuavano i controlli finali delle vittime, consegnandole alla camera a gas e sorvegliando l’immissione del gas letale, fino ai custodi, agli autisti di pullman, alle infermiere e alle segretarie, si tenevano a buona distanza dagli Stracci e dai fuochisti che maneggiavano quei corpi oltraggiati e senza vita. Il reale orrore dell’operazione era visibile solo alla fine; e il prodotto finale, che era la morte, era nelle mani di un gruppo di uomini ubriachi, addetti alla distruzione delle vittime. Solo lì, così almeno sembrava ai dipendenti del castello, era la vera contaminazione che ciascuno di loro aveva collaborato a rendere inevitabilmente evidente. Non c’è da sorprendersi, quindi, che il solo membro dello staff del castello a venir giustiziato, appena dopo la conclusione della guerra, per la sua partecipazione alle operazioni di sterminio ad Hartheim fosse uno degli addetti al crematorio, Vinzenz Nohel.

A questo riguardo l’insistenza dell’addetto alla manutenzione Buchberger sul fatto di aver rifiutato di assistere alle gasazioni dei pazienti e di prestare servizio come addetto alla cremazione è molto significativa. La diretta responsabilità personale nell’uccisione sembrava riferirsi solo al momento in cui si veniva a contatto dei morti o dei moribondi. Questo era il risultato logico e voluto di un sistema organizzato burocraticamente per lo sterminio di massa, che si componeva di una sequenza d’operazioni coordinate, separate e divisibili, compiute da individui con scarsa considerazione personale, per non dire indifferenti, verso le vittime che essi contribuivano a creare.

(G. J. Horwiz, All’ombra della morte. La vita quotidiana attorno al campo di Mauthausen, Venezia, Marsilio, 1994, pp.89-91 e 108-109. Traduzione di G. Genovese)

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