L'arianizzazione dell'economia tedesca: moderati e radicali

Esternamente si registrò, nel 1934, una certa stabilizzazione. Ma questo non vuol dire che gli atti di violenza contro i negozi degli ebrei fossero ormai solo un ricordo del passato. In realtà, proprio i fatti dell’estate e dell’autunno del 1935, in larga misura provocati dall’incessante attività propagandistica di Goebbels, tornarono a suscitare all’estero grandi preoccupazioni e proteste. Preoccupazioni e proteste che indussero il ministro dell’Economia Hjalmar Schacht a prendere posizione, nel corso di una conferenza interministeriale da lui stesso convocata per il 20 agosto 1935, contro l’arianizzazione ottenuta con la violenza, per la quale non esisteva alcun fondamento giuridico e che doveva quindi essere considerata alla stregua di una pura e semplice espropriazione. Schacht, però, nulla poté contro il Gauleiter [= alto funzionario della NSDAP, comandante di un Gau, cioè un distretto territoriale – n.d.r.] Adolf Wagner, che era presente in veste di rappresentante di Rudolph Hess, il sostituto del Führer, e dovette anzi dare il suo assenso a che non si aprissero nuovi negozi di proprietà di ebrei e si assegnassero loro commesse pubbliche solo in via eccezionale.

Schacht aveva in mente un processo di arianizzazione spontanea  per il quale riteneva che occorressero dai cinque ai dieci anni: un lasso di tempo nel corso del quale gli imprenditori ebrei avrebbero dovuto essere obbligati a vendere le loro aziende. Il ministro, quindi, perseguiva come gli altri l’obiettivo dell’eliminazione degli ebrei dalla vita economica, ma voleva raggiungerlo per via legislativa e, soprattutto, intendeva procedere per gradi. Insomma, Schacht era chiaramente contrario solo a quelle che era solito chiamare <<caotiche azioni individuali>>, mentre la sua <<mano protettrice>> si mostrò efficace solo in alcuni campi ben precisi. Così, se è vero che difese i direttori ebrei delle filiali della Reichsbank e protesse i tre più importanti istituti di credito ebraici fino al 1938, è anche vero che oppose una resistenza tiepida ai dichiarati obiettivi antisemiti dei protagonisti della politica razziale.

Nelle sue prese di posizione in veste di ministro, Schacht si limitò a sottolineare le ripercussioni negative delle azioni antisemite sulla politica estera e sull’export della Germania. Condannò, è vero, le illegali <<iniziative individuali>> contro gli ebrei, ma non si oppose alla loro graduale  eliminazione con gli strumenti offerti dalla legislazione. Il suo atteggiamento ambivalente favorì il processo di sostituzione in ambito economico ormai in corso. Dopo aver lasciato il ministero dell’Economia, nel corso della tradizionale festa che la Reichsbank diede anche in occasione del Natale del 1938 Schacht definì gli avvenimenti del mese precedente [= la notte dei cristalli – n.d.r.] un’azione vergognosa e scandalosa, che avrebbe dovuto <<far arrossire di vergogna ogni tedesco perbene>>. Ma anche lui, in ogni caso, aveva fatto ben poco per arrestare il processo di radicalizzazione, che riprese in grande stile dopo una fase di relativa calma che coincise con il periodo in cui si tennero, a Berlino, le Olimpiadi (1936). D’altro canto, le sue forzate dimissioni dalla carica di ministro dell’Economia sgombrarono il campo da ogni residuo ostacolo a un intervento generalizzato volto ad allontanare gli ebrei dalla vita economica del paese. Schacht dovette lasciare l’incarico non a causa delle controversie sorte in merito alla questione ebraica, ma per via della decisione, da lui non condivisa, di accelerare la politica di riarmo, politica che a suo parere avrebbe bloccato il ritorno della Germania a un regime di normali relazioni commerciali con l’estero. [...]

La campagna di arianizzazione subì una trascurabile battuta d’arresto in occasione delle Olimpiadi del 1936. Ma con il superamento della crisi economica, i positivi risultati riportati nella lotta contro la disoccupazione e i contemporanei successi ottenuti dal regime in politica estera, passarono in secondo piano remore e dubbi soprattutto di natura economica che fino a quel momento avevano avuto l’effetto di impedire che si imprimesse una brusca accelerazione al processo di arianizzazione. Certo è che all’inizio del 1937, e dunque ancor prima che venisse approvata quell’ondata di leggi antiebraiche che preparò l’arianizzazione forzata del novembre del 1938, l’eliminazione dal mondo economico di ogni presenza ebraica aveva già compiuto notevoli progressi.

All’inizio, il processo di arianizzazione investì soprattutto le piccole e medie imprese industriali e commerciali, al punto che nel luglio del 1938 era già passato di mano  tra il 60 e il 70 per cento delle imprese che ancora all’inizio del 1933 appartenevano a ebrei.  Dei cinquantamila tra negozi di vendita al dettaglio e punti di vendita di aziende artigiane che sempre nel 1933 erano in mano ebraica, nel luglio del 1938 ne rimanevano solo novemila. La diminuzione sul piano quantitativo fu accompagnata da una rapidissima contrazione del giro d’affari delle imprese rimaste, con il risultato che pochi mesi prima della notte dei cristalli la presenza e il ruolo degli ebrei si erano ormai radicalmente ridotti e le loro basi economiche potevano considerarsi seriamente compromesse. [...]

La spinta decisiva all’arianizzazione venne dalle organizzazioni locali e regionali della NSDAP, anche perché il partito, in quanto organizzazione di massa, era in larga misura sganciato dalle decisioni del governo. Non a caso, del resto, i rappresentanti del corpo dei dirigenti politici, che in qualità di sostituto del Führer Rudolph Hess riuniva regolarmente alla fine dei congressi nazionali, lamentavano immancabilmente il fatto che anche il nuovo stato era nelle mani di una burocrazia reazionaria e avulsa dalla realtà e costituiva senza dubbio un sistema assolutistico. Respinte da quasi tutti gli altri ambiti della politica, le energie eversive accumulatesi nel movimento nazista trovarono nella questione ebraica una valvola di sfogo e un’occasione di rinnovato impegno. Si può ben dire, anzi, che proprio per i nazisti più fanatici l’attività antisemita si trasformò in una sorta di surrogato della rivoluzione. [...]

Göring e il ministro dell’Economia Funk volevano evitare che le aziende ebraiche venissero cedute, sottoprezzo e in modo surrettizio, al partito o a persone ad esso vicine, e cercavano di fare in modo che fosse in primo luogo il Reich a beneficiare dei proventi realizzati grazie all’arianizzazione, proventi che fino a quel momento erano finiti in prevalenza nelle casse del partito. Con l’aiuto dei consulenti economici distrettuali, invece, il partito intendeva servirsi del processo di arianizzazione per sostenere il ceto medio; in pratica, intendeva dare ai nuovi e benemeriti compagni di partito i mezzi necessari per condurre un’esistenza che altrimenti sarebbe stata al di sopra delle loro effettive possibilità.

(H. Mommsen, La soluzione finale. Come si è giunti allo sterminio degli ebrei, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 62-67. Traduzione di E. Morandi)

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