L'antisemitismo redentivo di Hitler

Come ha sottolineato lo storico tedesco Eberhard Jäckel, i più ampi obiettivi dell’antisemitismo di Hitler apparvero solo con la pubblicazione di Mein Kampf, in cui la dimensione apocalittica della lotta antiebraica trova piena forza espressiva. Tale epilogo potrebbe essere stato il frutto di un’evoluzione indipendente del pensiero politico di Hitler; più probabilmente, tuttavia, fu il risultato dell’influsso ideologico di un uomo che Hitler conobbe alla fine del 1919 o all’inizio del 1920: lo scrittore, direttore di giornale, saggista, tossicodipendente e alcolizzato Dietrich Eckart.

L’influenza di Eckart su Hitler e l’aiuto pratico offertogli in diverse occasioni tra il 1920 e il 1923 sono stati più volte menzionati. Lo stesso Hitler non negò mai l’influenza di Eckart: <<Brillava dinanzi ai nostri occhi come una stella polare>>, ebbe a dire di lui, aggiungendo: <<A quel tempo, ero intellettualmente parlando un lattante>>. Mein Kampf fu dedicato ai compagni di Hitler uccisi durante il putsch del 1923 e a Dietrich Eckart (morto nei pressi di Berchtesgaden la vigilia di natale del 1923).

Il tristemente noto dialogo tra Eckart e Hitler, Der Bolschewismus von Moses bis Lenin: Zwiegerspräch zwischen Adolf Hitler und Mir (Il bolscevismo da Mosè a Lenin: un dialogo tra Adolf Hitler e me), pubblicato alcuni mesi dopo la morte di Eckart, fu scritto dal solo Dietrich Eckart probabilmente all’insaputa dello stesso Hitler. Per alcuni storici, il Dialogo esprime la posizione ideologica di HItler riguardo alla questione ebraica; per altri il testo rispecchia molto più il modo di pensare di Eckart che non quello di Hitler. A prescindere, tuttavia, dalla paternità del pamphlet, tutto quanto sappiamo su Eckart e Hitler ci induce a credere che il documento sia un’espressione del loro rapporto e delle loro idee comuni.

I temi del Dialogo traspaiono chiaramente nel Mein Kampf ogni qual volta la retorica di Hitler assurge al livello metastorico. Ciò che immediatamente colpisce nel Dialogo, a partire dal titolo stesso, è che il bolscevismo non è identificato con l’ideologia e la forza politica assurta al potere in Russia nel 1917, quanto piuttosto con l’azione distruttiva degli ebrei nel corso dei tempi. In realtà, nei primi anni della carriera di agitatore di Hitler – e questo include la stesura del testo del Mein Kampf – il bolscevismo politico, sebbene costantemente indicato come uno degli strumenti impiegati dagli ebrei per giungere a dominare il mondo, non è una delle principali ossessioni di Hitler. Esso è un tema primario solo nella misura in cui il vero tema centrale sono gli ebrei, di cui il bolscevismo è espressione. In altre parole, il periodo rivoluzionario del 1919 non costituisce una fase centrale nella propaganda hitleriana. Cosicché, considerare il nazismo principalmente come un’atterrita reazione alla minaccia del bolscevismo, com’è stato sostenuto ad esempio dallo storico tedesco Ernst Nolte, non corrisponde a quanto sappiamo sui primi passi della carriera di Hitler.

Il Dialogo è impregnato di visioni apocalittiche correlate alla minaccia ebraica. Il pamphlet di Eckart è certamente una delle rappresentazioni più estremizzate degli ebrei in quanto storica forza del male. Alla fine del testo egli (vale a dire Hitler) riepiloga l’obiettivo ultimo degli ebrei: <<Le cose stanno certamente – egli disse – come tu [Eckart] hai scritto una volta; “ E’ possibile capire gli ebrei solo conoscendo il loro obiettivo finale. Essi vanno al di là del dominio del mondo, e tendono alla distruzione del mondo” >>.

Questa visione di una fine del mondo provocata dagli ebrei riappare, quasi testualmente, in Mein Kampf : <<Se, con l'aiuto del credo marxista, l'ebreo risulterà vittorioso sugli altri popoli del mondo>>, scrisse Hitler, <<la sua corona sarà la ghirlanda funeraria dell'umanità e il suo pianeta ruoterà nell'etere, come faceva migliaia di anni fa, del tutto privo di esseri umani>>.

Al termine del secondo capitolo di Mein Kampf troviamo la sinistra dichiarazione di fede: <<Oggi io ritengo di star agendo in accordo al volere del Possente Creatore: difendendo me stesso dall’ebreo io combatto per l’operato del Signore>>. In Eckart, e in Hitler così com’egli andò postulando il proprio credo a partire dal 1924, l’antisemitismo redentivo trovò la sua più piena espressione. [...]

Hitler ripeté incessantemente una storia di perdizione causata dagli ebrei e di redenzione conquistata mediante una completa vittoria su di essi. Per il futuro Führer, le sinistre macchinazioni degli ebrei erano un’ininterrotta e onnicomprensiva attività cospirativa che abbracciava l’intera storia dell’Occidente. Il quadro interpretativo hitleriano non si riduceva semplicemente al suo contesto esplicito; esso costituiva altresì l’essenza dell’implicito messaggio che la storia trasmetteva. Nonostante le pretese di analisi storica, nella descrizione di Hitler l’ebreo veniva destoricizzato e trasformato in un astratto principio di malvagità contrapposto a una controparte altrettanto metastorica e immutabile nella sua natura e nel suo ruolo: la razza ariana.  Laddove il marxismo enfatizzava l’idea del conflitto come conseguenza del tentativo di cambiare le forze della storia, il nazismo e la visione del mondo hitleriana in particolare consideravano la storia come scontro tra forze del bene e forze del male, entrambe immutabili, il cui esito finale non poteva essere immaginato che in termini religiosi: perdizione o redenzione.

(S. Friedländer, La Germania nazista e gli ebrei. Volume I: Gli anni della persecuzione, 1933-1939, Milano, Garzanti, 1998, pp. 105-108. Traduzione di S. Minucci)

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