La violenza fascista in Etiopia

Tra il 22 dicembre [1935 - n.d.r.] e il 18 gennaio 1936, oltre 2 mila quintali di bombe, in gran parte caricate a gas vescicante (iprite), vengono gettate non soltanto sulle armate etiopiche in movimento, ma anche sui villaggi indifesi, sulle mandrie, i pascoli, le colture, i fiumi, i laghi. Sugli effetti devastanti delle incursioni aeree fasciste, è lo stesso Hailè Selassiè [= l'imperatore d'Etiopia - n.d.r.] che porta una drammatica testimonianza: <<Ogni essere vivente che veniva toccato dalla leggera pioggia caduta dagli aeroplani, che aveva bevuto l'acqua avvelenata o mangiato cibi contaminati, fuggiva urlando e andava a rifugiarsi nelle capanne o nel folto dei boschi per morirvi. C'erano cadaveri dappertutto, in ogni macchia, sotto ogni albero, ovunque ci fosse una parvenza di rifugio. Presto un odore insopportabile gravò sull'intera regione. Non si poteva pensare di seppellire i cadaveri, perché erano più numerosi dei vivi. Bisognò adattarsi a vivere in questo carnaio. Nel prato vicino al nostro Quartier generale, a Quoram, più di 500 cadaveri si decomponevano lentamente>>. [...]

Alle 22,30 [del 9 maggio 1936 - n.d.r.], ai trenta milioni di italiani che lo ascoltano nelle piazze, il duce del fascismo annuncia che <<i territori e le genti che appartenevano all'impero d'Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d'Italia>> e che <<il titolo di imperatore viene assunto per é e per i suoi successori dal Re d'Italia>>. La folla, impazzita dalla gioia, lo richiama al balcone di Palazzo Venezia, per applaudirlo, quarantadue volte. [...] La verità è che il 28 luglio 1936 i partigiani etiopici accerchiano Addis Abeba e tentano di occuparla. [...] Per rompere l'assedio ad Addis Abeba, Graziani, che da un paio di mesi è succeduto a Badoglio come viceré, deve impegnare tutte le sue forze e dare inizio a quelle operazioni di <<grande polizia coloniale>>, che sono in realtà delle vere e proprie azioni di guerra e che dureranno ininterrottamente sino al marzo del 1937. [...]

Fatto bersaglio, il 19 febbraio 1937, di un attentato, la sua [= di Graziani - n.d.r.] reazione è sconsiderata, rabbiosa, feroce, al punto da consentire a squadracce organizzate dal federale Guido Cortese di compiere rappresaglie in Addis Abeba, per tre giorni consecutivi, che causano la morte di migliaia di innocenti (30 mila, secondo le stime etiopiche; 3/6 mila, secondo altre, più attendibili). Non potendo mettere le mani sui veri esecutori dell'attentato, il viceré Graziani liquida inoltre ciò che è rimasto dell'intellighenzia etiopica, fa fucilare 449 monaci e diaconi della città santa di Debrà Libanòs e persino ordina la soppressione di migliaia di indovini e cantastorie, rei soltanto di aver predetto la fine prossima dell'occupazione italiana. Senza contare i 400 notabili deportati in Italia e altre migliaia inviati nei lager micidiali di Nocra e Danane.

Prendiamo, ad esempio, il campo di concentramento di Danane, costruito in tutta fretta in Somalia, in riva all'Oceano Indiano. Il notabile Micael Tesemma, che vi trascorre tre anni e mezzo, assicura che, su  6 500 etiopici che si sono avvicendati nel lager tra il 1936 e il 1941, 3 175 vi hanno perso la vita per la cattiva e la scarsa alimentazione, l'acqua salmastra, la mancanza di igiene, il clima malsano, la malaria e l'enterocolite. E' molto probabile che le cifre relative ai decessi, fornite da Micael Tesemma, siano esagerate, ma che Danane sia una sorta di bolgia dantesca lo conferma lo stesso comandante del campo, colonnello Eugenio Mazzucchetti, il giorno stesso in cui viene insediato a Danane. Scrive, infatti, il 13 agosto 1937 nel suo <<Diario>> rimasto inedito: << Il campo mi viene mostrato dal capitano Grasso. Come mi era stato detto, sono tre campi per uomini e uno per donne, circondati da mura alte almeno quattro metri. Gli uomini sono intasati in tucul  cadenti e le donne in tende "Leonardo da Vinci" stracciate e scosse dal vento. Uomini e donne sono poi luridi, con gli indumenti stracciati, e sono lasciati nella completa inazione tutto il giorno. Appena entrato nel campo uomini, mi si è presentata la scena di un cadavere nudo e scheletrito, rigido come un baccalà, che stavano lavando per poi seppellirlo. Le donne e qualche uomo mi si sono fatti incontro mostrandomi delle pagnotte con l'interno verde come del gorgonzola. Altri mi dicono che non possono mangiare il rancio perché danno sempre riso e cattivo >>.

(A.Del Boca, "L'impero dei cinque anni ", in Le guerre coloniali fasciste, Bologna, Regione Emilia Romagna/Comune di Ferrara, 1985, pp. 20-23)

Azioni sul documento