Il movimento giovanile e gli ebrei

Nel 1913, avvenne che a una ragazza israelita fosse negata l’iscrizione all’organizzazione femminile dei Wandervögel, e ciò portò alla ribalta il problema ebraico, anche se l’incidente non era il primo del genere. Semplicemente, esso servì da catalizzatore: coronando una lunga serie di episodi similari, fu la goccia che fece traboccare il vaso, rendendo improrogabile la discussione del problema. Ormai, le organizzazioni dei Wandervögel si trovavano nella necessità di definire il proprio atteggiamento nei confronti degli ebrei. E, nel corso dei dibattiti, a livello locale e nazionale, che ebbero luogo negli anni successivi, quattro furono le posizioni fondamentali che emersero: v’era chi si mostrava favorevole ad accogliere in seno al Movimento gli israeliti assimilati; un’altra fazione, assai chiassosa e sempre più popolare dopo il 1918, che aveva l’appoggio dei Wandervögel austriaci, sosteneva l’inferiorità razziale degli ebrei, che quindi andavano trattati alla stregua di paria; un terzo punto di vista, fatto proprio da molti leaders del movimento era quello dei propensi a scorgere, negli ebrei, un Volk [= popolo – n.d,r.] autonomo e separato, ma non meno meritevole di quello tedesco; una quarta tendenza infine, che raccoglieva un numero notevolmente minore di adesioni, era quello di chi voleva concedere agli ebrei gli stessi diritti nelle file del Movimento. Ma, indipendentemente dalla decisione conclusiva, il dibattito sul problema ebraico ebbe a tutti i livelli il merito di rafforzare il senso di appartenenza al Volk dei Wandervögel.

Quelli di loro che erano disposti ad accogliere tra le proprie file l’ebreo assimilato, vedevano comunque negli israeliti un gruppo etnico culturalmente e razzialmente diverso dai tedeschi, pur ammettendo che, in casi eccezionali, qualcuno dei membri di tale ethos potesse mutare le proprie caratteristiche. Lo scrittore Walter Gron era di questo parere e affermava che quegli ebrei la cui famiglia risiedesse da molte generazioni in Germania, potevano essere senz’altro accolti tra i Wandervögel a patto, beninteso, che nel loro aspetto fisico e nel loro animo non vi fosse più traccia alcuna di giudaismo. L’importanza data all’aspetto fisico rivela quanto peso avessero i criteri di valutazione antico-germanici, e dimostra quanto lontani si fosse dall’ idea liberale di una simbiosi tedesco-ebraica. Da questo punto di vista può ben dirsi che anche il Movimento giovanile si adeguasse a quel processo di isolamento dell’ebreo come tale, che aveva luogo in tutta la Germania: restava aperto soltanto un minuscolo pertugio, passando per il quale gli ebrei che si fossero acclimatati e trasformati, che avessero capito il carattere della Germania e della sua natura, che ne avessero assimilato le tradizioni e il paesaggio, potevano entrare nelle fila dei Wandervögel e partecipare alla rivolta della gioventù tedesca.

Tuttavia, questa concessione fatta all’ebreo germanizzato era di notevole momento [= importanza – n.d.r.],  in quanto dimostrava come l’ideologia nazional-patriottica potesse sussistere senza quella componente razzista che automaticamente sbarrava agli ebrei l’accesso alla organizzazione giovanile nazionale. Insieme a parecchie sezioni e raggruppamenti di Wandervögel, i Neue Pfadfinder (Nuovi Esploratori), associazione giovanile nazional-patriottica istituita nel 1920,  optarono per l’ammissione degli ebrei tra le proprie file, e le sezioni della Germania meridionale procedettero senz’altro in conformità.

Le cose, però, non erano così semplici: come osservava un periodico ebraico, favorevole all’assimilazione, l’accettazione degli israeliti in base al loro grado di germanizzazione, riguardava << soltanto quegli ebrei... che sono più nordici degli ariani nordici, e di cui però ci si continua a far beffe dietro le spalle >>. E, poiché anche i Neue Pfadfinder avevano fatto proprio il culto della bellezza nordica, era difficile che ebrei, i quali avessero un aspetto ebraico, fossero accolti nell’organizzazione, ciò che dimostra come l’ideologia ponesse precisi limiti alla tolleranza anche in seno a quei raggruppamenti che rifiutavano la totale esclusione degli ebrei.

(G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, Milano, Il Saggiatore, 1968, pp. 266-267. Traduzione di F. Saba-Sardi)

Azioni sul documento