Violenza interna e violenza esterna

Nei <<campi di custodia cautelare>> (KL), costituiti per i <<nemici dello Stato>>, erano presenti nel luglio 1933 circa 27 000 persone. Durante lo stesso anno ne vennero incarcerate circa 80 000. Entro la metà degli anni Trenta il numero degli internati nei KL si ridusse a un nucleo di 9000 prigionieri politici, accanto ai quali furono però rinchiusi sempre più spesso criminali comuni e <<asociali>> (dagli omosessuali ai testimoni di Geova). Nelle settimane successive ai pogrom contro gli ebrei del 9 novembre 1938 furono internati circa 36 000 ebrei, quasi tutti rilasciati entro la primavera del 1939. Il numero complessivo dei prigionieri nei KL allo scoppio della guerra ammontava così a circa 25 000, tra i quali una minoranza di prigionieri politici. Certamente questo sistema di Lager era allestito per un’espansione dinamica, come dimostra l’istituzione dei campi di concentramento centrali di Sachsenhausen (1936), Buchenwald (1937) e Dachau (1937-1938) [Dachau, però, come campo a dimensione locale, bavarese, funzionava già dal 1933 – n.d.r.]. Ma queste neoistituzioni   furono fin da principio concepite in previsione della guerra. Nel complesso, il numero degli assassinati prima della guerra dovrebbe ammontare alle centinaia piuttosto che alle migliaia.

Confrontare questa situazione con quella dell’Unione Sovietica nello stesso periodo significa trovarsi letteralmente in un’altra dimensione. Solo per i due anni del Terrore (1937-1938) dobbiamo calcolare 1 000 000 di morti violente (tra cui 700 000 fucilazioni) e circa due milioni di internamenti nelle prigioni e nei campi, numero che anche dopo la fine del Grande Terrore non diminuì, ma anzi continuò a crescere. Inoltre vi furono svariati milioni di deportati, esiliati, espulsi dalle città o comunque persone in condizioni di vita e lavoro non libero. Di un periodo di terrore così concentrato in tempo di pace, contro la propria popolazione, non troviamo alcun precedente storico, nemmeno nella Germania nazista.

Che cosa significa tutto questo? Per quanto concerne la Germania, vuol dire innanzitutto solamente che i nazisti non dovettero esercitare un autentico terrore di massa per <<coordinare>> la stragrande maggioranza del popolo tedesco e prepararlo alla guerra imminente. Furono sufficienti i mezzi di una dittatura brutale, ma relativamente tradizionale. Non solo il <<livellamento>> politico della società (Gleichschaltung), ma anche quello culturale procedettero senza particolari problemi. [...]

L’autentico radicalismo del movimento nazista si sviluppò propriamente nell’aggressione sfrenata e continua verso l’esterno e nello schiavizzare e annientare tutti quei soggetti definiti estranei, nemici per razza o esseri inferiori all’interno del proprio paese e dei paesi europei occupati. Questa politica culminò di fatto nel tentativo di una <<soluzione finale della questione ebraica>>. [...] Lo sterminio degli ebrei europei, come degli zingari, seguì indubbiamente la logica di un genocidio totale, cioè l’intenzionale e, per quanto possibile, completa eliminazione di una determinata gens, cioè di un genere umano che doveva essere bandito tout court [= in modo radicale e senza possibilità di alternativa – n.d.r.] dalla comunità umana. Non fu né il primo né l’ultimo tentativo di genocidio del XX secolo. Lo sterminio degli ebrei fu <<particolare>> in quanto fu il tentativo di genocidio più radicale mai messo in atto. Fu il tentativo di cancellare integralmente e senza lasciare tracce un intero genere umano, per quanto fosse possibile raggiungere tutti i suoi appartenenti, sulla base di argomentazioni pseudoscientifiche e razziali e con l’aiuto della moderna burocrazia e tecnica. [...]

Questo rimanda ancora una volta alle fondamentali differenze tra le due realtà: il nazionalsocialismo era in primo luogo un progetto di conquista di <<spazio vitale>> straniero e di neofondazione di un enorme impero razziale continentale sulla base della riduzione in schiavitù, della decimazione o dell’annientamento di popoli stranieri. Il bolscevismo al contrario perseguiva la fondazione di un grande Stato di nuovo tipo su tutto quanto ereditato dall’antico impero russo, una <<Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche>>. A questo scopo più o meno tutta la società preesistente venne sottoposta a una radicale epurazione e trasformazione, tanto gli uomini come le cose, tanto i rapporti di produzione come gli stili di vita, le basi materiali come la <<sovrastruttura>> [espressione tipicamente marxista per indicare l’arte, la cultura e la religione -  intellettuale.

Per questa impresa dei bolscevichi, fallita sul nascere e quindi perseguita con più acceso fanatismo, il terrore di massa era un mezzo imprescindibile, ma non un fine in se stesso. La politica bolscevica ebbe in certi periodi i tratti dello sterminio, ma non può essere correttamente definita <<di genocidio>>. Per esempio la borghesia non fu <<annientata>>, era piuttosto forzatamente livellata con tutte le altre classi e strutture sociali. Anche la <<liquidazione dei kulaki come classe>>, proclamata da Stalin, non mirava all’eliminazione fisica di quanto restava di un certo contadino indipendente. Ci si prefiggeva piuttosto di sottomettere, espropriare, collettivizzare e mobilizzare [obbligare al mutamento – n.d.r.] con mezzi terroristici di più vasta portata la popolazione rurale, che costituiva ancora l’80% della popolazione complessiva.

(G. Koenen, "Genocidio razziale e sterminio sociale. Un confronto storico tra nazionalsocialismo e stalinismo", in G. Corni – G. Hirschfeld (a cura di), L’umanità offesa. Stermini e memoria nell’Europa del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 125-136)

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