La situazione dei diritti umani nel mondo secondo Amnesty International

Il rapporto Amnesty International del 2012

foto dal sito di AmnestyCome ogni anno Amnesty International stila un rapporto volto a documentare la situazione dei diritti umani nel mondo, col fine di portare avanti la promozione (indipendente e imparziale) del rispetto dei diritti umani sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la prevenzione di specifici abusi. Così facendo, Amnesty si propone di mobilitare la pressione dell’opinione pubblica mondiale sia sui governi che su altri soggetti.

Il rapporto del 2012 - Il rapporto del 2012 offre una fotografia sulla condizione dei diritti umani nel mondo nell’anno 2011. Sebbene il rapporto sia suddiviso in 5 aree regionali (Africa Subsahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa e Asia Centrale, Medio Oriente e Africa del Nord) e i paesi analizzati singolarmente siano ben 155, l’introduzione presenta delle tendenze comuni alla maggior parte dei paesi analizzati, come una sorta di minimo comune denominatore che fa da sfondo alle peculiarità delle singole vicende locali.

Nel corso del 2011 le parole protagoniste degli eventi politici sono state soprattutto tre: cambiamento, coraggio e conflitto. L’introduzione al rapporto, scritta dal segretario generale Salil Shetty, si apre con una panoramica generale sugli eventi che hanno caratterizzato la primavera araba e la conseguente repressione da parte dei governi, soprattutto quelli egiziano, libico, yemenita e siriano, ribadendo da un lato l’importanza del ruolo dell’intera comunità internazionale nella garanzia di giustizia e sicurezza per le popolazioni vittime di questa repressione, dall’altro lato l’inadeguatezza e la limitatezza dell’azione internazionale fino ad oggi.

In particolare, Salil Shetty si chiede se sia veramente possibile che gli stessi paesi che hanno il potere di porre il veto a qualunque risoluzione del consiglio di sicurezza possano essere ritenuti attori affidabili nel perseguire la pace e la sicurezza internazionale, quando sono anche coloro che più guadagnano dal commercio globale di armi. Nasce così una riflessione allo stesso tempo più ampia e profonda sul senso di una leadership globale, sulla perdita del senso di legittimità da parte dei leader e sulla inevitabile ricerca di una leadership a passo coi tempi.

Africa - La prima sezione, dedicata ad una panoramica sulla regione dell’Africa sub sahariana, è forse quella che presenta meno colpi di scena: le parole che ricorrono nell’analisi di questa regione sono quelle di povertà, repressione politica, conflitto, emarginazione, discriminazione e abuso dei diritti umani.

L’aggravante di questa situazione è la visione poco ottimista del rapporto, il quale sottolinea come probabilmente il rispetto e la tutela dei diritti umani non conosceranno miglioramenti tanto rapidi e incisivi nella regione dell’Africa Subsahariana, come è avvenuto per l’Africa del Nord; anzi, qui la situazione potrebbe addirittura peggiorare. L’interrogativo che si pone è se da parte della leadership africana ci sarà la volontà politica di abbracciare questo cambiamento oppure considerarli una minaccia al proprio potere.

Americhe - La panoramica sulla situazione nel continente americano è indubbiamente meno allarmante ma altrettanto preoccupante in quanto i progressi in questo senso sono decisamente limitati. Uno dei punti più delicati è quello della pubblica sicurezza in relazione al rispetto i diritti umani: i governi di molti paesi, infatti, hanno continuato a strumentalizzare le preoccupazioni (legittime) riguardanti la pubblica sicurezza e gli elevati tassi di criminalità per giustificare o ignorare le violazioni dei diritti umani commesse dalle loro forze di sicurezza nel rispondere alle attività criminali o alle azioni dei gruppi armati.

Asia - Nella regione dell’Asia Orientale e del Pacifico gli ambiti in cui Amnesty ha registrato forti violazioni dei diritti umani spaziano dai conflitti e le insurrezioni armate, alla repressione del dissenso, ai diritti dei gruppi di minoranza sino al mancato accertamento delle responsabilità e la conseguente mancanza di giustizia.

Europa - La sezione dedicata all’Europa e all’Asia Centrale si apre con un excursus sull’arresto e il processo del generale Ratko Mladic, ricercato tra l’altro per l’omicidio di 8000 uomini e ragazzi a Srebrenica, con l’intento di sottolineare l’importanza dell’evento per le vittime dei crimini delle guerre degli anni Novanta in Jugoslavia. Questo arresto ha anche rappresentato un potente messaggio, non solo per le persone interessate, ma per tutto il continente, un messaggio di speranza dopo lunghi anni di attesa.

Ciononostante, la violazione della libertà di espressione e di movimento (si pensi alle migliaia di rifugiati e migranti che dall’Africa hanno deciso di intraprendere il pericoloso tentativo di attraversare il mare per giungere in Europa alla ricerca di sicurezza e di un futuro, che, invece di vedersi accolte, si sono scontrate con la decisione dell’Unione Europea di potenziare la propria agenzia per il controllo delle frontiere, Frontex), la discriminazione, le drastiche misure di controterrorismo e sicurezza e la pena di morte in Bielorussia riportano immediatamente alla quotidiana distanza esistente tra la retorica dei diritti umani e la realtà della loro applicazione.

Italia - Nello specifico, il focus sull’Italia evidenzia come siano proseguiti gli sgomberi forzati di comunità rom e la discriminazione nei loro confronti, ricordando che a novembre il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima la cosiddetta “emergenza nomadi” (uno stato di emergenza dichiarato nel 2008 in varie regioni italiane). Razzismo e discriminazione verso minoranze quali rom e migranti non sono cessati. Infine, l’Italia non ha istituito meccanismi efficaci per la prevenzione e la punizione della tortura e altri maltrattamenti.

Medio Oriente - L’ultima sezione torna a concentrarsi sul Medio Oriente e l’Africa del Nord, ricordando come il 2011 sia stato realmente l’anno della svolta: l’intera regione è infatti stata caratterizzata dalle richieste di massa per un cambiamento reale. Almeno per una volta, l’idea del potere del popolo ha influenzato l’intera regione, scuotendola nel profondo.

Tuttavia, il rapporto analizza anche la risposta internazionale piuttosto controversa a questi eventi: gli Stati Uniti e i governi occidentali, che per lungo tempo erano stati i principali alleati dei leader dittatoriali di Tunisia ed Egitto, inizialmente non hanno colto il significato delle proteste e hanno avuto una reazione lenta. Ben presto, tuttavia, si sono affrettati a riformulare la loro linea politica, ammettendo finalmente la natura violenta dei regimi in bilico.

Amnesty International - Oggi, Amnesty International conta oltre due milioni di sostenitori, che risiedono in più di 150 nazioni; nel 1977 l’organizzazione ha ricevuto il Premio Nobel per la pace per l´attività di "difesa della dignità umana contro la tortura, la violenza e la degradazione" e l´anno seguente è stata insignita del Premio delle Nazioni Unite per i diritti umani. Oggi, alla luce di questo rapporto, sta all’intera comunità internazionale agire affinché l´inno ufficiale dell´organizzazione (la canzone dei The Wailers e di Bob Marley Get Up Stand Up) non resti una mera speranza.

Tamara Tisminetzky - settembre 2012

Per saperne di più:
Il sito di Amnesty International
Il sito sul rapporto Amnesty 2012

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