Le artigiane della pace vincono il Nobel

Il Nobel per la Pace 2011 assegnato a tre donne africane

le tre vincitrici del Nobel paceDurante il World Social Forum di Dakar in Senegal, lo scorso febbraio, è stata sostenuta con grande enfasi la campagna del Nobel per la Pace 2011 alle donne africane. Ricordate quel logo arancione che rappresentava la donna con l’Africa in testa? Ecco, quello era il simbolo della campagna, accompagnato dalla frase “L’Africa cammina sui piedi delle donne”.

Le donne africane - E in effetti le realtà associative che hanno sostenuto la campagna, Cispi e ChiAma l’Africa, indicano le donne africane come le uniche in grado di garantire un futuro e uno sviluppo al paese.
Sono le donne quelle che si alzano la mattina per andare a prendere l’acqua, quelle che lavorano nei campi, che fanno da mangiare, educano i figli, sostengono la famiglia in Africa.

Come spiega l’intellettuale camerunense, Helene Yinda, ideatrice della campagna per il Nobel, “quello che le donne fanno ogni giorno le rende artigiane di pace”. Non solo. In questi ultimi anni le loro azioni quotidiane si sono- per così dire- estese e hanno interessato tutta la comunità. Mentre gli uomini erano impegnati nei conflitti o erano emigrati, le mogli, già abituate con le loro famiglie, hanno iniziato a lavorare sul posto e a gestire piccole realtà imprenditoriali – come la fabbricazione di sapone, di bambole, di tessuti, di negozi di artigianato 2- e, per farlo, si sono messe insieme, creando reti di solidarietà. Hanno così avviato attività di microcredito, facendo girare l’economia anche nei piccoli paesi. E’ il caso di dirlo: l’unione fa la forza, e loro, dopo anni di duro lavoro, l’hanno capito.

Nobel per la Pace 2011 - Non per niente a vincere il Nobel per la Pace 2011 sono state 3 donne: Ellen Johnson-Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakkol Karman. Una presidente, un’avvocato e una giornalista. E, tra l’altro, Leymah Gbowee è anche una forte sostenitrice della presidente Ellen Johnson-Sirleaf, essendo anche lei liberiana. Entrambe hanno contribuito alla fine della guerra civile in Liberia: la prima vincendo alle elezioni nel 2005 dopo il regime militare del sanguinario Samuel Doe, la seconda proprio per una singolare forma di protesta pacifica contro le armi.

L’avvocato - Infatti la Gbowee, trentanovenne con sei figli, assistente sociale e counsellor di pace, fece parlare di sé e della Liberia durante il periodo della guerra civile proprio perché spronò le donne a ribellarsi contro i propri uomini che non smettevano di combattere, non solo con digiuni e preghiere, ma anche con lo sciopero del sesso. Attualmente è impegnata in azioni di pace nella Repubblica del Congo e in Costa d’Avorio. Un’artigiana di pace, è il caso di dirlo. E’ anche conosciuta per aver fondato un’associazione con le donne musulmane (da cristiana): lei l’ha capito dopo la dittatura di Doe che l’unione faceva la forza.

La giornalista - Così come l’ha capito la yemenita Tawakkol che nel 2005 fondò il Gruppo delle Giornaliste Senza Catene per difendere la libertà di pensiero e dei diritti delle donne. Attivista contro il regime di Saleh in Yemen, Tawakkol fa parte di un partito islamista Islah, ma lotta (sempre pacificamente) contro i suoi membri più conservatori, che non vogliono abolire i matrimoni delle minorenni. E’ soprattutto durante la Primavera Araba che la giornalista si è fatta sentire per la sua lotta “a suon di parole” contro le dittature in Africa –ed è stata imprigionata per 36 ore.

La presidente - E Ellen Johnoson Sirleaf è quella più anziana delle 3, quella forse più diplomatica, ma anche una delle poche in Africa impegnata seriamente in politica. I dati, in realtà, non sembrano così allarmanti: nell’Africa sub sahariana la rappresentanza femminile raggiunge il 18,5% (la media nel mondo è del 19,2%) però spesso si tratta della facciata, le donne realmente impegnate e attiviste in politica sono poche. E sicuramente la Johnson Sirleaf, la prima donna eletta capo di stato in Africa, è una di queste. Una “lady di ferro”, una studiosa con 3 lauree conseguite in America.

Ad alcuni – molti uomini - non piace perché la considerano un’intellettuale (come se fosse una colpa), perché ha lavorato in banche, perché appoggiò il leader politico Charles Taylor (attualmente processato all’Aia per crimini contro l’umanità, ma che inizialmente combatteva contro l’assassino Samuel Doe al potere). Però da quando è stata eletta si è impegnata seriamente nella lotta contro la corruzione in un paese ancora estremamente impoverito dalla guerra civile e dalla sanguinosa dittatura di Samuel Doe, ed è scesa in campo rivolgendosi direttamente alle donne. “Donne brutalizzate, donne violentate, donne schiavizzate, eppure promotrici di pace…”. Ha istituito una commissione di riconciliazione per i crimini compiuti nel periodo della dittatura, senza pena di morte, e ha condannato Charles Taylor. Non deve essere semplice raggiungere vertici politici, lavorare per le donne e per l’Africa in Africa, ed essere donna.

L’Africa e le donne - Però alcuni dati confortano: il tasso di alfabetizzazione femminile è cresciuto al 51%, le donne che lavorano rappresentano il 57% della popolazione. Sono impegnate soprattutto nel lavoro di agricoltura (il 70% dei lavoratori, e il 90% di venditori è donna) ma il dato più confortante riguarda la crescita delle donne leader di associazioni. Donne che si aiutano tra loro e solidarizzano in nome di un bene comune: quello dell’Africa. E lo fanno senza l’uso delle armi, pacificamente, con il loro lavoro e il loro impegno (doppio).

Già un’altra donna africana aveva vinto il Premio Nobel per la Pace nel 2004: era Wangari Maathai, aveva fondato il Green Belt Mouvement per lo sviluppo sostenibile. Lei è morta il 25 settembre di quest’anno. Ma le altre donne non si sono fermate. E Il Premio Nobel per la Pace motiverà tutte loro a continuare la loro lotta pacifica.

L’Africa cammina sui loro piedi.

Francesca Mezzadri - dicembre 2011

L´esempio di Yayi Bahiam Diouf in Senegal (Coflec)

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