Cosa accadde a Gorèe?
Ecco a voi due domande sulla storia. Qualcuno sa quello che accadde sull’isola di Gorée? E ad Auschwitz? Scommetto che pochi sapranno rispondere alla prima domanda, mentre tutti alla seconda. Eppure entrambi furono luoghi di schiavitù e di morte. Entrambi ci riportano a una storia difficile da accettare, di odio e disumanità. Anche per questo, entrambi sono tuttora beni protetti dall’UNESCO, patrimonio dell’umanità.
Auschwitz è l’emblema dei campi di concentramento nazisti dove tra il 1940 e il 1945 vennero rinchiusi ebrei, appartenenti a minoranze e perseguitati politici, per il vaneggiante sogno della "soluzione finale" perseguito dall’ideologia nazista.
Ancora oggi il campo di concentramento è meta di visite di studenti di tutto il mondo perché è importante non dimenticare le atrocità dell’Olocausto.
Invece l’isola di Gorée non è nota a tutti, forse molti non sanno neanche dove si trovi e non viene studiata sui libri di scuola. Eppure.. l’Olocausto è durato 12 anni, mentre le vicende legate all’isola di Gorée quasi 3 secoli.
Come mai queste differenze? Forse ci sono tragedie più “narrabili” di altre?
E allora parliamo di Gorée. Per chi non lo sa, Gorée è un´isola del Senegal, a 20 minuti di traghetto da Dakar, la capitale, ed è la parte più occidentale dell’Africa. Ora è un’allegra e colorata isoletta pedonale con tante bancarelle, artisti e turisti, dove si organizzano festival musicali.
Ma un tempo, proprio per la sua posizione occidentale, serviva ai colonizzatori stanziati in Africa come punto di “vendita” degli schiavi africani ai mercanti europei in partenza per il nuovo continente americano. Qui a Gorée infatti, venivano rinchiusi in anguste celle claustrofobiche uomini e donne provenienti da tutte le regioni africane. Erano uomini robusti, forti, che sarebbero potuti servire come schiavi ai mercanti europei, oppure erano belle donne (o peggio bambine) che sarebbero potute diventare perfette “schiave personali” nelle nuove case americane. I colonizzatori mettevano così in vendita tutti questi uomini e donne e li barattavano al posto di fucili, gioielli, chincaglierie varie dai mercanti.
Prima di essere venduti, gli schiavi venivano rinchiusi nelle case dell’isola di Gorée e lì restavano 3 mesi. Les Maison des Eclaves. Si trattava di bellissime case dai tenui colori pastello, affacciate sul mare, con al centro un cortile e una scala a forma di conchiglia dalla quale si godeva una fantastica vista panoramica. A Gorée ce n’è ancora una in piedi che qualche turista visita.
Salendo la scala, al primo piano, i colonizzatori avevano confortevoli stanze e terrazzi sull’oceano. Sotto di loro, nelle celle, stavano gli “schiavi” ovvero donne, uomini e bambini, divisi in scompartimenti in base a sesso ed età. Infatti madri, padri, figli e figlie venivano rapiti dai loro paesi d´origine africani e consegnati ai negrieri (i padroni di quelle belle case dai colori pastello) dai vari capotribù locali in cambio di favori anche “politici”o sotto ricatto. Qui, in questa bellissima isola, le famiglie venivano divise per sempre, e gli individui perdevano la loro identità. Incatenati e costretti nelle celle sovraffollate, sopravvivevano così, finché non venivano venduti. Il baratto o scambio tra uomini e merci avveniva nei cortili delle case. Qui i negrieri, all’arrivo di un mercante europeo in partenza per il nuovo continente, disponevano la “loro” merce umana: quanti braccialetti sarebbe stato disposto a scambiare in cambio di una bellissima bambina? E quanti fucili per questo giovane nigeriano così robusto?
Chi veniva scelto, oltrepassava la porta del non-ritorno, un trampolino sull’oceano, e si recava nelle coste Americane, o in Sud America, o ad Haiti, rimanendo schiavo a vita del suo acquirente.
Chi non veniva venduto rimaneva nelle celle per tre mesi: il tempo limite per raggiungere il peso ottimale. Se non raggiungeva un buon peso, o se si ribellava e tentava di fuggire (ma dove poi? L’intera isola era formata da casa dei negrieri) veniva buttato in mare con una catena di 15 chili o rinchiuso nella cella dei ribelli, senza finestre, alta 1 metro.
In quel periodo il mare intorno all’isola era invaso dagli squali , tanto numerosi erano i corpi che venivano gettati in mare.
Questo commercio è durato quasi 3 secoli: dal 1536 al 1848, data dell’abolizione della schiavitù. Per 300 anni quasi 65 milioni di persone - tra l’altro tra le più giovani e robuste - sono state vendute in cambio di fucili e braccialetti. Uomini legati da catene al collo e torturati, donne violentate, bambini stipati in celle, tutti separati dalle loro famiglie, costretti a diventare schiavi in un altro continente.
L’unica possibilità di salvarsi dall’espatrio e dalla morte era riservata alle donne. Le più belle potevano provare a “conquistare” uno dei loro padroni sull’isola e farsi mettere incinta. Solo così, forse, non sarebbero state mandate in America, ma sarebbero rimaste sull’isola a disposizione dei negrieri, per far crescere i loro figli. Figli che poi in futuro sono diventati gli abitanti dell’isola.
Conosciamo tutti l’Olocausto, durato 12 anni, ma Goreé no. Perché?
Ci sono tragedie più “importanti” di altre? O forse semplicemente più “narrabili”? Chi stabilisce che cosa raccontare e cosa no?
Ora l’isola di Gorée è meta di turisti e commercio. Anche nella “Maison des Eclaves” – la casa degli schiavi rimasta in piedi – si organizza qualche visita guidata, ma i turisti affollano maggiormente i banchetti degli artisti di strada.
Anche sul web l’argomento non sembra destare grande interesse: l’unica pagina che Wikipedia (per fare un esempio) riserva a Gorée descrive più le bellezze naturali dell’isola, così caratteristica “con le sue costruzioni in stile coloniale, circondate di bougainvillee, le stradine di sabbia e gli edifici sono in pietra lavica” che la sua triste storia.
In effetti l’isola è molto carina: a quanto pare però anche qui possano succedere tragedie. Ma sul web appare giusto una riga per ricordare che “sull´isola si trova la "Maison des Esclaves", la casa degli schiavi dalla quale sono transitati milioni di africani strappati alla loro terra d´origine per essere portati, fatti schiavi, nelle Americhe.
E poi: …"L´isola ha un´estensione pari a 36 ettari, è larga circa un chilometro e lunga 300 m. Attualmente l´isola vive prevalentemente di turismo e commercio. Offre un buon numero di strutture ricettive e di ristorazione. Nella zona alta denominata "le castel" si possono ammirare i dipinti dei pittori qui residenti. L´isola si raggiunge con il traghetto da Dakar".
E questo è tutto.
Francesca Mezzadri - marzo 2011