Aung San Suu Kyi, un'eroina con i fiori nei capelli

E' stato rilasciata Aung San Suu Kyi, la paladina della democrazia in Birmania

Aung San Suu Kyi è stata liberata. Dopo 12 anni di arresti domiciliari, la leader democratico-birmana ha finalmente finito di scontare la sua pena, ed è tornata tra la sua gente. Anche se ormai le elezioni si sono già svolte (proprio il 7 novembre, qualche giorno prima della liberazione di San Suu Kyi che è avvenuta il 13 novembre) decretando la vittoria della giunta militare, il popolo birmano stava aspettando la liberazione della donna che dal 1988 rappresenta l’unica alternativa democratica in un paese corroso dalla dittatura.

Chi è Aung San Suu Kyi? - Aung San Suu Kyi è nata in Birmania 65 anni fa, suo padre, generale, fu uno dei più importanti politici birmani che negoziò l’indipendenza della Birmania, sua madre fu ambasciatrice in India. Dopo gli studi nelle migliori scuole indiane e inglesi e a New York, sembrava che il destino di San Suu Kyi fosse quello di rimanere ad Oxford dove si stava specializzando in un master in letteratura birmana e dove viveva insieme al marito e ai suoi due figli. Ma nel 1988 quando sua madre venne colpita da un infarto decise di tornare in Birmania, conoscendo la tragica situazione degli ospedali nel suo paese.

E’ proprio quello l’anno delle proteste studentesche contro il regime militare di Saw Maung. San Suu Kyi non può rimanere indifferente di fronte alla sua popolazione che lotta per degli ideali di libertà che a lei non sono mai stati negati. Decide di entrare in politica e si propone come leader democratico del paese. Non farà più ritorno in Inghilterra.
Due anni dopo, la Lega nazionale per la democrazia da lei guidata, trionfa alle elezioni, ma i militari rovesciano il governo e Aung San Suu Kyi viene condannata ai domiciliari.

Fiori tra i capelli - Aung San Suu Kyi è una combattente. Non imbraccia fucili e non inneggia alla rivoluzione. Di aspetto apparentemente fragile, ama mettersi fiori tra i capelli. Ama parlare con il suo popolo. Vorrebbe ristabilire l’unità tra le etnie del paese. Vorrebbe mediare per i 2.100 prigionieri politici rinchiusi nelle carceri birmane per aver espresso il loro pensiero. Tenta da sempre di instaurare un dialogo con la giunta militare. Ha vinto il Premio Sakharov e il Premio Nobel per la Pace nel 1991 e ha destinato i soldi della vittoria per la costruzione di scuole e ospedali nel suo paese. Ma è una che non si arrende.

E a quanto pare i fiori che Aung San Suu Kyi si mette tra i capelli sembrano più pericolosi dei fucili se è vero che la giunta militare la osteggia in ogni modo e lei continua imperterrita a sorridere al suo paese, nonostante le palesi difficoltà che ha dovuto affrontare dal suo ritorno in Birmania.

Agli arresti - Dopo le elezioni che vinse –senza governare- nel 1990, le fu proibito di lasciare il paese, e nel 2003 scampò per miracolo ad un attentato. Da quel momento venne condannata agli arresti domiciliari, rinnovati ogni anno fino al 2009, nonostante le pressioni degli Stati Uniti e dell’Europa per liberarla. Nel 2009 fu nuovamente accusata di aver violato gli arresti domiciliari (secondo i suoi sostenitori la violazione, dovuta all’intrusione di un cittadino americano nella sua abitazione, è stata una mossa dello stesso regime per mettere fuori gioco la “dissidente” in vista delle elezioni del 2010).

Nonostante le pressioni degli altri paesi europei e degli Stati Uniti per il suo rilascio a causa delle non buone condizioni di salute, la leader democratica è stata rilasciata solo il 14 novembre 2010– una settimana dopo le elezioni vinte, non a caso, dalla giunta militare.

La situazione in Birmania - Lo Stato della Birmania è ancora sotto la dittatura militare. Quando nel 2008 i monaci buddhisti scesero nelle piazze per reclamare il rispetto dei diritti umani e la libertà di pensiero, la risposta del regime fu di aprire il fuoco sui manifestanti. Una recente risoluzione del Parlamento europeo ha esortato il governo della Thailandia, paese vicino alla Birmania, a garantire rifugio e ospitalità ai numerosi rifugiati che sbarcano sulle sue coste, prevalentemente persone dell’etnia musulmana Rohingya, perseguitate e soggette a violazioni sistematiche dei diritti umani da parte del regime militare al governo che nega loro la cittadinanza e la libertà di pensiero e circolazione.
Quando la Birmania l’anno scorso fu devastata da un ciclone, l’attuale governo bloccò gli aiuti umanitari per i sopravvissuti.

Purtroppo, questo stesso governo repressivo, è tenuto in vita grazie agli accordi commerciali internazionali con gli altri paesi del mondo. Gli stessi che ora sui media esultano per la liberazione della paladina della libertà con i fiori nei capelli, Aung San Suu Kyi.

Francesca Mezzadri - novembre 2010

© vignetta di Chappatte (http://www.globecartoon.com/dessin/)

Azioni sul documento