Andar per Campi

La questione Rom in Italia e in Regione discussa durante l'incontro per il Festival "Porte Aperte"a Bologna

“Non bruciamo le speranze di chi ne ha ancora”. L’hanno scritto i bambini di una scuola elementare di Napoli in un disegno a fumetti che voleva raccontare cosa era successo a Ponticelli 2 anni fa. Forse non tutti se ne ricorderanno, ma a Napoli nel quartiere Ponticelli 2 anni fa, gli abitanti diedero fuoco agli accampamenti Rom, istigati da una notizia: il rapimento di una bambina da parte di una ragazzina Rom.

Notizia che non aveva alcun elemento per essere riconosciuta vera, e che poi nel tempo si è ridimensionata. Ma tanto è bastato per far emergere la rabbia. Una rabbia così profonda, così forte da portare della gente a voler bruciare viva altra gente.

Qualche storia italiana - Ponticelli è un esempio. Ce ne sono altri.
A Roma nel 2009 c’è stato il primo sgombero ufficiale dei Rom: 80 adulti, tra cui 40 bambini, sono stati scacciati dal quartiere Testaccio dove erano stanziati e dove non davano alcun problema – ma erano nel centro città perciò erano molto visibili- e accampati provvisoriamente in una sorta di parcheggio ai confini della città. Tutti erano italiani. Nessuno era un criminale.
A Mestre è stato organizzato il primo Comitato a difesa dei cittadini per firmare contro la proposta di costruire un quartiere di casa prefabbricate per i Sinti del quartiere. Un quartiere costato 3 volte meno di quelli popolari e che i Sinti avrebbero regolarmente pagato.

E quindi non stupisce il report realizzato dalla FRA, Fundamental Right Agency, secondo il quale il 60% di italiani si sente personalmente minacciato dalla presenza dei Rom e il 68% crede che i campi rom debbano essere smantellati.

A Bologna - E a Bologna? Qual è il grado di tolleranza di una tra le più accoglienti città del Nord? Anche a Bologna verso la fine del 2006 – un mese prima dell’ingresso di Bulgaria e Romania nell’UE- con un’ordinanza dell’allora sindaco Sergio Cofferati, 123 persone sono state sgomberate con le ruspe da via Bignardi e dell´area che costeggiava il canale Navile. Uno sgombero “notturno”, e, a detta di molti testimoni, selvaggio, brutale. “Le strutture del campo sono state demolite e non rimosse, gli oggetti all´interno delle baracche distrutti invece che depositati nei magazzini comunali". Questo è l’esempio di Bologna.

"Andar per campi" - Durante il festival Porte Aperte, organizzato dall’associazione Naufragi a Bologna, un appuntamento chiamato proprio "Andar per Campi" - tenutosi ada Ambasciatori a metà novembre- è stato proprio dedicato alla cosiddetta “emergenza” Rom.
E chissà perché si parla sempre di emergenza anche quando l’emergenza non dovrebbe sussistere. Non è un terremoto, né una calamità quando delle persone vogliono stanziarsi su un territorio, specialmente se sono anche nate lì. In tutta Italia ci sono circa 150.000 Rom e Sinti – 5 volte meno che in Spagna, dove non si parla di emergenza. Perché?

E’ Clara Tommasini (Servizio politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale della Regione Emilia-Romagna) che, durante l’incontro a Bologna del 12 novembre, introduce la questione, a cominciare dai dati regionali. In Emilia-Romagna ci sono circa 1.642 tra Rom e Sinti. 1.476 di questi sono italiani. Abitano soprattutto a Reggio Emilia, Modena e Bologna.

Tommasini spiega che in Regione sono stati stanziati negli ultimi 10 anni 6 milioni di euro per interventi socio-sanitari e per migliorare la qualità di vita delle popolazione Rom. L’obiettivo è il superamento dell’irregolarità dei campi e la spinta verso la stanzialità. Non tutti i Rom hanno il desiderio di sostare all’aperto in camper, contrariamente a quanto pensa la gente, e molti di loro vivono già in appartamenti. Per chi non vive lì, ci sono i campi – ne esistono 50 autorizzati dal Comune in tutta la Regione e 3 a Bologna.

I campi a Bologna - Dei 3 campi – a villa Erbosa, nel quartiere Borgo Panigale e nel quartiere Savena - parla Sara Montipò, un’educatrice della cooperativa sociale “La Rupe” che con i Rom lavora. “Non è una situazione semplice” spiega l’educatrice “nei campi c’è molta rabbia che nasce da queste situazioni di esclusione sociale e ghettizzazione. I campi sono comunque in aree ai confini della città. E certi confini a volte sono duri da superare”.

Gli educatori e i Rom di villa Erbosa hanno girato insieme un video che Montipò mostra durante l´incontro. La loro diffidenza è chiara –si sentono esclusi, emarginati – non sono neanche venuti alla presentazione del documentario stesso, ma alla fine la loro voglia di integrarsi è maggiore. Perché nel video lanciano un appello, perché le loro parole, anche se rivolte ad una telecamera, ci riguardano e sono le basi per un dialogo non così impossibile da instaurare. Un dialogo che i loro figli –che vanno a scuola- hanno già instaurato. Un dialogo che è possibile solo partendo da queste basi comuni: dalla scuola, dal lavoro, dalla vita di tutti i giorni.

Il progetto NOI - Daniele Bergamini, presidente della Cooperativa "La Piccola Carovana", parla invece di un altro gruppo di Rom e Sinti: quelli che non sono nati in Italia e che vogliono tornare nei loro paesi e di un progetto di accompagnamento “NOI” che li aiuta in questo percorso. “Non bisogna dimenticare che a Bologna molti di quelli che sostavano nel 2004/5 nelle baraccopoli sul lungoReno (l’area del canale Navile, poi sgomberata nel 2006) erano rumeni che fuggivano dalle alluvioni che avevano colpito il loro paese. Ora stanno meglio, ma vivono comunque in una situazione difficile. E il degrado genera degrado. Il progetto NOI prevede proprio il rimpatrio assistito di alcuni Rom e Sinti per un desiderio emerso da loro stessi”.

A molte persone sfugge il fatto che magari molti Rom non sono contenti della loro situazione e che quelli stranieri vorrebbero magari tornare a casa. Che se sono qui, in Italia, sono stati costretti a farlo, e questo sì per un´emergenza. E che quelli italiani vorrebbero restare qui, magari in condizioni migliori.

Emergenza Rom - “Emergenza Rom”. Per il professore Dimitris Argiropoulos dell’Università di Bologna il punto di partenza è proprio nel linguaggio che usiamo. Usiamo parole che discriminano come zingari nel linguaggio di tutti i giorni e questo rinnova la sfiducia che nutriamo nei confronti di persone come noi, che hanno tutti i nostri diritti. Non ha senso creare leggi specifiche per i Rom perché non sono una minoranza o una popolazione. Sono innanzitutto cittadini come noi.

E se è vero che la questione Rom è europea ed è obbiettivamente un problema di convivenza e di integrazione in tutti i paesi, non dovrebbe essere una guerra. Basta parlare di emergenza, fuochi e sgomberi.
Non bruciamo le speranze di chi, forse, ne ha ancora.

Francesca Mezzadri - novembre 2010

Disegno dei bambini della scuola elementare di Ponticelli (Napoli)

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