Aung San Suu Kyi in carcere

La leader birmana della democrazia rischia da 3 a 5 anni di detenzione

Aung San Suu Kyi nel 1990 aveva vinto il Premio Sakharov che ogni anno il Parlamento europeo assegna a chi si distingue nel panorama mondiale per la lotta all’affermazione dei diritti umani e la libertà di pensiero. L’anno dopo le fu consegnato il premio Nobel per la pace. Dal 2003 è agli arresti domiciliari. E dal 14 maggio 2009 è in carcere per aver violato le condizioni di arresto domiciliare e le sue condizioni di salute sono gravi.

Ma chi è Aung San Suu Kyi? - Aung San Suu Kyi è nata in Birmania, suo padre, generale, fu uno dei più importanti politici birmani che negoziò l’indipendenza della Birmania, sua madre fu ambasciatrice in India. Naturale che il suo destino fosse quello di attivista per i diritti umani: dopo aver studiato nelle migliori scuole indiane e inglesi e a New York, alla morte della madre nel 1988, tornò in Birmania e divenne il leader democratico del paese, in opposizione al regime militare del generale Saw Maung. Due anni dopo, la Lega nazionale per la democrazia da lei guidata trionfò alle elezioni, ma i militari rovesciarono il governo, e Aung San Suu Kyi, nonostante fosse stata votata non ebbe la possibilità di governare.
Dopo aver vinto il Premio Sakharov e il Premio Nobel per la Pace e aver destinato i soldi della vittoria per contribuire alla costruzione di scuole e ospedali nel suo paese, venne osteggiata in ogni modo dalla dittatura militare. Le fu proibito lasciare il paese, e nel 2003 scampò per miracolo ad un attentato. Da quel momento venne condannata agli arresti domiciliari, rinnovati ogni anno fino al 2009, nonostante le pressioni degli Stati Uniti e dell’Europa per liberarla.

La Birmania oggi - Lo Stato della Birmania è ancora sotto la dittatura militare. L’anno scorso quando i monaci buddhisti scesero nelle piazze per reclamare il rispetto dei diritti umani e la libertà di pensiero, la risposta del regime fu di aprire il fuoco sui manifestanti. Una recente risoluzione del Parlamento europeo ha esortato il governo della Thailandia, paese vicino alla Birmania, a garantire rifugio e ospitalità ai numerosi rifugiati che sbarcano sulle sue coste, prevalentemente persone dell’etnia musulmana Rohingya, perseguitate e soggette a violazioni sistematiche dei diritti umani da parte del regime militare al governo che nega loro il diritto di cittadinanza, libertà di pensiero e circolazione. A maggio la Birmania è stata tra l’altro devastato da un ciclone, ma l’attuale governo ha bloccato gli aiuti umanitari per i sopravvissuti.
Purtroppo, questo stesso governo repressivo, è tenuto in vita grazie agli accordi commerciali internazionali con gli altri paesi del mondo. Gli stessi che chiedono ora la liberazione della “dissidente” San Suu Kyi.

Il rischio per Aung San Suu Kyi - Recentemente la condizione di Aung San Suu Kyi si è aggravata: il 14 maggio 2009 è stata arrestata e processata dai militari per aver violato gli arresti domiciliari. A fine mese sarebbe stata libera. Secondo i suoi sostenitori, la violazione degli arresti domiciliari, dovuta all’intrusione di un cittadino americano nella sua abitazione, è stata una mossa dello stesso regime per mettere fuori gioco la “dissidente” in vista delle elezioni del 2010. Portatrice di valori democratici e di libertà, sostenitrice di un movimento non-violento, amata dal suo popolo, la leader birmana rappresenta infatti una minaccia per l’attuale regime militare. Secondo l’accusa rischia da 3 a 5 anni di detenzione. Le sue condizioni di salute, già precarie, potrebbero aggravarsi in carcere. Già le è stata negata una visita dal suo medico.
Numerose organizzazioni si sono mobilitate per la liberazione della leader democratica, tra queste Amnesty International. Gli Stati Uniti, nella persona del segretario di Stato Hilary Clinton, hanno chiesto alle autorità birmane la sua immediata liberazione. L’Italia chiede il rilascio della leader democratica e degli altri 2.000 prigionieri politici attualmente nelle carceri birmane. A queste voci non poteva mancare quella dell’UE: la presidenza di turno ceca e Hans-Gert Pöttering, presidente del Parlamento europeo, si sono appellati alle autorità birmane per chiedere il rilascio del Premio Sakharov 1990.
"La Giunta militare birmana deve rilasciare la leader democratica Aung San Suu Kyi immediatamente e senza condizioni" ha dichiarato Pottering “Questa donna coraggiosa rappresenta le migliori speranze di un futuro libero e prospero per il suo Paese e per il suo popolo”. Nonostante ciò, il 18 giugno, giorno del suo 64esimo compleanno, Aung San Suu Kyi l´ha passato in carcere in attesa di un processo che molto probabilmente la condannerà.
Purtroppo un triste destino sembra accomunare chi lotta per i diritti umani e la libertà di pensiero. Il Premio Sakharov 2008, Hu Jia, è anche lui imprigionato.

Francesca Mezzadri - maggio/giugno 2009

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