Morti bianche macchiate di colpa: l’Europa delle morti sul lavoro

Morti bianche nell'Ue: dati e considerazioni

immagine simbolica morti biancheSono spesso irrispettose certe statistiche: perché mai dovremmo paragonare il numero di disgrazie del nostro paese con quelle degli altri? In queste atroci competizioni da opinionisti, nel caso di tragedie non solo inutili, ma persino beffarde, come le morti bianche, ci consolerebbero mai dei numeri? Ci restituirebbero le persone morte banalmente mentre svolgevano il proprio mestiere, cioè il proprio dovere civico, da buoni cittadini? L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul… (art.1 Costituzione italiana).

Differenze tra Stati - Premettiamo innanzitutto che mercato e legislazione del lavoro sono diverse da un angolo all’altro d’Europa: quasi inesistenti in Gran Bretagna i numerosissimi cantieri edili o stradali che spopolano in ogni città o paesello d’Italia; tutto l’occidente europeo dedica molte meno risorse, anche di forza-lavoro, all’agricoltura rispetto all’est; etc. E, in Francia come in Germania, per la negligenza sulla sicurezza dei lavoratori sono previste esclusivamente sanzioni pecuniarie, quasi mai la detenzione.

L´impegno dell´UE - Ma qualche paragone, almeno tra europei, bisogna pur farlo. Anche perché quale che sia il paese da cui proveniamo, ancora una volta l’impegno dell’intera UE ci tutela molto di più di quello di un singolo Stato. L’abbiamo già visto in molti settori, come la tutela alimentare e in generale la sicurezza dei consumatori, settori legislativi, cui solo una grande entità politica poteva porsi il cruccio di badare. Questi settori, in effetti, aumentano i costi di produzione e la sua burocratizzazione, ma si è riconosciuto che la salute dei cittadini avesse un valore superiore. Anche del settore della sicurezza sul lavoro l’Europa si occupa da decenni individuando standard operativi vincolanti, stavolta però resi impotenti dai lassismi degli istituti di controllo nazionali.
I costi per la sicurezza appaiono spesso come inutili. Accade nelle piccole imprese, che assorbono circa il 65% della forza lavoro europea e in cui si ritiene la conduzione familiare delle attività possano facilmente supplire, specie dinnanzi alle oggettive ristrettezze economiche cui devono far fronte. Le grandi imprese, invece, talvolta spremono profitto anche da questi capitoli di spesa oppure giustificano le proprie carenze con crisi momentanee più o meno fittizie. D’altro canto, sono sindacati e singoli lavoratori che teoricamente dovrebbero rifiutarsi di operare in ambienti insicuri o addirittura malsani, anche se tutti sappiamo che questo non é sempre possibile.

Sensibilizzazione - L’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica, sindacati e imprese con conferenze, dibattiti, mostre e attività di formazione, specie con riferimento alle valutazioni di rischio che le imprese sono tenute a sviluppare in base alle esigenze del settore di attività specifico. Gli incidenti e le malattie legati all´attività lavorativa, infatti, oltre a costituire una tragedia per le persone coinvolte, hanno anche conseguenze negative per le imprese. Si deve capire che gli investimenti in sicurezza sono investimenti di lungo periodo razionali e non solo “deontologici”. Le lunghe assenze per malattia, ad esempio, sono un costo per l’impresa che ha impiegato anni a formare quel lavoratore. Per lo Stato, quindi per tutte le comunità nazionali, dati i ritmi di lavoro sempre più intenso e l’innalzamento della vita media, assistere un numero crescente di persone ammalate può divenire un onere sempre più pesante. E anche dinnanzi a sondaggi rassicuranti, che al 2007 davano l’80% di 30.000 lavoratori dell’UE, di Svizzera e Turchia come soddisfatti del proprio lavoro e del proprio ambiente di lavoro, non ci si può accontentare. La percezione che ne hanno i lavoratori è spesso relativa, vincolata alle proprie esigenze immediate: spetta allo Stato, o agli Stati, tutelarli.

Qualche dato - Infatti, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità tra il 2003 e il 2005 i morti regolari sul lavoro nell’Unione europea sono stati 18.648, gli infortunati quasi 14 milioni. Non che una morte sul lavoro possa essere “regolare”, ma si intendono solamente quelle che scaturiscono da dati ufficiali, quindi escludendo coloro che lavoravano in nero. I dati ufficiali dell’UE avvisano che ogni anno circa 7.500 lavoratori sono vittime di incidenti mortali e circa 170 000 muoiono a seguito di infortuni sul lavoro o malattie professionali. Più di 7 milioni sono costretti ad assentarsi dal lavoro per almeno tre giorni. I settori più a rischio sono l´agricoltura, l´edilizia, i trasporti e l´assistenza sanitaria (stime ufficiali). Stilando poi una media sulle morti annuali ogni 100 mila abitanti, il paese dove è più pericoloso lavorare è il Portogallo (3,2); seguono i Paesi Baltici e Malta tra 2,2 e 2,8; oscillano tra 1,8 e 1,9 Repubblica Ceca, Spagna e Romania, leggermente peggiori di Bulgaria, Irlanda, Italia, Cipro, Austria e Slovacchia, che si collocano intorno alla media europea (1,5-1,6); i più sicuri Regno Unito (0,3) e Paesi Bassi (0,4). Nel mentre in Danimarca, patria della flexsecurity e “nazione più felice del mondo” (secondo uno studio OMS-UNESCO), al 2006 le morti sul lavoro erano in aumento per il terzo anno consecutivo, gli incidenti comuni da quattro, quelli gravi da cinque. E tutte queste cifre non includono nemmeno le morti postume dovute a malattie professionali, che secondo le stime dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro sono oltre 140 mila all’anno.

Ancora stragi - Eppure queste disgrazie si perdono tra le righe delle cronache nazionali: anestetizzati su tutto, non ci indigniamo più nemmeno per la morte dei nostri connazionali. In Polonia la strage di Ruda Ślą ska (la peggiore dagli anni Sessanta, con ben 23 morti) è apparso come un semplice “picco” delle quotidiane morti in miniera. Anche in Spagna le frequenti morti nel settore dell’edilizia e dei trasporti non sembrano più suscitare rabbia. Oppure stragi come quella di Tolosa del 21 settembre 2001 in Francia, dove l’esplosione di un impianto chimico causò 29 morti, fu prontamente sviata da una posticcia pista terroristica, deliberatamente messa in piedi all’indomani del tragico 11 di quello stesso mese. Dal canto nostro, in Italia, terra di grandi gruppi industriali in crisi e tradizionalmente patria di una galassia di piccole e medie imprese, a un anno dalla tragedia della Thyssen-Krupp e a poche settimane dall’inchiesta sui laboratori dell’Università di Catania, nonché alla vigilia di una nuova crisi di tutta l’Europa, bisogna pur chiederci: le difficoltà annunciate per i prossimi mesi potranno mai conciliarsi con il bisogno di sicurezza per tutti i lavoratori? Possiamo ancora accettare deroghe o eccezioni?

Stefano Lodi - dicembre 2008

Sito dell´Agenzia europea per la Salute e la Sicurezza sul lavoro

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