Il Parlamento Europeo sulla questione delle impronte digitali ai Rom
Prendere le impronte digitali e schedare in base ad etnia e religione la popolazione nomade in Italia: adulti e bambini compresi. Questa la proposta di legge italiana presentata e discussa anche in Parlamento Europeo. Molte le polemiche: si tratta di una salvaguardia nei confronti degli stessi rom o di un atto di discriminazione? Considerando la provenienza di molti nomadi – dall’Italia o dalla Romania - la proposta non pare essere in linea con le direttive europee.
Un altro dibattito - “E’ la quarta volta che l’Aula del Parlamento Europeo esamina la situazione dei rom in Italia” esordisce così Vladimir Spidla, Commissario UE per l’Occupazione, Affari Sociali e Pari Opportunità, durante la seduta europarlamentare dell’8 luglio in merito alla questione Rom in Italia, ed invita il nostro paese ad adottare misure adeguate nei confronti di tale “emergenza” per valutare che siano compatibili con i principi europei.
E già all’inizio del dibattito nascono le prime polemiche che riguardano proprio l’uso di tale termine: “emergenza”. Secondo il deputato europeo italiano Marco Cappato uno stato d’emergenza si giustifica “per disastri naturali o catastrofi” pertanto appare inappropriato l’uso di tale termine per definire la questione Rom. “Uno stato d’emergenza è semmai quello dell’assenza di legalità e di democrazia in un paese come l’Italia che è uno dei paesi più condannati davanti alla Corte europea per i diritti umani” aggiunge Cappato, sottolineando che la questione Rom si può risolvere solo con l’integrazione, investendo risorse come i fondi europei. Dello stesso parere Monica Frassoni dei Verdi che per prima si pronuncia durante la quarta seduta esprimendo il suo disaccordo con il ministro Maroni - ideatore della proposta - fin dall’abbigliamento: una maglietta con l’immagine di un’impronta digitale e la scritta “Against ethnic profiling”. L’europarlamentare ribadisce che “l’Europa serve proprio ad arginare politiche crudeli ed inefficaci , a battersi contro il razzismo e le discriminazioni usando le leggi e gli accordi esistenti che sono figlie di una storia sanguinosa” e che “questo dibattito serve proprio a sottolineare che non c’è spazio per le schedature etniche”. Anche l’eurodeputato Vittorio Agnoletto si attacca alla storia ricordando il decreto sulla razza emanato dal regime fascista nel 1938 e il numero di rom uccisi nei campi di sterminio: oltre 500.000. E riscontra una somiglianza tra il questionario da far compilare ai nomadi a Napoli con domande sulla religione e sulle etnie con quello usato nella repubblica di Vichy sotto l’occupazione nazista. Oltrettutto Agnoletto sottolinea come la direttiva comunitaria 43 del 2000 sulla parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla razza e dall’etnia e la 38 del 2004 che consente la libera circolazione dei cittadini europei in tutti gli Stati membri vietino l’avvio di tali “procedure razziste”. Infatti gran parte dei Rom presenti in Italia sono italiani o romeni: avrebbero dunque tutto il diritto di circolare in Italia, senza bisogno di alcun tipo di schedatura.
Impronte per salvaguardare o per discriminare? - Alcuni deputati italiani insistono invece nell’affermare non solo la necessità, ma anche la bontà di tale provvedimento che consentirebbe un censimento indispensabile anche per quei minori che fino ad ora sono stati “fantasmi senza un’identità”, “facile preda di ogni forma di sfruttamento: traffico di organi, adozione illegale, sfruttamento sessuale e lavoro in nero minorile”. Come sostiene l’eurodeputata del gruppo Unione per l´Europa delle nazioni, Roberta Angelilli, che accusa il precedente governo di aver fatto poco o niente per arginare il fenomeno dei campi abusivi, la comunità Rom ha il diritto di essere censita così come avviene regolarmente per tutti i cittadini italiani. E quindi prendere le impronte digitali ai bambini Rom servirebbe solo a garantire, come afferma anche il deputato del Partito Popolare europeo, Stefano Zappalà, accesso alle scuole, assistenza sociale e sanitaria. Per Umberto Guidoni del Partito Comunisti Italiani, prendere le impronte ai bambini equivale invece unicamente a “compromettere il loro futuro e qualsiasi prospettiva di integrazione” con il rischio di creare una forte criminalizzazione nei loro confronti. Il deputato evidenzia come la proposta strida anche con il regolamento 380 del 2008 approvato dai ministri dell’Interno e della Giustizia europei che prevede l’obbligo di prendere le impronte digitali a tutti gli extracomunitari. I Rom in Italia, e soprattutto i minori, sono infatti praticamente tutti cittadini comunitari. E pare difficile pensare di risolvere il problema delle condizioni disumane dei campi Rom, con la semplice rilevazione delle impronte. Servono altri interventi per garantire condizioni sanitarie adeguate e favorire l’inserimento sociale, promuovendo la scolarizzazione e l’avviamento professionale. Come suggerisce anche Gianni Pittella, eurodeputato del Gruppo Socialista europeo, servono politiche concrete che tengano insieme i tre pilastri della cittadinanza, della civilità e della sicurezza.
E se c’è chi rivendica l’importanza della sicurezza per il popolo italiano ed europeo, prendere le impronte digitali viene considerato dalla maggior parte dei deputati in aula un atto “razzista” che “ facilita l’emarginazione e la cacciata di un popolo che si muove da sempre in tutta Europa”.
La risoluzione - La questione non si esaurisce l’8 luglio. A seguito dell’acceso dibattito, il Parlamento Europeo adotta infatti con 336 voti favorevoli, 220 contrari e 77 astensioni una risoluzione che esorta le autorità italiane ad astenersi dal procedere alla raccolta delle impronte digitali dei Rom, inclusi i minori. La proposta di Maroni viene giudicata “atto di discriminazione diretta fondata sulla razza e l’origine etnica, vietato dall’art.14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e per di più un atto di discriminazione tra i cittadini dell’Ue di origine Rom o nomadi e gli altri cittadini ai quali non viene richiesto di sottoporsi a tali procedure”. Si tratta di una palese violazione della direttiva 43 del 2000 sulla parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla razza e dall’etnia.
Il miglior modo di proteggere i bambini Rom è “garantire loro parità d’accesso a un’istruzione, ad alloggi e ad un’assistenza sanitaria nel quadro di politiche di inclusione e integrazione”. Grazie alle opportunità offerte dai fondi dell’Ue bisognerà garantire non solo la scolarizzazione dei bambini Rom, ma anche l’accesso degli adulti al mercato del lavoro.
Il Parlamento invita dunque a rafforzare ulteriormente le politiche dell’Ue riguardanti i Rom, adottando una strategia di inclusione che promuova azioni e progetti da parte degli Stati membri e delle ONG. Si esorta quindi il governo italiano a non procedere alla raccolta di impronte digitali - a meno che non sia strettamente necessario per stabilire l’identità (e solo con l’autorizzazione di un giudice per quanto riguarda i minori) – e ad evitare di promuovere il censimento che indichi di specificare etnia e religione.
Francesca Mezzadri - luglio 2008