Rilegittimare la cura come attività a tutti necessaria

19.04.2013

Rilegittimare la cura come attività a tutti necessaria

Commento a cura di Vincenza Pellegrino, sociologa dell'Università di Parma

A quale “cura” pensiamo?

Il tema scelto per questa nuova edizione delle newsletter è importante: ci permette di esplorare cambiamenti radicali nella società in cui viviamo, cambiamenti delle forme di fragilità e di sofferenza che essa produce e soprattutto cambiamenti delle risposte collettive di cui siamo capaci.

Il sistema di welfare moderno è stato nei fatti costruito durante il secolo scorso per rispondere ai problemi di una minoranza di persone, quella minoranza “improduttiva” che per età, infortunio, disabilità, ecc., restava esclusa dal mondo del lavoro e veniva sostenuta dai servizi. In questo scenario, in cui la “normale produttività” era legata al “non chiedere aiuto”, l’improduttività era affidata alla risposta dei saperi istituzionali via via sempre più specialistici, che erogavano risposte rivolte ai singoli, tanto di tipo bio-logico che psico-logico.

Oggi nuove forme di precarietà (solo per fare alcuni esempi, precarietà delle relazioni e dei nuclei familiari, del lavoro e del ruolo professionale, della tenuta fisica e della prestanza che cala con l’aumentare dell’età media) interrogano questo modo di intendere il bisogno di cura e le forme della cura. Se le fragilità si fanno diffuse e trasversali, la cura deve essere rilegittimata come attività sociale diffusa e a tutti necessaria. Nuove forme di partecipazione devono interrogare il modo istituzionale e tecnico di prestare aiuto, non per indebolirlo, ma anzi, al contrario, per portare le reti sociali (il mutuo aiuto, le associazioni, ecc.) dentro e affianco agli spazi del welfare pubblico.

Il primo passaggio da compiere in questa transizione è innanzi tutto capire, definire nuovamente “bisogno”, “fragilità”, “devianza” nel mondo contemporaneo, per poi innovare la cura necessaria a porre un rimedio a nuove “emergenze sociali”.

Si muovono in questo scenario anche alcuni dei progetti già presentati nella passata edizione di 'Percorsi di cittadinanza': vogliono esplorare come il lavoro sociale cambia rivolgendosi a soggetti nuovi, ma anche come evolvono le partnership pubblico-privato. Il privato sociale, le attività del volontariato e del terzo settore diventano qui un’occasione per riflettere sulle strategie di “istituzionalizzazione” dell’innovazione, sul come generare nuove energie per innovare l’interno delle istituzioni, per rendere aperti i carcere e gli ospedali, per fare due esempi, cioè per integrare al loro interno saperi tecnici e saperi relazionali portati dall’esterno e utili a capire il momento storico che viviamo.

Infine, pensiamo ad una cura “ibrida” rispetto a quella a cui siamo abituati, perché spesso si tratta di vulnerabilità condivise e di forme del mutuo-aiuto, oppure di forme di dono della propria esperienza perché altri ne traggano insegnamento: insomma, di pressione sul sapere tecnico perché si integri e accolga contributi e ridefinizioni.

A quali “soggetti” di cura pensiamo?

Come sarà possibile vedere, anche la definizione dei soggetti di cura a cui si è pensato segue due direzioni diverse.

Da un lato abbiamo ragionato in termini di diverse tappe biografiche come condizioni a cui legare una legittima e universale necessità di cura ma allo stesso tempo anche una capacità di prendersi cura del mondo. Infanzia, adolescenza, famiglie sono oggi contesti in cui si consumano legami affettivi forti e al tempo stesso legami sociali precari e dolenti: tutti – e non solo pochi e cronici casi di marginalità – viviamo con fatica le trasformazioni, siamo in grado di dare aiuto ma possiamo anche imparare a chiederlo, e i progetti innovativi che vedremo mostrano alcune strade possibili di condivisione.

D’altro lato, vediamo una definizione dei soggetti di cura che ha a che vedere con una collocazione istituzionaleche essi vivono e con la forma di bisogno definita, codificata, concepita dalle istituzioni. Parleremo allora di contesti, e non più di condizioni biografiche, e di condizioni strutturali che essi producono (isolamento di coloro che subiscono la cura ad esempio).

Lo sforzo, che sarà fatto nella selezione dei progetti, è mostrare una riflessione competente su entrambi i “fronti” della cura, sulle soggettività di chi vive le condizioni e sulle dimensioni di contesto.

I casi scelti ci permetterenno di vedere entrambi i lati della questione e di ragionare su come nuovi soggetti di cura possono modificare i contesti della cura istituzionale.

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