Giuliano Amato: un trattato "in bianco e nero" ci porterà verso l'integrazione europea

Intervista a Giuliano Amato

Giuliano AmatoCosa sta succedendo all’Unione europea? A che punto è il processo di integrazione? Qual è la credibilità dell’Unione a livello internazionale? E quali sono gli equilibri di potere che si stanno delineando al suo interno? Davanti agli eventi e le sfide internazionali che si stanno accumulando sia a livello politico che economico - si pensi alla crisi economica e monetaria e alla “Primavera araba” nei paesi del Maghreb - diventa sempre più difficile capire come si stia muovendo l’Unione europea, quale sia la sua posizione, cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare.

Per cercare rispondere a questi ed altri quesiti abbiamo intervistato Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio dei ministri, ex Ministro del tesoro e degli Interni e soprattutto vice-Presidente della Convenzione sul futuro dell’Europa, che ha stilato il testo del fallito trattato costituzionale europeo, base a sua volta del nuovo trattato di riforma firmato a Lisbona nel dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre del 2009.

Ed il Trattato di Lisbona è proprio in questo periodo motivo di forte dibattito politico: non a caso, molte delle inefficienze e fragilità mostrate dall’Unione in questi mesi sono state attribuite dagli analisti alle sue carenze.

Presidente Amato, in qualità di vice-Presidente della Convenzione sul futuro dell’Europa, qual è la sua opinione sul Trattato di Lisbona?

Il Trattato di Lisbona evidentemente non è una riforma completata e d´altra parte con un´Unione Europea che fin dalla nascita ha vissuto sul principio della “Elder closer integration” non so esattamente quando (…) sarà ritenuto raggiunto il traguardo che forse non è lo “Stato federale” a cui pensavano con cultura da primo novecento i Padri fondatori, ma che di sicuro sarà qualcosa di più integrato di ciò che abbiamo ora.

Il Trattato di Lisbona io l´ho sempre definito un “Trattato in bianco e nero”, non a colori. Nel senso che non ha norme, né passaggi particolarmente eccitanti o mobilitanti. Contiene degli aggiustamenti dei meccanismi istituzionali che possono permettere sia processi decisionali più efficienti, sia un tasso meno basso di democraticità dell´insieme e sia, infine, una migliore capacità di fronteggiare le cosiddette sfide del XXI secolo.

Detto questo, tali congegni sono poi affidati alla volontà di utilizzarli dei protagonisti delle istituzioni che, non dimentichiamo, sono principalmente i leader e i ministri nazionali, cioè soggetti che risentono del clima degli stati nazionali. (…) Ed è stato più che altro il clima che ha reso la percezione del Trattato di Lisbona come un qualcosa di meno innovativo di quanto le clausole in sé consentirebbero. Rimane sicuramente vero quello che disse a commento Giscard d´Estaing, Presidente della Convezione, ovvero che “il giorno in cui gli europeisti fossero tornati sulla scena, sotto le ceneri ancora viva nel Trattato di Lisbona avrebbero trovato ciò che potrà servire per andare più avanti”.

Oggi il problema principale è che risulta difficile sul piano pratico notare le innovazioni introdotte dal nuovo Trattato – sia perché c’è bisogno di tempo per metterle in pratica sia perché alcune di esse hanno obiettivamente deluso le aspettative di molti europei e di tutti quegli attori internazionali che immaginavano un deciso passo in avanti nel processo di integrazione – e questo ha creato un clima di generale sfiducia nei confronti dell’intero progetto europeo.

L´Unione è condannata a dover aspettare una nuova stagione leader europeisti per poter riacquisire credibilità internazionale e rilanciare il processo di integrazione?

“In qualche modo sì. Questo è un cambiamento che è avvenuto in ragione della ri-nazionalizzazione delle leadership politiche attualmente con una vocazione meno europea di quanto fossero i Mitterand e i Kohl, per non parlare di Delors, che li hanno preceduti. La vicenda della Germania è particolarmente espressiva in questo senso.

Il perché di questo scetticismo degli altri paesi nei nostri confronti è dovuto non tanto al mercato integrato dell’Unione che, in qualche modo continua a funzionare ed avanzare, quanto a una questione di politica internazionale , sempre più importante in un´arena globalizzata.

Noi avevamo promesso a noi stessi ed al mondo di dotarci di una politica estera e di sicurezza comune e qui il nostro insuccesso è stato davvero clamoroso, al di sotto delle aspettative più modeste. Che questa modestia di risultati sia dovuta alla tenacia con la quale gli Stati membri continuano a perseguire le proprie politiche estere nazionali o che sia dovuta all´inadeguatezza dell´Alto Rappresentante lascio ad altri dirlo; è possibile vi siano fattori negativi che si sommano in una sorta di circolo vizioso.”

E volendo approfondire proprio la questione delle nuove figure istituzionali introdotte dal trattato di Lisbona, come giudica fin qui il loro operato?

“Non c´è dubbio che Van Rompuy ha avuto un successo maggiore rispetto a Catherine Ashton e lo ha avuto proprio perché fino ad oggi è stato “il Presidente non leader” di cui il Consiglio Europeo aveva bisogno per mettere d´accordo le sue “prime donne” e per evitare di aggiungerne una a quelle già esistenti, con il risultato di aumentare solo la cacofonia. In realtà Van Rompuy ha corrisposto alla missione assegnata al nuovo Presidente del Consiglio dal Trattato, che è quella di creare consenso, continuità e filo unificante nel Consiglio europeo, ed è riuscito in materia economico e finanziaria a creare maggiore integrazione nel Consiglio europeo di quella di cui ha dimostrato di essere capace la stessa Commissione.”

Come spiegato già in precedenza, una delle maggiori sfide che si è trovata, e che si trova, a dover affrontare l’Unione europea è quella della crisi economica internazionale, che dal 2009 ha colpito diversi paesi europei e che oggi sta mettendo in discussione la tenuta di una delle maggiori e più visibili conquiste del processo di integrazione: l’Euro.

Ritiene adeguate le misure prese dall´ultimo Consiglio europeo del 24 e 25 marzo in merito alla politica economica dell´Unione europea? In particolar modo cosa pensa del Patto Euro Plus e dell´introduzione del Meccanismo Europeo di Stabilità?

“Il Patto Euro Plus e il nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità sono per certi versi criticabili per la minore attenzione che riconoscono ai temi della crescita e degli squilibri macroeconomici interni rispetto al tema del rigore finanziario. (…). Detto questo però, da tempo servivano meccanismi più integrati e integrativi proprio sul piano della finanza pubblica: il Patto Euro Plus introduce per la prima volta nella nostra storia l´armonizzazione fiscale e lo stesso Meccanismo Europeo di Stabilità, anche se ha il difetto di non essere fondato sul principio di garanzie solidali (…), rappresenta comunque uno strumento che prima non c´era e che è addirittura ai limiti del divieto di bail-out imposto dal Trattato. Quindi passi in avanti sono stati fatti, e per chi come me è abituato a sapere che “l´Europa - come disse Schuman - non si farà mai tutta insieme, ma un passo alla volta”, questo è di sicuro un passo.”

Altra tematica evidenziata dalla crisi economica è la mancanza di una leadership forte tra i diversi Stati europei. La Francia e soprattutto la Germania sono sembrate particolarmente scettiche e reticenti nella messa a disposizione dell’Unione di nuovi strumenti capaci di contrastare la crisi e di completare l’unione monetaria con una maggiore unione politica.

Quali sono secondo lei gli equilibri di potere oggi in Europa? Francia e Germania hanno davvero lasciato il loro ruolo di “motore europeo” o più semplicemente ci troviamo ancora in una fase di “digestione” dell´ultimo allargamento e dell’ultimo trattato modificativo?

“Il tema della Germania è un tema dominante, perché la Germania è, come scrive Prodi, il paese più forte e potente dell´Unione Europea. Ed è quello che, fin dall´inizio della vita della Comunità Economica Europea, è stato il vero motore dell´integrazione(…).

Dobbiamo però costatare che ora le cose sono cambiate, che la generazione che ora governa la Germania è una generazione che non sente più la responsabilità della guerra, che ha una sua vocazione orientale che la rende meno interessata al sud e all´ovest dell´Europa e che ha favorito al suo interno, una sorta di complesso di superiorità, per cui molti elettori tedeschi sono stanchi di spendere i propri soldi per altri paesi dell´Unione che sono meno efficienti, meno produttivi, meno bravi di quanto ritengono essere loro. Questo è il quadro che rappresenta la Germania di oggi ed è a questo quadro che dobbiamo la mancanza di vivacità integrativa della vita europea (…).

Quello che vorrei però dire in conclusione, è che sarebbe sbagliato leggere in questa situazione una definitiva perdita della Germania alla causa europea, un definitivo cambiamento, un´ “eternizzazione” di questo presente. Non è necessariamente così. La mia impressione è che (…) dai ripetuti incontri avuti in questi mesi con vari interlocutori tedeschi, si capisce che la Germania interpretata da Angela Merkel non è la Germania intera e che c´è nel paese una consistente parte che si sente molto più europea, che considera la crescita degli altri paesi europei un interesse della stessa nazione. Con questi interlocutori quindi, fra 2 anni, potremmo fare ragionamenti ben diversi da quelli che si fanno oggi.”

Intervista a cura di Alessio Vaccaro
maggio 2011

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