Si tratta di una storia

Intervista a Erika Casali dell'associazione “Non si tratta” di Bologna

Mi chiamo Tessy, sono nigeriana. (…) Speravo di aver fatto la mia scelta e basta, senza ripensamenti. Invece tutto è andato diversamente, non come avrebbe dovuto. Ho fatto il giuramento. Il sangue non si può tradire. Sono stata segnata. Perché Caterina non lo capisce? Lei davvero sopporterebbe il peso di una morte senza rinfacciarselo per tutta la vita? (…)Spera che un giorno io ceda e vada con lei dai carabinieri a portare la mia denuncia. Spera davvero che un giorno parlerò. Crede davvero che dopo questo sarò salva.*

Tessy non esiste. O meglio, non è la vera Tessy che scrive, ma Erika Casali della neonata associazione “Non si tratta” di Bologna che racconta la storia di una Tessy, una ragazza che, come tante, si prostituisce per strada. E non lo fa per scelta, ma perché è costretta a farlo.

“Non si tratta” a Bologna - Di Tessy se ne vedono tante di sera – ma anche di giorno - sui viali, sulle strade della periferia di Bologna, alle fermate dell’autobus di Borgo Panigale. Non si sa quante siano esattamente, così come non si sa da dove vengano e come vivano. Alcune macchine si fermano e loro salgono. Secondo le associazioni che operano sul territorio sono 600 ma potrebbero essere anche di più.
Molte sono giovani, alcune minorenni, c’è anche chi ha figli, e tutte hanno famiglia. Ed è proprio la famiglia che le spinge ad accettare questa costrizione.
Perché prostituirsi non è il lavoro che queste ragazze, perlopiù straniere, speravano di fare in Italia, ma la loro unica possibilità di salvezza. Se non lo faranno, i loro familiari moriranno, oppure i loro figli non avranno un futuro, oppure verranno uccise. Non è una prospettiva che qualcuno può accettare.

Erika Casali ha a che fare con queste ragazze da un sacco di tempo: prima lavorava per l’associazione “Fiori di strada” e ora ha fondato a Bologna insieme ad altri volontari “Non si tratta”. “Più che altro ci occupiamo di accompagnamenti sanitari. Ancora ho i contatti con alcune di queste ragazze che mi chiamano magari per le nuove colleghe che hanno bisogno di andare dal medico o a fare una visita”.

E così Erika e gli altri volontari le accompagnano dai medici dell’associazione SOKOS, in ospedale al S.Orsola o al Maggiore, per controlli, interventi o interruzioni di gravidanza. Le ragazze si fidano abbastanza dei volontari della neonata associazione perché molti di loro hanno già girato in strada per anni con l’unità mobile di “Fiori di strada” per conoscerle, cercare di interagire con loro, offrire preservativi, fazzolettini, o più semplicemente per fare loro compagnia mentre aspettavano i clienti. I loro cellulari qualcuna di loro ancora ce li ha, e quando sono in difficoltà chiamano.

“Però ora abbiamo bisogno di una nuova macchina” spiega Erika “perché non ce l’abbiamo più ed è da tanto che non facciamo le uscite. Prima le facevamo tutte le sere. Ora, l’ultima risale a gennaio. E se le ragazze non ti vedono, dopo non ti chiamano più”.
Per questo lei e gli altri 12 volontari stanno organizzando serate di autofinanziamento in alcuni locali di Bologna: alcuni gruppi musicali si esibiscono e vengono letti racconti – tra cui quello di Erika, e si raccolgono così i fondi.

Erika lavora anche per “Piazza Grande onlus” e uno degli ultimi numeri è stato proprio dedicato al fenomeno della tratta. Tratta che, come specifica lei stessa in un articolo, non bisogna confondere con la prostituzione. Queste ragazze sono innanzitutto vittime di tratta, prima che prostitute.

Le storie - “All’inizio pensavo che tutte fossero state ingannate” spiega Erika “che fossero state condotte qua in Italia con l’inganno, promettendo loro impieghi diversi. E invece non per tutte è così.”
Molte, soprattutto le ragazze provenienti dall’Est europeo, sanno cosa verranno a fare qui in Italia. Sanno che verranno a prostituirsi. Ma la sostanza non cambia. Se lo fanno è sempre perché non hanno avuto altre alternative.
Saranno sempre sottomesse ai loro “protettori”, dai quali dipendono economicamente (e qualcuna anche “affettivamente”) e che le costringeranno a uscire tutte le sere, qualunque sia la loro condizione di salute, e dare loro praticamente tutti i guadagni.
“Chi lavora in strada, non è libera. Mai” specifica Erika.

Ancora peggiore è poi la condizione delle ragazze nigeriane, come la Tessy del racconto. Loro quasi sempre vengono ingannate. Arrivano in Italia con la lusinga di una vita migliore. Pensano che faranno le baby sitter o lavoreranno in fabbrica, e la loro famiglia si indebita per pagare il viaggio. Viaggio allucinante, durante il quale il più delle volte vengono anche stuprate. Una volta arrivate in Italia, vengono picchiate e costrette a prostituirsi per ripagare il debito. Debito che si aggira su cifre allucinanti, sugli 80.000 euro.
Il più delle volte si tratta di ragazze che parlano solo un po’ d’inglese, difficilemente l’italiano. Non sanno a chi rivolgersi, se non ai loro protettori e alle loro maman, donne più anziane, responsabili del loro lavoro. Spesso sono anche analfabete. Sanno solo che devono pagare, altrimenti le loro madri, i loro figli, o parenti verranno uccisi. Non possono sottrarsi a questo destino: l’hanno anche giurato nei riti vodoo prima della partenza.

Io l’ho scoperto solo dopo che per venire in Italia avrei dovuto fare il visto, e che poi per rimanere a lavorare avrei dovuto fare il permesso di soggiorno. E chi avrebbe dovuto dirmelo? (…)Di documenti non mi aveva parlato nessuno. Ad Agadez, a viaggio già iniziato, ho giurato con il sangue. In realtà non era solo sangue, anche qualche unghia e qualche pelo pubico, ho giurato di fare esattamente quello che mi avrebbero detto. Che avrei lavorato fino a restituire tutti i soldi che la zia ha speso per me. In realtà ad Agadez, Jim, quello che mi accompagnava, ha detto che i soldi li dovevo a lui. Betty invece dice che li devo a lei. Sta di fatto che devo pagare 50.000 euro per il mio viaggio e che ora non sto lavorando. La mia famiglia è in pericolo, sono scappata dalla casa di Betty, ho anche scritto una denuncia, domani andiamo a darla ai carabinieri. Come faccio a fidarmi di loro? Chi mi aiuta? Caterina questo non lo capisce: se io denuncio Betty che differenza vuoi che faccia?*

Leggi e contraddizioni - E’ difficile che le ragazze come Tessy si fidino di qualcuno. Se lo fanno, sanno che è a loro rischio e pericolo. Perché una legge che le tutela c’è: l’articolo 18 del testo Unico (D.Leg 286/98) che garantisce alle vittime di tratta il permesso di soggiorno o il rimpatrio assistito previa denuncia di sfruttamento. Ma chi assicura protezione alle loro famiglie, che sono lontane dall’Italia e vicine ai parenti dei loro aguzzini? Chi assicura loro che non verranno uccisi?

"Il decreto fa anche a pugni con la legge 92/2008 della riforma Maroni che introduce il reato di clandestinità per gli extracomunitari senza permesso di soggiorno. Permesso che queste ragazze ovviamente non hanno e quindi dal momento in cui fanno denuncia, non importa che siano vittime, diventano automaticamente colpevoli di clandestinità"spiega Erika. E se alla fine è vero che poi le Questure molto spesso sospendono i procedimenti di espulsione immediata e inseriscono le ragazze in un programma di protezione, è anche vero che centri di prima accoglienza per loro non esistono e perciò si tratta comunque di una situazione drammatica. Una scelta difficile.
Poche hanno il coraggio di sottrarsi a questo “mercato”.

“Alcune lo fanno” dice Erika. Mi racconta di due ragazze bulgare che si erano “salvate” ed erano tornate a casa grazie a un programma di protezione. Lei era andata a trovarle e loro le avevano chiesto come potevano fare per tornare a vivere in Italia. Sembra incredibile ma è così. Chi si trova in condizioni disperate, chi vede che davanti a sé non ha alcun futuro, è disposta a qualunque cosa. Anche a diventare schiava. Ma non c’è bisogno di andare in alcuni posti per toccare con mano la povertà di chi se ne va dai paesi d’origine.

Basta vedere i barconi che arrivano a Lampedusa. Pieni di gente in condizioni disperate. Chi può davvero credere che la gente sia disposta ad accettare un viaggio del genere se non per disperazione? Alla fine si tratta di storie.
Chi è disposto ad ascoltarle?

Voci - A Bologna sono 3 le realtà che si occupano di tratta. Oltre a “Non si tratta” che dal 5 febbraio ha firmato il proprio statuto, c’è anche l’associazione di volontariato cristiana “L’albero di Cirene”e il progetto “Oltre la strada”. Si occupano soprattutto di progetti di recupero, accoglienza e accompagnamento delle ragazze determinate a uscire dal giro della tratta.

“Non si tratta” invece vuole assicurare un contatto quotidiano. Non solo accompagnamento dai medici e dalle strutture sanitarie, ma anche di indirizzo per richieste di assistenza legale o di vario genere.
Per questo motivo, per l’associazione è importante fare rete e i volontari si stanno mettendo in contatto con tutte le realtà femminili e straniere di Bologna e provincia. Contatto che deve essere mantenuto anche con le ragazze sulle strade, alle quali offrire sostegno, conforto e soprattutto informazioni che gran parte di loro ignora.
Le uniche voci che queste ragazze sentono infatti sono quelle dei clienti e dei loro protettori. Voci poco inclini a dare informazioni pratiche su dove rivolgersi se si sta male o se si hanno problemi di salute.

Molte non si rivolgono a strutture mediche non solo perché non sanno come fare, ma perché credono che così saranno denunciate. “I nostri volontari sanno tutto sulle varie leggi italiane perché se qualcuna chiede, loro devono sapere rispondere. E sanno anche comunicare almeno in una lingua straniera”.
Il contatto in primis. Poi verrà il resto.

Cara Caterina, ci provi in tutti i modi: con le canzoni, con gli esercizi, oggi poi sei arrivata con questo libro di favole africane, per farmi sentire più a casa e magari farmi sentire più invogliata a imparare l’italiano. Ma non ci riesco, mi tormenta il fatto che sto perdendo tempo in questa casa: non lavoro, non guadagno niente e la mia famiglia a Benin ha bisogno dei miei soldi per vivere. (…)
Io non posso rischiare cara Caterina, ho fatto tutto questo viaggio per loro, ho fatto sesso con tutti quegli uomini per loro, ho preso tutte quelle botte per loro, ho così tanta paura, per loro.*

La storia di Tessy non finisce bene. Ma d’altronde si tratta solo di una storia.

Intervista di Francesca Mezzadri - marzo

 

Associazione “Non si tratta”
cell. 320 1186364
Bologna
nonsitratta@gmail.com

* "La scelta", racconto di Erika Casali, scritto per il laboratorio di scrittura creativa interculturale 2009 sul Preambolo dello Statuto della Regione Er, organizzato da Assemblea legislativa ER in collaborazione con Dipartimento di Italianistica (Unibo) e associazione Eks&Tra

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