A qualcuno piacerebbe vivere qui?

Intervista a Constantin di Aven Amenza

campo romConstantin è a Bologna dal 1996. 12 anni. E’ un Rom e viene da Lipovu, in Romania, come la maggior parte dei Rom di Bologna. Lavora come manovale e vive in una casa ora, con la sua famiglia e i suoi tre figli, ma fino a poco tempo fa viveva nelle baraccopoli lungo il Reno. E, no, non gli è mai piaciuto vivere lì, nelle baraccopoli, senza bagni, senza acqua, senza riscaldamento, nel degrado. A qualcuno forse piacerebbe?

Molti dicono che invece i Rom vogliono vivere nelle loro baracche. Che ce l’hanno nel DNA lo spirito nomade. Che non riescono a stare fissi in un posto, in una casa normale. Ma Constantin ricorda com’era vivere sul Lungo Reno e in via Casarini. “Io quando sono arrivato in Italia, la seconda volta nel 2000, non avevo nessun posto di alloggio, niente. Sono andato sul Lungo Reno e mi sono costruito una baracca lì perché per i rumeni Rom il riferimento era Borgo Panigale. Allora sono stato lì, da solo, Poi da quando la Romania è entrata a far parte dell’Unione europea sono arrivati un bel numero di Rom –i più sfortunati dei rumeni- ed eravamo veramente tanti, tanti. Una situazione difficile”.
Da Consigliere comunale di Lipovu in Romania, ad attivista per i diritti dei Rom (ma anche dei gagè -ovvero tutti quelli che non sono Rom) Constantin è una persona che non si tira indietro e non si lascia intimidire. Già da quando viveva nelle baracche lungo il Reno, si è sempre preoccupato del futuro degli altri, specie dei bambini. “Io ho sempre cercato di inserire i bambini, di farli andare a scuola. Come portavoce della comunità Rom ho un sacco di "nipoti". Anni fa un amico si è rivolto a me per aiutare due bambini. Padre e madre erano scappati in Spagna e non avevano neanche i soldi per mandare i figli in Romania. Li hanno lasciati qui in Italia. Li ho trovati che andavano a fare l’elemosina (…) Li ho portati dall’assistente sociale che conoscevo da un bel po’. Però alla fine erano i ragazzi che dovevano andare in questura, allora li ho accompagnati e ho lasciato loro il mio numero di telefono. E’ successo che li hanno rimandati via a casa, sulla strada! Alla fine i bambini mi hanno chiamato da una cabina telefonica che non sapevano cosa fare. Allora ho richiamato l’assistente sociale, e a quel punto i ragazzi sono potuti entrare in una comunità. Ora hanno imparato un mestiere, uno di loro è inserito come metalmeccanico, sta bene e sono contento”.

Un´associazione per difendere i diritti- L’associazione "Aven Amenza" (Venite con noi ) che intende fondare insieme ai suoi compagni Rom –una decina che come lui hanno trovato lavoro- parte proprio da qui, dai bambini. Una squadra di calcio, una scuola di musica tradizionale –un modo per raggruppare insieme quanti più giovani possibile –che siano Rom o gagè non importa- e insegnare alcune cose che in strada non si imparano. Ad esempio che andare a scuola è importante, che per evitare malattie e altri figli bisogna usare i contraccettivi. Constantin spiega che le famiglie Rom sono composte in media da 4 o 5 figli. Pochi hanno ricevuto lezioni di educazione sessuale, pochi di educazione civica.
E, senza fare polemica, se restano in strada è più semplice che si lascino tentare dai delinquenti –e ce ne sono parecchi, lo stesso Constantin lo ammette. C’è chi sfrutta il giro della prostituzione, chi spaccia, chi ruba, alternative che, quando vivi in strada, possono sembrare l’unica soluzione se non c’è chi ti dirotta verso qualcosa di diverso. Anche se spesso i Rom sono “poveracci”, poco pericolosi. “Quanti Rom hanno iniziato una guerra o fatto terrorismo? Io non ne ho mai sentito. Gallinai sì. Ma perché rubano le galline? Per sposarle? Non credo! Ma per mangiarle, perché hanno fame. Qua si parla di una necessità”.
Altro obiettivo dell’associazione è quello di fare da portavoce dei Rom. Perché è strano che a parlare a nome di un’intera comunità siano persone che hanno aiutato poco, che, anzi, parlano tanto, ma in sostanza fanno poco e conoscono poco o niente dei Rom tanto che li confondono spesso con i rumeni. “Perché associazioni e cooperative di sconosciuti sono andate da sole a parlare a nome dei Rom? Si sono mai seduti qua a questo tavolo a parlare con me o con uno di noi? No, e allora? Cosa ne sanno del male e del bene per noi?”.
E noi cosa sappiamo dei Rom? Ultimamente i media ce ne parlano spesso, ma non possiamo negare che sono sempre stati un popolo difficile da capire. Forse perché non hanno radici geografiche (come gli ebrei, e infatti come loro sono stati deportati dai nazisti durante l’epoca della 2°guerra mondiale), forse perché non si riesce neanche a contarli (pare che in Italia ce ne siano 140.000 ma il numero è indefinibile visto che molti non sono registrati), forse perché non hanno tradizioni scritte, fatto sta che vengono spesso etichettati sotto un’unica voce “ladri, sporchi e disonesti”. E le “voci uniche”, si sa, non esistono.
Quando i media parlano di loro in modo più approfondito, allora entra in gioco un’altra parola “odissea”. Perché la loro vita è una continua odissea, un continuo spostamento, una perenne migrazione e in qualsiasi città si siano fermati, i Rom hanno sempre vissuto un’odissea.

L´"Odissea" dei Rom a Bologna - Constantin ci racconta quella di Bologna che lui ha vissuto in prima persona. Dal 1996 al 2002, dopo un rientro in Romania, ha vissuto nelle baracche lungo il Reno insieme ad altre circa 70 persone. Ma nel 2002 viene ordinato lo sgombero per ragioni di ordine pubblico e molte persone vengono rispedite a casa, altre ottengono il permesso di rimanere ancora per un breve periodo (in strada), altre ancora vengono ospitate da un centro sociale. Le associazioni e i volontari sbucano dal nulla, desiderosi improvvisamente di dare una mano. Pochi mesi dopo, molti di questi sfollati e altri nomadi provenienti da altre baraccopoli occupano l’ex Ferrhotel di via Casarini, uno squallido edificio in disuso, ex proprietà delle Ferrovie dello Stato, dove vivono in condizioni disumane: senza luce, né acqua, né gas. Qui restano per due anni, fino al 2005 quando vengono ancora sgomberati e di nuovo rispediti in Romania, o per strada. I più “fortunati” vengono trasferiti finalmente in un luogo umano –Villa Salus nel quartiere Savena. Racconta Constantin che lì si dormiva perlomeno in quattro o in cinque (una famiglia) in una stanza e c’era pure il bagno, insomma quasi un lusso rispetto a prima, ma soprattutto le famiglie non avevano quell’ansia, quella paura di essere buttati fuori dalla polizia visto che questo luogo era autorizzato dal Comune. Ma anche a Villa Salus la situazione degenera. In una notte che Constantin ricorda bene. “E’ venuto un deputato della Lega Nord e pretendeva di controllare le camere. Di notte così senza un mandato. Ma quelli che ci vivevano, lavoravano e pagavano i contributi. C’erano donne incinte e bambini che si sarebbero spaventati: era mezzanotte. Gli ho detto di tornare la mattina dopo con l’ autorizzazione del Comune. Così è umano, non a mezzanotte!”.
Così l’odissea sembra non finire mai per i Rom. Anche quando trovano un posto dove stare, vagano sempre tra solidarietà fasulle e aiuti un po’ “di forma”. “A parte alcuni ragazzi italiani che sono meravigliosi” dice Constantin “che ci aiutano sempre e ci hanno aiutato anche per la cena di autofinanziamento” –organizzata per fare nascere la nuova associazione.
In periodo elettorale, nota Constantin, il problema Rom diventa immediatamente emergenza. Poi cala il disinteresse più completo, ovviamente nel frattempo pochi datori di lavoro italiani non si fanno scrupoli ad affidare ai poveri zingari lavori in nero poco sicuri e sottopagati (30 euro al giorno), fino a che non spunta qualche episodio di cronaca nera che ha a che fare con i Rom (o con i rumeni, con i quali vengono spesso confusi).
Quest’estate il dibattito riguardava il cosiddetto censimento voluto dal ministro dell´Interno Maroni e sconsigliato dal Parlamento europeo. Prendere le impronte digitali ai bambini Rom? Qualcuno si è forse dimenticato che i Rom provenienti dalla Romania dal 2004 (50.000) sono anche loro cittadini europei. Quelli italiani –la maggior parte di loro che hanno cittadinanza italiana (più di 70.000) - lo sono già da tempo.
E ora la nuova proposta di dividere le classi degli studenti stranieri. "Ma perché" si domanda Constantin "devono differenziare i miei figli? Io pago le stesse tasse".

Come noi- Perché spesso la gente quando parla di Rom perde di vista una cosa fondamentale: che anche loro sono come tutti noi. E, certamente, c’è tra loro (come tra noi) anche chi delinque, ma nessuno vuole vivere senza acqua o al freddo, nessuno desidera una vita così. E certamente, loro hanno abitudini e costumi differenti dai nostri, ma tutti proveniamo da luoghi diversi. E poi questa grande differenza non si percepisce se si parla insieme. Se solo si prova a discutere. Per Constantin la cosa più importante è la famiglia, basta sentirlo quando parla dei suoi figli, di sua moglie che non tradirebbe mai, della figlia che ora frequenta le superiori ed è fiera ed orgogliosa come lui “spero diventi avvocato: sarà la prima zingara che difende gli zingari davvero”, o quando racconta la storia del nonno di sua moglie e di come ha conosciuto la nonna. “Noi eravamo in guerra con i tedeschi. Il re rumeno in quei tempi era un ragazzino e il maresciallo Antonescu aveva fatto accordi con Hitler. Hitler voleva la Moldavia , occupata dai russi, in cambio del la Transilvania ungherese. (...) Ci hanno deportato tutti là nelle zone moldave per un anno fino a che l’accordo non è caduto e ci siamo liberati dai tedeschi. Qui il nonno di mia moglie ha conosciuto la nonna. E hanno fatto la strada a piedi da lì fino a Craiova. L’amore non ha limiti. Dopo 2 giorni sono arrivati a casa e si sono sposati lì”.
Sentire la storia della famiglia di Constantin è affascinante: sicuramente si tratta di una persona particolare, che si è battuta e distinta per la sua comunità. Ma non è neanche giusto parlare di “sua” comunità. Non credo davvero che Constantin si sarebbe impietosito di meno a vedere un bambino non rom abbandonato per strada.
Rom o gagè non importa: qua si parla di difendere i diritti umani.
E così viene da pensare a me quando vedo le baracche rom che ancora esistono. Quando leggo della violenza che viene spesso esercitata nei confronti dei Rom. Quando vedo la faccia degli italiani se si parla di persone come “i Rom”. E’ difficile vivere così. Per tutti.
E invece capire Constantin non è poi così difficile. Lui dice che “Il mondo è piccolo, la vita è corta, fare del bene, se lo vuoi davvero, è facile.”

(Francesca Mezzadri )
(intervista a cura di Francesca Mezzadri e Stefano Lodi )
ottobre 2008

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