Giornalisti contro la criminalità

(21/03/12)

alberto spampinatoIeri, 20 marzo, nelle aule di Scienze della Comunicazione a Bologna, è andata in scena l’“Inchiesta drammaturgica sul caso Spampinato”, la rappresentazione teatrale di uno dei misteri più fitti della storia italiana che ha segnato il destino di Giovanni Spampinato, giornalista ragusano ucciso in circostanze misteriose nel 1972. Anche suo fratello Alberto ci spiega la sua storia...

La pièce, messa in scena da Danilo Schininà e Giovanni Arezzo, due giovani attori ragusani, è stata un’occasione non solo per riportare alla memoria collettiva un fatto fino ad ora oscurato e nascosto, ma anche per capire che la morte di un giornalista come Spampinato è una tragedia collettiva che riguarda tutta la società. Lo dice Alberto Spampinato, fratello del giornalista ucciso e giornalista a sua volta, presidente dell’Osservatorio Ossigeno sui giornalisti minacciati.

La solitudine di Giovanni Spampinato- Alberto racconta la storia di suo fratello, della tragedia che ha colpito la sua famiglia quando lui aveva solo 20 anni. Giovanni Spampinato è stato ucciso il 27 ottobre del 1972 da Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa, principale indiziato dell’omicidio di Angelo Tumino, trafficante di antiquariato e oggetti d’arte. Giovanni con le sue inchieste su “L’ora” l’aveva smascherato. Era un bravo giornalista, Giovanni Spampinato, scrupoloso e attento, diceva la verità, anche se era pericolosa. Si era documentato anche sulle attività delle organizzazioni di estrema destra, scoprendo i loro rapporti con la criminalità organizzata, le loro “strategie della tensione”, i loro attacchi terroristici per orientare l’opinione pubblica.

E se è certo che l’autore dell’omicidio di Giovanni è stato in effetti Roberto Campria, l’ipotesi che abbia agito da solo e per un attacco di pazzia, è fragile. Solo lo era invece Giovanni Spampinato. E suo fratello Alberto, dopo 35 anni, è riuscito a capire che la sua era la cronaca di una morte annunciata.

Per forza. Gli altri giornalisti lo avevano lasciato solo. Nessuno aveva sostenuto la sua inchiesta, neanche il suo giornale l’aveva difeso. La magistratura l’aveva lasciato solo. D’altronde Roberta Campria, l’omicida, era figlio del presidente del Tribunale… Ma anche i politici l’avevano lasciato solo, le sue inchieste erano troppo scottanti. E infine, tutta la società civile l’aveva lasciato solo. Additandolo come “uno che non si faceva i fatti suoi”, la comunità si è schierata dall’altra parte, dalla parte del buio, della menzogna, della paura.

Giovanni Spampinato è morto soprattutto perché era solo a sostenere la sua battaglia. Come spiega suo fratello, si è un facile bersaglio se l’informazione, la politica, la magistratura e la comunità, i pilastri della democrazia, non ti sostengono.

Ossigeno- Per questo Alberto ha deciso di fondare Ossigeno, l’Osservatorio per i giornalisti minacciati. In questi 6 anni in Italia sono stati minacciati più di 1.000 giornalisti. Minacce gravi di morte come a Roberto Saviano, Giovanni Tizian, Livio Abbate, Rosaria Capacchione, ma anche intimidazioni come nel caso Aldrovandi.
Raccontare le loro storie e ricordare quelle degli altri giornalisti uccisi ha un senso perché permette di sostenerli. Non saranno soli se il pilastro dell’informazione è al loro fianco, se riconosce le loro battaglie. E non combatteranno da soli, se anche la società civile sosterrà il loro impegno. E’ un dovere di noi cittadini, un impegno civile, ma non solo.
E’ anche un nostro diritto quello di essere adeguatamente informati, quello di pretendere informazioni di qualità. Difendiamolo nel difendere tutti quelli che scrivono la verità anche a costo di correre dei pericoli. Questa è democrazia.

FM

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