Santiago del Cile: nuovi passi e punti d’incontro (1)

Da Melbourne a Santiago del Cile.
Santiago del Cile: nuovi passi e punti d’incontro (1)

Santiago del Cile

C’era un bellissimo calore. Non dovevo far caso del fuso orario di 14 ore tra Melbourne e Santiago, e il viaggio di più di un giorno. Dovevo uscire subito con una leggerezza di aver trovato il centro come l’avevo lasciato due anni prima. Questa volta avevo alcune copie del mio libro Di Alture ed altre Utopie a portata di mano, la prima poesia, “Raffigurazione Londres”, scritto appena due camere dal mio alloggio d’ora. Alfa e omega, si torna al famigliare per scoprire un cammino nuovo.

 

Nel febbraio del 2010 c’era stato il terremoto, ma non si vedeva nessuna traccia da queste parti (per scoprire gli effetti si deve viaggiare al sud). Per il momento c’era da ritrovare alcuni punti di riferimento, il Paseo Ahumada, la chiesa di San Francisco, la Plaza de Armas e l’Università di Cile. Questa volta l’università era il luogo di un attivismo studentesco che durava da mesi. La facciata dell’Avenida O’Higgins era coperta da striscioni come “No + educación de mercado” e manifesti satirici a favore dell’istruzione libera e gratis, e di una qualità superiore, per permettere una migliore formazione della persona e d’una società più istruita, e contro la violenza dello stato.

 

Alcune bancarelle erano pieni di libri usati, e sono riuscito a trovare vari libri dello scrittore uruguayano Eduardo Galleano (tra questi “Le vene aperte dell’America latina”). In più, c’era musica dal vivo, e alcuni studenti che parlavano al pubblico del sistema d’istruzione cileno e la difficoltà di avere accesso a esso.

 

Per il momento, come attivista, attaccavo bottone faccia a faccia con gente parlando del potere e del modo in cui è gestito, e pochi passi dopo ritornando al cammino del viaggiatore con il volto di turista in cerca di mercatini con i loro oggetti da curiosare, o bancarelle di libri usati o a prezzi ridotti, come quello dietro la chiesa del Santissimo Sacramento dove ho scoperto una piazzetta con una fila di piccole librerie. In pochi minuti avevo trovato un libro sulla storia mapuche in Cile, e un’antologia delle poesie di Ernesto Cardenal, un ex sacerdote comunista che negli anni 80 era un ministro nel governo sandinista in Nicaragua.

 

A calle Merced, vicino il centro, sono riuscito a trovare una casa discografica, Kind of Blue, il cui nome è un omaggio all’album di Miles Davis, un’opera perfetta di melodie suonate con grande naturalezza e fluidità. Ecco un momento d’oro, per il mese di settembre i dischi del folclore cileno erano scontati da 10 percento, artisti del calibro di Quilapayún, inti-illimani, Victor Jara, Violeta Parra, Nano Stern … I commessi erano pronti a rispondere alle domande sulle opere di questi artisti, così era arrivato il momento di perdermi in conversazioni sulla possibilità di incontrare i dischi degli inti-illimani dagli anni 70 su vinile.

 

A pochi passi una libreria con antologie di Gabriela Mistral, la vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 1945, e un tavolo con libri sulle opere di Patricio Guzmán, che ci ha dato capolavori come la “Battaglia del Cile”, un documentario in bianco e nero che trasporta lo spettatore al Cile degli anni 70, un mondo scomparso con tutti i suoi cenni al governo Allende e il golpe che ha seguito. Le immagini del centro sono così vividi che è più facili visualizzarli come sono nel film. Basta girare le vie attorno il Palazzo Moneda e subito mi torna in mente il lavoro di Guzmán.

 

Rimanendo negli anni 70 vale a chiudere con la mia visita al Museo di Arte Contemporaneo (MAC), per la mostra “Chile años 70 y 80: memoria y experimentalidad”. Secondo il libretto promozionale della mostra, la produzione dell’arte fa parte dei processi culturali, sociali e politici, e questi fanno parte dell’identità dei popoli. La produzione artistica di queste decadi, con la sua sperimentazione e innovazioni, era di una forza creativa, una forte risposta contro i cambiamenti nella società.

 

Durante la dittatura molti artisti hanno perso le loro opere, sono stati costretti ad andare in esilio o hanno sofferto persecuzioni, torture e censure, e molti sono finiti nelle liste dei desaparecidos. Così ci volevano nuove tecniche e forme d’arte camuffata. Alcuni artisti, Elías Adasme e Jorge Brantmayer, usavano il corpo umano come oggetto d’arte: il simbolo della repressione e violazione degli diritti umani. E secondo Paulina Humeres, il corpo, in una società caratterizzata dal machismo, era ridotto a un prodotto di consumo – di essere solo un corpo. La Humeres proiettava sul suo l’immagine di Eva del pittore veneziano Palma il Vecchio, e poi lo pitturava con vernice rosa per imprimere l’immagine sulle pareti, con il scritto “eroica” sopra di questo. Tutto si fotografava per proiettarlo simultaneamente.

 

Altri artisti da notare: Juan Pablo Langlois, contro il carnet, simbolo di controllo e di essere ridotto a un numero; il Colectivo de Acciones de Arte, con il loro “Una milla de cruces sobre il pavimento” segnati non solo a Santiago, ma davanti alla Casa Bianca di Washington e al muro di Berlino. E Justo Pastor Mellab che proclamava che il territorio dell’arte è come la riserva etica della società. Nel libretto del MAC, sotto la domanda, “cos’è l’arte sperimentale?” si trova la definizione dell’arte di Umberto Eco, il suo scritto un punto di riferimento.

 

La mostra tiene una vasta quantità di materiali, raccolte d’arte sperimentale e vari archivi: documenti declassificati sui diritti umani (“human rights/copy rights”); ritratti dei protagonisti della scena culturale in Cile negli anni 80; e un archivio di movimenti artistici nei paesi latinoamericani e in Spagna tra gli anni 60 e 80.

 

“Chile años 70 y 80: memoria y experimentalidad” dura fino il gennaio del 2012, e vale mettere da parte una giornata per esplorare i materiali messi a disposizione del pubblico.

 

Per maggiori informazioni:

Edward Caruso

 

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