Dimensione famigliare e reinserimento lavorativo per i detenuti: gli obiettivi “Per ricominciare”

logo-ricominciareTre parole per descrivere “Per Ricominciare”.

Ascolto, accoglienza, recupero. “Ascolto” perché la maggior esigenza che sentono i detenuti è il poter comunicare il loro vissuto, le loro preoccupazioni, le loro lamentele. Rappresenta certamente una valvola di sfogo per loro ma serve anche a noi volontari per entrare in sintonia con il soggetto. “Accoglienza” perché è con l’accoglienza gratuita alle famiglie e ai detenuti che assolviamo l’impegno per cui siamo nati, cioè di favorire e rinsaldare i rapporti famigliari. “Recupero” perché è mettendo in atto e favorendo tutte le occasioni possibili che si può arrivare a quel recupero  famigliare umano e civile a cui ogni persona ha diritto.

Quando nasce “Per ricominciare” e qual è la sua mission?

L’associazione nasce nel 1992 per volontà di P. Vincenzo Procaccianti, benedettino ex cappellano del carcere e di alcuni volontari che singolarmente frequentavano il  carcere dandosi come  norma statutaria l’impegno di adoperarsi per il recupero umano e civile dei detenuti e delle loro famiglie. In questo contesto nel 2002 apre il “Focolare”, casa che accoglie gratuitamente le famiglie in condizioni economiche disagiate che vengono per i colloqui con i famigliari detenuti. Nel 2004 invece apre il “Samaritano”, casa che accoglie i detenuti in permesso o licenza premio con i loro famigliari. Il nostro maggior impegno è favorire i rapporti famigliari  esistenti e a ritrovarli laddove si sono deteriorati.

La sensibilizzazione del mondo politico, sindacale e amministrativoai problemi del carcere è uno degli obiettivi dell’associazione. Quali le azioni da privilegiare in tal senso?

Favorire l’informazione e supportare la creazione di gruppi d’impegno che con  il supporto delle Istituzioni ricerchino occasioni di lavoro esterno, sensibilizzare il mondo imprenditoriale e sindacale sull’importante tema del reinserimento dei detenuti al lavoro. L’ozio forzato è il maligno che li abbruttisce e li logora. Riteniamo che attraverso un impegno di lavoro, studio o socializzazione il detenuto possa riacquistare  la dignità di cui ogni uomo ha diritto.

All’interno della newsletter ci parlate del progetto “Il Gioco”,un servizio di accoglienza rivolto alle famiglie e i bambini che in carcere incontrano i propri genitori. Quanto incide la dimensione familiare nel recupero dei detenuti?

Avendo come impegno primario proprio il recupero dei legami famigliari dopo l’accoglienza delle famiglie stesse, si è notata una certa pesantezza quando ai colloqui erano presenti anche i bambini. Il tempo della durata dell’incontro e l’ambiente ristretto stressava i bambini e creava problemi anche tra famigliari. La possibilità di affidarli al laboratorio nei momenti desiderati crea una certa serenità che avvantaggia tutti. Possiamo con tranquillità testimoniare, confortati anche da quanto constatato dagli operatori  dell’Istituto, che questo clima disteso incide tantissimo nel recupero del detenuto.

Quali sono gli obiettivi dell’associazione per il futuro?

Per il futuro l’associazione si pone due obbiettivi. Primo: reperire i mezzi per poter potenziare il laboratorio “Il Gioco” portando a tre i giorni di accoglienza. In questo momento una sezione del carcere non può usufruirne poiché  il giorno colloqui non corrisponde al giorno di accoglienza.  Il secondo è un esperimento rivolto proprio al recupero  dei detenuti e consiste nell’impiegare alcuni di loro in attività orticole.   A tal fine stiamo approntando un appezzamento di terreno adibito ad orto i cui prodotti (in collaborazione con Coldiretti) verranno commercializzati in città a km zero. Riteniamo che il lavoro agricolo sia da riscoprire e che sia un buon incentivo verso  una futura occupazione  dopo il periodo detentivo.

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