Editoriale n.5 - Pari opportunità e luoghi aperti

albero della vitaPari opportunità e luoghi aperti che si aprono al nuovo. Quattro associazioni del territorio raccontano la loro esperienza

In questo numero, Mondo Aperto, Associazione Naufragi, DPS - Dispositivi psicosociali e Centro Donna Giustizia parlano delle loro buone prassi in tema di pari opportunità e apertura degli spazi.

Laboratori e interventi in luoghi già aperti che si aprono ancora di più. Così scuole, strade, piazze e quartieri diventano teatro di nuove forme di scambio e relazione.

Il commento di Vincenza Pellegrino, sociologa dell'Università di Parma

Gli articoli che leggerete sono accomunati da progetti sperimentali che cercano di costruire concretamente nuovi spazi direlazione tra diversi” all’interno delle nostre comunità. Sono chiamati ora “spazi comuni” – nel caso dei cittadini di Pescarola – ora “luoghi collettivi” – nel caso della scuola partecipata a Piacenza – ora “luoghi a porte aperte” nel caso dell’associazione Naufragi di Bologna , ecc., ma il senso primario di queste espressioni - e delle sperimentazioni che esse custodiscono - mi pare simile.

Ciò che mi interessa qui è fare luce sulla funzione di “membrana sociale” che queste associazioni svolgono quando inventano nuove forme di socializzazione tra concittadini non prossimi e non simili tra loro. In questo senso, l’interesse di questi progetti è nella capacità di ricostruire quello spazio tra estranei che oggi si è sembra atrofizzato e che qui potremmo intendere più propriamente come “spazio comune”. Non uno “spazio privato”: per quanto inclusive, molte delle reti sociali che conosciamo possono essere intese come “reti private” poiché fondano sull’affetto le proprie relazioni di aiuto e di scambio, sulla elettività e sulla somiglianza (persone che condividono estrazione sociale o convinzioni ecc.), e che per questo purtroppo rimangono molto perimetrali (circoscritte agli adepti). Non uno “spazio pubblico” per come è oggi comunemente inteso: esso è ormai codificato come spazio istituzionale dove i cittadini si recano per chiedere erogazione specializzata (la tecnica è divenuta come garanzia di qualità delle relazioni).

Quello a cui pensano questi progetti invece è uno “spazio comune”[1],appunto: lo spazio sociale di scambio tra cittadini che non si conoscono e che non si somigliano affatto ma che sannonuovamente abitare la stessa città, appartenerle, capirne la storia e decifrarne i valori più impliciti, trasformarne i luoghi, dirigerne gli eventi.

Nelle newsletter si parla appunto di dispositivi utili a ricreare questi “spazi di relazione tra estranei”: nuove “stanze di tutti” e nuove “esplorazioni del territorio” fatte in compagnia. Le nuove “stanze di tutti” sono ad esempio salette condominiali all’interno delle case dove progettare forme di scambio o dove semplicemente raccontarsi quando si arriva e presentarsi o gli spazi laboratoriali nelle scuole che si aprono ai commercianti circostanti o agli anziani di quartiere per coltivare il filo che lega i bambini al quartiere e più in generale le generazioni diverse che vivono, ecc. Le nuove “metodologie per esplorare insieme” il territorio sono i laboratori di bicicletta per ragazze nigeriane a Ferrara e le passeggiate di quartiere insieme a loro, e così via.

Infine, la gestione e l’allestimento di questi “spazi comuni” è quindi principalmente capacità di creare relazioni di prossimità tra diversi, di cucire il filo tra gruppi e condizioni perimetrate e quotidianamente distanti in nome della coabitazione, della “comune” città.


[1] Sebbene utilizzo questa espressione in modo un poco particolare, mi riallaccio ai lavori della rete nazionale Spazio Comune (www.spaziocomune.eu) e consiglio la lettura del supplemento alla rivista Animazione Sociale: “Costruire partecipazione nel tempo della vulnerabilità sociale”, n. 259\12.

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