Shakespeare si scrive con l’H

Legalità

Soggetto coordinatore: Associazione Lady Godiva Teatro di Ravenna

 

Rete: Liceo Classico D. Alighieri, Liceo artistico Severini, Istituto arti e mestieri Pescarini di Ravenna.

Il progetto si incentra sulla costruzione di uno spettacolo teatrale sulle mafie. La realizzazione dello spettacolo coinvolge gli alunni partecipanti sia come attori che come autori, in quanto l’elaborazione del copione viene svolta attraverso il loro lavoro.

OBIETTIVI:
- far conoscere, sia agli attori direttamente coinvolti, sia agli spettatori loro coetanei, il panorama delle mafie, i risvolti  della criminalità mafiosa, l’infiltrazione nel sistema sociale.

METODOLOGIE:
Il metodo di lavoro  prevede l’addestramento attoriale e il successivo coinvolgimento nella costruzione diretta dello spettacolo, attraverso le dinamiche e le regole della pratica teatrale.


 

SVILUPPI PROGETTUALI:

A partire da novembre 2018 incontri settimanali hanno impegnato l'Associazione Lady Godiva Teatro nei tre istituti scolastici con il format di laboratori teatrali.

18 ragazzi e ragazze, provenienti da scuole superiori diverse tra loto (Liceo Classico, Liceo artistico, Istituto professionale Pescarini), hanno lavorato sodo nella costruzione di un percorso, prima di tutto umano, e poi artistico, per quasi 6 mesi. Umanità diverse, storie e percorsi apparentemente inconciliabili, lentamente si sono fusi in un crogiuolo che ha dato forma alla scena, ma che, ancor prima, ha rappresentato il senso di una esperienza collettiva.

Di seguito la testimonianza di Eugenio Sideri, regista e operatore dell'Associazione, sull'esperienza di questa edizione.

Ri-partiamo da Shakespeare, anche quest’anno.

Ri-partiamo perché il gruppo è nuovo. 19 ragazzi e ragazze da tre istituti diversi. 1 sola era presente all’esperienza dello scorso anno. Età media: 15 anni.

Quasi nessuno/a ha mai fatto teatro. Quasi nessuno/a sa di cosa stiamo parlando.

Mi spiego.

Alla domanda: sapete cos’è la mafia, le risposte sono poche, confuse e più che altro fondate su alcuni luoghi comuni: la mafia si occupa dello spaccio di droga, della prostituzione, la mafia uccide le persone per bene, etc etc

Dò allora un compito: portatemi un articolo di giornale in cui si parli di mafia.

La settimana successiva il gruppo si presenta: mi aspettavo fogli, ritagli, giornali e riviste. E invece nulla. Sto quasi per arrabbiarmi, ma prima di esplodere chiedo: non avevo forse dato un compito? E la risposta, generale, è “sì certo, eccolo”. E mi mostrano i cellulari. Ognuno aveva cercato e trovato qualcosa su internet… e nessuno aveva pensato di stamparla… era sufficiente portare l’articolo on line… questo era sufficiente, secondo loro! L’idea che possa, in un giorno remoto, esistere un copione cartaceo, sembra lontana anni luce!

Ad ogni modo non mi scoraggio e faccio leggere i risultati della ricerca: la maggioranza avevo portato frasi, memoriali o commenti su Falcone e Borsellino. Qualcuno parlava di Totò Riina. In due avevano quasi imparato a memoria la definizione di mafia estrapolandola da Wikipedia.

Ok, capisco che occorrerà rimboccarsi le maniche. E non demordo.

Ri-partiamo da Shakespeare. Macbeth.

Racconto la trama. Restano affascinati. Il sangue e le streghe portano tutto su un ambiente horror, e la fascinazione, appunto, è immediata. Allora ne approfitto e cavalco l’onda.

Perché Macbeth vuole diventare re? Una volta che è re, a cosa gli serve esserlo? In fondo, gli dico, da quando diventa re i suoi problemi (pericoli, nemici, insidie) aumentano. E allora perché questo inseguimento sanguinario e affannoso della corona?

La risposta arriva: potere. Per il potere.

Ricavalco l’onda.

C’era una volta un capo-mafia che aveva trascorso più di dieci anni chiuso in una micro-stanza ricavata dal forno di una pizzeria. Una micro-stanza, in cui non poteva nemmeno stare in piedi. Quando lo hanno trovato, lì nascosto in clandestinità, dopo oltre dieci anni, nel nascondiglio aveva un game-boy e alcune riviste pornografiche. Da lì, per oltre dieci anni, aveva governato i traffici internazionali della droga, dalla Colombia all’Italia e poi all’interno dell’Italia. Da lì, da qual bugigattolo, aveva comandato la morte di alcuni nemici, il pagamento del pizzo di altri, aveva fatto inviare le mazzette a certi politici. Da lì, da quel bugigattolo, gestiva il suo potere. Non è che se ne andasse in vacanza alle Maldive, che girasse su una Ferrari, che fosse circondato da splendide ragazze? No, niente di tutto questo. Se ne stava rattrappito con un Nintendo. Per dieci anni.

E allora cosa gli serviva essere un boss? A cosa gli serviva avere il potere? Come a Macbeth: a cosa gli serve essere re?

Gli serve a far sapere a tutti che lui è il re.  Che lui è il boss. Che lui ha il potere della vita e della morte, e non solo la vita e la morte intesa come esistenza fisica delle persone, ma intesa pure come esistenza lavorativa, professionale, commerciale, di ogni tipo di attività. Legale o illegale.

Le risposte erano chiare. Il messaggio era arrivato. Potevamo partire.

La seconda ri-partenza era una domanda: cosa fareste, voi, se vi capitasse la stessa cosa che è successa a Macbeth? Cioè, cosa fareste se incontraste qualcuno che, mentre tornate a casa da scuola, vi dicesse che domani sarete assessori della vostra città, dopodomani sindaci e dopodopodomani, alti funzionari con importanti ruoli decisionali nel vostro Paese?

I ragazzi restano ammutoliti… sono giovani, molto giovani, e ancora l’esperienza di vita e la vita stessa ancora non li ha troppo messi in gioco, ma dai loro sguardi si capisce che hanno compreso.

Ri-partiamo, allora, per la terza volta: dov’è la mafia? C’è anche qua, in Emilia Romagna? E a Ravenna, nella nostra città? Questa volta chiedo stralci di giornali, cartacei.

Fa parte del lavoro teatrale: avere tra le mani un copione, un appunto, qualcosa di tangibile, ti rende più consapevole. È come dire: mi piacciono i cani ed averne uno. Come fai a sapere se tira o no quando lo porti al guinzaglio? E se incontri un altro cane? E quanto tira?

Il copione, e tutto quello che potrebbe diventare tale, si deve poter toccare, riscrivere, correggere, cancellare. E occorre averne cura, come di noi stessi, come del nostro corpo, dei nostri sguardi, dei nostri gesti. La scena, il teatro, si impossessano di tutto questo e ce lo amplificano, lo esaltano e, se non lo dominiamo, ce lo ribaltano contro annientandoci. Bastano pochi esercizi e tutto questo viene immediatamente appreso.

Ora occorre farci l’abitudine.

Arrivano gli articoli, le informazioni. È fatica renderli “teatro”.

La domanda è: come facciamo a trasformare in teatro questa notizia?

E qui comincia il lavoro di creazione. Prendo alcune frasi, ne aggiungo altre, mi confronto con gli assistenti, poi coi ragazzi, e poi magari prendo un altro articolo sullo stesso argomento, e proviamo a trasformare le frasi in un dialogo. In battute. E si comincia ad assegnare: tu dici queste, tu queste altre, voi in coro queste. Entrate, uscite, posizioni, una musica di sottofondo. La creazione li affascina. È chiaro, per me e per loro, che abbiamo tra le mani della materia informe che man mano prende forma. Man mano si fa scena. Si fa teatro

E Shakespeare? Che fine ha fatto?

Diventa cornice dell’opera, pre-testo cu cui costruire l’inizio. E proseguire altrove.

Li guardo e spesso mi arrabbio: sono pigri, svogliati, chiacchieroni… eppure, eppure il teatro mi ha insegnato ad attendere, come un paziente pescatore. Attendere l’inaspettato. Quella scintilla che scocca, e quando scocca tutto si infiamma e prende vita.

Così, come quando arrivo alle prove leggermente in ritardo e li trovo in cerchio, nei camerini, a “fare memoria”, ripetere cioè le parti a loro assegnate. È la parte più noiosa e faticosa, per loro, giovani attori e attrici, la memorizzazione. Eppure sono lì, senza di me, senza nessun adulto che li guidi, e stanno facendo memoria.

Io, che mi aspettavo di trovarli al cellulare, a chiacchierare… perché spesso li avevo trovati così… ripiegati su quei piccoli schermi a chattare, a guardare mondi lontani o vicini e poi, quando invece sono alle prese con i loro corpi, le loro voci, eccoli farsi piccoli e impotenti…

E invece ora stanno facendo memoria e appena arrivo mi chiedono di provare le scene…

E poi, quasi a caso, provare a fare quella scena al buio, illuminati solo da delle torce elettriche… gli uni che illuminano gli altri… ebbene, al termine della scena, scatta un applauso…un fragoroso applauso, spontaneo, dalle loro stesse mani. Accendo la luce e li vedo contenti. Entusiasti. Uno dei maschietti scende dal palco e mi abbraccia. Sei un grande, mi dice. È stata un’idea bellissima questa delle torce.

Li guardo, e ribatto: siete voi i grandi, siete voi a procurarmi buone idee…

Riddamo, con gusto.

Ce lo meritiamo, quell’applauso che nuovamente sgorga spontaneo.

 Mercoledì 27 marzo lo spettacolo è andato in scena presso il teatro Rasi di Ravenna alle ore 21.00 con una grande partecipazione di pubblico.

 

Lo spettacolo ha replicato il 29 mattino (sempre al Rasi) per le scuole superiori (era pieno, 400 persone!) ed infine a Cervia, per le seconde e terze medie. È disponibile il comunicato stampa per la replica a Cervia. (doc, 16.0 KB)

Di seguito alcune condivisioni dei protagonisti, che rappresentano l'entusiasmo per l'esperiena vissuta:

Cari Euge e Carlo,

Scrivo dopo lo spettacolo, invece di ripetere inglese. Sono certa che domani mi odierò per questo. Ho le orecchie che fischiano, sento ancora il rumore, le grida e le risate, pur essendo in silenzio nella mia stanza, ho le labbra che sanguinano dopo averle morse mille volte prima di iniziare, ho il cuore allegro, tranquillo. Avevate ragione, fino ad ora mi hanno tenuto in piedi l'adrenalina e l'ansia. Penso di non poter mai scordare lo stomaco che si contrae, le mani che sudano, la mente divisa tra la paura di sbagliare, di non ricordare, e la voglia di partire, di gettarsi sul palco. E poi l'ansia che è passata in un momento, dopo aver ripetuto cento volte "La pioggia nel pineto", e ha lasciato spazio a qualcos'altro. A un certo punto mi sono guardata, ho guardato i miei compagni di vita, quell'ammasso di ragazzini e ragazzine che per una sera erano uomini e donne, mafiosi e madri preoccupate, li ho osservati ripetere con le dita nelle orecchie, abbracciarsi, scalciare per l'emozione, ed è finito tutto. Ho cominciato a sorridere perché eravamo tutti lì, insieme, e quello era il motivo per cui ogni giovedì e martedì, dopo scuola, ci trovavamo in un teatrino a mangiare panini, a gridare a Bonga di non scroccare e a imparare le battute tra una risata e l'altra. 

Domani è giovedì e non ci sono le prove. È strano dirlo: mi fa pensare al fatto che il teatro era la mia parte preferita della giornata... e dire che è stato un sollievo concludere ogni scena, lì sul palco. Adesso vorrei solo tornare indietro, anche se so di averlo goduto al massimo. 

Scrivo perché ho provato un mondo di emozioni, ed è giusto così, il teatro è emozione, ma avevo bisogno di qualcuno che le avesse provate prima di me. O forse solo perché Jenny e Pri avevano scritto una lettera e volevo farlo anch'io. 

Con infinita gratitudine,

                                                     R.

 

Questo percorso mi ha reso una  persona nuova, non dico migliore, ma certamente ognuno dei vostri volti ora sorridenti, ora tristi, rimarrà scolpito nel mio cuore.

Grazie mille a Euge e Carlo per avere realizzato il sogno di una bambina.

E soprattutto grazie di aver creduto in noi e di averci fatto diventare, seppure per 3 sere, le stelle più luminose del firmamento.

Mi mancherete e rimarrete delle piccole lucciole nella mia notte scura.

B.

 

Grazie ragazzi....di tutto, grazie delle risate, dei sorrisi grazie dei bei momenti, dei momenti tosti nello spettacolo, della chimica che abbiamo su questo palco che ci accomuna tutti, che accomuna questa passione che abbiamo in comune grazie mi avete insegnato tanto ora sono un'altra persona ho più grinta e più autostima ed è grazie a voi che mi avete sostenuto e incoraggiato quando avevo dubbi, tranquillizzato quando ho sbagliato e aiutato a memorizzare le parti, vedere il vostro impegno mi ha dato ancora più voglia di impegnarmi e alla fine guardate, guardiamo che squadra che siamo, uniti e tutti amici. RAGA vi amo c'è tanto che adoro di voi ma dopo diventa un libro e troppo amore mi sale il diabete perciò grazie grazie per tutto❤🔝💘

J.

 

Ragazzi, anche io vi voglio ringraziare per questa esperienza vissuta insieme. Ve lo confesso, all’inizio per me è stata dura. Data la differenza di età, è normale che fossi un po’ fuori dal gruppo.. ma piano piano mi avete accolta, e siete diventati dei compagni di viaggio fantastici, sinceri e leali. Voi, insieme a Euge e Carlo, mi avete fatta crescere, tanto, e non potrei essere più felice e soddisfatta.

Vi voglio bene.

A.

 

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