Coronavirus: usare i fondi strutturali per superare l’emergenza il prima possibile.

Come può fare l’Unione europea a trovare le risorse necessarie per sostenere i paesi membri nella lotta contro il coronavirus e ad aiutare l’intera Unione europea a riprendersi economicamente dopo questa batosta?

Per dare una risposta a questa domanda bisogna fissare alcuni punti:

  1. Il bilancio dell'Unione è fissato per sette anni. Il 2020 è l'ultimo anno del settennato in corso. Il bilancio per i sette anni 2021-2027 non è ancora definito. La Commissione europea aveva presentato nel 2018 una proposta che Parlamento e Consiglio stavano discutendo. Il dibattito in corso fra le tre istituzioni principali dell’UE prevedevano un Bilancio dell’1,114% del Reddito Nazionale Lordo dell’UE per la Commissione, dell’1,3% per il Parlamento e del 1,07 per il Consiglio, che rappresenta gli Stati membri. 
  2. Quando arriva l’emergenza Coronavirus la Commissione si trova a dover cercare risorse per aiutare prima gli Stati in difficoltà, per cercare di contribuire a trovare una cura e, infine, per rilanciare l’economia europea. A fine febbraio/inizio marzo le risorse finanziarie per sostenere gli Stati membri nella loro lotta contro il COVID-19, erano davvero poche, trovandosi il bilancio europeo alla fine del suo settennato di programmazione. Le uniche risorse disponibili si sono rivelate quelle della politica di coesione e dei suoi fondi strutturali, la cui attuazione è sempre e strutturalmente in ritardo di qualche anno rispetto al resto delle altre politiche e strumenti finanziati dal bilancio europeo. 
  3. Un ultimo punto che vale la pena sottolineare è che le risorse della politica di coesione , che hanno l’obiettivo primario di riequilibrare le disparità di sviluppo nell’Unione europea, sono distribuite in maniera inversamente proporzionale al livello di sviluppo regionale: molti soldi a chi è sotto un certo livello e molti meno alle aree più competitive economicamente. Inoltre, il ritardo sull’attuazione della politica di coesione non è omogeneo a livello europeo e nemmeno all’interno degli stessi stati. In Italia per esempio, l’Emilia-Romagna ha raggiunto un livello altissimo di spesa e impegno dei fondi di coesione, altre regioni invece sono in grande ritardo. A tutto ciò si aggiunge il fatto che le aree più colpite dal covid-19 sono per lo più le zone più industrializzate dell’Unione, quelle che hanno già impegnato la maggioranza delle loro risorse e che, complessivamente, ne hanno meno a disposizione fin dall’inizio.

La Commissione quindi si è data da fare per poter rendere disponibili il prima possibile i fondi di coesione non ancora utilizzati, per poter consentire agli stati di far fronte all’emergenza.

È così che è nata la Coronavirus Response Investment Initiative

A metà marzo, la Commissione ha presentato i primi elementi di questa iniziativa: un aumento della liquidità immediatamente disponibile agli Stati e una flessibilità sulla tipologia di investimenti da finanziare:

8 miliardi di euro relativi agli anticipi concessi agli Stati nel 2019

A chiusura dell’anno contabile gli stati restituiscono questi anticipi. La Commissione ha deciso di lasciare queste risorse nelle casse dei bilanci nazionali. Per l'Italia si tratta di 850 milioni di euro a cui si aggiungono i nuovi anticipi per il 2020 versati tra fine marzo ed inizio aprile, per un totale di 1.8 milardi di euro di liquidità. In aggiunta, è stato permesso agli Stati di finanziare misure che non sono normalmente sostenute dalla politica di coesione europea: sostegno al reddito, capitale circolante nelle imprese, e tutto ciò che è necessario per sostenere e rafforzare il sistema sanitario.

Consiglio e Parlamento hanno rapidamente approvato queste misure per sottolinearne l'urgenza, misure che sono entrate in vigore il primo aprile. Raccogliendo le sollecitazioni degli stati di una maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi disponibili, ad inizio aprile la Commissione ha presentato un secondo gruppo di misure mirate che consentono di potere spostare risorse tra programmi, tra fondi, tra regioni, e tra priorità. Inoltre, la Commissione propone anche alcune misure per snellire il funzionamento della politica e per permettere ai paesi di rinunciare all'obbligo di cofinanziare le risorse europee.

Queste misure assegnano agli stati una discrezionalità molto più alta del passato circa l’utilizzo delle risorse, consentendo loro di intervenire con azioni mirate nelle aree geografiche più colpite e nei settori più bisognosi.

Per esempio, risorse prima destinate all’efficientamento energetico possono essere spostate sulla sanità; le risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale destinate a investimenti sulla rete viaria possono essere spostate sul Fondo sociale europeo per sostenere la cassa integrazione; le risorse previste per investimenti in una regione meno colpita dal virus possono essere messe a disposizione del sistema sanitario di un'altra regione più esposta.

Sono però gli stati a decidere e, come e quando utilizzare questa flessibilità, senza alcun vincolo da parte delle istituzioni europee.

La situazione in Italia

I fondi strutturali in Italia rappresentano poco piu di 50 miliardi di euro sui sette anni. Prevedendo questi fondi un co-finanziamento da parte delgi stati e delle Regioni, le risorse europee arrivano a quasi 32 miliardi. L'Italia ha selezionato operazioni per un valore di quasi 41 miliardi, di cui 29 sono impegnati, e quasi 16 rendicontati alla Commissione europea. In teoria, dunque, le risorse disponibili variano tra i 21 ed i 9 miliardi a seconda che si considerino le operazioni selezionate o quelle impegnate come non più disponibili per finanziare misure relative alla crisi. In realtà, anche queste cifre sono approssimative, perché spesso bandi di gara che sono già stati lanciati non sono inclusi in questi numeri.

Avere dati certi è il primo passo. Lo Stato italiano quindi dovrà per prima cosa fare una ricognizione per stabilire quali sono effettivamente le risorse potenzialmente disponibili per far fronte alla crisi. Il Governo ha recentemente proposto a tutte le autorità responsabili dei programmi cofinanziati dalla politica di coesione europea di dedicare il 20% delle risorse alle misure anti-crisi, ovverosia 10 miliardi di euro. Dieci miliardi che potrebbero essere meno, se l'Italia decide di non cofinanziare questi interventi: in questo caso, si tratterebbe di poco più di 6,3 miliardi di euro.

Il secondo lavoro è decidere quali sono le misure da finanziare, e in quale modo gestire le relazioni fra le diverse regioni, se lasciare a ciascuna autorità di gestione dei programmi regionali o nazionali di decidere le misure prioritarie o, di converso puntare su interventi di carattere nazionale.

La situazione in Emilia-Romagna

Come sappiamo l’Emilia-Romagna è fra le regioni italiane più colpite dal Covid-19. E’ anche al primo posto tra le regioni italiane per utilizzo dei Fondi europei. Ciò significa che per questa regione i fondi a disposizione per fronteggiare l’emergenza sono davvero pochi. Già prima dell’epidemia di coronavirus la regione Emilia-Romagna era preoccupata da possibili ritardi nell’approvazione del Bilancio a lungo termine dell’UE 2021-2027, cosa che avrebbe posticipato l’approvazione della programmazione finanziaria anche per i programmi della politica di coesione.

Ora, con la pandemia in corso e l’economia in grave sofferenza, avere liquidità da utilizzare in tempi brevi e certi è indispensabile. Per questo il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e quello della Nuova Aquitania (Francia), Alain Rousset, Regioni unite da uno storico rapporto di partnership, hanno scritto lo scorso 7 aprile alla commissaria europea per la Politica di coesione e le riforme, Elisa Ferreira, per ribadire che occorre mettere subito in campo strumenti nuovi per sostenere le imprese e il tessuto socioeconomico messi in ginocchio dall’emergenza sanitaria che sta colpendo tutta Europa. La proposta Bonaccini-Rousset chiede di “semplificare radicalmente le regole di controllo e audit per le azioni in risposta all'emergenza Covid-19” per ciò che concerne i fondi di coesione e, di poter ricorrere a un “meccanismo in grado di prolungare l’attuale programmazione di un anno, che disponga di corrispondenti risorse supplementari per combattere gli effetti della crisi”. Una ipotesi, che “presuppone che gli Stati membri raggiungano un accordo rapido e ambizioso sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027”, condizione indispensabile per fornire una speranza per tutta l’UE.

La discussione è in corso. La Commissione è in contatto quotidiano con Governo e regioni per accompagnare questo processo, accelerarne la conclusione in modo da potere ripogrammare le risorse per finanziare interventi che sono oggi più che mai urgenti.