Favorire l’investimento al dettaglio

Gli attuali ostacoli per gli investitori non professionisti a cui la revisione della direttiva MiFID II potrebbe porre rimedio

a cura di Andrea Volpe

 

Nell’ambito dell’obiettivo dedicato ad “un’economia al servizio delle persone”, la Commissione Europea sta valutando una possibile modifica della legislazione vigente (direttiva MiFID II) sui prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi pre-assemblati. Gli investitori al dettaglio (retail) sono i comuni risparmiatori non professionisti che investono attraverso la consulenza di intermediari. L’obiettivo prioritario è allargare la partecipazione dei risparmiatori al mercato dei capitali dell’Unione Europea affinché questi ultimi possano trarne pieno vantaggio in maniera sicura e informata. In particolare, la Commissione ha individuato le seguenti problematiche che possono ostacolare questo obiettivo.
La prima riguarda il supporto nelle decisioni di investimento. Secondo un report di Bankitalia, infatti, nel nostro paese la scarsa alfabetizzazione finanziaria è un problema grave e a questo proposito la misurazione OCSE rivela una performance italiana al disotto della media dei paesi partecipanti allo studio. Questo aspetto si lega alla difficoltà di capire e confrontare i prodotti finanziari per via dell’elevata complessità delle informazioni e delle incongruenze normative tra quadri giuridici diversi tra stati membri.
Rilevante è anche la controversa natura della struttura di pagamento dei consulenti finanziari. Se è vero che non bisogna chiedere all’oste se il vino sia buono, lo stesso principio potrebbe applicarsi ai prodotti finanziari. Allo stato attuale delle cose, le consulenze finanziarie all’interno dell’UE possono essere remunerate in due modi diversi: commission-based e fee-based.
Nel primo caso, attualmente più diffuso, i consulenti finanziari ricevono degli incentivi (o retrocessioni) da parte dei soggetti emettitori di prodotti finanziari per ricompensarli del lavoro di distribuzione. I consulenti sono comunque tenuti a informare il cliente dell’esistenza di questo sistema, riportare il relativo importo dell’incentivo e rendicontare annualmente l’importo totale di queste retrocessioni. Il modello fee-based si basa invece sul pagamento di una commissione al consulente da parte del cliente che desidera investire. Il costo della consulenza è quindi sostenuto in aggiunta a quello del prodotto finanziario scelto.
Entrambi questi modelli presentano alcuni punti di forza e altri di debolezza. È evidente che il sistema fee-based appaia più trasparente della sua controparte, ma, secondo l’Associazione Bancaria Italiana ABI che cita un report di KPMG, la scelta di virare verso un sistema totalmente fee-based rischia di generare problemi per i piccoli investitori al dettaglio. In effetti, sebbene i due modelli non presentino grosse differenze di costi totali, nei paesi in cui il modello commission-based è stato bandito (UK e Paesi Bassi) esiste una difficoltà maggiore per i comuni risparmiatori di accesso ai servizi di consulenza. Questa disparità viene chiamata advice gap.
Altro elemento riguarda le restrizioni su alcuni prodotti finanziari che sono riservati ai professionisti del settore e, pertanto, non sono accessibili a quegli investitori che, pur essendo classificati “retail”, dispongono di conoscenze ed esperienze sufficienti per navigare a questo livello di complessità.
Il sistema attuale concentra le valutazioni di idoneità e di adeguatezza sui singoli prodotti senza considerare il resto del portafogli di investimento. Questo modus operandi rischia di essere eccessivamente miope e non aiuta gli investitori al dettaglio in quanto, senza una visione di insieme, risulta più difficile prevenire le vendite improprie e gli investimenti malconsigliati. Allargare la prospettiva è spesso il modo migliore per comprendere anche la specificità delle cose.
Infine, la grande rilevanza degli strumenti digitali richiede un quadro normativo aggiornato che protegga gli investitori retail e il loro diritto ad essere informati sui rischi derivanti da questo tipo di operazioni, tenuto conto anche dell’influenza dei social media.