Unione Europea e Macedonia: anche il sole è una stella

Intervista a Radmila Šekerinska, leader dell’opposizione parlamentare ed ex leader dell’Unione Socialdemocratica di Macedonia

sekeSono passati ormai 5 anni da quando la Macedonia ottenne lo status di paese candidato ad un futuro ingresso in Unione Europea. Allora si potevano trovare spille e gadget che recitavano lo slogan: the sun, too, is a star (anche il sole è una stella). Il motto faceva riferimento ai simboli delle due bandiere (quella macedone e quella europea) ed era accompagnato da un logo che poneva il sole macedone tra le stelle della bandiera europea.

Da allora i progressi nel processo di ingresso hanno subito diversi rallentamenti legati a differenti motivazioni che riguardano sia la politica interna che la politica estera della Repubblica macedone.

Pace&Diritti umani ha intervistato Radmila Šekerinska, leader dell’opposizione parlamentare ed ex leader dell’Unione Socialdemocratica di Macedonia (SDSM) per avere un’autorevole opinione sulla situazione del rispetto dei diritti umani in Macedonia e sullo stato del delicato processo di ingresso in UE. Šekerinska è stata infatti anche vice-Primo Ministro per l’Integrazione Europea (era lei a capo dell’ufficio nel 2005 quando alla Macedonia venne riconosciuto lo status di paese candidato) e Primo Ministro dal 12 maggio al 12 giugno e dal 3 novembre al 15 dicembre 2004.

A partire dal 1991, in seguito alla disintegrazione dell’ex Jugoslavia e all’ottenimento dell’indipendenza, la Macedonia si ritrovò a dover affrontare un difficilissimo processo di nation e state building sia da un punto di vista esterno, nei confronti dei paesi vicini, sia da un punto di vista interno a causa della difficile convivenza tra le varie etnie presenti nel paese e in particolar modo tra macedoni e albanesi.

La situazione di maggiore criticità si venne a creare nei confronti della Grecia, che si oppose al riconoscimento sia di uno Stato che di una nazione macedone ritenendo che la nuova Repubblica avrebbe potuto, in seguito, rivendicare territorialmente l’omonima regione greca. La crisi, che portò anche ad un embargo della Grecia nei confronti della Macedonia, si sbloccò solo nel 1995 con Interim Agreement in cui la Grecia riconobbe l’esistenza dello Stato macedone con il nome di FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia).
La questione del nome e l’ostilità greca sono, ancora oggi, gli ostacoli principali all’ingresso della Macedonia in organizzazioni internazionali come la NATO e la stessa UE.

Ogni anno la Commissione Europea pubblica, per ogni paese candidato, un report (Progress Report) in cui fa il punto della situazione per quel che riguarda l’adempimento dei criteri (economici e politici) per l’ingresso nell’Unione. Lo scorso 9 novembre è stato pubblicato l’ultimo Progress Report riguardate l’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia.
Tra le varie questioni affrontate figura anche quella relativa la libertà di espressione, e nel report la Commissione esprime preoccupazione per quel che riguarda l’interferenza della politica nei media. Lo scorso 24 novembre la polizia ha fatto irruzione nella rete televisiva A1, ufficialmente per un controllo fiscale. L’episodio ha scatenato accese polemiche nel paese anche perché A1, soprattutto nell’ultimo periodo, era stata abbastanza critica nei confronti del governo.

Onorevole Šekerinska, alla luce dell’ultimo Progress Report della Commissione, come dovremmo leggere il caso di A1?
“L’influenza del partito di governo sul settore dei media in Macedonia è enorme ed è stata portata avanti attraverso differenti canali: all’inizio si è trattato essenzialmente di corruzione. […] La maggior parte delle nostre TV nazionali appartengono a uomini d’affari che vedono questo come un’opportunità per migliorare i loro business economici e assicurarsi il supporto politico per le loro attività principali. A1 non fa eccezione. A partire dal 2006 fino al 2008, il governo ha essenzialmente affrontato i media con la mano leggera e la mano leggera si traduceva in grandi quantità di soldi. In altre parole il governo si trasformò nel più grande compratore di spazi pubblicitari all’ interno dei media. […]. Per due anni, non fu il partito, ma i media che crearono il mito di un “Primo Ministro infallibile, Dio e unico protettore del paese”.

Quando nel 2008 cominciò a deteriorarsi la situazione dal punto di vista economico, il governo non ebbe più a disposizione le risorse necessarie per corrompere i media ed iniziò quindi ad utilizzare metodi differenti. Si era più volte denunciato il fatto che il proprietario della rete A1 avesse attività di cui non pagava il 100% delle tasse o non completamente in linea con la legge, ma per tre anni il governo non si interessò mai di A1. Il proprietario era semplicemente il loro miglior amico. Il Primo Ministro e i membri del suo governo erano costantemente presenti in televisione. In seguito al summit NATO di Bucarest, le cose iniziarono a deteriorarsi e vennero a mancare molti soldi, così il proprietario di A1 cambiò la sua posizione. Ed ora questo è quello che sta succedendo. Non credo che il proprietario di una rete televisiva debba essere esentato da controlli fiscali, ma quando li si fanno in maniera discrezionale, quando l’implementazione della legge viene attuata in modo discrezionale, allora siamo di fronte ad una violazione dei diritti e delle libertà dei media. […]”.

A livello interno invece le maggiori difficoltà nel processo state e nation building si riscontrarono soprattutto nella difficile convivenza tra la maggioranza macedone e la rilevante minoranza albanese (che rappresenta circa il 25% della popolazione). La tensione tra le due etnie sfociò nel 2001 con il breve conflitto che coinvolse guerriglieri albanesi e le forze armate macedoni. Lo scontro cessò con la firma degli Accordi di Ohrid che ridisegnarono gli equilibri politico-istituzionali tra le due etnie.

Nove anni dopo la firma degli Accordi qual è la situazione tra le due comunità?
“Sono convinta che rispetto al 2001 questo sia un paese differente […]. Quando analizzo gli Accordi di Ohrid sostengo sempre che esso si forma di 3 pilastri: riconoscimento della lingua, decentralizzazione ed equa rappresentanza.

1) Riguardo il riconoscimento linguistico, abbiamo affrontato la parte più simbolica, come ad esempio l’uso della lingua albanese in Parlamento. Questo era considerato un argomento intoccabile dalla politica negli anni ‘90 e le persone pensavano che se improvvisamente i membri del Parlamento avessero iniziato a parlare albanese il paese sarebbe collassato. Ricordo che quando l’Accordo venne firmato, dopo la modifica della Costituzione, la prima cosa che dovemmo fare in Parlamento fu cambiare il regolamento in modo da permettere a deputati e senatori di poter parlare in albanese. […] Fu una grande questione per 5 giorni dopodiché nessuno se ne curò più. D’un colpo ci si chiese: “perché dovrebbe essere un problema? Se un parlamentare parla albanese verrà tradotto. Se voglio sentirlo in macedone metterò sul canale 33a, se voglio sentirlo in albanese metterò sul canale 33b”. Questo è tutto! L’implementazione della legislazione linguistica per i cittadini è invece ancora lenta e ci sono molti elementi presenti in diverse leggi che non sono implementati nella pratica.

2) Riguardo la decentralizzazione, il lavoro formale, intendo la decentralizzazione così com’è impostata negli Accordi di Ohrid, è stato fatto. […]

3) La terza parte è l’equa rappresentanza. Probabilmente questa è stata la cosa più facile che aggiungemmo negli Accordi perché si componeva di una sola frase, vale a dire che noi avremmo lavorato per una giusta ed equa rappresentanza.

Nessuno si curò di questo e alla fine si rivelò la parte più complicata degli Accordi di Ohrid perché la sua implementazione necessita soldi. Si tratta di un processo ancora in corso con vari gradi di successo. Penso che l’equa rappresentanza sarà l’effetto più positivo degli Accordi di Ohrid. In precedenza gli albanesi in questo paese non potevano associare loro stessi con lo Stato, perché tutto ciò che potevano vedere era un’amministrazione che parlava esclusivamente macedone; ma una volta che inizi a vedere i tuoi colleghi, i tuoi vicini, i membri della tua comunità che lavorano in certi segmenti dell’amministrazione allora inizi a sviluppare un maggior senso di appartenenza ed è per questo che penso che questo processo sia molto importante.[…].

Non si tratta di un qualcosa di cui sono convinta solo per quanto riguarda le minoranze etniche. Credo fermamente che un determinato sistema di quote o di affermative action sia necessario per livellare le differenze e ineguaglianze che esistono. Ho in mente il ruolo delle donne nella politica. Ho lottato molto per ottenere un sistema di quote nel Parlamento macedone perché non vedevo alcun argomento reale che giustificasse un numero così basso di donne. Quando venni eletta per la prima volta in Parlamento eravamo solo 6 donne e non penso che questa sia una giusta rappresentazione della società macedone. Penso che l’incremento del numero di donne in politica anche attraverso un sistema di quote abbia cambiato positivamente il modo in cui il Parlamento stesso lavora. Quindi non posso dire che non sono d’accordo con questa logica quando viene utilizzata per le minoranze etniche. […].”

Restando sull´argomento, qual è invece la situazione delle altre minoranze del paese (turchi, serbi, rom etc.)?
“Differente. In particolare penso che per quanto riguarda turchi, serbi e valacchi la situazione sia molto differente in base alla regione che si prende in considerazione. Lei può vedere oggi un gran numero di turchi, serbi e valacchi estremamente integrati e ben inseriti nella società e allo stesso tempo può notare in alcune aree, comuni e paesi più isolati, in particolar modo turchi, che non sono integrati e che sentono di essere stati lasciati indietro. […] Il vero e grande problema è in realtà con la minoranza Rom, ma molti Stati europei hanno più o meno gli stessi problemi.”

Un’altra questione che sta creando un acceso dibattito all’interno del paese è il Programma Skopje 2014. Il programma, voluto dal partito di governo di centro-destra - il Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone (VMRO-DPMNE) – ha come obiettivo quello di trasformare l’immagine della capitale macedone esaltando l’epoca classica del paese.
Il governo sostiene che l’intero progetto avrebbe un costo complessivo di circa 80 milioni di euro, mentre altre fonti dimostrerebbero che la cifra si aggirerebbe sui 200 milioni.

Qual è la sua opinione in merito?
“Skopje 2014 è un programma problematico per diverse ragioni. Prima di tutto incrementa la distanza tra macedoni e albanesi e, un paese come la Macedonia che solitamente perde un sacco di tempo ed energie nel lottare sui simboli, dovrebbe evitare di crearne degli altri. Un gran numero di albanesi ha semplicemente la seguente posizione: “noi tutti paghiamo le tasse in una certa misura e improvvisamente una gran quantità di soldi viene investita in un progetto che non sentiamo nostro”. Questo è il primo problema.

Il secondo è in realtà più controverso perché accresce le distanze tra gli stessi macedoni sulla visione del futuro di questo paese. […].

In terzo luogo il progetto aumenta le tensioni tra macedoni e greci senza che ci sia un solo argomento a suo favore. Non voglio dire che dobbiamo fare solo quello che accettano o appoggiano i greci, ma qual è il valore aggiunto di questo progetto? Una politica come questa la si poteva portare avanti nel diciottesimo secolo, nel ventunesimo c’è bisogno di altri elementi per costruire una nazione. Si possono costruire monumenti, sicuramente si può argomentare che si tratta di uno spreco di risorse, ma ogni paese può permettersi di costruire qualcosa anche in tempi di crisi. Ovviamente si può costruire qualcosa che sia unificante e che rispecchi i tempi in cui si vive.”

Passiamo alla questione dell’ingresso in Unione Europea. Lei è stata vice-Primo Ministro per l’Integrazione Europea fino al 2005.
Alla luce della sua esperienza, qual è la sua opinione in merito al processo di ingresso della Macedonia in UE?
“Siamo fermi. Essenzialmente fermi. Senza una reale data per l’inizio dei negoziati di accesso non penso che le attuali riforme a livello interno potrebbero essere approvate. […].

Senza negoziati d’accesso, senza una reale analisi della nostra società, tutto questo è fatto sulla fiducia: noi pensiamo di aver fatto certe cose, loro pensano ne abbiamo fatte altre etc., cercando un qualche consenso tra di noi e fingendo che stiamo andando nella direzione giusta. Non prevedo alcuna decisione sul tema del nome per il prossimo anno e per questo penso che anche se siamo un po’ più avanti rispetto a Serbia e Montenegro siamo destinati a rimanere indietro in futuro.”

Intervista di Alessio Vaccaro - dicembre

(foto di Sekerinska elaborata al pc)


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