Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini

23.04.2015

bilal"Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini", di Fabrizio Gatti.
BUR Biblioteca Univ. Rizzoli. 2008, 492 p.

In breve

È stato facile diventare Bilal. È bastato polverizzare con la suola l’ultima cenere della carta d’identità.
Ma da allora Bilal non se n’è più andato.

“Il 12 per cento delle persone che partono dalle coste della Libia e dalla Tunisia non arriva in Europa. Il 12 per cento” spiega l’autore “significa che tra 182 passeggeri su questo camion, 22 moriranno. E se di questo si salveranno tutti, del prossimo ne moriranno forse 44. Oppure 66 di quello che verrà dopo.”

La più grande menzogna è far credere che tutto questo si possa cambiare con le parole.

Tre schede telefoniche.
Un nome falso. Gli euro avanzati e la capsula con i dollari. Il tubetto di colla per nascondere le impronte digitali. Il borsone nero. Il giubbotto salvagente. La camicia. Il pile. Le vecchie ciabatte.

La bottiglia d’acqua da un litro e mezzo. Sei panini. Tre scatolette di sardine. È tutto quanto servirà a Fabrizio Gatti per trasformarsi in Bilal e raccontare il dramma sconvolgente di chi si mette in marcia dal Sud del mondo per conquistare una vita migliore al di là del Mediterraneo.

Fabrizio Gatti ha attraversato il Sahara sugli stessi camion che trasportano clandestini. Ha incontrato affiliati di Al Qaeda e scafisti senza scrupoli. Ha superato indenne le frontiere. Si è infiltrato nelle organizzazioni criminali africane e nelle aziende europee che sfruttano la nuova tratta degli schiavi. Si è fatto arrestare come immigrato clandestino vivendo sulla propria pelle l’osceno trattamento riservato agli immigrati nei centri di permanenza temporanea. Ha scoperto i nomi, le alleanze e le complicità di alcuni governi che non fanno nulla contro il traffico di schiavi, anzi, ci guadagnano.

Bilal è la cronaca della più grande avventura del Terzo Millennio vissuta in prima persona dall’autore. Un viaggio nell’impero di chi si arricchisce commerciando carne umana, raccontato con un linguaggio teso che avvince il lettore come in un thriller. Un resoconto lucido e spietato – perché “approdare vivi a Lampedusa è come sopravvivere a un incidente aereo” – che segna la scoperta di un nuovo talento letterario che sa parlare della realtà. Perché Bilal è una storia vera.