European Youth Event 2018 - BREXIT: take a sad song and make it better

Sabato (Giorno 2) – 16.00 – 17.30

BREXIT: take a sad song and make it better

 Link webstream per il dibattito: http://www.europarl.europa.eu/ep-live/en/other-events/video?event=20180602-1600-SPECIAL31

 

Relatori:

• Hugh Bennet, Vice-Direttore di BrexitCentral

• Roch Dunin-Wąsowicz, addetto alla ricerca, Generation Brexit (London School Economics)

• Olivia Elder, PhD student, University of Cambridge

Modera: James Temple-Smithson, Capo dell’Ufficio irlandese del Parlamento europeo

 

Il moderatore apre la sessione illustrando il report della London School of Economics sulle prospettive dei giovani relativamente alla situazione post-brexit del Regno Unito. I giovani risultano non fidarsi delle attuali istituzioni politiche e dei media, ma rimangono interessati alla politica. Molti mostrano una comprensione della complessità della brexit, che si coniuga al timore che i propri concittadini non abbiano invece conoscenze sull’Unione europea e che questo abbia pesato sul referendum. I giovani dello studio chiaramente non vogliono perdere i diritti e le opportunità della cittadinanza europea ai quali al momento hanno accesso. Vogliono mantenere un’economia forte che garantisca qualità per scuole, istruzione universitaria, posti di lavoro e alloggi. Emerge grande preoccupazione per il possibile impatto negativo della brexit sull’immagine del Regno Unito come tollerante e multiculturale e per la perdita di tutele sociali. Solo una piccola minoranza di giovani nello studio esprimono orgoglio, a seguito della vittoria del Leave, per il recupero di una sovranità britannica come incentivo a diventare politicamente meno passivi.

La parola passa a Roch Dunin-Wąsowicz, che si sofferma sulle sfide post-brexit dei giovani europei che vivono nel Regno Unito. Spiega che prima del referendum gli immigrati regolari presenti nel Regno Unito avevano ricevuto la garanzia che, in caso di vittoria del Leave, i loro diritti sarebbero rimasti inalterati. A distanza di due anni dal referendum, il Ministero dell’Interno britannico ha concesso a una fascia più svantaggiata di immigrati la possibilità di vedersi riconosciuto un “settled status”. Dei 3 milioni di cittadini dell’UE che vivono nel Regno Unito, arrivati usufruendo del loro diritto europeo di libera circolazione, faticheranno a tutelarsi dalla Brexit coloro che possiedono un livello di inglese scarso o che hanno difficoltà ad avere accesso ad informazioni accurate sull’immigrazione. Presto il governo del Regno Unito si confronterà proprio con l’aspettativa da parte degli immigrati dall’UE di vedere i propri attuali diritti tutelati dal settled status, ma, contrariamente alle promesse pre-referendum, così non sarà, soprattutto in termini di diritti politici. Ancora non c’è certezza se la copertura assicurativa sanitaria completa sarà compresa nella concessione della residenza agli studenti. Fino al 2016, decine di migliaia di studenti hanno infatti potuto richiedere la residenza. Al momento, invece, gli studenti con cittadinanza dell’UE che non si siano procurati un’assicurazione privata durante i propri studi nel Regno Unito stanno vivendo in un limbo in cui non sanno se potranno ottenere la residenza.

Da un anno risulta in corso un progetto finanziato in crowdfunding chiamato “Generation Brexit”, che si pone lo scopo di dare ai giovani del Regno Unito e di altri paesi (il sito è tradotto in 7 lingue UE) una voce sulle procedure di divorzio e sulle future relazioni tra Regno Unito e UE. Degli aderenti al progetto, il 70% sono britannici, il 70% sono europei che vivono nell’UE, il 62% ha una visione negativa della brexit, il 17% è ambivalente e il 7% si dice d’accordo. La visione negativa aumenta col livello di educazione: il 66% dei diplomati ritiene la Brexit negativa, contro l’80% dei laureati. I giovani sono tutt’ora molto critici del voto e della campagna referendaria, mentre solo una minoranza risulta diventata maggiormente impegnata politicamente a seguito del voto. In generale, non si rileva apatia: una piccola parte si sente orgogliosa dell’esito del referendum, mentre molti sono interessati ai futuri sviluppi della brexit. È diffusa la paura che la brexit renderà il Regno Unito meno amichevole a livello internazionale e più isolato. La maggioranza dei giovani vuole mantenere i diritti della cittadinanza europea, soprattutto la libertà di movimento sia per lavoro sia per istruzione, sia per loro stessi sia per altri. Il campione di rispondenti di tutto il resto della popolazione vorrebbe invece mantenere i propri diritti senza però conferirli ad altri. I giovani vogliono essere ascoltati e inclusi nel processo della Brexit sul lungo termine e non sono disposti a cedere i diritti che hanno in favore di benefici futuri indefiniti. Sono consapevoli che i legami del Regno Unito con l’UE non possono essere completamente recisi, e non vogliono che lo siano. Generation Brexit proseguirà con le proprie attività anche tramite una partnership con l’organizzazione “My life, my say”, che realizzerà dei dibattiti “Cafè Brexit” in tutta Europa.

Come punto di vista maggiormente favorevole alla Brexit, interviene Hugh Bennet, vice-direttore di BrexitCentral.com. Esordisce spiegando che per quanto riguarda l’immigrazione dall’Unione europea, il Consiglio europeo di marzo ha chiarito che gli attuali immigrati legali presenti nel Regno Unito non perderanno diritti. In merito all’Università e la possibilità di studiare all’estero con Erasmus o i fondi europei, come il programma di finanziamento alla ricerca Horizon2020: nella bozza del nuovo settennato di programmazione di Erasmus il Regno unito risulta ancora incluso, sia per studenti in entrata sia in uscita, mentre su Horizon2020 potrebbero esserci limitazioni (che Bennet interpreta come una mossa politica). Se invece si mette da parte la politica, e ci si concentra sull’utilità dell’UE come cooperazione internazionale sensata negli ambiti in cui funziona, la situazione attuale non dovrebbe cambiare.

Bennet invita inoltre a una riflessione su come la Brexit possa giovare ai giovani. Non è produttivo distinguere sempre le questioni giovanili dalle altre, perché le grandi questioni politiche toccano tutti, giovani inclusi. Per capire la Brexit occorre approfondire i motivi per cui la gente ha votato Leave, superando le accuse di disinformazione e falsità della campagna referendaria. Dalle statistiche risulta che le persone che hanno votato maggiormente per uscire dall’Unione europea provengono dai contesti economici più bassi, giovani inclusi. Questa è una tendenza che riguarda comunque l’euroscetticismo in tutto il continente. Anche la libertà di movimento è solo per l’elite europea che si può permettere di viaggiare. Chi proviene da cittadine economicamente depresse nel Regno Unito vive invece la libertà di movimento come un ingresso incontrollato di nuova manodopera e un abbassamento dei salari, che comprime sempre più una comunità nella depressione economica. Per i paesi dell’est Europa, invece, la libertà di movimento può significare una emigrazione della manodopera verso paesi membri più vantaggiosi.

Olivia Elder, dottoranda presso l’Università di Cambridge, interviene su questioni relative all’impatto della brexit sull’istruzione superiore nel Regno Unito. Il contributo dell’Unione europea è fondamentale per il successo delle Università britanniche. In totale, l’UE ne fornisce il 16% dello staff accademico, il 16% del finanziamento e il 6% degli studenti. Insieme al think-tank The Wilberforce Society di Cambridge, Elder ha scritto un paper sull’impatto della brexit su studenti e università, parte di un lavoro più ampio commissionato dal deputato eletto nella circoscrizione di Cambridge Daniel Zeichner. La Wilberforce Society é un’organizzazione indipendente e il lavoro commissionato voleva andare oltre la divisione leave – remain, cercando di identificare i problemi derivanti dalla brexit ma anche le possibili opportunità. Il paper di Elder si è focalizzato su alcune aree chiave: mobilità e accesso degli studenti, ricerca e reputazione delle Università del Regno Unito. La ricerca ha coperto un campione di oltre 300 studenti e recentemente laureati. Vediamo alcuni dei principali risultati.

Per quanto riguarda la mobilità e l’accesso all’Università, la fine della libertà di movimento concluderebbe l’uguaglianza automatica di diritti per gli studenti europei che studiano nel Regno Unito e viceversa per gli studenti britannici nell’UE. Si è reso evidente, inoltre, che la brexit avrebbe minacciato la partecipazione delle Università del Regno Unito in Erasmus e anche della borsa di studio europea Marie Curie, che fornisce importanti opportunità per i giovani ricercatori. Come ha evidenziato Bennet, l’Unione europea ha recentemente esteso anche al Regno Unito la possibilità di rimanere nel prossimo settennato del programma Erasmus, ma non è ancora chiaro quanto costerà al paese. Per quanto riguarda l’accesso, occorre sottolineare anche che è probabile che con la brexit le tasse universitarie studentesche nelle Università britanniche potrebbero salire fino al livello delle fee internazionali. Il Higher Education Policy Institute ha simulato l’effetto di questo possibile aumento: i maggiori introiti per le università più benestanti controbilancerebbe la perdita di studenti, ma per molte altre Università si realizzerebbe il contrario. Gli studenti UE portano benefici alle Università britanniche: l’organizzazione UniversitiesUK ha stimato un contributo di 2.2 miliardi di sterline da loro spese nei campus e nelle città… ma i benefici non sono solo economici, bensì sociali e culturali. La mobilità dal Regno Unito verso l’UE è comunque debole: i datori di lavoro lamentano le scarse capacità linguistiche dei laureati britannici e l’incapacità di gestirsi dal lato pratico degli studenti quando si tratta di studiare all’estero. L’UE rimane quindi cruciale nel fornire una cornice per gli studenti per studiare all’estero.

La ricerca, invece, ha un impatto che va oltre il Regno Unito ed è per natura internazionale. La Brexit avrà un impatto sulla possibilità di condurre questa ricerca, sulle collaborazioni, sul finanziamento e sul recruitment di staff academico europeo nel Regno Unito. I fondi per la ricerca europei al momento rientrano nel programma di finanziamento Horizon2020, alla scadenza del quale entrerà in vigore la programmazione 2021-2017 del valore di 100 miliardi di euro. Il Regno Unito è un contribuente netto al bilancio comunitario, ma un report del 2014 del governo inglese ha concluso che i fondi alla ricerca europei sono un aspetto che per la nazione funziona “exceptionally well”. Tra il 2007 e il 2013 il paese ha ricevuto più del 15% dei fondi europei per la ricerca, una percentuale alta in proporzione al contributo britannico all’UE e rispetto alla sua popolazione. Ma il contributo dell’UE alla ricerca non è solo finanziario: incoraggia e permette collaborazioni, fondamentali per il successo e la visibilità della ricerca. UniversitiesUK ha rilevato che l’accesso a fondi per la ricerca per il Regno Unito sta già calando (al 13%), a causa dell’incertezza sul futuro delle collaborazioni accademiche. Il governo ha comunque dichiarato che punta a rimanere parte del prossimo quadro di finanziamento Horizon 2021-2017 e a mantenere la propria voce in capitolo nel determinare la distribuzione dei fondi nel programma. Quest’ambizione risulta però generica e senza precedenti: per quanto alcuni paesi non membri UE siano effettivamente ammessi al programma, non possono influenzare la formazione del programma e il pieno accesso è ristretto agli stati che partecipano ad altri aspetti dell’UE come il mercato unico e la libertà di movimento. La fine della libertà di circolazione e dell’accesso ai fondi europei potrebbe compromettere l’abilità delle Università britanniche di attrarre e collaborare con i migliori talenti europei. Inoltre, le politiche del governo del Regno Unito sulla ricerca si restringono spesso alla scienza e alla tecnologia, e a seguito della brexit gli accademici temono che le arti e le discipline umanistiche saranno lasciate sempre più indietro nella ricerca.

Infine, l’impatto sulla reputazione delle università inglesi è molto meno quantificabile. La reputazione è comunque un fattore chiave per scegliere dove studiare e dove lavorare: nel lavoro realizzato con la Wilberforce Society, il 90% dei rispondenti ha espresso preoccupazione relativamente agli effetti negativi della brexit sulla reputazione in ambito universitario.  

 

Riccardo Cucconi

Vincitore del Premio di Laurea “L’Europa che sarà” dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna