Università Cattolica del Sacro Cuore

Il nuovo Recovery Plan: più enfasi sulle disuguaglianze e meno sulla crescita, più investimenti e meno incentivi

a cura di Osservatorio CPI[1]

14 gennaio 2021

La bozza del Piano nazionale per l’utilizzo dei fondi del NextGenerationEU approvata il 12 gennaio dal Consiglio dei Ministri è molto più dettagliata di quella che era circolata a dicembre, in quanto contiene le somme destinate ad ogni progetto. D’altra parte, la nuova bozza non dice nulla sulla governance del piano, che dunque rimane una questione aperta. Sul piano dei contenuti, un primo cambiamento riguarda il fatto che nel precedente piano il tema centrale era l’andamento deludente della crescita economica italiana rispetto agli altri paesi avanzati negli ultimi decenni; nel nuovo piano è dedicata molta più attenzione alle disuguaglianze di età, di genere e territoriali. Coerentemente con questa impostazione, la nuova bozza dedica molte più risorse a inclusione e coesione, istruzione e sanità; riduce invece gli stanziamenti per digitalizzazione e innovazione, nonché per la transizione ecologica. Crescono inoltre gli investimenti pubblici a scapito degli incentivi, una scelta che suscita qualche perplessità, alla luce dei tempi che richiedono gli investimenti pubblici e del fatto che le risorse europee devono essere impegnate entro il 2023 e spese entro il 2026.

* * *

La bozza del piano nazionale per l’utilizzo dei fondi del NextGenerationEU approvata il 12 gennaio dal Consiglio dei Ministri è molto diversa dalla bozza che era circolata a dicembre 2020. Il documento precedente era stato criticato principalmente perché proponeva di istituire una gestione parallela rispetto ai ministeri per l’attuazione del piano. Tuttavia, i contenuti di questa bozza erano ancora vaghi, poiché erano definite soltanto le risorse destinate a ciascuna missione e componente (6 missioni con 17 sottocomponenti), ma, per ogni componente del piano, non erano state ancora stabilite le risorse destinate ai singoli progetti, che erano solo elencati e brevemente descritti.

La nuova bozza – anche se non definitiva, in quanto suscettibile di cambiamenti da parte sia del governo sia della Commissione europea – è di gran lunga più dettagliata, in quanto contiene le somme destinate ad ogni progetto. È stato invece rimosso ogni riferimento alla governance del piano, lasciando la questione aperta. Anche il contenuto del piano è cambiato, per alcuni aspetti in modo considerevole, soprattutto se si tiene conto che è stato redatto dallo stesso governo e con lo stesso ammontare di risorse europee a disposizione.

Le differenze nelle priorità

La prima differenza rispetto al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) di dicembre emerge nei paragrafi introduttivi, in cui sono discusse le priorità del piano. Nel precedente PNRR, il tema principale e ricorrente era l’andamento deludente della crescita economica italiana rispetto agli altri paesi avanzati negli ultimi decenni, un problema che il governo era intenzionato ad affrontare mettendo appunto in campo le risorse europee di NGEU. Nel nuovo piano, anche se ci sono ancora diversi riferimenti alla prolungata stagnazione dell’Italia, è dedicata molta più attenzione a quelle che vengono definite le grandi disuguaglianze del nostro paese: di età, di genere e territoriale. In particolare, per quanto riguarda il Mezzogiorno, ci sono ingenti risorse per progetti riguardanti soprattutto gli investimenti pubblici, come la costruzione e l’ammodernamento della rete ferroviaria.

Le differenze nell’allocazione delle risorse

Tra le due bozze vi sono grandi differenze anche circa la destinazione delle risorse (Tav. 1). La differenza più evidente è tra i valori totali dei due piani: mentre il vecchio PNRR ammontava a quasi 196 miliardi di interventi, quello attuale ammonterebbe a quasi 223, con una differenza del 14 per cento (27 miliardi). Il secondo importo sembrerebbe troppo elevato, in quanto le risorse NGEU che fanno capo all’Italia ammontano al più a 209 miliardi di euro. Le ragioni di questo aumento quantitativo del secondo piano sono molteplici, e non sempre chiare. La prima è che la vecchia bozza del PNRR riguardava soltanto una parte dei fondi NGEU spettanti all’Italia, ovvero la Recovery and Resilience Facility (RRF), che ammonta a circa 196 miliardi.[2]

Tav. 1: Confronto delle bozze di PNRR

 

NUOVO PNRR

VECCHIO PNRR

DIFFERENZA

 

(miliardi)

(miliardi)

(miliardi)

DIGITALIZZAZIONE, INNOVAZIONE, COMPETITIVITA' E CULTURA

46,18

48,7

-2,52

Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella P.A.

11,4

10,1

1,3

Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo

26,7

35,5

-8,8

Turismo e Cultura 4.0

8

3,1

4,9

RIVOLUZIONE VERDE E TRANSIZIONE ECOLOGICA

68,9

74,3

-5,4

Impresa Verde ed Economia Circolare

6,3

6,3

0

Transizione energetica e mobilità locale sostenibile

18,2

18,5

-0,3

Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici

29,3

40,1

-10,8

Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica

15,0

9,4

5,6

INFRASTRUTTURE PER UNA MOBILITÀ SOSTENIBILE

31,98

27,2

4,78

Alta velocità ferroviaria e manutenzione stradale 4.0

28,3

23,6

4,7

Intermodalità e logistica integrata

3,7

4,1

-0,4

ISTRUZIONE E RICERCA

28,49

19,2

9,29

Potenziamento delle competenze e diritto allo studio

16,7

10,1

6,6

Dalla ricerca all'impresa

11,8

9,1

2,7

INCLUSIONE E COESIONE

27,62

17,1

10,52

Politiche per il Lavoro

12,6

 

12,6

Parità di genere

 

4,2

-4,2

Giovani e politiche del lavoro

 

3,2

-3,2

Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore

10,8

5,9

4,9

Interventi speciali di coesione territoriale

4,2

3,8

0,4

SALUTE

19,72

9

10,72

Assistenza di prossimità e telemedicina

7,9

4,8

3,1

Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell'assistenza sanitaria

11,8

4,2

7,6

TOTALE

222,9

195,5

27,4

Fonte: Elaborazione OCPI su dati bozze PNRR. Eventuali imprecisioni derivano da arrotondamenti.

Il nuovo PNRR, invece, sarebbe finanziato sia con la RRF che con i fondi di ReactEU (un altro progetto NGEU, destinato per oltre 2/3 al Meridione), che ammontano a circa 14 miliardi, per un totale di quasi 210 miliardi. Per quanto riguarda i 13 miliardi mancanti, nel nuovo PNRR vengono fatti due chiarimenti. Primo, visto che una parte dei progetti sarà finanziato tramite collaborazioni con il settore privato, il loro effettivo costo per lo Stato potrebbe diminuire. Secondo, e forse più importante, poiché c’è il rischio che alcuni progetti vengano rigettati dalla Commissione europea, il piano ha un’eccedenza di progetti, di modo che, se alcuni non fossero approvati, siano subito disponibili alternative con cui spendere tutti i fondi messi a disposizione.[3] Detto questo, alla luce delle accese discussioni all’interno del governo sui contenuti del piano, questo aumento di oltre 27 miliardi a fronte di risorse europee invariate, appare come un tentativo di rispondere a quante più esigenze possibili.

Oltre all’incremento dimensionale del piano, ingenti risorse sono state aggiunte e sottratte alle singole missioni e componenti. In generale alcune missioni hanno beneficiato di considerevoli aumenti: sanità (+10,7 miliardi), inclusione e coesione (+10,5) e istruzione e ricerca (+9,3). Di contro, le risorse per la transizione ecologica e per la digitalizzazione e l’innovazione sono leggermente diminuite. Le due componenti con un calo più marcato sono state quelle più grandi, cioè efficienza energetica e riqualificazione degli edifici (da 40,1 a 29,4 miliardi) e digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo (da 35,5 a 26,7 miliardi). In entrambi in casi, in base a quanto scritto nello stesso PNRR, sono stati ridotti gli incentivi per le imprese (digitalizzazione, innovazione e competitività) e per le famiglie (efficienza energetica e riqualificazione), che costituiscono la maggior parte di queste componenti.

Gli incrementi hanno invece interessato soprattutto gli investimenti pubblici, sia centrali che locali. Per esempio, sono aumentate vistosamente le risorse per innovazione e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria (+7,6 miliardi), turismo e cultura (+4,9 miliardi), istruzione (+10 miliardi) e tutela del territorio e delle risorse idriche (+5,6). Inoltre, sono stati leggermente incrementati i già consistenti investimenti nella rete ferroviaria, con un’individuazione specifica delle reti su cui intervenire, ovvero prevalentemente nel Meridione.[4]

Gli investimenti pubblici e gli effetti del piano sulla crescita

L’inversione di rotta a favore degli investimenti pubblici è lungamente motivata nell’analisi d’impatto del PNRR contenuta nella nuova bozza. Qui si sostiene che il moltiplicatore degli investimenti pubblici è maggiore di quello degli incentivi, ovvero che un euro di spesa pubblica destinato agli investimenti provoca un aumento del Pil maggiore rispetto a un euro speso per incentivi. Esiste abbondante evidenza empirica dell’elevato moltiplicatore di alcuni investimenti pubblici nel lungo periodo.[5] Tuttavia, l’elevato moltiplicatore richiede un’attuazione efficiente ed efficace degli investimenti e si manifesta nel lungo periodo, poiché gli investimenti pubblici, specialmente le “grandi opere”, richiedono diversi anni per essere progettati, realizzati e funzionanti a pieno regime. Per queste ragioni, gli incentivi, specialmente quelli che incoraggiano le imprese a innovare e rinnovare il proprio capitale produttivo (ad esempio Industria 4.0), sono relativamente efficienti in Italia, poiché non presentano i problemi di implementazione e tempistiche degli investimenti. Questo significa che destinare oltre il 70 per cento delle risorse agli investimenti diretti e solo il 21 per cento agli incentivi espone maggiormente l’Italia al rischio che il piano non riesca a utilizzare pienamente le risorse disponibili. Si ricorda infatti che le risorse della RRF dovranno essere impegnate entro il 2023 e spese entro il 2026.

Le stime degli effetti del PNRR sul Pil sono state riviste al rialzo, proprio per effetto del maggior rilievo degli investimenti pubblici. L’ipotesi implicita è che tali investimenti possano essere progettati e realizzati nell’arco di pochissimi anni. Tra le due bozze, infatti, l’effetto del piano sul Pil cumulato al 2026 differisce di oltre 2 punti di Pil, nonostante entrambi i piani si appoggino sulla stessa dotazione di risorse europee e lo scenario base sia lo stesso (Tav. 2).

Tav. 2: Stime dell’effetto del PNRR sul Pil

(percentuale)

 

2021

2022

2023

2024

2025

2026

Effetto del nuovo piano

Annuale

+0,5

+0,7

+1,5

+1,8

+2,5

+3,0

Cumulato, base=100

100,5

101,2

102,8

104,6

107,2

110,5

             

Effetto del vecchio piano

     

Annuale

+0,3

+0,5

+1,3

+1,7

+2,0

+2,3

Cumulato, base=100

100,3

100,8

102,1

103,8

105,9

108,4

             

Differenza cumulato

+0,2

+0,4

+0,7

+0,8

+1,3

+2,1

Fonte: Elaborazioni OCPI su dati bozze PNRR. Eventuali imprecisioni derivano da arrotondamenti.

Sotto il profilo tecnico, il miglioramento delle previsioni è ascrivibile al modello econometrico utilizzato per ottenere le stime della Tav. 2.[6] In sostanza, in questo modello tutti gli investimenti pubblici sono considerati come immediatamente produttivi e sono complementari a quelli privati. Quest’assunzione, ragionevole per il lungo periodo, presenta evidenti problemi per il breve e medio periodo, in cui i tempi e le inefficienze nella realizzazione degli investimenti pubblici possono costituire un ostacolo. Di conseguenza, nell’analisi d’impatto, il governo potrebbe aver sovrastimato quantomeno le tempistiche dell’effetto sul Pil della scelta di ri-orientare il piano verso gli investimenti, riducendo gli incentivi a imprese e famiglie, il cui effetto è invece quasi immediato.

Il problema delle riforme

È anche utile considerare cosa non è cambiato e sarebbe stato invece utile cambiare rispetto alla versione precedente del PNRR.

In primis, il piano dichiara che è essenziale avere una amministrazione pubblica snella e moderna e destina ingenti risorse alla sua digitalizzazione; ma non dice nulla sulla fondamentale questione delle riforme organizzative, di gestione e di incentivi del personale che sono necessarie per orientare la nostra pubblica amministrazione verso la produzione di servizi migliori. Anche la semplificazione burocratica viene solo appena accennata.

Per quanto riguarda le riforme della giustizia si riconosce che sono importanti, ma, come nella bozza precedente, il nuovo piano si limita a rilevare che al momento queste riforme sono “pendenti in Parlamento”, il che, come già è stato argomentato, non garantisce che la giustizia sarà adeguatamente riformata.[7]

Infine, l’attenzione rivolta alla concorrenza è quasi nulla. Nel documento la parola “concorrenza” è menzionata solo tre volte e non ispira alcuno dei progetti principali. Quindi, come nella versione passata, questi tre grandi nodi strutturali dell’economia italiana, anche se in parte riconosciuti come tali, rimangono in secondo piano.


[1] Giampaolo Galli e Giulio Gottardo

[2] Vedi il PNRR di dicembre, pag. 15. La RRF spettante all’Italia ammonta a 193 miliardi, tuttavia, questa cifra dipende (inversamente) dalla gravità della crisi economia e il governo prevedeva sarebbe salita a 196 miliardi.

[3] Vedi bozza PNRR di gennaio, pag. 32.

[4] Vedi bozza PNRR di gennaio, pagg. 105 – 107.

[5] Vedi IMF, 2020, “Fiscal Monitor: Policies for the Recovery”, Ch. 2, https://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2020/09/30/october-2020-fiscal-monitor

[6] Il modello in questione è l’edizione 2018 del modello “QUEST III” elaborato per la Commissione Europea, vedi Varga J., Veld J., 2011, “A model-based analysis of the impact of Cohesion Policy expenditure 2000–06: Simulations with the QUEST III endogenous R&D model”, Economic Modelling, 28(1-2), pp. 647-663.

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