
Per troppi anni, l’Unione europea ha cullato l’illusione di poter agire nel mondo e costruire il proprio percorso di integrazione al riparo da rischi strategici. In pochi mesi la seconda amministrazione Trump ha dato le ultime picconate a questa sorta di allucinazione collettiva, che ancora resisteva nonostante da ormai un decennio se ne cominciassero a vedere le crepe e incongruenze. Tre elementi in particolare - l’utilizzo metodico delle guerre commerciali come strumento coercitivo, il disimpegno statunitense nei confronti della sicurezza occidentale e l’aperta messa in discussione del c.d. rule based order - segnano una netta cesura nello scenario globale, obbligando l’UE a ripensare i presupposti su cui negli ultimi due decenni ha costruito le proprie politiche. Nel recente passato, infatti, le istituzioni europee hanno postulato di poter fare affidamento sulla Cina come “fabbrica del mondo” e mercato di destinazione dell’export, sulla Russia come fornitore di energia a prezzo contenuto e sugli Stati Uniti come garante della propria sicurezza e dell’ordine internazionale. Questo approccio ha funzionato - e prodotto risultati anche considerevoli - in un panorama globale stabile, ma appare oggi insostenibile. Senza la necessità di lanciarsi in previsioni sull’evoluzione del quadro geopolitico, è possibile affermare che si è definitivamente dissolta l’idea di un mondo in cui gli interessi economici potessero essere analizzati e affrontati disgiuntamente dalle sfide strategiche. Di conseguenza, è venuta meno anche la visione di un’Unione Europea capace di esercitare soft power senza dotarsi di strumenti efficaci per garantire la propria sicurezza e stabilità... (segue)
Dopo un difficile compromesso, fumata bianca al Consiglio europeo sui principali posti apicali nell'Unione europea
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