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Indicatori demografici - Anno 2024

Ulteriore calo della fecondità

Calo demografico progressivo ma non vistoso in linea con l’ultimo biennio

In Italia il 2024 evidenzia una dinamica demografica per molti versi in continuità con quella dei recenti anni post-pandemici. Insieme a un calo contenuto della popolazione residente, che peraltro continua a invecchiare, alla conferma di una dinamica naturale fortemente negativa, i cui effetti vengono attenuati da una dinamica migratoria più che positiva, e alla progressiva contrazione della dimensione media delle famiglie, il 2024 aggiunge elementi la cui portata va sottolineata. Tra questi, il minimo storico di fecondità, la speranza di vita che supera i livelli pre-pandemici, l’aumento degli espatri di cittadini italiani, il nuovo massimo di acquisizioni della cittadinanza italiana a cui si affianca comunque l’importante crescita della popolazione straniera residente.

Al 31 dicembre 2024 la popolazione residente conta 58 milioni 934mila individui (dati provvisori), in calo di 37mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente.

La diminuzione della popolazione prosegue ininterrottamente dal 2014 e il decremento registrato nel 2024 (-0,6 per mille) è in linea con quanto osservato negli anni precedenti (-0,4 per mille del 2023 e -0,6 per mille nel 2022).

Il calo di popolazione non coinvolge in modo generalizzato tutte le aree del Paese. Mentre nel Nord la popolazione aumenta dell’1,6 per mille, il Centro e il Mezzogiorno registrano variazioni negative rispettivamente pari a -0,6 per mille e a -3,8 per mille. Nelle Aree interne del Paese (vedi Glossario) si osserva una perdita di popolazione più intensa rispetto ai Centri (vedi Glossario) (-2,4 per mille, contro -0,1 per mille), con un picco negativo per le Aree interne del Mezzogiorno (-4,7 per mille).

A livello regionale, la popolazione risulta in aumento soprattutto in Trentino-Alto Adige (+3,1 per mille), in Emilia-Romagna (+3,1 per mille) e in Lombardia (+2,3 per mille). Le regioni in cui si riscontrano le maggiori perdite sono invece la Basilicata (-6,3 per mille) e la Sardegna (-5,8 per mille). Nel 2024 le nascite si attestano a quota 370mila, registrando una diminuzione sul 2023 del 2,6%.

Calano anche i decessi (651mila), il 3,1% in meno sul 2023, dato più in linea con i livelli pre-pandemici che con quelli del triennio 2020-22. Il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, è quindi ancora fortemente negativo (-281mila unità).

Le immigrazioni dall’estero, 435mila, per quanto inferiori di circa 5mila unità rispetto al 2023, si mantengono sostenute. Le emigrazioni per l’estero ammontano a loro volta a 191mila, in sensibile aumento sul 2023 (+33mila).

Il saldo migratorio netto con l’estero è dunque pari a +244mila, riuscendo in ampia parte a compensare il deficit dovuto alla dinamica naturale. Risultano, infine, in calo dell’1,4% i trasferimenti di residenza tra Comuni, che globalmente hanno coinvolto un milione e 413mila cittadini.

Aumentano le acquisizioni della cittadinanza italiana

Al 1° gennaio 2025 la popolazione residente di cittadinanza straniera è composta da 5 milioni e 422mila unità, in aumento di 169mila individui (+3,2%) sull’anno precedente, con un’incidenza sulla popolazione totale del 9,2%.

Il 58,3% degli stranieri, pari a 3 milioni 159mila individui, risiede al Nord, con un’incidenza sul totale della popolazione residente nel Nord pari all’11,5%. Altrettanto attrattivo per gli stranieri è il Centro, dove risiedono un milione 322mila individui (24,4% del totale) con un’incidenza dell’11,3%.

Più contenuta è la presenza di residenti stranieri nel Mezzogiorno, 941mila unità (17,3%), dove rappresentano appena il 4,8% della popolazione residente totale. Diminuisce ancora la popolazione di cittadinanza italiana (53 milioni 512mila unità), 206mila in meno rispetto al 1° gennaio 2024 (-3,8 per mille).

La variazione negativa, che si osserva in tutte le ripartizioni, raggiunge il massimo nel Mezzogiorno, con 131mila italiani residenti in meno (-6,9 per mille). Nel 2024 ben 217mila cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana, dato in crescita rispetto all’anno precedente (poco meno di 214mila). Le tre cittadinanze di origine che risultano avere il peso maggiore sono quella albanese (31mila acquisizioni), la marocchina (27mila acquisizioni) e la rumena (circa 15mila acquisizioni) che, rispetto al 2023, rimpiazza quella argentina in terza posizione. Il 64% delle acquisizioni di cittadinanza italiana si deve a nove collettività (Figura 1).

Rispetto al 2023 scendono quelle concesse a cittadini argentini e brasiliani (rispettivamente -11% e -10%) mentre crescono quelle in favore dei cittadini del sub continente indiano (India +30% e Bangladesh +19%). Stabile, infine, il volume delle acquisizioni di cittadinanza italiana ottenute da cittadini albanesi, marocchini, rumeni ed egiziani.

Speranza di vita superiore a quella del periodo pre-pandemico

Nel 2024 si contano 651mila decessi (dato provvisorio), 20mila in meno rispetto al 2023 (Figura 2).

In rapporto al numero di residenti sono deceduti 11 individui ogni 1.000 abitanti, contro gli 11,4 dell’anno precedente. Un numero così basso di decessi non si registrava dal 2019. Il calo della mortalità risulta confermato anche dal confronto con i 678mila decessi teorici che si sarebbero avuti nel 2024 se si fossero manifestati i medesimi rischi di morte del 2019.

Nel quadro di una popolazione che invecchia il numero di decessi tende strutturalmente a crescere in quanto più individui sono esposti ai rischi di morte, anche nel caso in cui tali rischi dovessero rimanere invariati da un anno all’altro. Se questo fenomeno non si verifica, com’è avvenuto nell’ultimo anno, può dipendere dal mutevole andamento delle condizioni climatico-ambientali, dall’alterna virulenza delle epidemie influenzali da una stagione alla successiva, da un significativo eccesso di mortalità dovuto a precedenti circostanze eccezionali come avvenuto nel periodo pandemico e post-pandemico.

Negli ultimi 15 anni si sono osservati diversi picchi significativi (nel 2012, 2015, 2017 e soprattutto nel 2020-2022) ai quali ha sempre fatto seguito un calo della mortalità negli anni immediatamente successivi. Il calo dei decessi si traduce in un guadagno di vita rispetto al 2023 di circa cinque mesi sia per gli uomini sia per le donne.

La speranza di vita alla nascita nel 2024 è stimata in 81,4 anni per gli uomini e in 85,5 anni per le donne (+0,4 in decimi di anno), valori superiori a quelli del 2019. Il difficile periodo legato alla pandemia sembra essere ormai superato come evidenzia una sopravvivenza che torna a registrare incrementi significativi. Certamente la pandemia ha lasciato un segno importante: lo testimonia il fatto che ci sono voluti quattro anni per un ritorno alla normalità storica e che, se la pandemia non avesse avuto luogo, oggi si parlerebbe molto probabilmente di condizioni di sopravvivenza ancora migliori.

Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 82,1 anni per gli uomini e di 86,0 per le donne; i primi recuperano cinque mesi rispetto all’anno precedente, le donne invece quasi quattro mesi. Il Trentino-Alto Adige si conferma ancora come la regione in Italia con la speranza di vita più alta sia tra gli uomini (82,7) sia tra le donne (86,7).

Nel Centro la speranza di vita alla nascita è 81,8 anni per gli uomini e 85,7 anni per le donne, con un incremento di quasi quattro mesi rispetto al 2023 per entrambi i sessi. In questa ripartizione geografica le Marche sono la regione dove si vive più a lungo, con un valore della speranza di vita alla nascita di 82,2 anni per gli uomini e 86,2 per le donne.

Nel Mezzogiorno si registrano valori più bassi della speranza di vita alla nascita, 80,3 anni per gli uomini e 84,6 anni per le donne. L’Abruzzo è la regione che consegue guadagni di sopravvivenza maggiori tra gli uomini, oltre 8 mesi in più sul 2023. Significativi, sempre nel Mezzogiorno, sono i guadagni ottenuti tra le donne in Sicilia, Basilicata e Calabria, ben 6 mesi in più. La Campania, nonostante un considerevole recupero, rimane la regione con la speranza di vita più bassa tanto tra gli uomini (79,7) quanto tra le donne (83,8).

Con 1,18 figli per donna fecondità al minimo storico

Nel 2024, secondo i dati provvisori, i nati residenti in Italia sono 370mila, in diminuzione di circa 10mila unità (-2,6%) rispetto all’anno precedente.

Il tasso di natalità si attesta al 6,3 per mille, contro il 6,4 per mille del 2023 (Figura 3). I nati di cittadinanza straniera, il 13,5% del totale, sono quasi 50mila, circa 1.500 in meno rispetto all’anno precedente.

La fecondità, nel 2024, è stimata in 1,18 figli per donna, sotto quindi il valore osservato nel 2023 (1,20) e inferiore al precedente minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995.

La contrazione della fecondità riguarda in particolar modo il Nord e il Mezzogiorno. Infatti, mentre nel Centro il numero medio di figli per donna si mantiene stabile (pari a 1,12), nel Nord scende a 1,19 (da 1,21 del 2023) e nel Mezzogiorno a 1,20 (da 1,24). Quest’ultima ripartizione geografica detiene una fecondità relativamente più elevata, ma sperimenta la flessione maggiore. Il calo delle nascite, oltre ad essere determinato dall’ulteriore calo della fecondità, è causato dalla riduzione nel numero dei potenziali genitori, a sua volta risultato del calo del numero medio di figli per donna registrato nei loro anni di nascita.

La rilevanza dell’aspetto strutturale è ben evidente: considerando che la popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (15- 49 anni) è passata da 14,3 milioni di unità al 1° gennaio 1995 a 11,4 milioni al 1° gennaio 2025.

Gli uomini nella stessa fascia di età, pari a 14,5 milioni trenta anni fa, sono oggi circa 11,9 milioni. In tali condizioni, nel 1995, con una fecondità solo poco superiore a quella odierna di 1,18 figli per donna, le coppie misero comunque al mondo 526mila bambini, ossia 156mila in più di quelli nati nel 2024.

Accanto alla riduzione della fecondità, nel 2024 continua a crescere l’età media al parto, che si attesta a 32,6 anni (+0,1 in decimi di anno sul 2023). Il fenomeno della posticipazione delle nascite è di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, poiché più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale a disposizione delle potenziali madri per la realizzazione dei progetti familiari.

L’aumento dell’età media al parto si registra in tutto il territorio nazionale, con il Nord e il Centro che continuano a registrare il valore più elevato: rispettivamente 32,7 e 33,0 anni, contro 32,3 anni del Mezzogiorno. Diminuiscono anche i matrimoni che, ormai da tempo, non rappresentano più un passaggio preliminare alla nascita di un figlio. Secondo i dati provvisori, nel 2024, i matrimoni sono 173mila, 11mila in meno sul 2023. Continua la forte riduzione di quelli celebrati con rito religioso (-9mila) e allo stesso tempo si osserva un calo di quelli celebrati con rito civile (-2mila).

Complessivamente, nel 2024 il tasso di nuzialità continua lievemente a scendere, portandosi al 2,9 per mille dal 3,1 del 2023. Il Mezzogiorno continua a essere la ripartizione con il tasso più alto, 3,2 per mille contro 2,8 per mille di Nord e Centro, ma è allo stesso tempo l’area in cui risulta più forte la contrazione sul 2023.

In Trentino-Alto Adige la fecondità più elevata

Il primato della fecondità più elevata continua a essere detenuto dal Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,39 nel 2024, comunque in diminuzione rispetto al 2023 (1,43). Come lo scorso anno seguono Sicilia e Campania. Per la prima, il numero medio di figli per donna scende a 1,27 (contro 1,32 del 2023), mentre in Campania la fecondità passa da 1,29 a 1,26. In queste regioni le madri sono mediamente più giovani: l’età media al parto è pari a 31,7 anni in Sicilia e a 32,3 in Trentino-Alto Adige e Campania.

La Sardegna si conferma la regione con la fecondità più bassa: nel 2024, il numero medio di figli per donna è pari a 0,91, stabile rispetto al 2023. Tra le regioni con i valori più bassi di fecondità figurano il Molise (1,04), la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (che sperimenta la flessione maggiore, da 1,17 a 1,05) e
la Basilicata (1,09, stabile sul 2023). Basilicata, Sardegna e Molise sono anche le regioni con il calendario riproduttivo più posticipato, dopo il Lazio (33,3 anni): nelle prime due l’età media al parto è pari a 33,2 anni, per il Molise è uguale a 33,1.
Nel quadro di una fecondità bassa e tardiva, diffusa in tutto il Paese, con differenze tra le ripartizioni geografiche sempre più lievi, si evidenziano ancora condizioni di eterogeneità. Solo le regioni del Mezzogiorno, con l’eccezione della Calabria, raggiungono il proprio minimo storico nel 2024. Nelle regioni del Centro-Nord, livelli più bassi di fecondità di quelli attuali si erano già registrati tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta. In particolare, in Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Toscana si erano già avuti in tali anni livelli di fecondità inferiori all’unità.

Differenze tra territori persistono poi anche all’interno di una stessa ripartizione geografica. Nel Mezzogiorno, ad esempio, coesistono regioni che registrano la più alta fecondità nel contesto nazionale (Sicilia, Campania e Calabria) e regioni caratterizzate da livelli minimi (Sardegna, Molise e Basilicata).

Tra le province, quella in cui si registra il più alto numero medio di figli per donna è la Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen (1,51 contro 1,57 del 2023). Seguono le province calabresi di Crotone (1,36) e Reggio Calabria (1,34) e quelle siciliane di Ragusa, Agrigento (entrambe 1,34) e Catania (1,33).
Le province sarde sono quelle in cui si osserva la fecondità più bassa, per tutte inferiore all’unità, da Cagliari, che registra un valore pari a 0,84 fino a Nuoro, con un tasso dello 0,98. A queste seguono le province di Viterbo (1,00) e Prato (1,01), nel Centro, e due province collocate rispettivamente nel
Mezzogiorno e nel Nord: Isernia e Biella, entrambe con una fecondità pari a 1,04.

Nord e Centro le aree più attrattive per i trasferimenti di residenza tra Comuni

Nel 2024 i trasferimenti di residenza tra Comuni italiani si attestano a 1 milione e 413mila, segnando una diminuzione dell’1,4% rispetto al 2023 (-20mila trasferimenti). La contrazione è dovuta alla riduzione della mobilità interna dei cittadini italiani, che registra un calo del 3,4%. Al contrario, tra i
cittadini stranieri la mobilità interna è in un aumento del 7,8%. Anche nel 2024 il Mezzogiorno conferma un saldo migratorio interno negativo (-52mila, -2,6 per mille abitanti). Sono oltre 401mila le partenze da un Comune meridionale a un altro Comune italiano (sia all’interno del Mezzogiorno sia verso altre aree del Paese), mentre i flussi in entrata verso Comuni del Mezzogiorno si fermano a circa 349mila.

La perdita di popolazione nel Mezzogiorno dovuta agli spostamenti tra i Comuni colpisce tutte le regioni dell’area, con intensità più marcata in Basilicata e Calabria dove si osservano i tassi migratori negativi più alti: rispettivamente -5,0 per mille e -4,6 per mille. Anche il Molise (-3,8 per mille) e la Campania
(-3,3 per mille) mostrano un tasso migratorio negativo significativo, sebbene meno accentuato.

Le regioni del Nord si confermano le più attrattive: nel 2024 i trasferimenti verso i Comuni del Nord (provenienti da qualsiasi area, incluso lo stesso Nord) sono stati 815mila, a fronte di 768mila spostamenti in uscita, flussi che generano un saldo migratorio positivo di 47mila abitanti, pari a +1,7 per mille. L’Emilia-Romagna è la regione con il tasso migratorio più alto (+2,7 per mille), seguita dal Piemonte (+2,2 per mille) e dalla Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (+1,9 per mille). Anche il Centro presenta un saldo migratorio positivo, seppur più contenuto, con un tasso pari a +0,4 per mille.

In aumento l’immigrazione straniera e gli espatri di cittadini italiani

Nel 2024 le immigrazioni dall’estero in Italia sono state 435mila, in lieve diminuzione (-1,2%) rispetto al 2023, ma più elevate rispetto ai valori osservati nel decennio 2012-2021 durante il quale non si è mai superata la soglia dei 400mila ingressi annui. La flessione registrata nel 2024 è dovuta alla consistente riduzione dei rimpatri di cittadini italiani, che hanno segnato un calo del 14,3%. Al contrario, le immigrazioni degli stranieri hanno mostrato una lieve crescita (+1,0%), contribuendo a mantenere i flussi complessivi su livelli elevati.

Dai primi dati provvisori si osserva che il Bangladesh è il principale Paese di origine dei flussi di immigrazione straniera (7,8% del totale), seguito dall’Albania (7,1%). Ancora significativo il flusso di stranieri provenienti dall’Ucraina (6,5%), in chiara relazione agli ingressi per motivi umanitari dovuti al
conflitto tuttora in corso. I rimpatri dei cittadini italiani, invece, provengono principalmente dalla Germania (15,4%) e dal Regno Unito (11,5%).
Nel 2024 aumentano di oltre il 20% le emigrazioni per l’estero, che passano da 158mila del 2023 a poco meno di 191mila, facendo registrare così il valore più elevato finora osservato negli anni Duemila.

L’aumento è dovuto esclusivamente all’impennata di espatri di cittadini italiani (156mila, +36,5% rispetto al 2023) che si dirigono prevalentemente in Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%), mentre circa il 23% delle emigrazioni dei cittadini stranieri è riconducibile al rientro in patria
dei cittadini romeni.

Il saldo migratorio con l’estero complessivo, pari a +244mila unità, è frutto di due dinamiche opposte: da un lato, l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (382mila), controbilanciata da un numero di partenze esiguo (35mila); dall’altro, il flusso con l’estero dei cittadini italiani caratterizzato da un numero di espatri (156mila) che non viene rimpiazzato da altrettanti rimpatri (53mila). Il risultato è un guadagno di popolazione di cittadinanza straniera (+347mila) e una perdita di cittadini italiani (-103mila).

In termini relativi, il tasso migratorio con l’estero è pari al 4,1 per mille abitanti, più elevato al Nord e al Centro, rispettivamente pari al 4,7 e al 4,5 per mille, più contenuto nel Mezzogiorno dove si ferma al 3,1 per mille. A differenza di ciò che si osserva per la mobilità interna, che vede il Mezzogiorno quale
area sfavorita, nel caso delle emigrazioni verso l’estero è il Nord che evidenzia una maggiore propensione: il suo tasso di emigratorietà è pari al 3,7 per mille abitanti, superando il valore medio nazionale (3,2 per mille), mentre per il Mezzogiorno il tasso si attesta al 2,9 per mille.

Crescente squilibrio tra popolazione in età attiva e non attiva

Al 1° gennaio 2025 si stima un’età media della popolazione residente di 46,8 anni, in crescita di due punti decimali (circa tre mesi) rispetto al 1° gennaio dell’anno precedente.

La popolazione fino a 14 anni di età è pari a 7 milioni 19mila individui (erano 7 milioni 186mila nel 2024) e rappresenta l’11,9% del totale. La popolazione in età attiva (15-64enni), oggi pari a 37 milioni 342mila, il 63,4% del totale, evidenzia una riduzione di un punto decimale sull’anno precedente. La popolazione di 65 e anni e più è pari a 14 milioni 573mila unità e costituisce il 24,7% del totale, in aumento di quattro
punti decimali rispetto al 2024.

Tra gli anziani cresce il numero di ultra ottantacinquenni, i cosiddetti grandi anziani, che raggiungono i 2 milioni 422mila individui (+103mila in un anno) e rappresentano il 4,1% della popolazione totale, di cui il 65% è composto da donne. In aumento anche il numero stimato di ultracentenari che supera, a
inizio 2025, le 23mila e 500 unità, oltre 2mila in più rispetto all’anno precedente (anche in questo caso con una prevalenza di donne, pari all’83%).
La quota più bassa di giovani fino a 14 anni di età si osserva nel Centro (11,5%); nel Nord la stessa popolazione rappresenta l’11,8%, mentre nel Mezzogiorno si registra l’incidenza più elevata (12,3%).

Per quanto riguarda la popolazione ultra sessantacinquenne, la proporzione più elevata si trova nel Centro (25,3%) e, a seguire, nel Nord (25,1%). Il Mezzogiorno si conferma come l’area meno anziana, con una quota di ultra sessantacinquenni del 23,9%. Quasi invariata rispetto all’anno precedente è
l’incidenza della popolazione in età attiva (15-64 anni) nel Nord e nel Centro con quote pari, rispettivamente, al 63,1% e 63,2%, mentre nel Mezzogiorno si osserva un’incidenza pari al 63,8%, leggermente in calo rispetto al 2024 (64,1%). La regione con la più alta quota di popolazione in età
attiva è la Campania (65,3%), seguita dal Lazio (64,2%) e dalla Lombardia (63,9). La Liguria è la regione con la percentuale più bassa, pari al 60,5%.

Guardando ad un orizzonte temporale più ampio (ad esempio 20 anni) si può notare l’importante crescita della popolazione anziana e la costante riduzione di quella giovanile, e quindi l’evoluzione in perdita della popolazione in età attiva. Quest’ultima, rispetto al 1° gennaio 2005, scende di un milione e 179mila individui, passando dal 66,4% al 63,4%. Il calo riguarda il solo Mezzogiorno, mentre il CentroNord, in forza di un maggior contributo sul versante dei flussi migratori, segna un lieve incremento di circa 13mila individui.

Altro aspetto saliente riguarda la composizione interna della popolazione in età attiva. Venti anni fa questa risultava equamente distribuita tra i 15-39enni e i 40-64enni. Al 1° gennaio 2025 la popolazione attiva risulta più anziana, con una percentuale di ultra quarantenni salita fino al 58,5%. Questo processo di invecchiamento è più marcato nel Mezzogiorno, dove oggi la popolazione 40-64enne risulta aver guadagnato 10 punti percentuali rispetto a venti anni prima sulla classe dei 15-39enni.

Oltre una famiglia su tre è formata da una sola persona

Le famiglie in Italia, nel biennio 2023-2024, sono poco più di 26 milioni e 300mila, oltre 4 milioni in più rispetto all’inizio degli anni Duemila. La crescita del numero di famiglie dipende soprattutto dalla progressiva semplificazione delle strutture familiari, sia nella dimensione sia nella composizione. La
principale causa di questo processo è l’aumento delle famiglie unipersonali, attualmente la forma familiare più diffusa.

Oggi oltre un terzo delle famiglie è formato da una sola persona (il 36,2%), mentre 20 anni fa questa tipologia rappresentava appena un quarto delle famiglie (25,5%). Le famiglie composte da almeno un nucleo, in cui cioè è presente almeno una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio, sono il 61,3%.
Queste famiglie sono principalmente costituite da coppie con figli (29,2%), che per molti anni sono state non solo il modello prevalente di famiglia ma anche quello interessato dalla diminuzione più consistente.

Le coppie senza figli, stabili nel tempo, rappresentano invece un quinto del totale (poco più del 20%). Una famiglia su 10, in leggero aumento nel corso degli anni, è di tipo monogenitore. Si tratta principalmente di madri sole (8,7%), ma sono evidenti anche casi di padri con figli (2,1%). Le famiglie
costituite da due o più nuclei e quelle senza nucleo (persone sole escluse, ad esempio due fratelli conviventi) si confermano nel loro insieme una tipologia residuale (3,6%).

L’effetto di queste trasformazioni è una costante diminuzione della dimensione media familiare che passa dai 2,6 componenti di 20 anni fa agli attuali 2,2 (media 2023-2024). I cambiamenti demografici e sociali e l’evoluzione delle strutture familiari si riflettono nella distribuzione dei ruoli familiari della popolazione. Le persone che vivono sole rappresentano nel 2023-24 il 16,3% della popolazione e sono in aumento in tutte le classi di età, soprattutto quelle centrali. I genitori in coppia sono il 26,3% e sono coloro che hanno sperimentato la contrazione maggiore, in particolare tra i 35 e i 44 anni di età. In leggero aumento negli anni è il numero di genitori soli con figli (oggi il 4,9% della popolazione) e quello delle persone che vivono con un partner senza figli (il 18,6%). I figli che vivono con entrambi i genitori, in diminuzione, risultano essere il 21,4%; in aumento invece la quota di figli in nuclei monogenitore (6,8%).

Sebbene queste tendenze abbiano interessato l’intero Paese, permangono alcune differenze a livello territoriale. Le famiglie unipersonali sono aumentate su tutto il territorio e oggi rappresentano ovunque il modello prevalente (rispettivamente, il 38,5% al Centro, il 37,4% al Nord e il 33,1% nel Mezzogiorno).
Al Nord si registra, inoltre, una maggiore concentrazione di coppie senza figli (il 21,7% contro il 19,1% nel Centro e il 18,8% nel Mezzogiorno), mentre nel Mezzogiorno vi è ancora una maggiore incidenza di coppie con figli (il 32,2% rispetto al 27,9% e al 27,6%, rispettivamente, nel Nord e nel Centro).
L’ampiezza familiare si è ridotta ovunque, tendendo ad uniformarsi: nelle regioni del Mezzogiorno, dove le famiglie sono storicamente più numerose, si è passati da 2,8 a 2,3 componenti, al Centro e al Nord rispettivamente da 2,5 e 2,4 a 2,2 componenti.

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