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Lavoro 14.04.2020

Il lavoro agile ai tempi del Coronavirus

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Il lavoro agile nella l. n. 81 del 2017.

Se fino a poco tempo fa il lavoro agile era sconosciuto ai più, oggi sembra essere divenuta la soluzione più immediata in risposta alle esigenze lavorative emerse in seguito all'emergenza Coronavirus.

 Maggiormente diffuso con il termine anglosassone smart working, il lavoro agile ha ottenuto il suo riconoscimento legislativo con la l22 maggio 2017, n. 81, dopo che già alcune grandi aziende ne avevano riconosciuto il potenziale attraverso forme di sperimentazione nell'ambito della contrattazione collettiva decentrata.

Il comma 1 dell'art. 18 l. n. 81 del 2017 definisce il lavoro agile come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato disciplinata mediante accordo tra le parti, la cui finalità è quella di «incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro». La prestazione resa con tale modalità può essere svolta in parte all'interno e in parte all'esterno dei locali aziendali, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

La portata innovativa della legge risiede nel ruolo riservato all'accordo tra le parti che interviene per disciplinare l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, con riguardo a diversi aspetti quali, a titolo esemplificativo, l'esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e gli strumenti utilizzati dal lavoratore.

A questo proposito, è stato opportunamente evidenziato che quello affidato all'autonomia individuale è un «ruolo di attivazione e co-regolazione, senza che sia prevista alcuna mediazione della contrattazione collettiva nell'esercizio di quelle funzioni che solitamente le sono attribuite» [PROIA 2018, 182]. Nonostante la mancanza di una delega legale alla contrattazione collettiva, non può naturalmente escludersi un intervento della stessa che, anzi, sarebbe per certi versi auspicabile.

Le innovative modalità di esecuzione della prestazione, resa perlopiù attraverso strumenti tecnologici, hanno richiesto un adattamento della normativa generale in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che senz'altro rappresenta una delle questioni più critiche della disciplina. Senza volerci in questa sede addentrare nei profili problematici, basti qui sapere che l'art. 22, dopo aver ribadito che grava sul datore di lavoro l'obbligo di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità agile, sancisce l'obbligo di consegnare, almeno una volta l'anno, al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, un'informativa scritta, che individui i rischi generali e quelli specifici, connessi alle particolari modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. Allo stesso modo, lo smart worker è tutelato «contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all'esterno dei locali aziendali» (art. 23, comma 2).

 

Come l'emergenza Coronavirus ha modificato le modalità di accesso al lavoro agile.

In un contesto di particolare emergenza quale quello attuale si è ritenuto necessario introdurre dei correttivi alla disciplina sul lavoro agile al fine di agevolarne l'accesso. Infatti, lo smart working è parso essere sin dall'inizio dell'emergenza uno strumento significativo per ridurre l'esposizione dei lavoratori al rischio di contagio garantendo comunque la continuazione dell'attività lavorativa, soprattutto per quelle attività maggiormente confacenti a tale modalità di lavoro da remoto. 

In particolare, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte, ha dapprima approvato il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica», disponendo che la modalità di lavoro agile sarebbe stata applicabile a tutti i lavoratori delle zone in cui era prevista la sospensione o la limitazione dello svolgimento dell'attività lavorativa, senza necessità di stipula degli accordi individuali. Successivamente, lo stesso Consiglio dei Ministri ha esteso tale possibilità a tutto il territorio nazionale e per tutta la durata dell'emergenza con il decreto del 1° marzo 2020 che nello specifico - tra le misure riguardanti l'intero territorio nazionale - prevede che «la modalità di lavoro agile sia applicata, per la durata dello stato di emergenza, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali previsti». Il contenuto del decreto è stato poi ribadito nei successivi d.P.C.M. del 4 marzo e dell'11 marzo 2020.

In questo modo, in deroga ad alcuni adempimenti previsti dalla l. n. 81 del 2017, viene consentita l'introduzione automatica e quindi in via unilaterale del lavoro agile. L'unico adempimento che permane consiste nell'invio al lavoratore dell'informativa sulla sicurezza la quale, al fine di rendere ancora più snella e semplificata la procedura, può essere quella resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro.

L'obbligo di informativa, sempre in un'ottica di semplificazione, può essere assolto in via telematica. L'assenza di ulteriori specificazioni a riguardo lascia intendere che la trasmissione può avvenire semplicemente per mezzo di posta elettronica.

Gli interventi correttivi aprono la strada ad alcuni interrogativi. In particolare, abbiamo già avuto modo di analizzare che l'art. 18, comma 1l. n.81 del 2017 ha definito il lavoro agile come una modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato, da svolgersi in parte all'interno e in parte all'esterno dei locali aziendali. Nella situazione attuale, tale principio di alternanza verrebbe senz'altro meno, al punto da chiedersi se non appaia di più immediato impiego il ricorso al telelavoro, come disciplinato dall'Accordo interconfederale del 9 giugno 2004, con il quale l'attività lavorativa viene regolarmente svolta al di fuori dei locali aziendali [M. MENEGOTTO, 2020, 4]. Tuttavia, non è da escludere che il lavoratore agile, anche nel contesto attuale, possa essere chiamato a svolgere la sua prestazione presso i locali aziendali (nel rispetto delle necessarie misure di prevenzione) realizzandosi così l'alternanza prevista dalla legge.

Un altro interrogativo emerge se si considerano le conseguenze derivanti dalla mancanza di accordo. In particolare, se la disciplina generale prevede che sia rimessa all'accordo tra le parti la definizione delle modalità in cui rendere la prestazione agile, la sua assenza farebbe venir meno la fonte primaria nella quale rinvenire il modo in cui si esplica il lavoro.

Molte aziende non erano preparate. Cosa fare?

L'emergenza Coronavirus e la conseguente necessaria attivazione di modalità di lavoro smart hanno colto molte aziende impreparate. Difatti, se si considera lo smart working non solo come una diversa modalità di espletamento della prestazione lavorativa, ma come frutto di un processo di riorganizzazione del lavoro molto più strutturato, appare evidente come una grande percentuale delle imprese del nostro territorio si sia trovata a fare i conti con un approccio al lavoro totalmente sconosciuto.

Questa inesperienza e mancanza di consapevolezza può far sì che l'introduzione del lavoro agile si risolva in un banale (e antico) “lavoro da casa” realizzato senza alcuna reale innovazione organizzativa e culturale che lo strumento comporta se applicato correttamente [TIRABOSCHI 2020, 2].

Nonostante i recenti decreti ministeriali abbiano facilitato il ricorso al lavoro agile, i datori di lavoro che non avevano ancora mai introdotto lo smart working in azienda si trovano ad affrontare situazioni del tutto nuove e spesso di non facile gestione. Essi si trovano quindi oggi nella condizione di dover reinventare la propria organizzazione del lavoro.

Nonostante il venir meno dell'obbligo di stipula dell'accordo tra le parti che, si ripete, nella disciplina generale del lavoro agile rappresenta la fonte primaria di accesso a tale modalità di lavoro, si ritiene utile la predisposizione di una informativa rivolta ai lavoratori coinvolti. Tale informativa sarebbe finalizzata a colmare il vuoto lasciato dall'assenza dell'accordo e, quindi, a fornire una più puntuale specificazione delle modalità in cui rendere la prestazione agile.

Tale informativa non sarà evidentemente finalizzata a regolare la modalità di lavoro con riguardo al luogo che, presumibilmente sarà il domicilio del lavoratore (o altro luogo nel caso di una dovuta assistenza ad un familiare), quanto piuttosto a regolare ulteriori e delicati aspetti, quali ad esempio il diritto alla disconnessione o il corretto utilizzo della strumentazione tecnologica.

Con riguardo al primo aspetto, appare auspicabile che al lavoratore, pur essendo egli in una condizione in cui è potenzialmente sempre disponibile al lavoro, venga garantito il suo diritto ad un effettivo riposo. La stessa l. n. 81 del 2017 garantisce all'art. 19 che «l'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro». A tal proposito, in assenza di accordo, potrebbe essere utile una specifica all'interno dell'informativa che circoscrive lo svolgimento dell'attività lavorativa esclusivamente all'interno dell'orario di lavoro normalmente svolto in azienda. Di conseguenza è in tale orario che il lavoratore dovrà rendersi reperibile e disponibile all'esercizio delle sue mansioni. In quest'ottica, le aziende potranno anche dotarsi di sistemi di comunicazione voip che consentono di essere raggiungibili direttamente sullo smartphone tramite una deviazione dal numero aziendale e le cui impostazioni sono modulabili a seconda delle esigenze e degli orari svolti, favorendo così la disconnessione.

Ulteriori considerazioni possono essere fatte partendo dall'analisi delle principali criticità del lavoro agile riscontrate nell'ambito delle ricerche effettuate nel 2019 dall'Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano. Tra le principali criticità percepite dalle aziende pare esservi una non facile gestione delle urgenze, una capacità di utilizzo delle tecnologie non sempre ottimale e una certa difficoltà nella pianificazione delle attività. In tal senso, l'innovazione tecnologica - su cui oltretutto è basato il contesto generale in cui il lavoro agile emerge - può senz'altro garantire una migliore gestione di tali criticità attraverso, ad esempio, una più efficiente progettazione delle attività. Sono infatti disponibili software gestionali, ovvero strumenti di project management, utili alla pianificazione, organizzazione, comunicazione e condivisione di informazioni e documenti. Essendo tali strumenti cloud based sono facilmente fruibili in modalità smart.

Un ulteriore profilo di rilievo pratico attiene alle comunicazioni da effettuare attraverso il Portale Servizi Lavoro del sito Cliclavoro che, già previste nella disciplina generale, restano obbligatorie. Per agevolare l'attività delle imprese è necessaria una comunicazione telematica che contenga una dichiarazione di avviso di attivazione dello smart working da parte del datore di lavoro ed una bozza di comunicazione destinata al lavoratore. Sembrerebbe però che la procedura non consenta di inviare comunicazioni di modifica o di annullamento. Tuttavia, un dubbio permane circa le tempistiche da rispettare per adempiere al suddetto obbligo. La normativa in materia o le circolari attuative non ha mai fatto chiarezza su questo aspetto; appare tuttavia consigliabile inviare tali comunicazioni nei 5 giorni successivi all'attivazione dello smart working.

In ultima istanza e con particolare attenzione alla tutela del lavoratore sarebbe auspicabile realizzare una informativa sulla sicurezza che presenti il più possibile carattere di specificità, assolvendo così in maniera più dettagliata all'obbligo previsto dai recenti interventi correttivi.

Tali accorgimenti, a parere di chi scrive, potranno agevolare la gestione dello smart working in risposta alle esigenze emergenziali. Questo è valido ancor di più per le aziende che, per poca propensione al cambiamento o semplicemente per scetticismo, non si erano mai attivate per l'introduzione di tali modalità di lavoro.

In conclusione, se non tutto il male vien per nuocere e con uno sguardo di speranza verso il futuro, sarebbe auspicabile che le aziende possano, a prescindere dall'emergenza, avvicinarsi con più coraggio allo smart working adattandolo ciascuno alle proprie esigenze e peculiarità. In altri termini, chissà se proprio il Coronavirus non costringa le aziende a fare di necessità virtù, accelerando un'evoluzione che altrimenti sarebbe stata più lenta [ICHINO 2020].

Riferimenti bibliografici.

G. PROIA, L'accordo individuale e le modalità di esecuzione e di cessazione di lavoro agile, in L. FIORILLO-A. PERULLI (a cura di), Il Jobs Act del lavoro autonomo e del lavoro agile, Torino, 2018.

M. MENEGOTTO, Coronavirus: trasferte, lavoro agile e telelavoro, in Bollettino ADAPT, n. 7, 17 febbraio 2020.

M. TIRABOSCHI, Un contributo alla gestione delle problematiche giuslavoristiche della emergenza da Coronavirus, in Bollettino speciale ADAPT, n. 2, 27 febbraio 2020.

P. ICHINO, Se l'epidemia mette le ali allo smart working, in https://www.lavoce.info/archives/63816/se-lepidemia-mette-le-ali-allo-smart-working, 2020.

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