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Lavoro 24.03.2020

Attivazione del lavoro agile e poteri datoriali nella decretazione emergenziale

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Le condizioni di attivazione del lavoro agile nella decretazione emergenziale: norme di riferimento.

L'emergenza sanitaria in corso ha rivelato un potenziale ancora inespresso del lavoro agile: quello di strumento organizzativo elastico e rapidamente attuabile, e quindi idoneo a garantire la continuità produttiva a fronte di pubbliche calamità ed altri eventi imprevedibili. Si tratta di un potenziale che la contrattazione collettiva aveva già valorizzato: ad esempio, a seguito del crollo del Ponte Morandi di Genova e delle gravi ripercussioni prodotte da tale disastroso avvenimento sulla viabilità del capoluogo ligure, Leonardo spa e le rappresentanze nazionali di Fim, Fiom e Uilm hanno sottoscritto il 12 settembre 2018 un'intesa (https://www.fismic.it/wp-content/uploads/2018/09/Verbale-di-Accordo-Leonardo-.pdf) che, in deroga all'accordo sindacale del 10 aprile 2018, ha esteso transitoriamente a tutti gli addetti del sito genovese la possibilità di accedere allo smart work, previa verifica della praticabilità tecnica della connessione da remoto, per un massimo di dieci giornate al mese, allo scopo di «limitare i disagi sofferti dai dipendenti, di contribuire al decongestionamento del traffico urbano ed al contempo di garantire il regolare proseguimento delle attività produttive».

È tuttavia innegabile che solo con la recente decretazione d'urgenza scaturita dall'allarme COVID-19, e con i relativi provvedimenti d'attuazione, tale duttilità funzionale abbia assunto un rilievo sistematico, al punto da lasciar presagire che dopo il ritorno alla normalità l'istituto possa essere oggetto di un ripensamento complessivo.

Il dispositivo tecnico mediante cui il legislatore dell'emergenza ha liberato il suddetto potenziale è la formula, ripetuta in modo pressoché invariato a partire dal d.P.C.M. 23 febbraio 2020, art. 2, che consente di ricorrere a questa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa con riferimento «ad ogni rapporto di lavoro subordinato» e «anche in assenza degli accordi individuali» previsti nella fonte ordinaria di disciplina del lavoro agile, ovvero gli artt. 18 ss. l. n. 81 del 2017.

Nell'interpretazione prevalente tra i primi commentatori [BINI, 2020; RUSSO 2020], le formule suddette varrebbero a costituire in capo al datore di lavoro un vero e proprio potere unilaterale di instaurazione del lavoro agile, da intendersi, a quanto sembra, come specifica declinazione del suo potere direttivo. Si tratta di un'interpretazione dagli effetti dirompenti, suscettibile di travolgere l'impostazione primigenia dell'istituto; e tuttavia non condivisibile, come si cercherà di argomentare, tanto sul piano sistematico quanto, soprattutto, su quello teleologico.

La funzione del lavoro agile nel sistema delle misure di contrasto al COVID-19.

È proprio dalla ratio dei provvedimenti governativi che occorre prendere le mosse ai fini di una corretta interpretazione del loro contenuto precettivo. Infatti, la imponente stratificazione normativa in materia di lavoro agile accumulatasi nelle ultime settimane presenta – né poteva ragionevolmente essere altrimenti date le circostanze – una formulazione a tratti imprecisa, al pari della disciplina-madre [RICCIO, 2017], suggerendo di non affidarsi alla sola esegesi letterale.

In questo senso, si possono preliminarmente porre in evidenza due circostanze. In primo luogo, che la funzione dell'istituto in parola nel quadro della decretazione emergenziale si è evoluta nel tempo, adattandosi alle differenti misure di contenimento scandite dal Governo a mano a mano che la diffusione del COVID-19 si espandeva oltre i primi focolai del Nord Italia. In secondo luogo, che da nessuno dei numerosi decreti governativi è ricavabile l'intenzione di collegare in modo univoco,  e soprattutto esclusivo, l'allentamento dei vincoli all'utilizzo del lavoro agile ad un interesse tipicamente datoriale, quale potrebbe essere l'efficace assolvimento dei propri obblighi di prevenzione dei rischi nell'ambiente di lavoro, che giustificherebbe l'esercizio da parte di costui del potere di allontanare i lavoratori dai locali dell'azienda anche attraverso l'imposizione del lavoro da remoto.

Scendendo in maggiore dettaglio, si osserva che in un primo momento, corrispondente all'emanazione del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito in l. 5 marzo 2020, n. 13) e del d.P.C.M. 23 febbraio 2020, l'attivazione agevolata del lavoro agile si offre in funzione di garanzia della continuità delle attività lavorative nei comuni e nelle aree per le quali le autorità competenti ne abbiano disposto la sospensione, nonché per gli abitanti di detti comuni o aree che svolgano la propria attività al di fuori di esse (cfr. art. 1, comma 2, lett. o, d.l. n. 6 del 2020, a mente del quale detti provvedimenti restrittivi operano «salvo specifiche deroghe, anche in ordine ai presupposti, ai limiti e alle modalità di svolgimento del lavoro agile, previste dai provvedimenti di cui all'articolo 3»), ponendosi così, in particolare nella seconda delle ipotesi menzionate, anche a supporto di esigenze personali dei lavoratori non direttamente coincidenti con quelle dell'impresa.

Successivamente, con il d.P.C.M. del 25 febbraio 2020, detta corsia preferenziale diviene applicabile in sei Regioni del Nord Italia anche all'esterno delle c.d. «zone rosse», integrando così ulteriori funzioni a cui non sono estranee coloriture pubblicistiche. In particolare, oltre alla indiscussa finalità di prevenzione del contagio nei luoghi di lavoro, essa appare ricollegabile anche ad un più generale obiettivo di tutela della salute pubblica rispetto a situazioni di pericolo che potrebbero derivare dall'assembramento dei lavoratori sui mezzi di trasporto. Inoltre, in tale quadro il lavoro agile si configura quale strumento idoneo a fronteggiare i carichi di cura familiare determinati dalla chiusura degli istituti scolastici, disposta dalle autorità territoriali anche al di fuori dei principali focolai di contagio.

A dimostrazione di tale polifunzionalità depone il tenore testuale del citato d.P.C.M., il cui art. 2 dichiara applicabile il lavoro agile «per i datori di lavoro» delle Regioni interessate dal provvedimento e «per i lavoratori» ivi residenti o domiciliati, ancorché esercitino la propria attività in altri territori. Non sembra dunque casuale che negli stessi giorni, il 26 febbraio, la direttiva n. 1/20 del Ministro della Pubblica Amministrazione (http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/26-02-2020/direttiva-n1-del-2020) abbia esortato le amministrazioni a favorire «modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa» - espressione nella quale non può non rientrare anche il lavoro agile, pur oggetto nello stesso documento di uno specifico invito a potenziarne il ricorso tramite l'individuazione di «modalità semplificate e temporanee di accesso» - identificando una platea di destinatari privilegiati di simili misure di favore nella quale figurano «i lavoratori portatori di patologie che li rendono maggiormente esposti al contagio, i lavoratori che si avvalgono di servizi pubblici di trasporto per raggiungere la sede lavorativa, i lavoratori sui quali grava la cura dei figli a seguito dell'eventuale contrazione dei servizi dell'asilo nido e della scuola dell'infanzia».

Con l'art. 4, comma 1, lett. ad.P.C.M. 1° marzo 2020 la misura agevolativa viene estesa all'intero territorio nazionale, senza tuttavia che da tale modifica possa inferirsi uno scostamento dal solco tracciato dai provvedimenti anteriori. Il fatto che la norma dichiari applicabile il lavoro agile «dai datori di lavoro», superando il precedente riferimento ai lavoratori, trova spiegazione nella portata ormai generale del campo applicativo della nuova disciplina, che rende superflua la distinzione prima operata.

I tre successivi d.P.C.M. dell'8, 9 e 11 marzo 2020, leggibili in combinato disposto in quanto le norme dettate dall'ultimo in subiecta materia risultano complementari e non incompatibili con le previsioni dei primi due, segnano invece un ulteriore stadio dell'evoluzione funzionale del lavoro agile nella decretazione di emergenza. Essi introducono, com'è noto, il c.d. lockdown: una serie di stringenti limitazioni alla libertà personale di circolazione, efficaci salvo proroghe fino al 3 aprile 2020, cui fanno eccezione, tra gli altri, gli spostamenti motivati da «comprovate esigenze lavorative». In tale contesto l'applicazione del lavoro agile, di cui si raccomanda il «massimo utilizzo» (art. 1, n. 7, lett.a, e n. 10, d.P.C.M. 11 marzo 2020), sempre in base alle modalità semplificate ribadite dall'art. 2, comma 1, lett. r, d.P.C.M. 8 marzo 2020, viene a configurarsi alla stregua di un obbligo congiunto di imprese e lavoratori, riconducibile ad un generale principio di precauzione. In altri termini, lo spostamento motivato da esigenze lavorative potrà ritenersi giustificato (o, se si preferisce, le esigenze si riterranno «comprovate»), in conformità al principio dell'«#IoRestoaCasa» cui si ispira il provvedimento, laddove si dimostri che la prestazione lavorativa non era eseguibile altrimenti. Questo profilo è stato ben colto dalla Regione Lombardia, che nella campagna informativa intrapresa a seguito dell'entrata in vigore del lockdown ha indicato come l'esenzione dal divieto di spostamento operi «Per le normali attività lavorative che non possono essere svolte in smart working» (https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/DettaglioRedazionale/servizi-e-informazioni/cittadini/salute-e-prevenzione/Prevenzione-e-benessere/red-coronavirusnuoviaggiornamenti).

 

Conseguenze operative dell'interpretazione proposta.

La più recente evoluzione funzionale impressa al lavoro agile avvicina quindi significativamente alla sfera obbligatoria del lavoratore lo svolgimento della prestazione secondo la modalità in argomento. Non per questo, tuttavia, l'operazione compiuta dal legislatore dell'emergenza si deve leggere alla stregua di un deferimento dell'individuazione di detta specifica modalità solutoria alla scelta unilaterale del datore.

Si deve considerare in proposito che i decreti da ultimo citati, nell'identificare le misure alternative allo spostamento motivato da «comprovate esigenze lavorative», contemplano sempre opzioni diverse dalla fruizione del lavoro agile, stabilendo in particolare che «siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva» (art. 1, n. 7, lett. b, d.P.C.M. 11 marzo 2020). Si tratta di opzioni che, pur essendo oggetto di raccomandazioni o prescrizioni rivolte prioritariamente al datore di lavoro (oltre alla norma appena citata, cfr. art. 87, comma 3, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. Decreto «Cura Italia», a mente del quale le pubbliche amministrazioni, laddove non sia possibile ricorrere al lavoro agile, «utilizzano gli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva») sovente richiamano l'esercizio di un diritto potestativo del lavoratore, come nel caso dei congedi e dei permessi (inclusi quelli speciali introdotti dagli artt. 23, 24 e 25 d.l. n. 18 del 2020), e come tali risultano incompatibili con un'interferenza datoriale praticata attraverso modalità coercitive. Pertanto, se il lavoratore rimane in linea di principio partecipe, attraverso l'esercizio della propria volontà, della scelta circa l'adozione di misure organizzative che consentano di limitare gli spostamenti delle persone senza precludere la continuità dell'attività aziendale, non si vede perché tale compartecipazione non debba essere mantenuta anche con riferimento all'attivazione del lavoro agile.

In senso favorevole ad una condivisione delle decisioni organizzative di gestione dell'emergenza sanitaria si esprime, del resto, il «Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro» (https://www.cisl.it/attachments/article/15466/Protocollo.pdf) sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali il 14 marzo 2020, che al punto 8 («Organizzazione aziendale») prevede che le misure preventive – chiusura dei reparti non adibiti alla produzione, rimodulazione dei livelli produttivi, utilizzo dello smart work, della banca ore, delle ferie ecc. – siano adottate dall'azienda mediante intese con le rappresentanze sindacali.

In definitiva, un assetto più ragionevole e rispettoso delle caratteristiche intrinseche degli istituti coinvolti sembra essere il seguente: ferma restando la possibilità del prestatore di astenersi dal lavoro ricorrendo agli istituti sospensivi del rapporto, quest'ultimo e il datore hanno il dovere di concordare, laddove ciò sia tecnicamente possibile, una modalità di svolgimento della prestazione alternativa alla presenza nel luogo di lavoro (rectius il lavoro agile); solo nell'ipotesi in cui detta modalità non sia realizzabile, saranno giustificati alla stregua di «comprovate esigenze lavorative» gli spostamenti effettuati per raggiungere il luogo di lavoro, fatta salva, in quest'ultimo caso, la facoltà datoriale di sospendere l'attività produttiva, anche alla luce della valutazione dell'effettiva possibilità di salvaguardare la sicurezza dell'ambiente di lavoro attraverso l'utilizzo di dispositivi di protezione individuale o altre misure di prevenzione.    

Cosa significa, dunque, applicare il lavoro agile «a ogni rapporto di lavoro» e «anche in assenza degli accordi individuali» previsti dagli artt. 18-23 l.n. 81 del 2017? Si ritiene che la prima espressione valga a rendere inefficaci le clausole dei contratti collettivi applicabili allo specifico rapporto che, come si verifica in numerosi accordi aziendali, possano limitare la fruizione del lavoro agile in ragione di elementi quali l'anzianità di servizio e la tipologia contrattuale in essere. Quanto all'accordo individuale evocato nei decreti presidenziali, esso non corrisponde all'elemento sostanziale del consenso negoziale, bensì identifica un dato formale, ossia il documento redatto per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova (art. 19 l.n. 81 del 2017), cui è demandato il compito di definire soluzioni «tailor made» che riflettano specifici assetti di interesse su determinate questioni attinenti alla gestione del rapporto [SPINELLI, 2018]. Con la conseguenza che, come è stato correttamente rilevato [BINI, 2020], in assenza di tali specificazioni la disciplina applicabile nel regime emergenziale riguardo a questioni quali, ad esempio, l'orario di lavoro, i controlli e il potere direttivo, sarà ricostruibile unicamente alla stregua delle scarne norme legislative. In altri termini, l'effetto dei decreti governativi non è quello di sovvertire i fondamenti concettuali dell'istituto del lavoro agile, ma quello più circoscritto di semplificare e velocizzare sul piano formale l'avvio di tale modalità di esecuzione del rapporto in conformità alle esigenze dettate dalla eccezionale situazione esterna.

La consensualità appare invero un elemento ontologico del lavoro agile, la cui centralità «nevralgica» nell'impianto dell'istituto [CUTTONE, 2017; MARTONE 2018] è tale da farlo assurgere a principio, e in quanto tale ne impone l'osservanza anche ai sensi dei decreti emergenziali. Il consenso del lavoratore, inteso come manifestazione affermativa di volontà, non può infatti essere eluso a fronte della definizione di taluni aspetti pratici concernenti la fase attuativa della prestazione agile, quali l'uso di risorse proprie del lavoratore - ad esempio la connessione telematica, i cui costi sono solitamente imputati al prestatore - e la stessa individuazione del luogo, che spetta univocamente a quest'ultimo, potendo il datore eventualmente, ma non necessariamente, approvare la scelta operata  [RICCIO, 2017].

Così interpretata, la complessa normativa emergenziale appare idonea a garantire un equilibrio accettabile tra molteplici finalità: la responsabilizzazione dei cittadini (anche nelle loro vesti di datori e prestatori di lavoro), il mantenimento di margini di scelta in capo al lavoratore riguardo alle modalità di esecuzione della propria prestazione lavorativa e la necessità di una composizione di interessi, ancorché effettuata in modo pragmatico e condizionata dal preminente  interesse generale. In questo senso, tuttavia, appare criticabile la previsione, contenuta all'art. 63 d.l. n. 18 del 2020, di un premio economico da corrispondere ai lavoratori, rapportato al numero di giornate svolte nella propria sede di lavoro nel mese di marzo 2020. Tale disposizione, consentendo di monetizzare l'esposizione al rischio di contagio, introduce infatti un fattore turbativo del delicato equilibrio anzidetto.

 

Riferimenti bibliografici.

S. BINI, Lo smart working al tempo del coronavirus. Brevi osservazioni, in stato di emergenza, in Giustiziacivile.com, 17 marzo 2020;

M. CUTTONE, Oltre il paradigma dell'unità di luogo tempo e azione: la revanche dell'autonomia individuale nella nuova fattispecie di lavoro agile, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D'Antona” - Collective Volumes, n. 6, 2017, 47;

M. MARTONE, Lo smart working nell'ordinamento italiano, in Dir. lav. merc., 2018, 293;

A. RICCIO, L'accordo di lavoro agile e il possibile ruolo della certificazione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D'Antona” - Collective Volumes, n. 6, 2017, 61;

M. RUSSO, Emergenza lavoro agile nella P.A., in Giustiziacivile.com, 17 marzo 2020;

C. SPINELLI, Tecnologie digitali e lavoro agile, Bari, 2018.

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