Un Natale in marcia per la giustizia

19.12.2013

Un Natale in marcia per la giustizia

Di Desi Bruno

Garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna

 

Anche la Garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna, Desi Bruno, aderisce alla III^ Marcia di Natale per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà che si svolgerà a Roma il giorno di Natale a partire dalle ore 10 (con percorso previsto da San Pietro a Palazzo Chigi).

Si tratta di un’iniziativa trasversale, che vedrà impegnato il Comitato promotore insieme a svariate personalità della politica, del terzo settore, del volontariato, dell’avvocatura e del sindacato (tra cui il Si.Di.Pe.: Sindacato Direttori Penitenziari).

L’iniziativa risulta particolarmente opportuna: proprio in questi giorni il Ministro Cancellieri sta presentando al Consiglio dei Ministri l’ennesimo pacchetto di riforme che dovrebbe consentire di ridurre il numero complessivo dei detenuti presenti negli istituti di pena italiani, leggermente in calo dalla scorsa estate ma non in maniera significativa.

Due, fondamentalmente, le misure proposte: innalzamento a 75 giorni di liberazione anticipata ogni singolo semestre di pena scontata (in luogo dei 45 attuali) e possibilità di concedere la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali quando mancano 4 anni di pena ancora effettivamente da scontare (in luogo degli attuali 3).

Accanto a queste misure, il Ministro intende proporre il ricorso all’utilizzo del braccialetto elettronico e finalmente mettere mano all’istituzione di un Garante nazionale dei diritti dei detenuti, onere a cui l’Italia non può sottrarsi dopo aver ratificato – con la legge n°195/2012 – il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.

Queste novità legislative, seppur auspicabili, non sarebbero comunque in grado di fronteggiare, da sole, la conclamata emergenza carceraria.

Si parla di circa 3.000 detenuti che dovrebbero uscire per effetto di queste riforme: troppo pochi, se si pensa che attualmente sono circa 18.000 quelli eccedenti rispetto alla capienza regolamentare degli istituti.

Custodia cautelare, tossicodipendenza, immigrazione e carenza di risorse restano nodi ineludibili della questione carceraria, che richiedono necessariamente riforme strutturali.

Troppo spesso l’utilizzo della custodia cautelare continua ad essere una vera e propria anticipazione di pena, con buona pace della presunzione di non colpevolezza: questo è un tema nodale, che richiede certo modifiche normative (soprattutto per restringere le ipotesi di reato che consentono la privazione della libertà personale in corso di indagini e per porre limiti all’emanazione dei provvedimenti de libertate a distanza anche di anni dalla commissione del reato), ma soprattutto occorre un diverso approccio al tema della custodia cautelare, che già con la normativa vigente potrebbe essere di molto contenuta. Attualmente conosciamo una percentuale di detenuti non definitivi che supera il 40% della popolazione detenuta, anomalia tipicamente italiana alla quale bisogna mettere un freno.

Per quanto riguarda la presenza massiccia di persone tossicodipendenti in carcere (circa il 25% della popolazione carceraria in percentuale pressoché costante da molti anni), il tema richiede un piano straordinario, normativo ma soprattutto di predisposizione di risorse.

Salvo in casi di assoluta eccezionalità, persone che comprovatamente presentano problemi di tossicodipendenza non devono entrare in carcere: o, quantomeno, devono essere collocate altrove il prima possibile.

Occorrono strutture a disposizione già al momento dell'arresto ed è altresì fondamentale la possibilità di ricorrere ai servizi territoriali già nella fase delle indagini, prima ancora che nella fase di cognizione e in quella dell’esecuzione.

Inoltre, occorre dare effettiva concretizzazione a quelle disposizioni dell’ordinamento penitenziario che prevede sezioni di custodia attenuata per le persone tossicodipendenti, mai veramente realizzate se non in proporzioni modestissime.

Certo si può lavorare sul dato normativo: ma prima ancora è indispensabile assicurare il diritto alla cura, condizione imprescindibile per realizzare un effettivo abbassamento della recidiva.

Altro nodo è certamente rappresentato dall’immigrazione.

Serve, da tempo, una riforma della legge Bossi-Fini: le novità introdotte a seguito dell’entrata in vigore della "direttiva rimpatri" 2008/115/CE di fatto non hanno risolto il problema.

Se il reato di immigrazione clandestina di per sé non è in grado di portare nessuno in carcere (perché alla sua commissione è collegata un’ammenda), la riscrittura delle leggi sull’immigrazione si impone perché indubbiamente realizza effetti criminogenetici.

Un problema che è – e rimane – estremamente complesso perchè deriva in gran parte dalle condizioni di miseria e sofferenza di molte persone in fuga da situazioni di estrema povertà e guerra.

In un’ottica di riduzione del danno si potrebbe ampliare l’istituto dell’espulsione, eliminando incomprensibili preclusioni giuridiche e accompagnando con forme di "rimpatrio assistito" gli stranieri nel loro Paese, laddove possibile: ovvero stringendo accordi con altri Stati che spesso non vogliono riaccogliere i propri concittadini.

Per gli stranieri comunitari esistono oggi strumenti giuridici ad hoc affinchè l’esecuzione della pena possa avvenire nei Paesi di provenienza, il cui livello di civiltà giuridica si assume simile al nostro.

Ma per gli stranieri non comunitari la strada spesso invocata di rimandare "tutti a casa a scontare la pena" non può essere praticata.

Oggi questo carcere sempre più povero e sempre più misero, totalmente fuori dai parametri di legalità costituzionale e convenzionale merita doverosamente di essere ridimensionato nei numeri da provvedimenti di clemenza che specificamente dovrebbero prendere la forma della l’indulto (perché l’amnistia aiuta a realizzare le riforme del sistema penale e giudiziario, ma non riduce le presenze in carcere).

Le riforme, pure parziali, degli ultimi anni danno il segno di un qualche ripensamento dell’idea del carcere come sanzione centrale del sistema penale, nonostante i compromessi che spesso avvengono in sede di definizione politica delle stesse.

Bisogna proseguire su questa strada: introdurre anche nell’ordinamento degli adulti l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova e finalmente rivisitare l’ordinamento ispirandosi ai principi di un diritto penale “minimo”.

Ma, nell’attesa, non si può fare finta di niente.

Un provvedimento di clemenza, in questo preciso momento storico, non rappresenterebbe una resa nei confronti del fenomeno criminale: ma una precisa assunzione di responsabilità dello Stato di fronte alla propria incapacità di garantire un livello minimo di dignità delle persone.

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