"Diritto alla terra" anche per i detenuti

10.10.2014

Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna, è intervenuta il 3 ottobre a Ferrara nel corso dell’iniziativa dedicata ai “Diritti alla terra. Coltiviamo nuovi modelli d’azione”, una maratona di due giorni organizzata da Alce Nero e Amnesty International, in collaborazione con l’Internazionale. L’evento – dedicato alla terra, a chi la coltiva e a chi usufruisce dei suoi prodotti – nasce per elaborare alcune proposte operative concrete, attraverso le quali sperimentare ipotesi virtuose di sostenibilità, anche sociale. Desi Bruno, presente tra gli ospiti, ha affrontato il tema concentrandosi sul lavoro penitenziario legato alla produzione delle colture.

In primo luogo, gli Istituti di pena italiani non presentano spazi adeguati per coltivazioni di tipo professionale, perché i progetti di edilizia penitenziaria non hanno mai tenuto davvero in conto questa possibilità. Esistono delle eccezioni, numericamente però non rilevanti. Inoltre, molte delle serre attualmente presenti nelle carceri sono vuote e inutilizzate. Recuperare una dimensione del lavoro legata alla terra sarebbe, invece, estremamente importante: perché “lavoro” è sinonimo di “dignità sociale”, perché “produrre” qualcosa produce benessere nelle persone, perché lavorare la terra significa – per molti, in particolar modo gli immigrati – riprendere contatto con elementi fondamentali della propria storia personale e familiare. Ci sono, però, anche altri aspetti da tenere in opportuna considerazione. Ogni giorno, la spesa prevista per il mantenimento di ogni singolo detenuto ammonta a pochissimi euro, a fronte di un importo complessivo che supera i 120 euro. Il cibo che viene distribuito negli Istituti generalmente è di modesta qualità. Inoltre, poiché la popolazione detenuta è sempre più povera, pochi possono permettersi di acquistare beni alimentari attraverso il cd. “sopravvitto”, in modo autonomo.

 

Per questi motivi, secondo Desi Bruno sarebbe assolutamente auspicabile che i detenuti potessero cucinare e mangiare alimenti da loro stessi prodotti. Specialmente per persone che si trovano in condizione di privazione della libertà personale, è importante che il momento del pasto acquisti anche una certa piacevolezza e che non si riduca alla mera somministrazione delle calorie necessarie a garantire il fabbisogno personale per la mera sopravvivenza. Da questo punto di vista, la produzione in proprio delle materie prime potrebbe davvero rappresentare una novità di rilievo: per impiegare i detenuti in attività lavorative utili e per migliorare la qualità del cibo quotidianamente distribuito. A ben vedere, sostiene in conclusione la Garante, la programmazione degli interventi non è cosa troppo difficile: ben diverso è riuscire a portare avanti le lavorazioni nel lungo periodo. E’ pur vero, però, nell’ultimo anno e mezzo il numero dei detenuti presenti è fortemente diminuito e che questo consente, oggi, di mettere in campo attività prima ingestibili dal punto di vista operativo. La coltivazione della terra è certamente una di queste.

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