Casa di reclusione di Castelfranco Emilia: “Un modello da seguire”
14.12.2022
“Quello di Castelfranco Emilia è un modello virtuoso che mette al centro il lavoro. Grazie al contributo del mondo del sociale, a partire dai volontari, si consente agli ospiti della struttura di acquisire competenze che potranno poi sfruttare all’esterno. È anche un modo per investire sulla sicurezza sociale, per frenare il cosiddetto rischio di recidive, contrastando, inoltre, il pericolo suicidario particolarmente presente nelle strutture di detenzione”.
A evidenziare la valenza del modello organizzativo della casa di reclusione di Castelfranco Emilia, nel modenese, è il garante regionale dei detenuti, Roberto Cavalieri, che, coinvolgendo anche il Centro servizio per il volontariato e la commissione regionale per le Parità e i diritti delle persone, ha voluto portare nella struttura le associazioni di volontariato attive nei penitenziari della regione, da Piacenza a Rimini. “Si tratta -ha sottolineato il garante Cavalieri- di un’occasione, anche formativa, per conoscere il modello organizzativo della casa di lavoro castelfranchese attraverso un confronto con i detenuti e gli internati – reclusi in custodia attenuata che hanno già scontato interamente la pena – impegnati nelle diverse attività. È la prima tappa di un percorso che proseguirà poi a Ravenna e Rimini”.
Alla base del modello di Castelfranco c’è il lavoro come strumento per il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati. All’interno della struttura, e anche all’esterno, infatti, sono presenti spazi, di dimensioni importanti, destinati a diverse attività, a partire dall’impresa agricola (coltivazioni di frutta e verdura, oltra alla produzione di miele), con anche aree dedicate ad allevamenti, che presto dovrebbero arricchirsi di bovini di razza modenese. Sono presenti, inoltre, diversi laboratori: per la produzione di ostie, per la realizzazione artigianale di presepi, per la preparazione di tortellini. Sono predisposte, infine, anche iniziative di formazione, con la possibilità, per fare un esempio, di frequentare la scuola superiore di agraria.
Sul ruolo dell’associazionismo negli istituti di pena interviene il presidente della commissione regionale per le Parità e i diritti delle persone, Federico Amico: “Il lavoro delle associazioni in carcere rappresenta una risorsa indispensabile per tradurre il tempo della pena in quell’orizzonte di risocializzazione promesso dalla Costituzione. Questo ruolo ha bisogno di strategie e approcci che non si possono improvvisare. Al contrario, richiedono idee, concertazione e dialogo fra i diversi soggetti coinvolti”. La giornata di Castelfranco, evidenzia il presidente Amico, “è un’opportunità da cogliere per conoscere un modello positivo incentrato su un progetto di ricostruzione che ha l’obiettivo di garantire un futuro diverso agli ospiti della struttura”.
“È un vero e proprio quartiere di Castelfranco Emilia, con persone che come tutti i cittadini hanno bisogni e diritti. Il nostro modello è quello di una struttura che, attraverso il lavoro, si è voluta aprire all’esterno”, sottolinea poi Maria Martone, la direttrice della struttura, che spiega come gli sforzi degli ultimi anni abbiano garantito per i 77 ospiti, anche grazie al contributo del volontariato, nuove possibilità di lavoro. “Puntare sull’aspetto della professionalizzazione e sul lavoro -ha precisato la direttrice- è un modo concreto per realizzare percorsi di rieducazione. Nel nostro piccolo siamo un’attività d’impresa virtuosa, dato che gestiamo progetti complessi generando posti di lavoro”. La direttrice, infine, ha ricordato che è in progetto l’ampiamento delle attività nella struttura, con l’utilizzo di nuovi spazi, e a breve verrà poi inaugurata una nuova sezione (un reparto detentivo) dedicata ai suoi ospiti.
Sul lavoro che si sta portando avanti a Castelfranco interviene anche il provveditore dell’amministrazione penitenziaria per l’Emilia-Romagna e le Marche, Gloria Manzelli: “L’istituto di Castelfranco Emilia è un unicum nel territorio della nostra regione, con spazi che sono inediti per le nostre realtà penitenziarie. Come amministrazione penitenziaria abbiamo cercato di investire molto sui progetti della struttura e vogliamo poi occupare con nuove attività produttive gli spazi attualmente inutilizzati”. Un modello, conclude, “orientato alla formazione per sviluppare occasioni di lavoro che aiutino detenuti e internati a reinserirsi nel proprio ambito sociale, contrastando anche i rischi di recidiva. Dove si investe in misure alternative, basate sul lavoro, inevitabilmente si abbassa questo rischio: per questo abbiamo bisogno della rete produttiva emiliano-romagnola”.
(Cristian Casali)