Fatti due calcoli sulle rispettive popolazioni, ogni cittadino del Paese più ricco – la Germania – dà a Bruxelles circa 286 euro all’anno (162 euro in più di quanto riceva). Quello più povero – il greco – versa 140 euro ma ne incassa 541, cioè 401 in più. Mentre ogni italiano è in credito verso Bruxelles di circa 39 euro. Errori e contestazioni sono possibili per tutti. Ma chi amministra meglio, ha più speranze di conquistarsi la fiducia di Bruxelles e dunque i suoi fondi. Lo fa capire bene la nostra Corte dei Conti, nella relazione 2018 depositata lo scorso 9 gennaio: «la dinamica degli accrediti dipende, oltre che dalla preassegnazione dei fondi a ciascun Paese nell’ambito della gestione concorrente, anche dalla capacità progettuale e gestionale degli operatori…».
Dopo la Polonia, l’Italia è il Paese Ue cui Bruxelles ha assegnato più soldi. Ma è anche il sestultimo per capacità di spesa: fino allo scorso ottobre abbiamo speso solo il 3% dei fondi disponibili, contro una media europea del 13%. Cosa si rischia? Lo scrive la Commissione Europea: «se una somma stanziata a favore di un dato programma non viene ritirata entro la fine del secondo anno a decorrere dall’approvazione dello stesso, tutte le somme di denaro non versate non saranno più disponibili per quel programma». Ed è il conto che l’Ue sta presentando a Napoli: potrebbe revocare i fondi già stanziati per la linea 6 della metropolitana (98 milioni), e quelle per la via Marina (16 milioni). A rischio anche gli 813 milioni per la Tav. La Corte dei Revisori Ue nel Rapporto 2018 scrive: sulla programmazione 2007/2013 l’Italia ha accumulato 950 milioni di fondi non impiegati e progetti sospesi, e in questo è seconda in Europa dopo la Romania.
Secondo i dati della Commissione , l’89% dei grandi progetti italiani presentati nel 2007-2013 aveva un’insufficiente analisi costi-benefici, il 68% errori di pianificazione o di conoscenza del mercato interno, il 51% insufficiente valutazione dell’impatto ambientale e copertura finanziaria.
Quando non sono tragedie, sono soldi buttati. Nel gennaio 2018 il Tribunale della Corte di Giustizia Ue conferma il taglio di 380 milioni dal totale di 1,2 miliardi del Fondo sociale Ue per la Sicilia. Ecco alcune irregolarità citate dai giudici: «progetti presentati dopo la scadenza dei termini, progetti non ammissibili alle misure per le quali erano stati dichiarati. Spese relative al personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti; consulenti esterni privi delle qualifiche richieste; spese non attinenti ai progetti, spese contabilizzate in modo inappropriato; violazione delle procedure di appalto e di quelle per la selezione di docenti, esperti e fornitori».
Ce la caviamo bene anche con le frodi. Le segnalazioni di irregolarità riguardanti Roma giunte dall’Olaf (l’autorità anti-frode di Bruxelles) sono quintuplicate fra il 2007 e il 2013: solo nel 2017 si è passati da 927 a 1227. Un esempio pittoresco: Val Trompia, maggio 2018, tre allevatori bresciani prendono in affitto pascoli in alta quota per le loro nuove mandrie, mirando a incassare 200.000 euro di fondi Ue della Politica agricola comunitaria. Ma in Val Trompia ci sono anche i carabinieri forestali, che un giorno spediscono un paio di droni a curiosare dall’alto su quei pascoli. Così scoprono che lassù non c’è nemmeno una mucca. I tre bresciani vengono denunciati. Loro, certo, non volevano essere «contributori netti» di Bruxelles.
Ma c’è qualcos’altro, che ci danneggia: «L’Italia non è abbastanza presente a Bruxelles, in tutti i sensi – dice Alessia Mosca, eurodeputata autrice del libro «L’Unione, in pratica: un’Europa a misura d’Italia» –. Spesso non ci siamo ai tavoli più importanti dove si decide, soprattutto nei progetti transnazionali che calamitano i fondi diretti più importanti, dove devi dimostrare di avere un sistema-paese che può stare in un network. Ma non molti nostri politici parlano bene l’inglese o il francese, in più i ministri preferiscono restare nei loro collegi che andare alle riunioni di Bruxelles, dove se invece ci sei, puoi negoziare». In effetti preferiscono parlar male dell’Europa, anche senza conoscerne i meccanismi, dai cortili di casa. E i cortili applaudono.