24 febbraio 2019 - 23:21

Roma - Bruxelles: 36 miliardi di saldo negativo. Chi decide il dare e l’avere?

di Milena Gabanelli e Luigi Offeddu

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L’Italia ha dato molto all’Unione Europea: solo nel 2017, circa 4,4 miliardi in più di quanto abbia ricevuto da Bruxelles. Nel 2016, ha avuto 11,5 miliardi ma ne ha sborsati 13,9. E fra il 2011 e il 2017, ha accumulato in tutto 36,1 miliardi di saldi negativi. Nello sbilancio tra il dare e l’avere, l’Italia arriva quarta, dopo la Germania, il Regno Unito e la Francia. Ma chi decide «quanto» dare e «quanto» avere?
Il «dare» si decide in base ai Trattati da cui è nata l’Unione, firmati da tutti i Paesi. Principio generale: chi sta meglio aiuta chi sta peggio, per favorire la stabilità e la pace sociale dell’Ue. Il bilancio dell’Unione è definito in un piano di 7 anni, rappresenta l’1% del prodotto interno lordo totale dei Paesi membri, ed è sottoposto annualmente all’approvazione dell’Europarlamento, sola istituzione direttamente eletta dai cittadini europei, cioè da noi tutti (nessuno può dire «non c’ero»). Pertanto ogni anno, ogni Stato versa a Bruxelles un contributo basato sul reddito nazionale lordo, su alcuni dazi doganali, su un’aliquota Iva, e così via. Bruxelles a sua volta ricambia erogando i suoi fondi. Se un Paese taglia il suo contributo, come ha minacciato di fare Roma, va incontro al 2,5% di interessi di mora sulla somma dovuta, più lo 0,25% per ogni mese di ritardo.
Piano 2014-2020: assegnati all’Italia 42,7 miliardi

Fatti due calcoli sulle rispettive popolazioni, ogni cittadino del Paese più ricco – la Germania – dà a Bruxelles circa 286 euro all’anno (162 euro in più di quanto riceva). Quello più povero – il greco – versa 140 euro ma ne incassa 541, cioè 401 in più. Mentre ogni italiano è in credito verso Bruxelles di circa 39 euro. Errori e contestazioni sono possibili per tutti. Ma chi amministra meglio, ha più speranze di conquistarsi la fiducia di Bruxelles e dunque i suoi fondi. Lo fa capire bene la nostra Corte dei Conti, nella relazione 2018 depositata lo scorso 9 gennaio: «la dinamica degli accrediti dipende, oltre che dalla preassegnazione dei fondi a ciascun Paese nell’ambito della gestione concorrente, anche dalla capacità progettuale e gestionale degli operatori…».

Nel piano 2014-2020 la Ue ha stanziato a favore dell’Italia 42,7 miliardi che, aggiunti a 30,9 miliardi di co-finanziamento nazionale, prefigurano 73,6 miliardi da investire in programmi di occupazione, crescita, tutela dell’ambiente, agricoltura (sono fondi strutturali, quelli che rappresentano la metà di tutti i finanziamenti europei).
Ottobre 2018: speso solo il 3%

Dopo la Polonia, l’Italia è il Paese Ue cui Bruxelles ha assegnato più soldi. Ma è anche il sestultimo per capacità di spesa: fino allo scorso ottobre abbiamo speso solo il 3% dei fondi disponibili, contro una media europea del 13%. Cosa si rischia? Lo scrive la Commissione Europea: «se una somma stanziata a favore di un dato programma non viene ritirata entro la fine del secondo anno a decorrere dall’approvazione dello stesso, tutte le somme di denaro non versate non saranno più disponibili per quel programma». Ed è il conto che l’Ue sta presentando a Napoli: potrebbe revocare i fondi già stanziati per la linea 6 della metropolitana (98 milioni), e quelle per la via Marina (16 milioni). A rischio anche gli 813 milioni per la Tav. La Corte dei Revisori Ue nel Rapporto 2018 scrive: sulla programmazione 2007/2013 l’Italia ha accumulato 950 milioni di fondi non impiegati e progetti sospesi, e in questo è seconda in Europa dopo la Romania.

Puglia: i 180 milioni Ue non evitano la tragedia

Secondo i dati della Commissione , l’89% dei grandi progetti italiani presentati nel 2007-2013 aveva un’insufficiente analisi costi-benefici, il 68% errori di pianificazione o di conoscenza del mercato interno, il 51% insufficiente valutazione dell’impatto ambientale e copertura finanziaria.

Fra gli esempi di sprechi marcati da burocrazia e incapacità, ce ne sono stati pure di tragici. Nel novembre 2007 Bruxelles approva il Programma di sviluppo regionale della Puglia. Comprende anche il «Grande Progetto» di raddoppio dei 13 pericolosi chilometri di binario unico sulla linea Corato Barletta. Nel febbraio 2008 la Regione Puglia approva le modalità dell’intervento Ue, ma dal 2011 in poi il Programma viene più volte modificato. Nel frattempo al «Grande Progetto» vengono assegnate diverse autorità di gestione e diversi «organismi» per valutare le pratiche amministrative, un intrico di competenze. Il 19 aprile, 9 anni dopo la prima approvazione giunta da Bruxelles e 4 anni dopo l’erogazione di 180 milioni, parte la prima vera gara d’appalto per il raddoppio del binario unico . Troppo tardi. Il 12 luglio 2016, su quello stesso binario, due treni si scontrano: 23 morti, 50 feriti.
Le furbizie siciliane non passano a Bruxelles

Quando non sono tragedie, sono soldi buttati. Nel gennaio 2018 il Tribunale della Corte di Giustizia Ue conferma il taglio di 380 milioni dal totale di 1,2 miliardi del Fondo sociale Ue per la Sicilia. Ecco alcune irregolarità citate dai giudici: «progetti presentati dopo la scadenza dei termini, progetti non ammissibili alle misure per le quali erano stati dichiarati. Spese relative al personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti; consulenti esterni privi delle qualifiche richieste; spese non attinenti ai progetti, spese contabilizzate in modo inappropriato; violazione delle procedure di appalto e di quelle per la selezione di docenti, esperti e fornitori».

Le frodi della Val Trompia

Ce la caviamo bene anche con le frodi. Le segnalazioni di irregolarità riguardanti Roma giunte dall’Olaf (l’autorità anti-frode di Bruxelles) sono quintuplicate fra il 2007 e il 2013: solo nel 2017 si è passati da 927 a 1227. Un esempio pittoresco: Val Trompia, maggio 2018, tre allevatori bresciani prendono in affitto pascoli in alta quota per le loro nuove mandrie, mirando a incassare 200.000 euro di fondi Ue della Politica agricola comunitaria. Ma in Val Trompia ci sono anche i carabinieri forestali, che un giorno spediscono un paio di droni a curiosare dall’alto su quei pascoli. Così scoprono che lassù non c’è nemmeno una mucca. I tre bresciani vengono denunciati. Loro, certo, non volevano essere «contributori netti» di Bruxelles.

I ministri non vanno a negoziare

Ma c’è qualcos’altro, che ci danneggia: «L’Italia non è abbastanza presente a Bruxelles, in tutti i sensi – dice Alessia Mosca, eurodeputata autrice del libro «L’Unione, in pratica: un’Europa a misura d’Italia» –. Spesso non ci siamo ai tavoli più importanti dove si decide, soprattutto nei progetti transnazionali che calamitano i fondi diretti più importanti, dove devi dimostrare di avere un sistema-paese che può stare in un network. Ma non molti nostri politici parlano bene l’inglese o il francese, in più i ministri preferiscono restare nei loro collegi che andare alle riunioni di Bruxelles, dove se invece ci sei, puoi negoziare». In effetti preferiscono parlar male dell’Europa, anche senza conoscerne i meccanismi, dai cortili di casa. E i cortili applaudono.

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