Un architetto nel Rio de la Plata

Carlo Zucchi, reggiano, progettò edifici e piani urbanistici a Buenos Aires e Montevideo. Suo il disegno del Teatro Solís, il più importante dell’Uruguay.

Teatro Solis

 

Quando, nel 2004, le arie più celebri della lirica italiana riecheggiarono nel Teatro Solís riaperto al pubblico, il ricordo dei presenti andò alla sera della prima inaugurazione, il 25 agosto 1856: per il primo vero teatro dell’Uruguay, in una capitale con le strade ancora in terra battuta, fu scelta la musica dell’“Ernani” di Giuseppe Verdi, e le atmosfere romantiche e tragiche del musicista di Busseto si diffusero per il Rio de la Plata.

Furono gli spiriti romantici a spingere verso l’Argentina un gruppo di esuli italiani oppositori della Restaurazione, dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del 1820 e ’21. Carlo Zucchi era stato esiliato dal duca di Modena Francesco IV d’Este per le sue idee liberali. Apparteneva alla setta segreta della “Spilla Nera” ed era stato arrestato nel 1822 durante una retata della polizia al teatro di Reggio Emilia. Il futuro architetto riparò dapprima a Parigi, dove nel 1826 partecipò a riunioni massoniche, e quindi in Argentina. Qui, il governo illuminato e repubblicano di Bernardino Rivadavia, in controtendenza rispetto all’Europa, cercava menti fresche e aperte da inserire nella neonata Università di Buenos Aires. Così, una decina di proscritti italiani, non si sa se tramite la massoneria o contatti diretti con emissari di Rivadavia in Europa, sbarcò sulle sponde del Rio de la Plata. Zucchi era tra questi, forse convinto a varcare l’Oceano dal controverso scrittore napoletano Pietro De Angelis, che da fiancheggiatore di Gioacchino Murat sarebbe diventato, in Argentina, sostenitore della restaurazione di Manuel de Rosas.

Poco dopo l’arrivo in Argentina, gli esuli italiani trovarono un clima cambiato: la fortuna politica di Rivadavia era in declino e il Paese stava scivolando nella guerra civile tra unitari e federali. Gli europei chiamati a favorire il progresso civile e culturale della nazione sudamericana, privati del loro “sponsor”, cercarono di adattarsi alla nuova situazione, come l’ingegnere piemontese Carlo Enrico Pellegrini che, trovatosi senza lavoro, si reinventò pittore, diventando in breve l’affermato ritrattista della buona società porteña.

In precedenza Pellegrini aveva lavorato all’Università di Buenos Aires come esaminatore per la cattedra di disegno, e lì sicuramente incontrò Zucchi e Paolo Caccianiga, docente del corso di disegno. Nel giugno 1828 Zucchi e Caccianiga aprirono una scuola d'arte in calle Potosì, che già ad agosto dovettero chiudere per carenza di iscrizioni. Ma in quello stesso anno Carlo Zucchi aveva iniziato il suo lavoro di ispettore presso il Dipartimento delle opere pubbliche della provincia di Buenos Aires, non si sa in base a quali titoli. Uno dei punti controversi dell’esule reggiano sono, infatti, i suoi titoli accademici, mai esibiti e, perciò, motivo di attacchi da parte di avversari e della stampa. Nelle schede della polizia ducale era indicato come “incisore di rame” e non è noto se davvero abbia studiato, come lui sosteneva, alla Scuola delle Belle Arti di Parigi durante l’esilio in quella città. Zucchi conservò l’incarico di ispettore delle opere pubbliche fino al 1835. Le fonti argentine ci dicono che in quel periodo, grazie alla sua adesione al partito federale e alla protezione del presidente Rosas, realizzò a Buenos Aires numerose opere, come il palazzo arcivescovile, il Pantheon per gli uomini illustri della patria, l’Ospedale Generale, la chiesa di Quilmes, il portale della chiesa di San Miguel, piazza della Vittoria, la chiesa di San José de Flores, il cimitero generale del Nord, e anche scuole per bambini, ponti di legno, bagni pubblici, case private in città e in campagna.

Nel 1836 troviamo Zucchi a Montevideo, dove fu introdotto da Pellegrini. Non sappiamo se a fargli attraversare il Rio de la Plata fu l’avversione alla svolta dittatoriale di Rosas o la scoperta da parte di quest’ultimo, come suggeriscono le malelingue, di una truffa attuata dall’architetto emiliano. E’ certo, invece, che nella capitale dell’Uruguay fu accolto benissimo e che, nei sei anni di lavoro come ingegnere della Commissione topografica e delle opere pubbliche, cambiò il volto della città con numerose realizzazioni architettoniche. L’ambizioso piano della ristrutturazione urbana di Montevideo, a partire dalla centralissima piazza del Mercato (oggi Indipendenza), per mancanza di fondi non fu attuato, se si esclude le costruzioni in stile neoclassico di Casa Gil (ancora oggi visibile nel lato meridionale della piazza) e Casa Juan Francisco Giró, ma impressionò il generale Manuel Oribe e il governo cittadino. A Zucchi fu data la possibilità di costruire numerosi edifici, sia privati sia pubblici, come il Tribunale del Commercio, l’Ospedale Generale, un molo per l’attracco delle navi, lo spazio circostante la tomba del poeta Adolfo Berro e il Teatro Solís, l’opera che più di ogni altra lo ricorda e lo rappresenta, con quella sua facciata neoclassica che riempie armoniosamente il centro urbano.

Del teatro, in realtà, Zucchi realizzò solo il disegno nel 1840: il progetto venne successivamente adattato da Francisco Garmendía e ultimato nel 1856. Ma sua è la cifra stilistica, che con il richiamo alle fonti della cultura classica italiana, suona come un atto d’addio al Nuovo Mondo. In quel periodo, infatti, Zucchi stava meditando il ritorno in Italia. Nella lotta fra colorados e blancos, le due fazioni che si contendevano l’Uruguay, l’emiliano aveva scelto i secondi, stretti intorno al generale Oribe. La vittoria dei primi, comandati dal generale Rivera, lo mise in difficoltà. Zucchi diede le dimissioni dai suoi incarichi, respinte dal nuovo governo. Ma ormai cresceva in lui la voglia di tornare in Italia, alimentata dalla speranza dell’amnistia che il governo austro-ungarico intendeva concedere per i reati politici compiuti negli anni precedenti. Attraverso il nunzio apostolico a Rio de Janeiro, cercò di entrare nella lista degli amnistiati, senza riuscirci. Cominciò allora a frequentare il Brasile e nel 1842 chiese alle autorità di Montevideo una licenza di sei mesi per soggiornare a Rio de Janeiro. La stampa uruguaiana lo attaccò duramente, accusandolo di essere una spia del presidente argentino Rosas e addirittura di essere complice di un presunto furto di denaro di cui era stato incolpato l’amico De Angelis. Grazie a quest’ultimo lavorò anche in Paraguay, dove intentò una causa al ministro Gelly per il mancato pagamento dello studio di fattibilità sulla costruzione della cattedrale di Asunción.

Finalmente, dopo aver partecipato nel 1843 a Rio de Janeiro all’Esposizione di belle arti della locale Accademia con una serie di lavori, s’imbarcò per l’Europa. Si stabilì a Parigi, dove l’editore Bachelier raccolse in un catalogo i suoi «principali progetti composti per ordine dei governi di Buenos Aires e Montevideo», e dove nel 1849 gli fu comunicato l’atto di amnistia del ducato di Modena. Rientrò a Reggio Emilia, la sua città natale, nel maggio di quello stesso anno, e il 9 settembre vi morì, senza sapere che il suo nome sarebbe stato per sempre legato al “suo” Teatro Solís.