Un ombrello per Menelik

Alla fine dell’Ottocento, l’ingegnere romagnolo Luigi Capucci si reca in Africa orientale, entra nelle grazie del Negus, ma viene accusato di spionaggio, condannato a morte, graziato, recluso sull’altopiano etiopico e infine liberato.

 

Il Negus Menelik II

L'avventura di Capucci si situa al tempo della prima penetrazione italiana in Etiopia, iniziata nel 1882 con la proclamazione della sovranità su Assab e poi sull'intera Eritrea.
Il romagnolo muove i primi passi in Africa nel dicembre 1884, quando giunge ad Assab attratto dal miraggio dei commerci e delle esplorazioni. Ha 27 anni ed è ingegnere. Stessi studi e stessa età dell'amico Cicognani, che finanzia la spedizione. “Che si dice di me a Lugo? - scrive Capucci al
padre dalla nave mentre costeggia l'Eritrea -, che sono matto, non è vero? (...) Sono le dieci e mezzo del primo dicembre e voi probabilmente state arrostendovi gli stinchi al fuoco del camino, mentre fuori la brina biancheggia ancora; ed io sono in vista della costa africana, e mi viene voglia di togliermi la giubba perché ho caldo”.
Nel settembre 1885 la carovana abbandona la costa, diretta all'interno dello Scioa seguendo la strada da poco aperta da un altro italiano, il conte Pietro Antonelli. Ma qui cominciano le difficoltà: il ras locale, Mohamed Anfari, vuole una cifra esorbitante per lasciarla passare; inoltre la conquista italiana di Massaua complica la situazione. La carovana ritorna alla costa, sotto la minaccia di Anfari di essere confinata lungo le rive di un fiume in mezzo a zanzare e febbri malariche. Finalmente, trovato un accordo con il sultano Anfari, la comitiva italiana giunge nello Scioa, accolta calorosamente dalla colonia italiana lì residente e anche dal re Menelik, al quale Capucci fa dono di un ricco ombrello ricamato offerto dalla Società africana d'Italia.

Link all'articolo "Un ombrello per Menelik" pubblicato sulla rivista ER n° 3 / 2006