Quel mitico viaggio sull'Amerigo Vespucci

Domenico Ghisoni e Nello Stefani si conobbero sulla nave che li portava a Ushuaia in Patagonia per lavorare con l'impresa Borsari di Bologna. Ma la voglia d'avventura li condusse in Cile.

Ricordo quelle domeniche estive "italiane" di tanti anni fa, trascorse nella casona di Santiago, i mitici incontri di famiglia. Parlo di mia madre e dei suoi fratelli, il primo dei quali, Domenico Ghisoni, emigrò in America subito dopo la guerra, nel 1948. Purtroppo a quei tempi, partì con un biglietto di solo andata. Per me, una ragazzina di pochissimi anni, ogni domenica era una festa: a parte quei grandi pranzi all'italiana, la cosa che mi impressionava di più era ascoltare quando cantavano le loro canzoni, cariche di una nostalgia e passionalità indescrivibili; era il loro modo di ricordare la amata penisola ormai lasciata indietro.

La storia cominciò quando la Ditta Borsari di Bologna mise sotto contratto tanti giovani della regione per lavorare in Argentina, precisamente nella Patagonia. Domenico, che era il più grande dei sette fratelli, e apprendista meccanico, rispose alla chiamata e partì per l'L'arrivo a Ushuaia dei primi 600 italiani, in gran parte bolognesi, nel 1948America. Sulla nave conobbe il mio mitico zio Nello Stefani, di origine bolognese, tornitore di mestiere.

Entrambi giovani e molto coraggiosi, fecero subito amicizia, non separandosi più. Si fermarono dapprima a Ushuaia, in Argentina, dove lavorarono per un paio d'anni come manovali nell'edilizia. Avevano però la curiosità e la voglia di conoscere il Cile, per cui, approfittando delle vacanze, partirono per Punta Arenas, dove, avendo conosciuto l'ospitale collettività italiana locale, si stabilirono per aprirvi un'officina meccanica, una delle prime nella zona, chiamata "Ghisoni e Stefani". Con gli anni riuscirono anche a realizzare un servizio internazionale di autobus, con un itinerario che comprendeva Punta Arenas e Rio Gallegos, collegando il Cile con l'Argentina.

Intanto, poco dopo la partenza di Domenico, in Italia mio nonno moriva di malaria dopo aver combattuto in Libia, lasciando mia nonna con sei figli a carico e senza lavoro. Per questo motivo, nel 1955, la nonna partì con l'intera famiglia per il Cile, tranne le due sorelle maggiori sposate. Da quanto racconta mia madre, che aveva solo dodici anni all'epoca,  quel viaggio sulla nave "Amerigo Vespucci" fu tutta un'avventura: "Era il viaggio verso l'America ambita, non posso più scordare lo sbarco a La Guaira, la prima sosta della nave in Centroamerica, dove incontrammo i cugini e gli amici partiti prima dal nostro paese, che ci accolsero facendoci salire su grosse e variopinte automobili americane. E poi, l'incontro con quell'esotica vegetazione, i palazzi giganteschi, i grattacieli, i primi neri, che impressione! Mia mamma esclamò con una sua compagna di viaggio: "Guardi mo, siora, questi poveretti hanno anche le mani e i piedi neri!... E guardi quante banane, ma che miracolo!....Qui sì che siamo arrivate, siora!"

Domenico e Nello, come la nonna e Giovanni, non ci sono più, ma rimane vivissimo il loro ricordo, e il rispetto per i sacrifici fatti. E la storia non è ancora finita, ci siamo anche noi, la discendenza, non solo per ricordare ciò che è stato, ma per capire due mondi, due realtà completamente diverse entrambe nostre, entrambe amate.

Andrea Morales (Santiago - Cile)