Dal Rinascimento all'età napoleonica
Il Cinquecento si aprì con il consolidamento del dominio pontificio sulla parte orientale della regione. Papa Giulio II, con una serie di offensive militari, conquistò prima le città della Romagna e poi, nel 1506, Bologna. Alla fine del secolo, nel 1597, morì il duca Alfonso d’Este, senza lasciare eredi diretti: lo Stato Pontificio occupò Ferrara e il suo territorio, mentre agli Estensi restò il possesso di Modena e Reggio. Si stabilizzava così, in Emilia-Romagna, un assetto politico destinato a durare, con la sola parentesi napoleonica, fino all’Unità di Italia; il territorio regionale fu suddiviso in tre Stati: il ducato di Parma e Piacenza (creato nel 1545 da papa Paolo III per la sua famiglia: i Farnese), il ducato di Modena, e i possedimenti dello Stato Pontificio (Bologna, Ferrara, la Romagna). Tra i grandi personaggi della cultura che lasciarono traccia in Romagna durante il Rinascimento, significativa fu la presenza di Leonardo da Vinci, che nel 1502 disegnò il progetto del porto-canale di Cesenatico.
Nonostante la stabilità politica, i secoli XVI, XVII e XVIII furono segnati solo per brevi periodi dalla pace. A più riprese la regione venne attraversata dagli eserciti stranieri, con il loro strascico di epidemie e di carestie: l’invasione dei Lanzichenecchi, la guerra dei Trent’anni, le guerre di successione nella prima metà del Settecento. Nelle province dello Stato Pontificio si andò rafforzando la struttura amministrativa centrale: crebbe, di conseguenza, il potere dei rappresentanti del Papa, i cardinali “legati”, da cui deriva il nome di “Legazioni” per i territori di Bologna, Ferrara e Ravenna.
I piccoli ducati di Parma e di Modena, invece, per sopravvivere tra le maggiori potenze utilizzarono la diplomazia. Nel corso del Seicento si assiste alla ristrutturazione edilizia e all’abbellimento delle nuove capitali ducali: nel 1617, a Parma, Ranuccio I Farnese affida a Giovan Battista Aleotti la costruzione del teatro ligneo nel Palazzo della Pilotta, palcoscenico ideale delle fantasiose scenografie barocche; nel 1634, a Modena, Francesco I d’Este fa edificare il Palazzo ducale, destinato a ospitare la sua meravigliosa collezione di opere d’arte).
Nella seconda metà del Settecento, anche nella nostra regione si diffusero le idee dell’Illuminismo, e i tentativi di affrontare con approccio laico e razionale i problemi sociali, politici ed economici. Soprattutto il ducato di Parma, passato nel 1732 alla dinastia francese dei Borbone, sembrò sensibile agli influssi culturali europei, che in politica si tradussero nella lotta contro gli abusi e i privilegi ecclesiastici, e in economia nella modernizzazione dell’industria della seta, della carta e della stampa (a Parma fu attivissimo il grande tipografo Giambattista Bodoni). A Modena molti intellettuali, e fra tutti Ludovico Antonio Muratori, parteciparono direttamente all’attuazione di riforme nel campo della giustizia e dei tributi.
Quando incominciò l’offensiva di Napoleone in Italia, i princìpi di uguaglianza trasmessi dalla Rivoluzione francese erano già molto diffusi nella nostra regione, anche tra i ceti popolari che si ispiravano alle posizioni più radicali dei giacobini. A seguito dell’occupazione militare napoleonica del 1796, a Bologna, Ferrara, Modena e Reggio si formarono dei governi provvisori, che avviarono profonde riforme contro i privilegi feudali e nobiliari. Dall’unione di queste quattro città nacque la Repubblica Cispadana, che nel congresso di Reggio del 7 gennaio 1797 proclamò come proprio simbolo il tricolore verde, bianco e rosso: la futura bandiera italiana. Pochi mesi dopo, per volere di Napoleone, la Repubblica Cispadana entrò a far parte della nuova Repubblica Cisalpina, che si estendeva in tutto il Nord del Paese e che successivamente si chiamerà Repubblica Italiana. Nel 1805 la Repubblica diventò Regno d’Italia, di cui era re Napoleone Bonaparte. Parma e Piacenza, invece, furono annesse direttamente alla Francia.
Dopo i primi entusiasmi per l’ondata rivoluzionaria, nelle popolazioni italiane nacque una forte ostilità verso i francesi, che di fatto avevano il controllo sulla Repubblica e poi sul Regno d’Italia. Il peso delle imposte, la leva militare obbligatoria, il continuo stato di guerra creavano malcontento in tutte le classi sociali. Cominciò quindi ad affacciarsi l’idea di una sollevazione popolare per l’indipendenza e l’unità d’Italia, come si legge nel proclama di Rimini di Gioacchino Murat (era il 30 marzo 1815). Ma il Congresso di Vienna ripristinò l’assetto politico precedente al periodo napoleonico e pose l’Italia sotto il controllo austriaco, rinviando ai decenni successivi l’esito delle aspirazioni patriottiche.
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Documenti scaricabili:
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Paolo Prodi, pagg 81-89 "L'Emilia-Romagna" Teti editore - Ascolta la lettura della scheda (mp3, 6349 kB)
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