L’uomo delle Fær Øer
Gianfranco Contri
Magnetico nord. Ripide coste incise da fiordi. Desolate brughiere. Tormente di acqua e vento. Sfumature di grigio e basalto. Alte scogliere brulicanti di uccelli. Il nord attrae come un esilio, come una malattia, oppure al contrario come una promessa di felicità. E’ un’idea, uno stato d’animo. La sua pallida bellezza, le luci smorzate, la sua quiete favolosa hanno sedotto i temerari.
Era una notte d’agosto del 1982, quella in cui Gianfranco Contri approdò alle Fær Øer, una ventina di isole nell’Atlantico settentrionale, tra l’Islanda e la Norvegia, e oltre 300 km sopra la Scozia. “La prima volta che ho visto le isole dalla nave, in una di quelle notti né completamente buie né luminose, dove le luci dei villaggi emergono dalla semioscurità, me ne sono innamorato”. Gianfranco Contri si definisce “un infatuato del nord”. Come molti marinai, avventurieri, solitari, ha cercato la sua Ultima Thule e l’ha trovata qui, alle Fær Øer. Le ha amate tanto, le “isole delle pecore” - questo il significato del nome -, da restarci dieci anni, impararne la lingua e scrivere il primo dizionario italiano-faroese.
Contri da qualche anno è tornato a vivere nel suo villaggio natale sull’Appennino modenese, Riolunato. “Credo che essere cresciuto in un paesino di montagna mi sia servito per star bene anche nel profondo nord” - dice. “Certo, i rapporti sociali sono diversi rispetto all’Italia, ma luoghi marginali e isolati come le Fær Øer e l’Appennino tosco-emiliano possono avere in comune non si perde la vera misura delle cose. E’ questa sobrietà interiore, questa noncuranza per gli eccessi, che accomuna ”.
La difficile bellezza del nord entra nelle vene emiliane di Contri molto presto.
Questa è la sua storia pubblicata sulla rivista ER.