Auschwitz e la Polonia: una memoria complessa e contesa

L'immediato dopoguerra
Auschwitz, estate 1944. Ingrandimento di una fotografia scattata clandestinamente da un membro del Sonderkommando del Crematorio V. Un gruppo di donne, dopo essersi spogliato all’aperto, sta per entrare nella camera a gas.Negli anni immediatamente seguenti la fine della guerra, il nuovo governo comunista polacco non manifestò particolare interesse per Auschwitz. Pertanto, gran parte delle baracche in legno di Birkenau venne distrutta, per svariati motivi: offrire un riparo di fortuna ai profughi polacchi senza tetto, utilizzare materiale combustibile per riscaldarsi, scavare alla ricerca dei gioielli e dell’oro che gli ebrei (così si diceva) avevano con sé persino nel campo di concentramento. Sempre a Birkenau, la casa colonica denominata Bunker I e adibita a prima camera a gas provvisoria fu occupata dai vecchi proprietari, che sul medesimo luogo eressero una piccola abitazione, senza minimamente tener conto del fatto che, in pratica, la nuova casa sorgeva in mezzo ad una fossa comune. Intanto, l’edificio del Comando tedesco fu trasformato in chiesa cattolica, trascurando il fatto che, a poca distanza, si era consumata la più grande tragedia della millenaria storia di Israele.

Il campo di Primo Levi (Auschwitz III-Monowitz) fu addirittura cancellato, spazzato via e trasformato in un quartiere popolare, destinato ai nuovi operai, polacchi, della gigantesca fabbrica chimica costruita dai tedeschi, nazionalizzata dal nuovo regime e rimasta in funzione fino agli anni Novanta.
La scelta degli spazi per il museo

Quando venne istituito il Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, vennero compiute alcune scelte importanti quanto discutibili. La decisione più significativa fu quella di utilizzare le strutture di Auschwitz I come luogo di memoria di tutta la storia del campo. Pertanto, nelle caserme del campo-base, vennero predisposti numerosi importanti punti di esposizione, in cui il visitatore poteva vedere materiale fotografico e, soprattutto, alcuni plastici di buon livello relativi al processo di sterminio: particolarmente impressionante la grande rappresentazione tridimensionale del funzionamento del Crematorio II (imitata poi da altri musei, come Yad Vashem e l’Holocaust Museum di Washington). Inoltre, fu portata ad Auschwitz I gran parte del materiale proveniente dal Kanada, il vasto quartiere di baracche-magazzino in cui venivano ammassati, divisi per genere (scarpe, occhiali, valigie…), tutti i beni rapinati agli ebrei sulla banchina ferroviaria e negli spogliatoi delle camere a gas. Il risultato fu problematico per varie ragioni: l’interesse del visitatore sprovveduto, infatti, a lungo fu indirizzato e fatto convergere solo su Auschwitz I, mentre i luoghi della memoria specificamente ebraica sono stati a lungo ignorati e di fatto dimenticati. Il caso più clamoroso riguardò la Judenrampe, rimasta nell’abbandono più completo fino al 2005, malgrado la sua importanza storica eccezionale: con la sola eccezione degli ebrei ungheresi, infatti, la grande maggioranza dei deportati scese su quella rampa, e non sulla nuova banchina interna ad Auschwitz II. Quanto alle rovine dei crematori di Birkenau, situati in posizione relativamente lontana dall’ingresso del campo, fino a pochi anni fa non erano raggiunte dalla maggior parte dei visitatori, a causa di una grave carenza nelle indicazioni e nelle informazioni. Anche se, negli ultimi anni, sono stati introdotti vari e importanti cambiamenti, il lavoro di gestione delle diverse memorie, ad Auschwitz, è ancora in larga misura da costruire.

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