Sentenza 291/2012 (ECLI:IT:COST:2012:291)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: QUARANTA - Redattore: NAPOLITANO
Udienza Pubblica del ;    Decisione  del 11/12/2012
Deposito del 19/12/2012;   Pubblicazione in G. U. 27/12/2012  n. 51
Norme impugnate: Art. 6 della legge della Regione Toscana 28/11/2011, n. 63.
Massime:  36788 
Massime:  36788 
Atti decisi: ric. 20/2012

Massima n. 36788
Titolo
Commercio - Norme della Regione Toscana - Esclusione dell'applicabilità della disciplina statale, riproduttiva di norme comunitarie, delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio - Invocazione di "motivi imperativi d'interesse generale" - Violazione dell'obbligo di osservanza dei vincoli comunitari - Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza - Illegittimità costituzionale .

Testo
Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6 della legge della Regione Toscana n. 63 del 2011 perché lo stesso - escludendo l'applicabilità, sul territorio della Regione Toscana, della disciplina delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio, come previste dall'art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, sostanzialmente riproduttivo dell'art. 12 della direttiva CE n. 123 del 2006 - incide sulla concorrenza degli operatori commerciali, difformemente da quanto previsto dal d.lgs. n. 59 del 2010 e dalla sopra ricordata direttiva CE, invadendo così la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela della concorrenza. Infatti la norma impugnata, prevedendo la possibilità di escludere meccanismi e procedure di selezione in forza dell'invocazione astratta di «motivi imperativi d'interesse generale», là dove situazioni oggettive non modificabili determinino l'impossibilità di un'apertura a tutti nel mercato, viene sostanzialmente ad operare in termini anti-concorrenziali perché non consente lo svolgimento dell'attività commerciale in spazi adeguati agli operatori più qualificati, selezionati attraverso procedure che garantiscano la parità di trattamento, evitino qualsiasi tipo di discriminazione e tutelino la libertà di stabilimento.
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Toscana  28/11/2011  n. 63  art. 6

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 117  co. 1
Costituzione  art. 117  co. 2

Altri parametri e norme interposte
decreto legislativo  26/03/2010  n. false  art. 16
direttiva CE  12/12/2006  n. false  art. 12


Pronuncia

SENTENZA N. 291

ANNO 2012


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge della Regione Toscana 28 novembre 2011, n. 63, recante «Disposizioni in materia di outlet ed obbligo di regolarità contributiva nel settore del commercio sulle aree pubbliche. Modifiche alla legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30 gennaio-1° febbraio 2012, depositato in cancelleria il 2 febbraio 2012 ed iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2012 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana.


Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso spedito per la notifica il 30 gennaio 2012 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 2 febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, l’articolo 6 della legge della Regione Toscana 28 novembre 2011, n. 63, recante «Disposizioni in materia di outlet ed obbligo di regolarità contributiva nel settore del commercio sulle aree pubbliche. Modifiche alla legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti)», nella parte in cui inserisce l’art. 29-bis nella legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti.), il quale prevede che per il commercio su aree pubbliche non trovi applicazione l’articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).

1.2.— L’art. 29-bis – prosegue il ricorrente – stabilisce che: «Ai fini del presente capo non trova applicazione l’articolo 16, decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), per motivi imperativi di interesse generale ascrivibili, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera h), del medesimo decreto legislativo, all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, all’incolumità pubblica, al mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, alla tutela dei consumatori».

L’Avvocatura dello Stato, dopo aver ricordato che il d.lgs. n. 59 del 2010 dà attuazione alla direttiva CE del 12 dicembre 2006, n. 123 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al servizio nel mercato interno), riporta anche il testo dell’art. 16 del medesimo decreto legislativo, che, in sostanza, riproduce l’art. 12 della citata direttiva, disponendo che:

«1. Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l ‘imparzialità, cui le stesse devono attenersi.

2. Nel fissare le regole della procedura di selezione le autorità competenti possono tenere conto di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario.

3. L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio.

4. Nei casi di cui al comma 1 il titolo è rilasciato per una durata limitata e non può essere rinnovato automaticamente, né possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorché giustificati da particolari legami con il primo».

2.— Il ricorrente ritiene che la disposizione regionale censurata sia illegittima e si ponga in contrasto con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione.

2.1.— Relativamente alla violazione del secondo comma, lettera e), dell’art. 117 della Costituzione, l’Avvocatura dello Stato rileva che il legislatore regionale, con la norma impugnata, stabilendo che per il commercio su aree pubbliche non trovi applicazione l’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010 ed incidendo, quindi, sulla concorrenza degli operatori commerciali, verrebbe a legiferare illegittimamente in tema di «tutela della concorrenza», materia riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

2.2.— Per il ricorrente, poi, la norma violerebbe anche, l’art. 117, primo comma, della Costituzione, che obbliga il legislatore regionale al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, le autorità competenti, nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività di servizi risulti limitato, hanno l’obbligo di esperire una procedura di selezione tra i candidati, procedura ispirata ad una rigorosa tutela dell’imparzialità e stabilita proprio allo scopo «di garantire la parità di trattamento, impedire la discriminazione e tutelare la libertà di stabilimento – attraverso la predeterminazione e la pubblicazione dei criteri e della modalità di svolgimento della medesima selezione, secondo quanto previsto dalla direttiva europea 2006/l1/23l/».

Allo Stato – aggiunge il Presidente del Consiglio dei ministri – è riservata in via esclusiva tale competenza, poiché è ad esso che è attribuita la funzione di assicurare che il mercato possa funzionare correttamente e che possano sussistere condizioni uniformi di accessibilità ai servizi sul territorio nazionale, come sostanzialmente indicato dall’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010.

Inoltre, sottolinea l’Avvocatura dello Stato, la motivazione che la disapplicazione dell’art. 16 del citato decreto legislativo avvenga per «i motivi imperativi di interesse generale», così come previsto dall’art. 29-bis della legge reg. n. 28 del 2005, non rende legittima la norma regionale censurata, in quanto sia nella normativa statale che in quella europea «i motivi imperativi di interesse generale» rilevano solo ai fini della determinazione delle regole procedurali relative alla selezione dei candidati, ma non inficiano la necessità di assicurare l’imparzialità e la trasparenza riguardanti le autorizzazioni da rilasciare. Queste, infatti, devono essere date secondo criteri e modi che non consentano alcuna maniera alle autorità competenti di favorire, anche indirettamente, il prestatore uscente, con conseguente violazione del principio di parità di trattamento tra i medesimi candidati al rilascio delle autorizzazioni.

Né si potrebbe giustificare – aggiunge il ricorrente – la legittimità della norma impugnata sulla base di quanto disposto dalla legge reg. n. 28 del 2005, in quanto l’assetto previsto da questa ultima appare ormai superato dalle norme della “direttiva servizi” e, pertanto, si rivela inapplicabile.

2.3.— Infine, è da ricordare – a detta del ricorrente – che, per effetto della clausola di cedevolezza, prevista dall’art. 84 dello stesso d.lgs. n. 59 del 2010, le disposizioni in quest’ultimo riportate «si applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della direttiva 2006/11/23lCE adottata da ciascuna regione», la quale, di conseguenza, deve disapplicare le proprie norme che siano in contrasto con quelle stabilite dal più volte citato decreto n. 59 del 2010.

2.4.— Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, il Presidente del Consiglio dei ministri chiede alla Corte costituzionale una declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Toscana n. 63 del 2011, per violazione dell’articolo 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione.

3.— Si è costituita in giudizio la Regione Toscana contestando sia l’ammissibilità che la fondatezza del ricorso statale.

3.1.— La difesa regionale, dopo aver riportato anch’essa il testo dell’articolo 29-bis, come introdotto nella legge reg. n. 28 del 2005 dall’art. 6 della legge reg. n. 63 del 2011, sottolinea come tale disposizione si limiti a definire l’ambito di applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, escludendovi la disciplina delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio, non invadendo in alcun modo la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, ma legiferando nell’ambito della propria competenza esclusiva in materia di commercio.

Del resto, sottolinea la resistente, il dettato dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010 non potrebbe operare nel senso di un totale esautoramento delle competenze regionali in materia di commercio, cosa che avverrebbe nel caso in cui esso si interpretasse come volto a precludere qualsiasi intervento legislativo regionale in materia di disciplina del commercio su aree pubbliche.

3.1.2.— La stessa giurisprudenza costituzionale al riguardo, peraltro, ha affermato che l’intervento del legislatore statale nella materia «tutela della concorrenza» possa essere ritenuto legittimo qualora lo stesso operi entro i limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalità, nella considerazione che tale materia sia da ritenersi materia trasversale, incidente sia su ambiti regionali che statali, dichiarando, pertanto, l’illegittimità costituzionale di norme statali che prevedevano una disciplina così dettagliata da costituire una compressione dell’autonomia regionale non proporzionata rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza (sono citate le sentenze n. 345 e n. 272 del 2004).

Ricorda ancora la difesa della Toscana che, sempre la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 247 del 2010, ha escluso l’illegittimità di una norma regionale che fissava in maniera più restrittiva di quella statale gli ambiti nei quali poter svolgere il commercio itinerante su aree pubbliche, ritenendo che la disposizione non ledesse le regole a tutela della concorrenza, in quanto non introduceva «“discriminazioni fra differenti categorie di operatori economici che esercitano l’attività in posizione identica o analoga”, limitandosi invece a inserirsi “nel diverso solco della semplice regolamentazione territoriale del commercio” ambulante».

Ne consegue che le Regioni possono, al fine di tutelare altri diritti costituzionali, adottare norme particolari in alcuni settori del commercio, così come operato dalla legge reg. n. 63 del 2011 in materia di commercio sulle aree pubbliche.

La legittimità di tale disciplina deriverebbe, altresì, da alcune considerazioni relative alla necessità di garantire la professionalità, la sicurezza pubblica e i diritti del consumatore, diversamente da come avverrebbe nel caso in cui venissero bandite le concessioni di posteggio.

3.2.— Conclusivamente, la difesa regionale chiede che la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata venga dichiarata inammissibile ed infondata.


Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso consegnato per la notifica il 30 gennaio 2012 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 2 febbraio, ha promosso questione di legittimità costituzionale – in riferimento all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione – dell’articolo 6 della legge della Regione Toscana 28 novembre 2011, n. 63, recante «Disposizioni in materia di outlet ed obbligo di regolarità contributiva nel settore del commercio sulle aree pubbliche. Modifiche alla legge regionale 7 febbraio 2005 n. 28 (Codice del Commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti)», nella parte in cui inserisce l’articolo 29-bis nella legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28, il quale prevede che per il commercio su aree pubbliche non trovi applicazione l’articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).

1.1.— Il ricorrente ritiene che la norma impugnata – escludendo l’applicabilità, sul territorio della Regione Toscana, della disciplina delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio, come previste dall’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, sostanzialmente riproduttivo dell’art. 12 della direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al servizio nel mercato interno) – violerebbe il primo comma dell’art. 117 della Costituzione, in relazione alla sopra ricordata direttiva, per inosservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Violerebbe, altresì, il secondo comma, lettera e), del citato art. 117 della Costituzione, poiché, incidendo sull’assetto concorrenziale degli operatori commerciali in modo difforme da quanto previsto dalla normativa statale (attuativa di quella comunitaria), verrebbe ad invadere la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia della «tutela della concorrenza».

2.— La questione è fondata con riferimento ad entrambe le censure.

2.1.— Riguardo alla prima di esse, è da premettere che la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno – seppure si ponga, in via prioritaria, finalità di massima liberalizzazione delle attività economiche (tra queste la libertà di stabilimento di cui all’art. 49 [ex art. 43] del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e preveda, quindi, soprattutto disposizioni tese alla realizzazione di tale scopo – consente, comunque, la possibilità di porre dei limiti all’esercizio della tutela di tali attività nel caso che questi siano giustificati da «motivi imperativi di interesse generale».

2.1.1.— Il d.lgs. n. 59 del 2010 (attuativo della citata direttiva), pertanto, ha previsto, all’art. 14, la possibilità di introdurre limitazioni all’esercizio dell’attività economica istituendo o mantenendo regimi autorizzatori «solo se giustificati da motivi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità, nonché delle disposizioni di cui al presente titolo». La stessa disposizione, tuttavia, fissa i requisiti a cui subordinare la sussistenza di tali motivi imperativi (definiti, peraltro, come «ragioni di pubblico interesse»).

Il legislatore nazionale, all’art.16 del d.lgs. n. 59 del 2010 – in conseguenza di quanto previsto dal sopra ricordato art. 14 – è venuto a regolare la disciplina delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio.

2.1.2.— Il citato art. 16 ha previsto che le autorità competenti – nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato «per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili» – debbano attuare una procedura di selezione tra i potenziali candidati, garantendo «la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi».

Tutto ciò, allo scopo di garantire sia la parità di trattamento tra i richiedenti, impedendo qualsiasi forma di discriminazione tra gli stessi, sia la libertà di stabilimento, conformemente alla citata direttiva 2006/123/CE.

2.1.3.— La disposizione della Regione Toscana censurata dal ricorrente, eliminando, nel proprio ambito regionale, i vincoli e i limiti posti dalla disciplina statale relativamente ai regimi di rilascio di autorizzazioni per avere accesso ad un’attività di servizi, si pone in evidente contrasto con la normativa comunitaria e con quella nazionale attuativa della stessa.

2.2.— L’art. 6 della legge della Regione Toscana n. 63 del 2011, difatti, non introduce una disciplina concorsuale alternativa, ma esclude espressamente proprio l’applicabilità della sopra richiamata normativa comunitaria e nazionale in forza di un generico ed indeterminato richiamo a «motivi imperativi di interesse generale».

Per altro verso, poi, il generico richiamo operato dalla disposizione regionale censurata all’esistenza di non ulteriormente individuati «motivi imperativi», priva la fattispecie astratta di qualsiasi elemento idoneo alla sua specificazione, sostanzialmente lasciando al potere discrezionale della Regione la determinazione delle fattispecie concrete nelle quali gli stessi sarebbero rinvenibili. La Regione ritiene, in sostanza, che i «motivi imperativi di interesse generale» non costituiscano una fattispecie concreta i cui contenuti debbano essere sottoposti ad un rigoroso vaglio di effettività e di proporzionalità, ma siano una sorta di salvacondotto astratto, la cui sola invocazione autorizza l’adozione di normative contrastanti con il disegno di liberalizzazione della direttiva.

2.2.1.— Così operando, la norma impugnata contrasta con la normativa statale e, ancor prima con quella comunitaria cui il legislatore nazionale ha dato attuazione, non solo perché esclude l’applicazione di una disposizione statale attuativa di quella comunitaria e, pertanto, non osserva i vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea in materia di accesso ed esercizio dell’attività dei servizi (in particolare in tema dei residuali regimi autorizzatori), ma anche perché essa non viene neanche a prevedere forme di «bilanciamento tra liberalizzazione e […] i motivi imperativi di interesse generale», come, invece, richiesto dalla normativa comunitaria (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 20 giugno 1996, in cause riunite C-418/93, C-419/93, C-420/93, C-421/93, C-460/93, C-461/93, C-462/93, C-464/93, C-9/94, C-10/94, C-11/94, C-14/94, C-15/94, C-23/94, C-24/94 e C-332/94).

2.2.2.— La giurisprudenza costituzionale ha da sempre ritenuto illegittime, per violazione dei vincoli comunitari, norme regionali che si ponevano in contrasto, in generale, con la «normativa statale e, ancor prima, [con] la normativa comunitaria, cui il legislatore ha dato attuazione» (vedi sentenza n. 310 del 2011; nonché, da ultimo, sentenze n. 217, n. 86 e n. 85 del 2012), ed in particolare, con le normative comunitarie (ex multis, sentenze n. 85 del 2012, n. 190 del 2011 e n. 266 del 2010), le quali «fungono infatti da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost., o, più precisamente, rendono concretamente operativo il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost., con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme regionali che siano giudicate incompatibili con il diritto comunitario» (sentenze n. 102 del 2008 e n. 269 del 2007).

Dalle considerazioni che precedono discende che la previsione di inapplicabilità, contenuta nella norma regionale censurata, sul territorio della Regione Toscana, di quanto previsto dall’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010 (attuativo dell’art. 12 della direttiva CE n. 123 del 2006), determina l’illegittimità costituzionale della stessa.

3.— Parimenti fondata è la questione di legittimità costituzionale della norma denunciata in riferimento alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

3.1.— In proposito, il ricorrente dubita della legittimità costituzionale della norma impugnata, perchè la stessa, incidendo sulla concorrenza degli operatori commerciali, difformemente da quanto previsto dal d.lgs. n. 59 del 2010 e dalla sopra ricordata direttiva CE, sarebbe venuta ad invadere la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela della concorrenza.

3.2.— È da premettere che questa Corte ha più volte precisato che la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 della Costituzione «non può che riflettere quella operante in ambito comunitario» (sentenze n. 270 e n. 45 del 2010, n. 401 del 2007), oltre ad aver sottolineato come la stessa abbia «un contenuto complesso in quanto ricomprende non solo l’insieme delle misure antitrust, ma anche azioni di liberalizzazione, che mirano ad assicurare e a promuovere la concorrenza “nel mercato” e “per il mercato”, secondo gli sviluppi ormai consolidati nell’ordinamento europeo e internazionale e più volte ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte» (sentenza n. 200 del 2012). A questa ultima tipologia di disposizioni – precisamente quelle che tendono ad assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la loro strutturazione in modo da consentire «la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (sentenza n. 401 del 2007) – è da ascrivere, date le sue finalità, l’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, la cui applicazione viene, appunto, esclusa per la Regione Toscana dal legislatore regionale con la norma oggi al vaglio della Corte.

3.3.— La giurisprudenza costituzionale che si è occupata della legittimità di disposizioni regionali in tema di «tutela della concorrenza» ha costantemente sottolineato – stante il carattere «finalistico» della stessa – la «trasversalità» che caratterizza tale materia, con conseguente possibilità per quest’ultima di influire su altre materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni, ed, in particolare, il possibile intreccio ed interferenza con la materia «commercio» (sentenze n. 18 del 2012; n. 150 del 2011; n. 288 del 2010; n. 431, n. 430, n. 401, n. 67 del 2007 e n. 80 del 2006).

Infatti, la materia «tutela della concorrenza» non ha solo un ambito oggettivamente individuabile che attiene alle misure legislative di tutela in senso proprio, quali ad esempio quelle che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, ma, dato il suo carattere «finalistico», anche una portata più generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al momento dell’esercizio della potestà legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza.

Risulta evidente, in proposito, che gli ostacoli alla concorrenza possono derivare sia dalla previsione di nuovi o ulteriori limiti all’accesso al mercato, sia dalla eliminazione di qualsiasi criterio selettivo, là dove l’esercizio dell’attività imprenditoriale resti condizionato da elementi oggettivi che ne delimitino le possibilità di accesso come, ad esempio, gli spazi espositivi e/o di svolgimento dell’attività stessa.

In coerenza con questa affermazione va letta la giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, e più in generale quella che interviene sulla disciplina regionale che, dettando vincoli all’entrata, altera il corretto svolgersi della concorrenza con specifico riguardo al settore del commercio (sentenza n. 18 del 2012).

La norma impugnata, prevedendo la possibilità di escludere meccanismi e procedure di selezione in forza dell’invocazione astratta di «motivi imperativi d’interesse generale», là dove situazioni oggettive non modificabili determinino l’impossibilità di un’apertura a tutti nel mercato, viene sostanzialmente ad operare in termini anti-concorrenziali perché non consente lo svolgimento dell’attività commerciale in spazi adeguati agli operatori più qualificati, selezionati attraverso procedure che garantiscano la parità di trattamento, evitino qualsiasi tipo di discriminazione e tutelino la libertà di stabilimento.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge della Regione Toscana 28 novembre del 2011, n. 63, recante «Disposizioni in materia di outlet ed obbligo di regolarità contributiva nel settore del commercio sulle aree pubbliche. Modifiche alla legge regionale 7 febbraio 2005 n. 28 (Codice del Commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti)».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI