Sentenza 138/2023 (ECLI:IT:COST:2023:138)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: SCIARRA - Redattore: BARBERA
Udienza Pubblica del 23/05/2023;    Decisione  del 23/05/2023
Deposito del 10/07/2023;   Pubblicazione in G. U. 12/07/2023  n. 28
Norme impugnate: Art. 2, c. 1°, della legge della Regione Campania 06/08/2020, n. 8.
Massime:  45723  45724  45725 
Massime:  45723  45724  45725 
Atti decisi: ord. 125/2022

Massima n. 45723 Massima successiva
Titolo
Pronunce della Corte costituzionale - Autorimessione - Condizione - Rapporto di pregiudizialità tra la norma oggetto di autorimessione e quella censurata, tale che la prima serva per la definizione della questione principale. (Classif. 204002).

Testo

La possibilità che la Corte costituzionale sollevi in via incidentale una questione davanti a sé si dà solo allorché dubiti della legittimità costituzionale di una norma, diversa da quella impugnata, che sia chiamata necessariamente ad applicare nell’iter logico per arrivare alla decisione sulla questione che le è stata sottoposta; deve trattarsi, pertanto, di una questione che si presenti pregiudiziale alla definizione della questione principale e strumentale rispetto alla decisione da emanare. È, invece, esclusa tale possibilità quando il nuovo dubbio di legittimità costituzionale verte sulla norma già oggetto del giudizio incidentale, in relazione alla quale la parte deduce inammissibilmente ulteriori profili di illegittimità costituzionale. (Precedenti: S. 198/2022 – mass. 45061; S. 186/2022; S. 49/2021 – mass. 43674; S. 24/2018 – mass. 39813; nello stesso senso, sentenze n. 122/1976 – mass. 8349; S. 195/ 1972 – mass. 6447; S. 68/1961).

Titolo
Regioni - Statuto regionale - Natura - Fonte sovraordinata alla legge regionale - Conseguente illegittimità costituzionale di norma regionale in contrasto. (Classif. 215018).

Testo

Lo statuto regionale è fonte sovraordinata alla legislazione della regione, con conseguente illegittimità costituzionale della norma primaria regionale che si ponga in contrasto con la previsione statutaria. (Precedenti: S. 178/2019-mass. 42876).

Massima n. 45725 Massima precedente
Titolo
Fonti del diritto - In genere - Delegificazione - Condizioni - Idoneità della legge di autorizzazione alla delegificazione a orientare la potestà regolamentare - Inerenza con l'oggetto della delegificazione - Effetti dell'abrogazione imputati alla normativa primaria - Possibilità per la Corte costituzionale di sindacare la sussistenza delle condizioni indicate (nel caso di specie: illegittimità costituzionale di disposizione della Regione Campania che, nell'autorizzare la delegificazione della disciplina dell'ordinamento amministrativo della Giunta regionale, dispone norme generali regolatrici della materia inidonee a orientare la potestà regolamentare; illegittimità costituzionale, in via consequenziale, della disposizione che prevede l'abrogazione della legge regionale che disciplinava la materia all'entrata in vigore del regolamento). (Classif. 106001).

Testo

In tema di delegificazione, le norme generali regolatrici della materia hanno, tendenzialmente, una funzione più stringente rispetto ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 76 Cost. Esse, quindi, devono costituire le scelte fondanti l’assetto normativo dell’oggetto della delegificazione, sul quale il regolamento si innesta non per completare o integrare queste ultime, ma per svilupparle ulteriormente. Tale requisito va, tuttavia, assunto con un certo grado di flessibilità quando la materia delegificata riguarda oggetti che si prestano ad una regolamentazione legislativa meno analitica, per la loro natura organizzativa, tecnica o procedimentale. In questa prospettiva non può escludersi che anche norme di scopo possano integrare le norme generali regolatrici, ma è necessario che l’obiettivo enunciato non abbia tratti di genericità tali da svuotarlo di ogni profilo prescrittivo e, quindi, della precipua funzione non solo di orientare la potestà regolamentare, ma anche di costituire uno standard valutativo di essa delineato in autonomia dal legislatore della delegificazione. (Precedenti: S. 278/2010; S. 303/2005).

In tema di delegificazione, pur restando fermo che non deve esserci sovrapposizione tra criteri enunciati per indirizzare la potestà regolamentare e delimitazione del tessuto normativo da abrogare, in quanto tali profili esprimono garanzie distinte – la prima volta all’osservanza del principio di legalità sostanziale nella disciplina normativa e la seconda intesa a sottrarre al potere esecutivo la scelta di quali norme primarie abrogare, e quali no – , è altrettanto chiaro che la norma generale regolatrice è tale solo se è pertinente rispetto all’oggetto da delegificare. (Precedente: S. 279/2012).

La legge di autorizzazione alla delegificazione fissa i criteri e i limiti entro i quali il regolamento può legittimamente operare, affinché quest’ultimo definisca semplicemente il termine iniziale della abrogazione, i cui effetti sono, invece, da imputare esclusivamente alla fonte primaria. (Precedente: S. 378/2004 – mass. 28899).

La censura relativa alla (in)sufficiente analiticità dei criteri che devono orientare l’esercizio della potestà regolamentare, in tema di delegificazione, si basa sul corretto presupposto che una simile carenza si traduca in vizio di legittimità costituzionale della norma primaria, non equivalendo affatto ad un inammissibile sindacato sulle scelte del legislatore regionale in ordine all’ampiezza e al grado di puntualità delle indicazioni generali all’organo esecutivo. (Precedenti: O. 254/2016; S. 130/2016 – mass. 38896; S. 303/2005 – mass. 29668; S. 427/2000)

(Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 123 Cost., l’art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010, che autorizza la delegificazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, disciplinato in precedenza dalla legge reg. Campania n. 11 del 1991, prevedendo che la Giunta adotti il necessario regolamento in attuazione dei principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dallo statuto regionale e in osservanza di alcuni criteri generali. Pur non essendovi ragioni costituzionali che ostino alla delegificazione degli apparati amministrativi, nel rispetto dei limiti tracciati dalla Costituzione e dallo statuto, la legge regionale censurata – recando norme generali regolatrici della materia solo per profili parziali e privi di organicità e permettendo, così, al regolamento di invadere spazi in precedenza coperti da norme legislative – lede l’art. 56, comma 4, dello statuto, ai sensi del quale la legge regionale che autorizza la delegificazione, oltre a indicare con specificità le norme legislative vigenti destinate all’abrogazione, deve altresì determinare le norme generali regolatrici della materia. È dichiarata, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 2, il quale prevede l’abrogazione della legge reg. Campania n. 11 del 1991 dalla data di entrata in vigore del regolamento, poi sopraggiunto: dichiarata costituzionalmente illegittima la legge di autorizzazione alla delegificazione non può, infatti, prodursi l’effetto abrogativo ad essa imputabile in ragione dell’adozione del regolamento). (Precedenti: S. 178/2019 – mass. 42876)

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 123


Pronuncia

SENTENZA N. 138

ANNO 2023


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Campania 6 agosto 2020 (recte: 2010), n. 8 (Norme per garantire l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale), promosso dal Consiglio di Stato, sezione quinta, nel procedimento vertente tra DIRER Campania (ora: FEDIRETS – Federazione dirigenti e direttivi - Enti territoriali e sanità) e la Regione Campania, con ordinanza del 19 settembre 2022, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti gli atti di costituzione di FEDIRETS e della Regione Campania;

udito nell’udienza pubblica del 23 maggio 2023 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Carmine Medici per FEDIRETS e Almerina Bove per la Regione Campania;

deliberato nella camera di consiglio del 23 maggio 2023.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 19 settembre 2022 (reg. ord. n. 125 del 2022) il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato questioni di legittimità dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Campania 6 agosto 2020 (recte: 2010), n. 8 (Norme per garantire l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale), in riferimento agli artt. 97, 121 e 123 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 56, comma 4, della legge della Regione Campania 28 maggio 2009, n. 6 (Statuto della Regione Campania).

Il censurato art. 2 della legge regionale prevede al comma 1 che: «[l]a Giunta regionale è autorizzata a disciplinare con regolamento il proprio ordinamento amministrativo, sentita la commissione consiliare permanente competente per materia, in attuazione dei principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dal titolo IX dello Statuto regionale e in osservanza dei seguenti criteri generali: a) imparzialità, buon andamento dell’amministrazione regionale e trasparenza dell’azione amministrativa; b) razionalizzazione organizzativa, contenimento e controllo della spesa, anche mediante accorpamento e soppressione delle strutture esistenti; c) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, ed economicità nell’esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate; d) realizzazione della più ampia flessibilità nell’organizzazione degli uffici regionali; e) rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi politico-amministrativi impartiti dagli organi di governo mediante l’istituzione di apposite strutture organizzative».

Il comma 2 aggiunge che «[d]alla data di entrata in vigore delle norme regolamentari di cui al comma 1 è abrogata la legge regionale 4 luglio 1991, n. 11 (Ordinamento amministrativo della Giunta regionale), ad eccezione degli articoli 13, 14, 18, 19, 20, 22, 23 e 25».

In attuazione di tale previsione normativa la Giunta della Regione Campania ha approvato con delibera 29 ottobre 2011, n. 612 il regolamento recante l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale.

Tale atto, unitamente ad altri «allo stesso presupposti» o contenenti successive modifiche, è stato impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania da DIRER Campania, un’associazione sindacale «che rappresenta gli interessi dei quadri direttivi e dei dirigenti regionali».

Il giudizio a quo costituisce l’appello contro la sentenza con la quale il giudice di primo grado ha rigettato il ricorso.

2.– Il giudice rimettente anzitutto motiva sulla sussistenza della legittimazione attiva di DIRER ad impugnare gli atti oggetto di causa, a tutela dell’interesse collettivo dei dirigenti regionali inciso dal regolamento censurato innanzi al giudice amministrativo, e di cui l’associazione è titolare.

3.– In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale priverebbe di base normativa primaria il regolamento impugnato, con evidente effetto sul processo principale.

4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente premette che la norma censurata realizza una delegificazione, in analogia con quanto è previsto in seno all’ordinamento statale dall’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri).

Essa, infatti, affida la disciplina dell’ordinamento amministrativo della Giunta, già regolata dalla legge della Regione Campania 4 luglio 1991, n. 11 (Ordinamento amministrativo della Giunta regionale) ad un regolamento della stessa Giunta, la cui entrata in vigore determina l’abrogazione della precitata fonte primaria, con le sole eccezioni indicate dalla disposizione censurata.

A livello regionale, aggiunge il rimettente, la delegificazione trova fondamento nell’art. 56, comma 4, dello statuto, il quale prevede che «[n]elle materie di competenza esclusiva della Regione la legge regionale può autorizzare la Giunta ad emanare regolamenti in materie già disciplinate con legge. In tal caso la legge regionale di autorizzazione determina le norme generali regolatrici della materia e dispone l’abrogazione delle norme legislative vigenti, con effetto dalla data dell’entrata in vigore delle norme regolamentari».

5.– Il dubbio di legittimità costituzionale, eccepito dalla parte ricorrente, verte sulla omessa determinazione, da parte della legge regionale, delle norme generali regolatrici della materia. In ragione di tale carenza il censurato art. 2, comma 1, si porrebbe in contrasto con l’art. 56, comma 4, dello statuto reg. Campania.

Tale contrasto comporterebbe, perciò, la violazione dell’art. 123 Cost., che pone lo statuto «nel sistema delle fonti ad un livello più elevato della legge regionale e in una posizione di preminenza».

6.– Il rimettente esclude che le norme generali regolatrici della materia siano contenute nei criteri generali enunciati dal medesimo art. 2 censurato, perché essi «riproducono principi fondamentali di rilevanza sovraordinata alla legge, cui, pertanto, anche le norme primarie non potrebbero derogare» in ogni caso.

L’imparzialità, il buon andamento dell’amministrazione regionale e la trasparenza dell’azione amministrativa (art. 2 comma 1, lettera a), nonché la razionalizzazione organizzativa, il contenimento e il controllo della spesa, anche mediante accorpamento e soppressione delle strutture esistenti e il perseguimento di degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità (art. 2, comma 1, lettere b e c) sarebbero espressione del principio di buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., mentre la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi politico-amministrativi impartiti dagli organi di governo mediante l’istituzione di apposite strutture organizzative (art. 2, comma 1, lettera e) si limiterebbe a riflettere la «posizione di organo esecutivo della Giunta regionale» scolpita dall’art. 121, terzo comma, Cost.

7.– Né avrebbe rilievo il rinvio ai principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dal Titolo IX dello statuto reg. Campania, il cui Capo I si compone di tre articoli.

Secondo il rimettente, «i primi due articoli si occupano dell’azione amministrativa, e non dell’organizzazione degli uffici, il terzo tratta di profili della dirigenza non strettamente riferibili all’ordinamento burocratico degli uffici della Giunta».

Il Capo II, prosegue il giudice a quo, reca «principi di organizzazione», ma l’art. 67 dello statuto «si limita a riprodurre il principio costituzionale di cui all’art. 97, comma 4, Cost.» quanto all’accesso ai pubblici uffici per concorso, e aggiunge poi «una norma generale di organizzazione», secondo la quale i dirigenti della Giunta regionale appartengono a un ruolo unico e ad essi sono attribuiti, in relazione agli incarichi affidati, differenti competenze e responsabilità, «dando indicazioni in relazione ad uno specifico e limitato profilo, quello della previsione di un ruolo unico per la dirigenza e di un ruolo distinto per il personale del Consiglio regionale».

8.– Infine, conclude il rimettente, nessuna delle disposizioni della legge reg. Campania n. 11 del 1991, preservate dall’abrogazione, esprime norme generali regolatrici della materia, vale a dire si riferisce alla «organizzazione delle strutture amministrative della Giunta».

9.– Il giudice a quo ritiene, pertanto, che la disposizione censurata sia priva di norme idonee ad esprimere «la scelta di principio del legislatore per un certo modello di organizzazione amministrativa», pur a fronte di «molteplici» alternative, finendo per conferire alla Giunta una “delega in bianco” «senza vincolo predeterminato da principi legislativi».

10.– Tale assetto normativo, secondo il rimettente, oltre che l’art. 123 Cost., violerebbe anche gli artt. 121, «in quanto è alterato il rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo a livello regionale», e 97 Cost., in punto di «riserva di legge relativa in materia di organizzazione amministrativa».

11.– Si è costituita in giudizio la Federazione dirigenti e direttivi - Enti territoriali sanità (FEDIRETS), che è succeduta «a seguito di successive fusioni» a DIRER Campania, concludendo per l’accoglimento delle questioni.

La parte privata premette che non può incidere sull’attuale giudizio la sopravvenuta legge della Regione Campania 21 ottobre 2022, n. 14 (Disposizioni in materia di rafforzamento ed efficientamento della capacità amministrativa della Regione Campania), che demanda nuovamente alla Giunta il potere di approvare un regolamento recante il proprio ordinamento amministrativo, specificando le “norme generali”.

Infatti, l’art. 1, comma 2, della legge regionale appena citata prevede che, nelle more dell’entrata in vigore del nuovo regolamento, continui ad avere applicazione il regolamento n. 12 del 2011, impugnato nel processo principale.

Ciò detto, la parte privata aderisce alle argomentazioni svolte dal rimettente in punto di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, e sollecita questa Corte ad autorimettere innanzi a sé questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione censurata dal giudice a quo, per il distinto profilo (eccepito nel processo principale, ma non recepito dall’ordinanza di rimessione) della previsione che il regolamento sia adottato dalla Giunta, sentita la commissione consiliare permanente competente per materia, senza l’approvazione del Consiglio regionale, come invece imporrebbe l’art. 56, comma 2, dello statuto regionale.

Posto, poi, che il medesimo vizio di legittimità costituzionale denunciato dal rimettente raggiungerebbe il sopravvenuto art. 1, comma 1, della legge reg. Campania n. 14 del 2022, la parte sollecita questa Corte a dichiararne la illegittimità costituzionale in via consequenziale.

12.– Si è costituita nel presente giudizio anche la Regione Campania, già parte del giudizio a quo, che, nell’imminenza dell’udienza pubblica, ha depositato memoria, con cui ha illustrato le proprie ragioni.

La Regione ritiene che la disposizione censurata, unitamente alle norme della legge reg. Campania n. 11 del 1991 non abrogate, e alle norme statutarie oggetto di rinvio, esprima adeguatamente le norme generali regolatrici della materia delegificata. La Regione Campania aggiunge che una puntuale valutazione del grado di analiticità di tali norme costituirebbe «un inammissibile sindacato sulle scelte del legislatore regionale in ordine all’ampiezza e al grado di puntualità delle indicazioni generali all’organo esecutivo».

Le norme generali «sono in altri termini principi che devono delineare una cornice vincolante» all’interno della quale spetta all’organo esecutivo adottare le proprie scelte. Tali norme – aggiunge la Regione – non necessariamente dovrebbero essere ricavate dalla legge di delegificazione, ma anche dalle disposizioni vigenti nell’ordinamento e da quelle non abrogate.

La norma regionale censurata, del resto, non delineerebbe un modello di delegificazione differente da quello al quale spesso è ricorso il legislatore statale, con disposizioni aventi una «marginale o assente delimitazione della materia oggetto di delegificazione», come nel caso dell’art. 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988, o nel caso dell’art. 2-bis, comma 1-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Nel caso di specie, la disposizione censurata conterrebbe norme regolatrici in tema di riduzione del numero delle strutture, di istituzione di strutture di raccordo, di flessibilità organizzativa. A ciò si aggiungerebbero le previsioni relative ai dirigenti recate dall’art. 67 dello statuto regionale e dagli artt. 13 e 14 della legge reg. Campania n. 11 del 1991.

Infine, la Regione Campania osserva che l’art. 1, comma 2, della legge reg. Campania n. 14 del 2022 avrebbe offerto «copertura legislativa» al regolamento regionale n. 12 del 2011, nello stabilire che esso resta in vigore fino all’adozione del nuovo regolamento sull’ordinamento degli uffici.

13.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica anche FEDIRETS ha depositato memoria, ribadendo la perdurante rilevanza della questione di legittimità costituzionale.

La parte privata, dato atto che non è ancora stato approvato il nuovo regolamento previsto dalla legge reg. Campania n. 14 del 2022, osserva che il regolamento regionale n. 12 del 2011 continua ad avere applicazione.


Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 19 settembre 2022 (reg. ord. n. 125 del 2022), il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010, in riferimento agli artt. 97, 121 e 123 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 56, comma 4, dello statuto reg. Campania.

La disposizione censurata autorizza la delegificazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, disciplinato in precedenza dalla legge della reg. Campania n. 11 del 1991, prevedendo che la stessa Giunta regionale possa adottare il necessario regolamento «in attuazione dei principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dal titolo IX dello Statuto regionale e in osservanza dei seguenti criteri generali: a) imparzialità, buon andamento dell’amministrazione regionale e trasparenza dell’azione amministrativa; b) razionalizzazione organizzativa, contenimento e controllo della spesa, anche mediante accorpamento e soppressione delle strutture esistenti; c) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, ed economicità nell’esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate; d) realizzazione della più ampia flessibilità nell’organizzazione degli uffici regionali; e) rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi politico-amministrativi impartiti dagli organi di governo mediante l’istituzione di apposite strutture organizzative».

In accordo con quanto previsto dall’art 56, comma 4, dello statuto reg. Campania, l’art. 2, comma 2, non oggetto di censura, aggiunge che l’effetto abrogativo della legge reg. Campania n. 11 del 1991 si verificherà dalla data di entrata in vigore del regolamento autorizzato.

Si tratta del regolamento n. 12 del 2011, che è stato impugnato innanzi al giudice amministrativo da DIRER Campania, un’associazione sindacale dei dirigenti della pubblica amministrazione regionale, eccependo, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale della norma censurata.

In accoglimento di tale eccezione, il giudice rimettente rileva che la disposizione censurata è carente nell’indicazione delle norme generali regolatrici della materia; norme che la legge di autorizzazione alla delegificazione è tenuta a specificare ai sensi dell’art. 56, comma 4, dello statuto regionale.

Ciò si tradurrebbe in una violazione di tale ultima norma interposta, e con essa dell’art. 123 Cost. che assicura allo statuto regionale preminenza sulla legislazione, oltre che in una violazione degli artt. 97, in punto di riserva relativa di legge sull’organizzazione dei pubblici uffici, e 121 Cost., a causa della denunciata alterazione della forma di governo regionale, quanto al rapporto tra Consiglio e Giunta.

2.– In via preliminare, va dato atto che non ha alcuna influenza sulle odierne questioni di legittimità costituzionale la sopravvenuta legge reg. Campania n. 14 del 2022, l’art. 1 della quale ha autorizzato una seconda delegificazione avente ad oggetto l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, dettando nuove norme generali regolatrici della materia, e aggiungendo che, nelle more dell’entrata in vigore del regolamento autorizzato, «resta in vigore l’organizzazione prevista dal Regolamento regionale 15 dicembre 2011, n. 12».

Anzitutto, e contrariamente a quanto adombrato dalla difesa della Regione Campania, è palese che tale ultima porzione dello ius superveniens si limiti a disciplinare la successione nel tempo dei due regolamenti, senza affatto assicurare forza di legge regionale al contenuto del primo di essi.

Inoltre, allo stato non risulta adottato detto secondo regolamento, e continua quindi a trovare applicazione l’atto impugnato nel processo principale, con perdurante rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.

3.– Sempre in via preliminare, non può essere accolta la sollecitazione rivolta a questa Corte da FEDIRETS, affinché sia oggetto di autorimessione la questione di legittimità costituzionale della disposizione censurata, per un profilo diverso da quello sollevato dal giudice rimettente, vale a dire in riferimento all’art. 56, comma 2, dello statuto, che riserverebbe al Consiglio regionale l’approvazione di ogni tipologia di regolamento.

È già stato precisato che «[l]a possibilità che questa Corte sollevi in via incidentale una questione davanti a sé si dà solo allorché dubiti della legittimità costituzionale di una norma, diversa da quella impugnata, che sia chiamata necessariamente ad applicare nell’iter logico per arrivare alla decisione sulla questione che le è stata sottoposta: in altri termini, si deve trattare di una questione che si presenti pregiudiziale alla definizione della questione principale e strumentale rispetto alla decisione da emanare» (sentenze n. 198 del 2022, n. 49 del 2021 e n. 24 del 2018; nello stesso senso, sentenze n. 122 del 1976, n. 195 del 1972 e n. 68 del 1961).

Nel caso di specie, il nuovo dubbio di legittimità costituzionale verte sulla norma già oggetto del giudizio incidentale, in relazione alla quale la parte deduce inammissibilmente ulteriori profili di illegittimità costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 186 del 2022).

4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010 è fondata, in riferimento all’art. 123 Cost., per violazione dell’art. 56, comma 4, dello statuto reg. Campania.

Questa Corte ha già stabilito, anche in un caso che aveva per oggetto proprio una legge della Regione Puglia di autorizzazione alla delegificazione (sentenza n. 178 del 2019), che lo statuto regionale è fonte sovraordinata alla legislazione della regione, con conseguente illegittimità costituzionale della norma primaria che si ponga in contrasto con la previsione statutaria.

Anche la Regione Campania ha inteso introdurre nello statuto, quale norma sulla normazione, una previsione, l’art. 56, comma 4, che riproduce «quasi letteralmente» (sentenza n. 130 del 2016) l’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, in tema di regolamenti governativi autorizzati alla delegificazione. Essa dispone che «[n]elle materie di competenza esclusiva della Regione la legge regionale può autorizzare la Giunta ad emanare regolamenti in materie già disciplinate con legge. In tal caso la legge regionale di autorizzazione determina le norme generali regolatrici della materia e dispone l’abrogazione delle norme legislative vigenti, con effetto dalla data dell’entrata in vigore delle norme regolamentari».

5.– Sulla base di tale disposizione, la norma censurata ha avviato e regolato il processo di delegificazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta, che era stato fino ad allora retto da una disciplina primaria, contenuta nella legge reg. Campania n. 11 del 1991; legge di carattere dettagliato e tale, quindi, da governare minuziosamente ogni profilo della materia.

Successivamente, con la legge regionale in esame, la Regione Campania ha ritenuto di adeguarsi ad una generale tendenza a rendere più flessibile la disciplina dell’organizzazione degli uffici pubblici. Tale tendenza è maturata anche nella legislazione statale fin dai primi anni novanta del secolo scorso, e ha trovato i momenti più significativi, quanto ai profili organizzativi dell’apparato amministrativo e di governo, nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) in tema di organizzazione delle pubbliche amministrazioni e di pubblico impiego, seguito dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); nella legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), il cui art. 13, comma 1, ha introdotto il comma 4-bis nel corpo dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, estendendo con esso la delegificazione all’organizzazione e alla disciplina degli uffici dei ministeri; infine, nel decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), concernente l’organizzazione del Governo.

È vero che compete alla legge, sia nelle materie assistite da riserve relative, sia in quelle non coperte da alcuna riserva, determinare il grado di analiticità con il quale disciplinare talune situazioni e lo spazio che, viceversa, può essere aperto a fonti del diritto di natura secondaria. Tuttavia la legislazione appena ricordata, che si aggiunge a numerosi altri interventi di delegificazione, mostra che il legislatore statale ha avvertito in modo urgente la necessità di contrastare la precedente tendenza a irrigidire nella forma della legge anche profili di minore impatto sulla vita delle istituzioni e della comunità. Si è così posto il problema di distinguere tra quanto merita di essere attratto alle forme e alle garanzie proprie della fonte primaria, e quanto può invece essere affidato all’attività normativa regolamentare, e più in generale secondaria, sulla base del presupposto che essa abbia una migliore capacità di evolvere a seconda delle necessità, e permetta a sua volta una immediata tutela presso le giurisdizioni comuni.

In particolare, rendendo più flessibili i moduli dell’organizzazione dei pubblici uffici, il legislatore statale ha inteso sottrarsi a vincoli che, nella loro omogeneità, rischiavano di imporre soluzioni uniche a problemi differenti; si rivelavano di ostacolo a pronte risposte per una materia che richiede una continua verifica tra forme di strutturazione dell’apparato ed efficienza; comportavano un certo grado di deresponsabilizzazione del potere esecutivo nell’adottare forme e criteri procedimentali adeguati ai compiti amministrativi affidatigli.

6.– In ambito regionale, lo statuto della Regione Campania si è fatto carico dell’esigenza di assegnare alla legge di autorizzazione alla delegificazione la fissazione dei criteri e dei limiti entro i quali il regolamento può legittimamente operare, affinché quest’ultimo definisca «semplicemente il termine iniziale» della abrogazione, i cui effetti sono invece da imputare esclusivamente alla fonte primaria (sentenza n. 378 del 2004).

Esigendo, in altri termini, che la legge regionale di autorizzazione indichi con specificità le norme legislative vigenti destinate all’abrogazione, e rechi essa stessa le norme generali regolatrici della materia, lo statuto regionale assicura che la delegificazione non si traduca in un mero espediente formale.

7.– Nel caso sottoposto oggi all’attenzione di questa Corte, non vi è discussione sulla selezione delle norme da abrogare, posto che la norma regionale censurata le individua espressamente nella legge reg. Campania n. 11 del 1991, specificando altresì quali disposizioni di tale legge sopravviveranno all’adozione del regolamento.

Invece, il giudice rimettente dubita della sufficiente analiticità dei criteri che devono orientare l’esercizio della potestà regolamentare, sulla base del corretto presupposto che una simile carenza si traduce in vizio di legittimità costituzionale della norma primaria (sentenze n. 130 del 2016 e n. 427 del 2000; ordinanza n. 254 del 2016).

Ed è appena il caso di osservare che ciò non equivale affatto ad un «inammissibile sindacato sulle scelte del legislatore regionale in ordine all’ampiezza e al grado di puntualità delle indicazioni generali all’organo esecutivo» (sentenza n. 303 del 2005), contrariamente a quanto rilevato dalla difesa regionale, perché proprio in forza dello statuto campano, tali scelte sono tenute a rispettare un adeguato livello di analiticità nell’assunzione dei principali profili della materia.

In modo altrettanto corretto, il giudice a quo focalizza la propria attenzione non solo sui criteri elencati dalla lettera a) alla lettera e) della disposizione regionale censurata, ma anche sui principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dal Titolo IX dello statuto, poiché essi sono oggetto di un esplicito rinvio da parte della disposizione censurata, così divenendo norme generali regolatrici della materia in essa contenute.

Inoltre, sono giustamente tenuti in considerazione dal rimettente gli artt. 13, 14, 18, 19, 20, 22, 23 e 25 della legge reg. Campania n. 11 del 1991, che il legislatore ha risparmiato dall’abrogazione, così manifestando l’intenzione che essi contribuiscano a indirizzare il regolamento, rendendoli a loro volta norme generali regolatrici, enunciate espressamente e direttamente dalla legge regionale di autorizzazione (nella sola misura, come si vedrà, in cui esse si prestino a offrire indicazioni valevoli a conformare la materia delegificata).

8.– Nel valutare il dubbio di legittimità costituzionale così proposto, va premesso che, in tema di delegificazione sul modello tracciato dalla legge n. 400 del 1988, «le norme generali regolatrici della materia hanno, tendenzialmente, una funzione delimitativa più stringente rispetto ai principi e criteri direttivi» di cui all’art. 76 Cost. (sentenza n. 303 del 2005).

Esse devono, quindi, avere un raggio di azione tale da costituire le scelte fondanti l’assetto normativo dell’oggetto della delegificazione, sul quale il regolamento si innesta non per completare o integrare queste ultime, ma per svilupparle ulteriormente.

Si tratta di un requisito da assumere con un certo grado di flessibilità, che in relazione alla materia delegificata riguarda oggetti che si prestano ad una regolamentazione legislativa meno analitica, per la loro natura organizzativa, tecnica o procedimentale (sentenza n. 278 del 2010).

In questa prospettiva, non può escludersi che anche norme di scopo, con le quali la legge di autorizzazione alla delegificazione aspira ad indirizzare il regolamento verso un obiettivo specifico, possano integrare le norme generali regolatrici. Infatti, selezionare la finalità da perseguire con la fonte secondaria può valere a tracciare i confini di quest’ultima, ogni qual volta, anche alla luce della materia trattata, tale finalità sia così specifica da offrirsi a parametro effettivo di valutazione della legalità del regolamento.

Naturalmente, a tal fine resta necessario che l’obiettivo enunciato dal legislatore non abbia tratti di genericità tali da svuotarlo di ogni profilo prescrittivo, e quindi della precipua funzione non solo di orientare la potestà regolamentare, ma anche di costituire uno standard valutativo di essa delineato in autonomia dal legislatore della delegificazione.

9.– Nel caso oggetto della presente questione di legittimità costituzionale, in particolare, è evidente l’inidoneità, sotto tale profilo, dei richiamati fini di «imparzialità, buon andamento dell’amministrazione regionale e trasparenza dell’azione amministrativa» (art. 2, comma 1, lettera a), e di «perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, ed economicità nell’esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate» (art. 2, comma 1, lettera c).

Difatti, è ovvio che i pubblici uffici non possano che essere strutturati, per vincolo costituzionale, in tali termini. Perciò, prendere in considerazione tali finalità avrebbe l’effetto di svuotare la norma generale regolatrice di ogni attitudine sua propria a conferire un taglio peculiare alla materia, sulla base del quale testare la corrispondenza del regolamento alla volontà legislativa.

Analogo ragionamento potrebbe valere per gli artt. 64 e 65 contenuti nel Titolo IX dello statuto reg. Campania, richiamati dalla disposizione censurata, se non fosse che, in questo caso, emerge l’estraneità di tali previsioni rispetto alla materia delegificata. Quest’ultima attiene infatti all’organizzazione degli uffici di Giunta e non ai «[p]rincipi dell’attività amministrativa» ai quali sono dedicate le norme appena citate in tema, rispettivamente, di «[f]unzioni amministrative regionali» e di «[p]rocedimento amministrativo e diritto di accesso».

10.– È da ritenere che l’attitudine delle norme generali a regolare la materia si misura anche in relazione alla stretta inerenza di esse con l’oggetto della delegificazione.

Resta fermo che, in base all’art. 56, comma 4, dello statuto reg. Campania, non deve esserci sovrapposizione tra criteri enunciati per indirizzare la potestà regolamentare e la delimitazione del tessuto normativo da abrogare, nel senso che tali profili esprimono garanzie statutarie distinte nell’ambito del processo di delegificazione, la prima volta all’osservanza del principio di legalità sostanziale nella disciplina normativa (sentenza n. 279 del 2012), la seconda intesa a sottrarre al potere esecutivo la scelta relativa a quali norme primarie abrogare, e quali no. Tuttavia, è altrettanto chiaro che la norma generale regolatrice è tale, solo se è pertinente rispetto all’oggetto da delegificare.

L’art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010 ha sottratto all’abrogazione, tra gli altri, gli artt. 13 (Attribuzioni, compiti e responsabilità dei dirigenti regionali), 14 (Mobilità dei dirigenti), 18 (Organico) e 20 (Inquadramento del personale), manifestandosi così la volontà del legislatore regionale di non delegificare gli importanti settori della dotazione organica e della posizione dei dirigenti (per quanto il citato art. 13 rinvii a disposizioni di legge già abrogate, vale a dire gli artt. 13 e 14 della legge della Regione Campania 23 maggio 1984, n. 27, recante «Nuovo stato giuridico e trattamento economico del personale regionale», e l’art. 18 rinvii ad una «successiva legge regionale»).

Ciò premesso, dalle disposizioni appena citate nulla si può dedurre di ulteriore, quanto alla parte delegificata dell’ordinamento amministrativo degli uffici della Giunta regionale, in precedenza disciplinato dalla legge reg. Campania n. 11 del 1991.

Tanto vale anche per gli artt. 66 (Separazione tra politica e amministrazione) e 67, comma 2, dello statuto reg. Campania, inerenti alla appartenenza dei dirigenti regionali a un ruolo unico, e per l’art. 67, commi 1 e 3, che riguarda le modalità di accesso al pubblico impiego regionale e il ruolo del personale del Consiglio regionale, e per l’art. 68 che contiene mere norme transitorie.

Le disposizioni contenute nel Titolo IX dello statuto regionale, e richiamate dalla norma censurata, sono in definitiva inidonee per il loro contenuto a fungere da norme regolatrici.

11.– Analogamente, quanto alle altre disposizioni non abrogate della legge reg. Campania n. 11 del 1991, gli artt. 19 (Rapporti con le organizzazioni sindacali), 23 (Incarichi nei Settori delle Foreste) e 25 (Consulenza di esperti) si riferiscono a profili marginali, senza che vi sia modo di indurre da essi criteri di vincolo quanto all’esercizio del potere regolamentare.

Infine, l’art. 22 della stessa legge regionale, nell’esprimere un principio di flessibilità, quanto all’organizzazione dei settori delle foreste, della formazione professionale e del decentramento, nulla aggiunge alla lettera d) dell’art. 2, comma 1, censurato, che, su scala più generale, si propone di realizzare la «più ampia flessibilità nell’organizzazione degli uffici regionali».

Ne consegue che anche la parte normativa sottratta alla delegificazione non offre adeguati criteri, quanto alla predeterminazione, con grado sufficiente, del contenuto del regolamento.

12.– Non resta, perciò, che prendere in esame le ulteriori tre norme generali regolatrici della materia enunciate dalle lettere b), d) ed e) del censurato art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010.

Esse hanno senza dubbio attinenza con l’oggetto della delegificazione, che conformano, in tal caso, non solo con l’indicazione di finalità da perseguire, ma anche con disposizioni organizzative che circoscrivono l’esercizio della potestà regolamentare, e servono da parametri con cui saggiare la legalità del regolamento.

In particolare, la lettera b) prevede, tra l’altro, «[l’] accorpamento e [la] soppressione delle strutture esistenti», precludendo al regolamento di incrementarle, ed anzi indirizzandolo necessariamente sulla via opposta,

La lettera d) esige la «più ampia flessibilità nell’organizzazione degli uffici regionali», optando per un modulo organizzativo che rifugga da rigidi vincoli strutturali, ed estendendo, perciò, all’intero ordinamento degli uffici della Giunta quanto già previsto per alcuni micro-settori dall’art. 22 della legge reg. Campania n. 11 del 1991.

La lettera e) impone «l’istituzione di apposite strutture organizzative», al fine di assicurare l’efficace coordinamento tra attività amministrativa e indirizzi politico-amministrativi impartiti dagli organi di governo. In questo modo si vincola il regolamento a concretizzare detta previsione, mediante l’introduzione di uffici dotati di tale peculiare competenza.

Ciò detto, viene chiaramente in risalto l’estrema frammentarietà di simili previsioni; esse, pur pertinenti e specifiche, quanto alla riconfigurazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta, non riescono a coprire adeguatamente la vasta materia consegnata alla delegificazione.

Non è indifferente, ai fini della decisione, considerare che l’abrogazione incide su una legge assai analitica nel disciplinare tale materia, attraverso la determinazione della natura di tutte le strutture organizzative, del numero e delle specifiche competenze attribuite a ciascuna «area generale di coordinamento» e a ciascun «settore», e, infine del numero massimo di «servizi e sezioni».

A tali aree normative il regolamento che ha completato il processo di delegificazione si è integralmente sovrapposto, senza alcuna base normativa primaria atta a indirizzarne le scelte, posto che la norma censurata non prevede alcunché sull’articolazione degli uffici, né sul numero di essi, né, di conseguenza, sulle competenze loro demandate.

Come si è già osservato, non vi sono ragioni costituzionali che ostino alla delegificazione degli apparati amministrativi, nel rispetto dei limiti tracciati dalla Costituzione, e, per la Regione Campania, dallo statuto, ed anzi tale processo è stato ampiamente coltivato dal legislatore statale, per mezzo di disposizioni ben più specifiche di quelle contenute nella legge regionale censurata.

Quest’ultima, invece, come si è detto, reca norme generali regolatrici della materia solo per profili parziali e privi di organicità, permettendo al regolamento di invadere spazi in precedenza coperti da norme legislative, ma senza dettare alcuna disposizione generale ad essi specificamente riferibile.

Il legislatore regionale ha quindi valicato il limite, pur largo in tema di organizzazione degli uffici pubblici, che l’art. 56, comma 4, dello statuto reg. Campania gli imponeva di rispettare, così dando luogo ad una violazione dell’art. 123 Cost. (sentenze n. 178 del 2019 e n. 130 del 2016), con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010.

13.– Deve essere altresì dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale del comma 2 del medesimo art. 2 censurato, il quale prevede che la legge reg. Campania n. 11 del 1991 sia abrogata dalla data di entrata in vigore del regolamento, poi sopraggiunto. Difatti, ove la legge di autorizzazione alla delegificazione sia costituzionalmente illegittima, l’effetto abrogativo ad essa imputabile non può prodursi in ragione dell’adozione del regolamento.

14.– Sono assorbite le questioni di legittimità costituzionale del censurato art. 2, comma 1, sollevate dal rimettente in riferimento agli artt. 97 e 121 Cost.

15.– Pertanto va disattesa la sollecitazione rivolta a questa Corte da FEDIRETS, affinché sia dichiarata in via consequenziale la illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 14 del 2022, che dispone una nuova delegificazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta, articolando norme generali regolatrici della materia differenti da quelle contenute nella disposizione censurata, e quindi prive di connessione con il profilo di illegittimità costituzionale dichiarato in questa sede.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Campania 6 agosto 2010, n. 8 (Norme per garantire l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale);

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Campania n. 8 del 2010.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2023.

F.to: Silvana SCIARRA, La Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2023.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA