Pubblicato il Rapporto sulla programmazione di bilancio 2022

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Il Rapporto sulla programmazione di bilancio 2022 è dedicato all’analisi del Documento di economia e finanza (DEF) 2022, e ripropone con integrazioni e approfondimenti specifici i contenuti dell’audizione parlamentare tenuta dalla Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Lilia Cavallari, lo scorso 14 aprile, nell’ambito dell’esame preliminare del DEF da parte delle Commissioni Bilancio della Camera e del Senato.

 

Il Rapporto si articola in due capitoli, il primo dei quali dedicato a un’analisi del quadro macroeconomico (QM), internazionale e nazionale, e alle previsioni sottostanti al DEF per il periodo 2022-25, che sono state validate dall’UPB secondo la procedura prevista nell’accordo quadro con il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF), avvalendosi del supporto del panel di istituti indipendenti composto da CER, Oxford Economics, Prometeia e REF.ricerche.

 

Lo scenario tendenziale del DEF è stato validato dopo che l’UPB aveva comunicato i propri rilievi su una prima versione provvisoria della previsione del MEF, cui aveva fatto seguito, come accaduto nelle precedenti tornate, la predisposizione di un nuovo QM tendenziale. Le previsioni sono state validate sulla base delle informazioni disponibili alla metà di marzo, sia per quanto attiene agli sviluppi economici e geopolitici del contesto internazionale sia con riferimento alla congiuntura dell’economia italiana. L’UPB ha poi svolto l’esercizio di validazione del QM programmatico, che si è concluso anch’esso con esito positivo.

 

Successivamente allo svolgimento dell’esercizio di validazione si è ampliato il ventaglio delle attese sull’economia italiana, sia per l’intensificarsi dell’accelerazione dei prezzi sia per le incertezze sui tempi e sulle ripercussioni del conflitto in Ucraina. Le previsioni degli analisti più recenti si sono caratterizzate per un’eterogeneità molto ampia delle attese di crescita e per aspettative più elevate sull’inflazione al consumo. I dati congiunturali più rilevanti, sul PIL e sulla produzione industriale, rilasciati dopo la chiusura dell’esercizio di validazione sono stati comunque migliori delle attese dei principali previsori, incluse quelle del MEF.

 

L’UPB, nel validare positivamente i QM tendenziale e programmatico del DEF, ha rilevato che le previsioni scontano significativi fattori di rischio al ribasso, il principale dei quali è legato alla guerra tra Ucraina e Russia. Secondo analisi svolte dall’UPB, pubblicate nella Nota sulla congiuntura di aprile, il conflitto ha già avuto effetti non trascurabili, principalmente riconducibili ai rincari delle materie prime; si stima infatti che si possano già ritenere assodati impatti negativi della guerra sul PIL del 2022 (per 3,6 e 9 decimi di punto percentuale rispettivamente a livello globale, per l’area dell’euro e per l’Italia) e aumenti dell’inflazione di circa un punto percentuale. Sono state inoltre valutate le ripercussioni di un prolungamento della fase militare fino a tutta la primavera, con un percorso di normalizzazione esteso al resto dell’anno. Secondo l’analisi svolta la maggiore durata della guerra comporterebbe una ulteriore perdita del PIL, soprattutto nell’area dell’euro nel 2022 (-1,0 per cento); l’economia italiana subirebbe un impatto negativo addizionale di circa un punto percentuale di PIL nel 2022 e di quasi mezzo punto nel 2023. L’inflazione aumenterebbe in maniera contenuta a livello globale, di oltre mezzo punto percentuale nell’area dell’euro e di oltre un punto per l’Italia, sia quest’anno sia nel prossimo. Le simulazioni svolte assumono che il protrarsi delle operazioni militari implichi un inasprimento degli shock avversi già osservati; pertanto, se l’estensione temporale del conflitto non comportasse ulteriori rincari dei prezzi e nella disponibilità di materie e nuovi peggioramenti del clima di fiducia, gli impatti per l’economia italiana potrebbero essere inferiori a quelli prefigurati.

 

Al rischio relativo alla guerra se ne aggiungono altri, riferibili all’evoluzione della pandemia COVID-19, agli effetti sul PNRR di aumenti dei prezzi delle materie prime e dei beni intermedi, ai nuovi assetti delle politiche economiche post-pandemia. Quanto al rischio inflazione, è prevalentemente previsto al rialzo nel biennio 2022-23 e risulta fortemente influenzato dall’incertezza sull’evoluzione dei prezzi delle materie prime e dai possibili effetti delle strozzature che si dovessero verificare sul versante dell’offerta.

 

La direttiva UE n. 85 del 2011 (parte del cosiddetto “Six-pack”) richiede che periodicamente venga svolta una valutazione ex post delle previsioni ufficiali. In quest’ottica, il Rapporto dedica uno specifico approfondimento all’aggiornamento dell’analisi sull’accuratezza delle previsioni macroeconomiche del Governo realizzata lo scorso gennaio dal 2014 (ossia da quando vengono svolti gli esercizi di validazione da parte dell’UPB), focalizzando l’attenzione sul periodo più recente.

 

Considerando gli ultimi quattro anni, quindi il periodo 2018-2021, si osserva come le previsioni del MEF sull’anno corrente sono state lievemente pessimiste sul PIL reale, anche se meno di quelle dell’UPB e della Commissione europea, e sostanzialmente bilanciate sul PIL nominale. L’accuratezza delle previsioni è inevitabilmente influenzata dalla crisi economica legata alla pandemia, non prevedibile prima del 2020, per cui si registrano errori molto elevati, soprattutto per l’anno successivo (T+1). Tuttavia, escludendo l’anno 2020 l’errore medio a T+1 tende ad annullarsi sul PIL reale e risulta pressoché in linea con il quinquennio pre-COVID, sul PIL nominale.

 

Nel complesso, tenuto conto che il 2020 e il 2021 sono stati due anni anomali in termini di ciclo economico, la valutazione ex post delle previsioni macroeconomiche del Governo degli ultimi anni porta a ritenere che le stime sulla crescita siano state complessivamente equilibrate e non caratterizzate da un sistematico ottimismo.

 

Nel secondo capitolo del Rapporto, dopo un’analisi dei risultati di finanza pubblica del 2021 e un confronto con le previsioni ufficiali per tale anno, si esaminano gli andamenti delle grandezze di finanza pubblica contenuti nei quadri tendenziale e programmatico del DEF, approfondendo in particolare, rispetto all’audizione, la distribuzione delle risorse messe a disposizione dal programma Next Generation EU (NGEU), nonché l’evoluzione programmatica del debito pubblico e la sua sostenibilità nel breve e nel medio periodo anche in relazione a differenti scenari.

 

Le previsioni di finanza pubblica a legislazione vigente del DEF scontano – oltre al consuntivo dello scorso anno pubblicato dall’Istat – l’aggiornamento del quadro macroeconomico, l’impatto finanziario delle misure contenute nella legge di bilancio per il 2022 e dei decreti legge varati successivamente dalla sua presentazione sino allo scorso marzo, nonché un nuovo profilo temporale degli interventi finanziati con le risorse previste dal PNRR, che riflette il rinvio al periodo 2022-26 delle mancate attuazioni del Piano del biennio 2020-21.

 

Dal confronto tra il DEF del 2022 e quello del 2021 circa l’utilizzo delle risorse NGEU, emergono due elementi. In primo luogo, le risorse complessive evidenziate nel DEF 2022 risultano poco più elevate (205,9 contro 205 miliardi) a causa della valutazione leggermente più consistente delle risorse del programma ReactEU. Inoltre, si osserva una diversa distribuzione temporale dell’utilizzo delle risorse da spendere, in larga misura connessa al loro riallineamento alla luce delle spese già sostenute nel biennio 2020-21, inferiori rispetto a quanto inizialmente previsto: il DEF 2021 programmava per tale biennio spese per 22,5 miliardi, a fronte delle quali sono stati effettivamente realizzati interventi per 4,3 miliardi. La nuova programmazione distribuisce i 18,2 miliardi di mancate attuazioni del 2020-21 e anticipa parte delle spese inizialmente previste per il 2026, nel quadriennio 2022-25: quest’anno dovrebbero essere utilizzati 0,6 miliardi in più di quanto previsto nel DEF 2021; sono inoltre programmate spese più elevate per 9,6 miliardi nel 2023, per 6,3 miliardi nel 2024 e per 7,4 miliardi nel 2025. Per il 2026, invece, il DEF 2022 programma 5 miliardi in meno di quanto previsto nel DEF 2021.

 

Considerato il nuovo profilo di utilizzo delle risorse NGEU, il Rapporto riserva un focus sull’impatto macroeconomico del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) aggiornando una valutazione già effettuata lo scorso anno in occasione di un’audizione parlamentare sull’argomento. L’esercizio di simulazione condotto con il modello macroeconomico MeMo-It, già utilizzato nell’audizione parlamentare del 2021, considera esclusivamente le risorse per interventi aggiuntivi rispetto alla legislazione vigente e le misure a supporto dell’accumulazione di capitale nel periodo di programmazione del Piano, quindi fino al 2026. Nel complesso lo stimolo all’economia è pari a 185 miliardi di euro, allocati tra il 2021 e il 2030.

 

Secondo le simulazioni condotte con il modello MeMo-It l’effetto espansivo delle misure previste sul livello del PIL sarebbe di oltre 1,5 punti percentuali alla fine del triennio
2021-23 e di un ulteriore punto nel successivo triennio. Nel complesso, al termine del periodo di programmazione, nel 2026, l’utilizzo delle risorse disposte nel PNRR innalzerebbe il PIL dell’Italia per poco meno di tre punti percentuali. I risultati della simulazione appaiono allineati alle stime ufficiali, presentate nel Programma nazionale di riforma (PNR) 2022, nei primi tre anni dell’orizzonte di simulazione, mentre nel successivo triennio gli effetti espansivi tendono a essere più moderati.

 

Un ulteriore esercizio di valutazione di impatto delle misure del PNRR è stato condotto impiegando uno strumento analogo a quello utilizzato per le stime d’impatto dal MEF nel PNR e le stesse ipotesi alla base delle simulazioni condotte attraverso Memo-It per quanto riguarda la distribuzione dei fondi tra i diversi anni e le diverse misure. Con queste ipotesi, il PIL risulterebbe superiore in misura crescente rispetto allo scenario di base a partire dal 2022. Nell’ultimo anno di simulazione (2026), esso sarebbe superiore di 3,2 punti percentuali rispetto allo scenario di base. Ciò è il risultato di un impatto di 1 punto percentuale sui consumi privati e di un impatto sugli investimenti fissi lordi pari a 9,3 punti percentuali.

 

È importante notare che le stime del Governo sono state ottenute ipotizzando un’alta efficienza degli investimenti pubblici, ovvero una maggiore elasticità dell’output al capitale pubblico. Con ipotesi di efficienza media e bassa degli investimenti pubblici rispetto a quella ipotizzata nel PNR, la differenza di impatto nei vari scenari è modesta nei primi anni della simulazione ma crescente negli anni successivi: nel 2026 l’ipotesi di un’elevata efficienza degli investimenti pubblici produce una stima di impatto sul PIL maggiore di 0,9 punti rispetto all’ipotesi di efficienza media e di 1,8 punti rispetto a un’efficienza bassa.

 

Il quadro programmatico di finanza pubblica conferma gli obiettivi di disavanzo sul PIL della NADEF 2021 sino al 2024 mentre per il 2025 è stabilito un deficit appena più elevato di quello tendenziale. Il disavanzo è quindi programmato al 5,6 per cento del PIL nel 2022, al 3,9 per cento nel 2023 e al 3,3 per cento nel 2024; viene poi fissato un obiettivo pari al 2,8 per cento del prodotto per il 2025. Il rapporto tra il debito pubblico e il PIL si è attestato nel 2021 al 150,8 per cento, riducendosi rispetto al 155,3 dell’anno precedente. Nei programmi del Governo il rapporto dovrebbe continuare a calare negli anni successivi, dal 147 per cento del 2022 al 141,4 per cento nel 2025.

 

L’UPB ha valutato la sensitività del sentiero programmatico del rapporto tra il debito e il PIL presentato nel DEF rispetto a ipotesi alternative sul tasso di inflazione e di crescita reale. Rispetto allo scenario prefigurato nel DEF, il quadro macroeconomico dell’UPB prevede tassi di crescita reali leggermente più contenuti (con differenze comprese tra i 2 e i 3 decimi di punto nel triennio 2022-24, che tendono ad annullarsi nel 2025), mentre il deflatore del PIL avrebbe una dinamica più sostenuta su tutto l’orizzonte di previsione e in particolare nel 2023 (anno in cui il tasso di crescita dell’indice dei prezzi sarebbe di 6 decimi più alto rispetto a quanto previsto dal Governo). Complessivamente, l’evoluzione del PIL nominale risulterebbe simile nei due scenari.

 

Secondo queste ipotesi di simulazione la traiettoria del rapporto tra il debito e il PIL risulterebbe sostanzialmente sovrapponibile a quella prevista dal Governo, con differenze che superano il mezzo punto di PIL solo nel biennio 2024-25: il rapporto tra il debito e il PIL nello scenario alternativo supera quello indicato dal DEF di 0,6 punti percentuali nel 2024 e di 1 punto percentuale nel 2025, collocandosi al 142,4 per cento nell’ultimo anno di programmazione. Questo risultato deriva dal cumularsi dell’effetto (negativo) della minore crescita del PIL reale sul saldo primario e, in misura minore, dalla maggiore spesa per interessi associata alla più marcata accelerazione dei prezzi.

 

Per una valutazione della dinamica del debito in rapporto al PIL nel medio termine, lo scenario UPB è stato esteso fino al 2031 attraverso specifiche ipotesi di proiezione delle variabili macroeconomiche più rilevanti, utilizzando il framework per l’analisi di sostenibilità del debito pubblico dell’UPB. Poiché la stima del PIL potenziale è soggetta ad ampi margini di incertezza, che aumentano significativamente nelle fasi di inversione del ciclo o in presenza di dinamiche “anomale” del PIL effettivo, negli scenari di medio termine sono state costruite ipotesi alternative sulla base di una misura più semplice, un PIL di trend per l’andamento del quale sono stati ipotizzati diversi profili.

 

Le simulazioni che ne derivano mostrano l’importanza, ai fini del miglioramento degli aggregati di finanza pubblica, di una crescita di medio termine del PIL superiore a quella attualmente attesa dai previsori di consenso. Infatti, anche assumendo politiche invariate dal 2026, il debito in rapporto al PIL continuerebbe a ridursi nell’ipotesi di un ritorno del livello del PIL a quello di trend pre-pandemico (la cui crescita era pari all’1,1 per cento). Al contrario, se ipotizziamo un livello di PIL di trend più basso a causa della crisi pandemica, il debito in rapporto al PIL si stabilizzerebbe al livello ancora elevato del 2025; addirittura esso tornerebbe ad aumentare se il tasso di crescita del PIL di trend, invece di tornare ai valori pre-pandemici, convergesse gradualmente a quello di medio termine atteso dal Consensus forecast (0,6 per cento).