Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria - D.L. 146 - A.C. 1921 - schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 146 DEL 23-DIC-13   AC N. 1921/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 107
Data: 07/01/2014
Descrittori:
CARCERI   DETENUTI
DIRITTI CIVILI E POLITICI     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria

 

D.L. 146/2013 – A.C. 1921

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 107

 

 

 

7 gennaio 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-2649 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Avvocatura

( 066760-9360 – * segreteria_avvocatura@camera.it

 

 

 

 

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File: D13146.doc


INDICE

Schede di lettura

Introduzione  3

Osservazioni in tema di compatibilità con la Convenzione EDU (a cura dell’Avvocatura della Camera dei deputati) 8

Contenuto del decreto-legge  10

§  Articolo 1, comma 1, lett. a), e comma 2 (Arresti domiciliari e particolari modalità di controllo) 10

§  Articolo 1, comma 1, lett. b) e c) (Procedimento di sorveglianza) 15

§  Articolo 2 (Modifiche al TU stupefacenti) 19

§  Articolo 3, comma 1, lett. a), b) ed i) (Tutela dei diritti dei detenuti) 27

§  Articolo 3, comma 1, lett. c), d) ed e) (Affidamento in prova al servizio sociale) 39

§  Articolo 3, comma 1, lett. f) e h), e comma 2 (Detenzione domiciliare e particolari modalità di controllo) 47

§  Articolo 3, comma 1, lett. g) (Nuovi titoli di privazione della libertà) 50

§  Articolo 4 (Liberazione anticipata speciale) 53

§  Articolo 5 (Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi) 55

§  Articolo 6 (Modifiche al TU immigrazione) 59

§  Articolo 7 (Garante nazionale dei detenuti) 68

§  Articolo 8 (Sgravi fiscali per datori di lavoro che assumono detenuti: differimento termini) 74

§  Articolo 9 (Copertura finanziaria) 77

§  Articolo 10 (Entrata in vigore) 79

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Introduzione

Il decreto-legge n. 146/2013 è diretto ad affrontare la questione del sovraffollamento carcerario e a garantire il pieno esercizio dei diritti fondamentali dei soggetti reclusi.

 

I dati relativi alle presenze negli istituti penitenziari fanno emergere con nettezza la gravità della questione.

 

Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari per regione di detenzione[1]: aggiornamento 30 novembre 2013

Regione di detenzione

Numero istituti

Capienza regolamentare

Detenuti presenti

Abruzzo

8

1.534

2.011

Basilicata

3

441

447

Calabria

13

2.481

2.760

Campania

17

5.817

8.124

Emilia Romagna

12

2.387

3.722

Friuli Venezia Giulia

5

548

814

Lazio

14

4.799

7.013

Liguria

7

1.042

1.770

Lombardia

19

5.883

8.872

Marche

7

847

1.074

Molise

3

391

461

Piemonte

13

3.843

4.705

Puglia

11

2.444

3.865

Sardegna

12

2.586

2.099

Sicilia

26

5.530

6.973

Toscana

18

3.275

4.060

Trentino Alto Adige

2

280

416

Umbria

4

1.342

1.583

Valle d’Aosta

1

181

213

Veneto

10

1.998

3.065

Totale nazionale

205

47.649

64.047

 

 

 


Serie storica dei detenuti presenti negli istituti penitenziari
dal giugno 1991 al giugno 2013
[2]

Data della rilevazione

Detenuti presenti

Data della rilevazione

Detenuti presenti

30-giu-91

31.053

30-giu-02

56.277

31-dic-91

35.469

31-dic-02

55.670

30-giu-92

44.424

30-giu-03

56.403

31-dic-92

47.316

31-dic-03

54.237

30-giu-93

51.937

30-giu-04

56.532

31-dic-93

50.348

31-dic-04

56.068

30-giu-94

54.616

30-giu-05

59.125

31-dic-94

51.165

31-dic-05

59.523

30-giu-95

51.973

30-giu-06

61.264

31-dic-95

46.908

31-dic-06

39.005

30-giu-96

48.694

30-giu-07

43.957

31-dic-96

47.709

31-dic-07

48.693

30-giu-97

49.554

30-giu-08

55.057

31-dic-97

48.495

31-dic-08

58.127

30-giu-98

50.578

30-giu-09

63.630

31-dic-98

47.811

31-dic-09

64.791

30-giu-99

50.856

30-giu-10

68.258

31-dic-99

51.814

31-dic-10

67.961

30-giu-00

53.537

30-giu-11

67.394

31-dic-00

53.165

31-dic-11

66.897

30-giu-01

55.393

30-giu-12

66.528

31-dic-01

55.275

31-dic-12

65.701

 

 

30-giu-13

66.028

 

 

Detenuti per tipologia di reato: aggiornamento 30 giugno 2013[3]

Tipologia di reato[4]

Totale detenuti

di cui stranieri

Associazione di stampo mafioso (art. 416-bis)

6.758

75

Legge droga

26.042

10.633

Legge armi

10.698

983

Ordine pubblico

3.267

909

Contro il patrimonio

35.272

10.052

Prostituzione

985

772

Contro la pubblica amministrazione

8.304

3.175

Incolumità pubblica

1.660

213

Fede pubblica

4.802

1.829

Moralità pubblica

202

61

Contro la famiglia

1.923

487

Contro la persona

24.345

7.580

Contro la personalità dello stato

132

35

Contro l’amministrazione della giustizia

6.924

1.082

Economia pubblica

657

17

Contravvenzioni

4.386

720

Legge stranieri

1.205

1.082

Contro il sentimento e la pietà dei defunti

1.107

115

Altri reati

3.307

203

 

 

 

Detenuti presenti condannati (almeno una condanna definitiva) per pena inflitta
Situazione al 30 giugno 2013
[5]

Pena inflitta

Da 0 a 1 anno

Da 1 a 2 anni

Da 2 a 3 anni

Da 3 a 5 anni

Da 5 a 10 anni

Da 10 a 20 anni

Oltre 20 anni

ergastolo

totale

Totale detenuti

2.642

3.716

4.592

8.759

11.440

5.566

2.004

1.582

40.301

 

 

 

Detenuti condannati per pena residua (30 giugno 2013)[6]

Pena residua

Da 0 a 1 anno

Da 1 a 2 anni

Da 2 a 3 anni

Da 3 a 5 anni

Da 5 a 10 anni

Da 10 a 20 anni

Oltre 20 anni

ergastolo

totale

Totale detenuti

10.263

8.084

6.017

6.575

5.234

2.126

420

1.582

40.301

 

 

 

Detenuti presenti negli istituti penitenziari per posizione giuridica (30 settembre)[7]

In custodia cautelare

Condannati definitivi

internati

da impostare[8]

In attesa di primo giudizio

appellanti

ricorrenti

misto[9]

 

 

 

12.333

6.359

4.300

1.643

 

 

 

24.635

38.845

1.208

70

64.758

 

 

Come ricorda la stessa relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, la questione è stata affrontata anche di recente dal messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere del 7 ottobre 2013 (doc. I, n. 1).

Sulle tematiche oggetto del messaggio, la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha poi approvato una relazione per l’Assemblea (doc. XVI, n. 1).

 

Ancora di recente, la Corte costituzionale, con la sentenza 279/2013 - pur ritenendo inammissibili le questioni di legittimità costituzionali sollevate, dirette a consentire alla magistratura di sorveglianza il rinvio dell'esecuzione della pena previsto dall'art. 147 del codice penale anche nel caso in cui la stessa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità per il sovraffollamento carcerario - ha sottolineato di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di soluzioni al grave problema sollevato, cui lo stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile. La Corte ha peraltro ribadito come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella pronuncia.

Il tema è stato affrontato a più riprese anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (v. infra).

 

Il decreto-legge contiene quindi una serie di modifiche legislative con la finalità di affrontare le questioni connesse al sovraffollamento carcerario.

In sintesi, il decreto prevede:

Osservazioni in tema di compatibilità con la Convenzione EDU (a cura dell’Avvocatura della Camera dei deputati)

L’articolo 3 della Convenzione EDU reca:

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Numerosi sono stati i casi sottoposti al vaglio della Corte EDU per l'accertamento della violazione di tale divieto con riferimento al profilo del sovraffollamento carcerario, alcuni dei quali hanno portato la Corte alla adozione di sentenze pilota (cfr. Ananyev e altri c. Russia, 10 gennaio 2012, e Orchowsky c. Polonia, 22 ottobre 2009).

Da ultimo, anche l'Italia, che nel 2009 era già stata condannata per tale profilo (cfr. Sulejmanovic), ha ricevuto una condanna con la procedura della sentenza pilota ex art. 46 Cedu, nella nota pronuncia resa sul caso Torreggiani. In tale decisione la Corte ha constatato che la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non costituisce un caso isolato, ma è frutto di un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può in futuro interessare numerose persone.

In particolare, con la sentenza emessa in data 8 gennaio 2013 (causa Torreggiani e altri c. Italia), la Corte ha ribadito che l’articolo 3 pone a carico delle autorità statali un obbligo positivo che consiste nell’assicurare che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza insita nella detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente.

La Corte ha quindi ricordato i suoi precedenti in materia di sovraffollamento delle carceri, rilevando come in alcuni casi la mancanza di spazio all’interno delle celle costituisca l’elemento centrale nella valutazione della conformità di una data situazione all’articolo 3.

La Corte, constatando che il sovraffollamento carcerario in Italia ha carattere strutturale e sistemico, ha riconosciuto gli sforzi messi in campo dallo Stato italiano per contribuire a ridurre il fenomeno del sovraffollamento negli istituti penitenziari e le sue conseguenze. Quanto ai rimedi da adottare per far fronte a tale situazione, la Corte ha rimarcato la necessità di ridurre il numero di persone incarcerate, in particolare attraverso una maggiore applicazione di misure alternative alla detenzione e una riduzione al minimo del ricorso alla custodia cautelare in carcere .

La stessa Corte ha poi osservato come il solo rimedio indicato dal Governo convenuto come percorso che consenta al detenuto di domandare il miglioramento delle condizioni denunciate, vale a dire il reclamo rivolto al magistrato di sorveglianza in virtù degli articoli 35 e 69 della legge sull’ordinamento penitenziario, non sia effettivo nella pratica, dato che generalmente non permette di porre fine rapidamente alle condizioni di detenzione contrarie all’articolo 3 della Convenzione. Né il Governo ha dimostrato l’esistenza di un ricorso in grado di assicurare alle persone incarcerate in condizioni lesive della loro dignità una qualsiasi forma di riparazione per la violazione subita. Al riguardo, essa ha altresì osservato che la recente giurisprudenza interna, che attribuisce al magistrato di sorveglianza il potere di condannare l’amministrazione a pagare un indennizzo pecuniario, è lungi dal costituire una prassi consolidata e costante delle autorità nazionali.

Tutto ciò premesso, con la citata sentenza è stato stabilito che lo Stato italiano dovrà, entro un anno a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi ed idonei ad offrire una riparazione del danno adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario.

Inoltre, nell’attesa che vengano adottate le suddette misure, la Corte ha disposto il rinvio, per la durata di un anno a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva, dell’esame di tutte le cause non ancora comunicate aventi unicamente ad oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia riservandosi la facoltà, in qualsiasi momento, di dichiarare irricevibile una causa di questo tipo o di cancellarla dal ruolo a seguito di composizione amichevole tra le parti o di definizione della lite con altri mezzi, conformemente agli articoli 37 e 39 della Convenzione.

Si ricorda, peraltro, che già nel 2009 la Corte EDU aveva affrontato una questione analoga (causa Sulejmanovic c. Italia sentenza del 16 luglio 2009), laddove aveva rilevato che la permanenza del ricorrente, fino all’aprile del 2003, in  una cella nella quale ciascun detenuto poteva disporre di solo di 2,7 metri quadrati, quindi di una superficie di gran lunga inferiore a quella e minima ritenuta auspicabile dal CPT (Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamento inumani o degradanti), costituiva trattamento inumano e degradante ai sensi dell’art. 3 CEDU.

In particolare, la Corte aveva ritenuto che sebbene non sia possibile fissare in maniera certa e definitiva lo spazio personale che deve essere riconosciuto all’interno delle singole celle a ciascun detenuto ai termini della Convenzione, la mancanza evidente di spazio personale costituisce violazione dell’art. 3 CEDU (in materia di condizioni di detenzione e sovraffollamento delle carceri si vedano anche: Karalevičius c. Lituania, 7 aprile 2005; Kantyrev c. Russia, 21 giugno 2007; Andrei Frolov c. Russia, 29 marzo 2007; Kadikis c. Lettonia, 4 maggio 2006; Ciobanu c. Romania e Italia, 9 luglio 2013).


Contenuto del decreto-legge

Articolo 1, comma 1, lett. a), e comma 2
(Arresti domiciliari e particolari modalità di controllo)

 

L’articolo 1 del decreto-legge interviene sul codice di procedura penale e ne modifica gli articoli 275-bis e 678.

 

In particolare, la lettera a) interviene sull’art. 275-bis, che delinea particolari modalità di controllo, mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (c.d. braccialetto elettronico) da riservare a coloro ai quali è applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari.

 

La norma, introdotta nel 2000, prevede che il giudice, nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, se lo ritiene necessario in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti.

L'imputato può accettare o meno i mezzi e gli strumenti di controllo indicati  con dichiarazione espressa resa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la misura; la dichiarazione è trasmessa al giudice che ha emesso l'ordinanza ed al pubblico ministero, insieme con il verbale redatto dall’ufficiale o agente incaricato che da conto delle operazioni compiute.

L'imputato che ha accettato l'applicazione dei mezzi e strumenti elettronici è tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli[10].

 

Il decreto-legge stabilisce che il giudice deve ordinariamente prescrivere queste particolari modalità di controllo, a meno che, a seguito della valutazione del caso concreto, non ne escluda la necessità.

Nonostante l’utilizzo del decreto-legge, questa novella che non è ancora efficace. Il comma 2 dell’articolo in commento differisce infatti l’efficacia della disposizione dell’art. 1, lett. a)[11], alla data di pubblicazione della legge di conversione

 

Normativa vigente

Decreto-legge 146/2013

Codice di procedura penale

Art. 275-bis

Particolari modalità di controllo

1. Nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, se lo ritiene necessario in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti.

1. Nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti.

2. L'imputato accetta i mezzi e gli strumenti di controllo di cui al comma 1 ovvero nega il consenso all'applicazione di essi, con dichiarazione espressa resa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la misura. La dichiarazione è trasmessa al giudice che ha emesso l'ordinanza ed al pubblico ministero, insieme con il verbale previsto dall'articolo 293, comma 1.

2. Identico.

3. L'imputato che ha accettato l'applicazione dei mezzi e strumenti di cui al comma 1 è tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli.

3. Identico.

 

La novella prevede dunque che la prescrizione degli strumenti elettronici di controllo deve rappresentare la regola. Peraltro, lo stesso comma 1 dell’art. 275-bis stabilisce che il giudice applica le particolari modalità di controllo «quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria».

Appare di tutta evidenza che l’applicabilità di questa disposizione è condizionata dalla concreta disponibilità di un ampio numero di c.d. braccialetti elettronici. Un numero tanto ampio da assicurare praticabilità anche alla novella dell’ordinamento penitenziario (v., infra, art. 3, lett. h) che richiede l’utilizzo degli strumenti elettronici anche per il controllo della detenzione domiciliare nonché al recente intervento sulla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, che consente l’utilizzo anche in quei casi del controllo elettronico a distanza (cfr. decreto-legge n. 93/2013 che novella l’art. 282-bis c.p.p.).

 

Si ricorda che le caratteristiche del “braccialetto elettronico” sono state definite da un decreto del Ministero dell’Interno del 2 febbraio 2001 che ha dettato anche disposizioni volte ad assicurare la privacy ai detenuti. Gli Uffici di polizia, infatti, dovranno conservare solo i dati sugli allarmi o sugli eventi significativi, ma cancelleranno periodicamente gli altri dati che riguardano la persona interessata.

Il Ministero dell’Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ha concluso nel 2001 una convenzione con Telecom Italia, definita sperimentale e limitata a sole cinque province: Milano, Torino, Roma, Napoli e Catania. Nel 2003 il servizio è prorogato al 31 dicembre 2011 ed esteso a tutto il territorio nazionale e Telecom Italia si impegna a fornire e gestire 400 dispositivi elettronici di controllo.

Sull’antieconomicità della convenzione va segnalato che la Corte dei Conti (Deliberazione n. 11/2012/G dell’Adunanza del 13 settembre 2012) ha rilevato «una notevole sproporzione tra gli elevati costi e il numero veramente esiguo dei bracciali utilizzati». La Corte ha osservato che la convenzione stipulata con Telecom, prevede, oltre il noleggio e la manutenzione, anche la gestione operativa della piattaforma tecnologica, che rappresenta la componente finanziariamente più onerosa. Nel periodo di vigenza della convenzione (scaduta il 31 dicembre del 2011), il costo del sistema ha superato i 10 milioni annui. In particolare, l’Amministrazione dell’Interno ha convenuto con Telecom un importo, una tantum, di 8,64 milioni di euro (Iva esclusa) per l’attivazione del servizio di fornitura dei braccialetti elettronici ed un compenso annuo di 9,083 mln di euro (sempre Iva esclusa), in rate semestrali, pari, per 8 anni, a 72.664.000,00. In totale, la magistratura contabile ha evidenziato che sono stati spesi 81,3 milioni di euro. Nonostante lo stesso Viminale avesse sollevato dubbi per lo scarso utilizzo del braccialetto elettronico e il relativo elevato costo, la Corte ha rimarcato che il contratto con la Telecom è stato rinnovato e migliorato tecnologicamente prevedendo un aumento del numero di dispositivi utilizzabili (da 400 a 2.000), in relazione a un potenziale incremento delle richieste da parte dell’autorità giudiziaria connesse a misure collegate con il decreto svuotacarceri.

Al di là dei profili di merito, quello che la Corte dei conti ha sottolineato è il dato della spesa di oltre 10 milioni all’anno per gli anni 2001-2011 a fronte dell’esiguo numero dei braccialetti utilizzati: solo 14.

Alla scadenza, la convenzione con Telecom è stata rinnovata - senza alcuna gara pubblica - per altri 7 anni (quindi, fino al 31 dicembre 2018) per servizi di comunicazione elettronica e relative forniture complementari e/o strumentali nonché i lavori connessi, complementari e/o strumentali su tutto il territorio nazionale a favore del Dipartimento della Pubblica Sicurezza e dell’Arma dei Carabinieri, nonché di eventuali altri Enti/Dipartimenti che fanno capo al Ministero dell’Interno. L’accordo, a trattativa diretta, ha riguardato anche la fornitura di 2.000 braccialetti elettronici; l’importo complessivo dell’appalto era pari a 521,5 milioni di euro. Il Ministero dell’interno ha ritenuto, in particolare, che un solo operatore economico - coincidente con Telecom Italia S.p.a., precedente gestore - fosse in grado di eseguire il nuovo appalto di servizi, sussistendo ragioni tecniche in tal senso, oltre che la titolarità di (alcuni) diritti esclusivi, e che ciò consentisse quindi il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara.

In particolare, a Telecom Italia SpA sono state affidate le attività di prestazione dei servizi nell’ambito delle prestazioni elettroniche con particolare ma non esclusivo riferimento ai servizi (di base e aggiuntivi) di telefonia fissa, di trasmissione dati, di telefonia mobile, di outsourcing e relativi servizi di riservatezza e sicurezza, di coordinamento informatico, di implementazione di prodotti, sistemi e servizi di comunicazione elettronica e dipendenti servizi di informatica, attività di supporto logistico, manutenzione e sviluppo.

L’accordo tra Ministero degli interni e Telecom per la proroga della Convenzione – su ricorso della soc. Fastweb - è stato tuttavia oggetto di una pronuncia della Sezione I-ter del TAR del Lazio (sentenza 24 maggio 2012, n. 4997) che ha dichiarato inefficace la convenzione quadro datata 31 dicembre 2011 sulla base della necessità di indire una vera e propria gara per assegnare i servizi di comunicazione elettronica, sia per l’«interesse della Società ricorrente a partecipare ad una selezione tesa all’affidamento dei servizi oggetto della procedura contestata», sia per «l’interesse dell’Amministrazione ad individuare il miglior contraente possibile al quale affidare tali servizi».

La III sezione del Consiglio di Stato - con ordinanza del 7 gennaio 2013 – ha adottato una decisione interlocutoria sul ricorso di Telecom contro la sentenza del TAR, demandando alla Corte di Giustizia dell’Unione europea un quesito di natura pregiudiziale sull'efficacia della convenzione quadro. Il Consiglio di Stato ha riservato alla sentenza definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.

 

 

La Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto-legge collega alcune innovazioni introdotte alle proposte elaborate dalla Commissione di studio costituita dal Ministro della Giustizia nel luglio scorso e presieduta dal Prof. Glauco Giostra. In particolare, sul punto del controllo elettronico a distanza, la c.d. Commissione Giostra propone l’utilizzo degli strumenti di controllo a distanza anche al di fuori delle ipotesi di arresti domiciliari, per tutte le misure coercitive diverse dal carcere. La Commissione prevede inoltre che nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice debba espressamente motivare le ragioni per cui ritiene inidonea la misura degli arresti domiciliari con controllo elettronico a distanza[12]. La relazione della Commissione afferma: «Al fine di incentivare l’utilizzo degli strumenti di controllo a distanza, si prevede di consentirne l’adozione, previa valutazione del giudice, unitamente, non solo, agli arresti domiciliari (come oggi previsto), ma, più genericamente, ad una qualsiasi misura coercitiva diversa dalla custodia in carcere. L’obiettivo è quello di ampliare il ventaglio di possibili soluzioni adottabili dal giudice della cautela, in modo da consentire a quest’ultimo di adeguare alle peculiarità del caso concreto il tipo di intervento, nel rispetto dei principi della “gradualità” e del “minimo sacrificio necessario”, sanciti dalla Carta fondamentale in tema di limitazioni della libertà personale. Rimane sullo sfondo la possibilità – sulla quale in sede di Commissione non si è però andati oltre la formulazione di un generico auspicio – di elevare l’adozione degli strumenti di controllo a distanza a misura cautelare autonoma. Una siffatta misura potrebbe, nella prassi, risultare particolarmente efficace rispetto a situazioni in cui la mancanza o l’inidoneità di un alloggio precludano, pur in presenza degli altri presupposti richiesti dalla legge, la concessione degli arresti domiciliari. In una chiave di deflazione dell’uso della custodia in carcere, il comma 1-bis introduce un obbligo “rafforzato” di motivazione nel caso in cui il giudice disponga la massima misura, dovendo, in questa ipotesi, oltre a quanto già previsto dall’art. 275, comma 3, esplicitare le ragioni per le quali ha ritenuto inidonea, nel caso concreto, la misura di cui all’art. 284 ulteriormente “aggravata” dalla predisposizioni delle procedure di controllo previste dall’art. 275-bis. Lo specifico onere motivazionale qui introdotto potrebbe esercitare di fatto un importante influsso “pedagogico” sul giudice, inducendolo ad un’attenta riflessione preliminare sulle ragioni per cui il massimo dei controllo extracarcerario (arresti domiciliari con monitoraggio elettronico) non sarebbe sufficiente nel caso di specie».

 

 


Articolo 1, comma 1, lett. b) e c)
(Procedimento di sorveglianza)

 

Le lettere b) e c) dell’articolo 1 novellano l’art. 678 del codice di procedura penale, sul procedimento di sorveglianza, semplificando la trattazione di alcune materie di competenza della magistratura di sorveglianza.

 

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, l’art. 678 c.p.p. indicava per la trattazione di un elenco di materie attribuite alla competenza tanto del tribunale di sorveglianza quanto del magistrato di sorveglianza, l’applicazione - a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato o del difensore - del procedimento ordinario di esecuzione, disciplinato dall’art. 666 c.p.p., e caratterizzato dal contraddittorio tra le parti. Il procedimento semplificato, previsto dall’art. 667 c.p.p., veniva riservato ai casi di dubbio sull’identità fisica della persona detenuta.

 

Il decreto-legge, novellando il comma 1 e inserendo il comma 1-bis nell’art. 678 c.p.p., estende il ricorso al procedimento semplificato disciplinato dall’art. 667, comma 4, c.p.p., che può oggi essere applicato, oltre che ai casi nei quali vi sia motivo di dubitare dell'identità fisica di una persona, alle seguenti materie di competenza del magistrato di sorveglianza:

§  rateizzazione delle pene pecuniarie (l’art. 133-ter c.p. consente il pagamento rateale della multa o dell'ammenda irrogate in relazione alle condizioni economiche del condannato);

§  conversione delle pene pecuniarie (l’art. 136 c.p. prevede che le pene della multa e dell'ammenda, non eseguite per insolvibilità del condannato, si convertono in libertà controllata o lavoro sostitutivo in base alla legge n. 689 del 1981);

§  remissione del debito (l’art. 6 del TU spese di giustizia consente la remissione del debito per le spese del processo e per quelle di mantenimento nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto in libertà e in istituto una regolare condotta);

§  esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata (si tratta di sanzioni sostitutive di forme detentive brevi, previste dagli articoli 53 e seguenti della legge n. 689 del 1981);

 

nonché alle seguenti materie di competenza del tribunale di sorveglianza:

§  richieste di riabilitazione (l’art. 179 c.p. disciplina i presupposti per ottenere la riabilitazione, che ha l’effetto di cancellare completamente gli effetti di una condanna penale);

§  valutazione sull'esito dell'affidamento in prova al servizio sociale, anche in casi particolari (l’art. 47 dell’ordinamento penitenziario rimette al tribunale di sorveglianza la valutazione circa l’esito positivo del periodo di prova che estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale).

L’applicazione del procedimento semplificato comporta che il giudice dell'esecuzione possa provvedere senza formalità con ordinanza comunicata al PM e notificata all'interessato. Contro l'ordinanza possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il PM, l'interessato e il difensore e in questo caso si torna al procedimento ordinario di esecuzione disciplinato dall’art. 666 c.p.p.. L'opposizione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza.

Le restanti materie di competenza del tribunale di sorveglianza e le materie di competenza del magistrato di sorveglianza di cui all’art. 678 – ovvero ricoveri ai sensi dell'art. 148 c.p., misure di sicurezza, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere – continuano ad essere trattate con il procedimento ordinario di esecuzione.

 

 

Normativa pre-vigente

Decreto-legge 146/2013

Codice di procedura penale

Art. 678

Procedimento di sorveglianza

1. Il tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, e il magistrato di sorveglianza nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito, ai ricoveri previsti dall'articolo 148 del codice penale, alle misure di sicurezza, alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell'articolo 666. Tuttavia, quando vi è motivo di dubitare della identità fisica di una persona, procedono a norma dell'articolo 667.

1. Salvo quanto stabilito dal successivo comma 1-bis, il tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, e il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti ai ricoveri previsti dall'articolo 148 del codice penale, alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell'articolo 666. Tuttavia, quando vi è motivo di dubitare dell'identità fisica di una persona, procedono a norma dell'articolo 667 comma 4.

 

1-bis. Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito e alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, ed il tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle richieste di riabilitazione ed alla valutazione sull'esito dell'affidamento in prova al servizio sociale, anche in casi particolari, procedono a norma dell'articolo 667 comma 4.

2. Quando si procede nei confronti di persona sottoposta a osservazione scientifica della personalità, il giudice acquisisce la relativa documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento.

2. Identico.

3. Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte di appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza.

3. Identico.

 

 

Nella Relazione illustrativa del decreto-legge il Governo afferma che gli interventi sulla magistratura di sorveglianza rielaborano alcune proposte già avanzate dalla Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza, istituita su iniziativa del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della magistratura a partire dal 2011, anch’essa coordinata dal Prof. Glauco Giostra, i cui lavori sono stati raccolti nel 2013 dal CSM. In particolare, di seguito si riportano le considerazioni della Commissione Mista sul punto delle particolari modalità procedurali da seguire nella fase di esecuzione.

«La Commissione osserva che alcune materie di competenza della magistratura di sorveglianza – segnatamente, la remissione del debito (art. 6(L), d.p.r. n. 115/2002) e la rateizzazione delle pene pecuniarie (art. 660, c.p.p.) – si prestano particolarmente, anche per la natura “privatistica” degli interessi coinvolti, alla generalizzazione di alcune prassi acceleratorie orientate alla definizione de plano di tali procedimenti, che hanno già dato buona prova nell’esperienza di alcuni Uffici.

In tale prospettiva, si propone l’adozione di protocolli di intesa, attivati a livello distrettuale (Tribunale di Sorveglianza/Procura Generale) e locale (Ufficio di Sorveglianza/Procura della Repubblica), che prevedano la trattazione in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, dei procedimenti relativi alla remissione del debito e alla rateizzazione delle pene pecuniarie, che prefigurino, all’esito dell’istruttoria, l’accoglimento dell’istanza formulata dall’interessato. Nei casi sopra indicati, il magistrato di sorveglianza (o il Presidente del Tribunale di Sorveglianza, nei casi di riabilitazione), procede, previa acquisizione del parere scritto della parte pubblica, definendo il procedimento in camera di consiglio senza la presenza delle parti, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 69-bis l. n. 354/75 con significativo risparmio di energie, tempi processuali e costi relativi alle traduzioni dei detenuti. Qualora l’organo requirente esprima parere contrario all’accoglimento dell’istanza, ovvero il giudice non la ritenga accoglibile, si procederà alla trattazione del procedimento con le modalità ordinarie.

L’esigenza del rigoroso rispetto delle coordinate normative di natura procedurale, che prevedono la definizione dei procedimenti in esame nelle forme dell’udienza camerale (artt. 666 e 678 c.p.p.) – un’obiezione spesso mossa alla praticabilità delle prassi acceleratorie – pare superabile, nella duplice prospettiva di deflazione delle attuali pendenze e di abbattimento dei tempi processuali, tenuto conto che l’attivazione di protocolli di definizione anticipata fa sempre doverosamente salva la possibilità di instaurare il contraddittorio camerale ogniqualvolta, nel caso concreto, vi sia un interesse alla sua realizzazione.

 

 


Articolo 2
(Modifiche al TU stupefacenti)

 

Tra gli interventi diretti ad incidere in misura significativa sul flusso degli ingressi in carcere, particolare rilievo assume quello di cui all’articolo 2, di modifica dell’art. 73 del TU stupefacenti (DPR 309/1990).

 

L’art. 73 del DPR 309/1990 punisce con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da 26.000 a 260.000 euro:

§  chiunque, senza la prescritta autorizzazione coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14 (comma 1);

§  chiunque, senza l'autorizzazione prescritta, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene: a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con DM Salute ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale; b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà (comma 1-bis).

Punisce inoltre con la reclusione da 6 a 22 anni e con la multa da 26.000 a 300.000 euro chiunque, essendo munito dell'autorizzazione prescritta, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all'articolo 14 (comma 2). Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione (comma 3). Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano specifici medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D e non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà (comma 4).

Nella formulazione previgente al decreto-legge, il comma 5 prevedeva che, quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicavano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.

Nell'ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui all’art. 73 commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 c.p.p., su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del DLgs. 274/2000 (Competenza penale del giudice di pace), secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l'Ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L'Ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dall'articolo 54 del citato DLgs. 274/2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, il giudice che procede, o quello dell'esecuzione, tenuto conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte (comma 5-bis). La disposizione di cui al comma 5-bis si applica anche nell'ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di specifici reati di grave allarme sociale (art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p.) o di reato contro la persona (comma 5-ter).

Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata (comma 6).

Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti (comma 7).

 

L’articolo 2 (comma 1, lett. a) riformula, infatti, l’art. 73, comma 5, del TU stupefacenti (DPR 309/1990) rendendo autonoma fattispecie di reato quella che, fino all’entrata in vigore del DL, costituiva circostanza attenuante del delitto di detenzione e cessione illecita di stupefacenti (cd. attenuante di lieve entità).

 

Si segnala che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno già considerato ipotesi autonoma - rispetto all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’art. 74, comma 1, del DPR 309/1990 - l’attenuante di cui al comma 6 dello stesso art. 74 ovvero la fattispecie dell’associazione finalizzata alla commissione di fatti di lieve entità di traffico illecito di sostanze stupefacenti (sentenza 23 giugno – 22 settembre 2011, n. 34475).

 

Come sopra accennato, il previgente comma 5 dell’art. 73 stabiliva che quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dallo stesso articolo (detenzione, coltivazione, spaccio) erano di lieve entità, si applicavano le pene della reclusione da 1 a 6 anni e della multa da 3.000 a 26.000 euro.

 

Il nuovo comma 5 – mantenendo inalterata la descrizione della fattispecie - sanziona la detenzione e il cd. piccolo spaccio di strada con la reclusione da 1 a 5 anni lasciando invariata la misura della multa (da 3.000 a 26.000 euro).

 

 

 

 

Normativa pre-vigente

Decreto-legge 146/2013

D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

Art. 73

Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

1. - 4. Omissis.

1. – 4. Identici.

5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.

5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.

 

La necessità dell’intervento – evidenziato anche dal documento conclusivo della Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione (cd. Commissione Giostra) - deriva dall’opportunità di sottrarre il piccolo spaccio al bilanciamento delle circostanze operato dal giudice in base all’art. 69 del codice penale (il comma 5 dell’art. 73 TU proposto dalla Commissione prevedeva, tuttavia, per la “lieve entità”, la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000)

L’esperienza giudiziaria ha, infatti, dimostrato come la comparazione dell’attenuante della lieve entità con le aggravanti contestate (tra cui ricorrente, in tale tipo di reato, è la recidiva) porta, in caso di equivalenza, a risultati sanzionatori ingiustificatamente pesanti ovvero alla non infrequente contestazione all’autore dell’illecito della pena base di cui all’art. 73 ovvero la reclusione da 6 a 20 anni e la multa da 26.000 a 260.000 euro.

 

Come riportato nella relazione illustrativa del decreto-legge, la modifica introdotta dall’art. 2 potrebbe avere un impatto notevole ai fini della riduzione degli ingressi in carcere considerando che “al 26 luglio 2013 su 23.683 detenuti imputati ben 8.486 erano ristretti per violazione della legge stupefacenti e che, su 40.024 detenuti condannati, ben 14.970 stavano scontando pene inflitte per lo stesso tipo di reati”.

 

 

 

 

 

 

Detenuti (imputati e condannati) presenti al 31 dicembre

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013*

Totale detenuti

58.127

64.791

67.961

66.897

65.701

63.707

(di cui per violazione DPR 309/1990)

23.505

26.931

28.199

27.459

26.160

23.456

% sul totale dei detenuti

40,2

41,5

41,5

41,0

39,8

36,8

 

* Al 26 luglio 2013

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica

 

Va, tuttavia, segnalato come il mantenimento del limite edittale di 5 anni di pena consenta tuttora l’applicazione di misure cautelari.

 

Potrebbe essere opportuno coordinare con la nuova disposizione il contenuto dell’art. 380 c.p.p, comma 2, lett. h) che prevede attualmente l’arresto obbligatorio in flagranza di delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del D.P.R. 309/1990, salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo.

 

Va ricordato che il testo originario dell'art. 73 del T.U. stupefacenti prevedeva due distinti reati a seconda  dell'oggetto materiale della condotta: i primi tre commi riguardavano le c.d. droghe pesanti, ossia le sostanze elencate nelle tabelle I e III dell'art. 14, prevedendo (per l'ipotesi di cui al comma 1) la pena della reclusione da 8 a 20 anni e della multa da euro 25.822 a euro 258.228, mentre il quarto comma riguardava le c.d. droghe leggere, ossia le sostanze catalogate nelle tabelle II e IV dell'art. 14, prevedendo la pena della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da euro 5.164 a euro 77.468. L'impianto della normativa era quindi costruito sulla dualità tra droghe pesanti e droghe leggere, con due circuiti separati in base alla tipologia della sostanza stupefacente.

Questo sistema è stato profondamente innovato dalle modifiche normative apportate al DPR 309 del 1990, ed in particolare all'art. 73, dalla cd. legge Fini-Giovanardi (legge 21 febbraio 2006, n. 49, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, cd. decreto Olimpiadi di Torino), con le quali e' stata soppressa la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere; e' stata prevista (al posto delle precedenti quattro) una sola tabella in cui sono convogliate tutte le sostanze stupefacenti; ed e' stata prevista per tutte le condotte indicate nei commi 1 e 1-bis ed indistintamente per tutte le sostanze (anche per quelle in precedenza qualificate droghe leggere) la pena della reclusione da 6 a 20 anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000.

 

Si ricorda che le disposizioni della legge 49/2006 sono state oggetto di una questione incidentale di legittimità costituzionale e sono all’esame della Corte costituzionale. La Corte Costituzionale ha fissato due udienze per il giudizio sulla questione di legittimità costituzionale della legge 49/2006, con particolare riferimento all’art. 4-bis, di modifica dell’art. 73 del TU stupefacenti:

  la prima, in udienza pubblica, l’11 febbraio 2014;

  la seconda, in Camera di Consiglio, il 12 febbraio 2014.

 

L’udienza pubblica dell’11 febbraio 2014 deriva, in particolare, dall’ordinanza n. 25554 dell’11 giugno 2013 della III sezione penale della Corte di cassazione.

Nello specifico, le controversie sollevate dalla Suprema Corte vertono su un duplice profilo di incostituzionalità: il primo, di natura contenutistica, relativo al venir meno della distinzione giuridica fra droghe cd. “leggere” e droghe cd. “pesanti”, attraverso l'annullamento del relativo e diverso trattamento sanzionatorio, previsto, in origine dal DPR 309/90; il secondo, in relazione ai limiti della decretazione d’urgenza.

Secondo la Cassazione “la questione rilevante nel presente giudizio e da sottoporre alla Corte costituzionale deve essere circoscritta all'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49, nella parte in cui, nel sostituire il precedente testo dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 9 ottobre 1990, ha abolito la distinzione tra c.d. droghe leggere e droghe pesanti ed ha conseguentemente innalzato in misura notevole le pene edittali relativamente alle condotte aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti c.d. leggere”. Viene messa in dubbio la conformità costituzionale della norma sulla base della constatazione che la soppressione della differenziazione in materia di stupefacenti, congiuntamente al rilevante aumento delle pene edittali prescritte per le condotte attinenti al mondo delle droghe leggere non appaiono conformi né al principio di proporzionalità rispetto al disvalore espresso dalla condotta incriminatrice, né all’esempio di proporzionalità predisposto a livello comunitario (decisione 2004/757/GAI) .

L’ulteriore dubbio di costituzionalità riguarda i limiti della decretazione d’urgenza ovvero l’eventuale violazione dell’articolo 77, secondo comma, Cost. Le norme della legge 49/2006, infatti, vennero inserite nella legge di conversione attraverso un maxi-emendamento al DL 272/2005, riguardante “Misure urgenti dirette a garantire la sicurezza e il finanziamento per le Olimpiadi invernali di Torino, la funzionalità dell’amministrazione dell’interno e il recupero di tossicodipendenti recidivi”. L’ordinanza della Suprema Corte ritiene che la questione di costituzionalità della norma che “parifica ai fini sanzionatori” droghe pesanti e leggere, conseguentemente inasprendo le condanne per chi spaccia hashish (precedentemente comprese tra 2 e 6 anni detentivi e attualmente innalzate dai 6 ai 20 anni, con l’aggravio di una sanzione pecuniaria che oscilla tra i 26mila e i 260mila euro), ha primariamente a che fare con “il profilo dell’estraneità delle nuove norme inserite nella legge di conversione all’oggetto, alle finalità e alla ‘ratio’ dell’originale contenuto del decreto legge”[13]. Pertanto, quale proposizione secondaria, la Cassazione richiede che, “qualora le nuove norme siano ritenute non del tutto estranee al contenuto e alla finalità della decretazione d’urgenza” venga altresì stabilita la natura della “evidente carenza del presupposto del caso straordinario di necessità ed urgenza” attinente ai decreti legge. Dal testo dell’ordinanza 25554, si legge che: “Appare non manifestamente infondato ritenere che l’introduzione delle nuove norme abbia travalicato i limiti della potestà emendativa del Parlamento tracciati dalle pronunce della Corte Costituzionale“.

 

Pressoché analoghe considerazioni del giudice a quo sono alla base del giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del DL. 272/2005, come modificato dalla legge di conversione n. 49/2006, oggetto di discussione nella citata udienza in camera di consiglio del 12 febbraio 2014. Il giudizio deriva da due distinti atti di promuovimento: l’Ordinanza 28 gennaio 2013 della Corte d’Appello di Roma e l’Ordinanza 22 luglio 2013 del G.U.P. del Tribunale di Torino.

 

Si ricorda che è attualmente all’esame della Commissione Giustizia la proposta di legge C. 1203 (Farina) che interviene sul Testo Unico sugli stupefacenti attenuando le sanzioni introdotte dalla legge "Fini-Giovanardi" .

 

In estrema sintesi, la p.d.l. Farina, intervenendo con modifiche sull’art. 73 ed aggiungendo un art. 73-bis al DPR 309/1990 prevede, in particolare:

§  un abbassamento dei limiti edittali della reclusione e della multa in caso di detenzione, coltivazione,  spaccio, ecc. di "cannabis indica" (canapa indiana ovvero hashish o marijuana); l’abbassamento a 3 anni del limite massimo, in particolare, preclude l’accesso alla custodia cautelare;

§  l’esclusione del rilievo penale  della coltivazione per uso personale di "cannabis indica" nonché della cessione a terzi di piccole quantità (della stessa cannabis) destinate al consumo immediato; permane, invece, la responsabilità penale quando destinatario dello stupefacente sia un minore;

§  l’introduzione dell’illecito di lieve entità come reato autonomo, con la conseguente abrogazione dell’analoga circostanza attenuante; le pene previste sono ulteriormente ridotte se riguardano la cannabis indica.

Un ulteriore intervento della proposta riguarda l’art. 75 TU con cui si aggiunge la coltivazione di stupefacenti per uso personale alle condotte collegate alla detenzione di stupefacenti che integrano illeciti di natura amministrativa.

Viene, tuttavia, esclusa la sanzionabilità amministrativa dell'importazione, esportazione, acquisto, coltivazione, ricezione a qualsiasi titolo o comunque detenzione di "cannabis indica" per uso personale.

 

L’articolo 2 del decreto-legge prevede una ulteriore modifica al TU stupefacenti finalizzata alla riduzione sia del flusso in ingresso che di quello in uscita dal circuito penitenziario. La norma interviene sulla disciplina dell’affidamento terapeutico al servizio sociale di tossicodipendenti ed alcooldipendenti di cui all’art. 94 del TU stupefacenti (cd. affidamento in prova in casi particolari).

Tale di misura prevista consiste in una particolare forma di affidamento in prova in favore ai tossicodipendenti e alcool dipendenti per la cui concessione, a domanda, sono richiesti i seguenti requisiti:

§  pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non superiore a 6 anni (o a 4anni se relativa a titolo esecutivo comprendente reato di cui all'articolo 4-bis della legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario);

§  il condannato deve essere persona che ha in corso o che intende sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero;

§  il programma deve essere concordato dal condannato con una A.S.L. o con altri enti, pubblici e privati, espressamente indicati dall'art.115 del DPR 309/1990

§  una struttura sanitaria pubblica o privata deve attestare lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza e l'idoneità, ai fini del recupero, del programma terapeutico concordato.

La concessione della misura spetta al tribunale di sorveglianza, che deve accertare che lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza o l'esecuzione del programma di recupero non siano preordinati al conseguimento del beneficio. Ove ritenga che il programma di recupero contribuisce al recupero del condannato ed assicura la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati, il tribunale di sorveglianza dispone l'affidamento impartendo, tra le prescrizioni, quelle che determinano le modalità di esecuzione del programma e le forme di controllo per accertare che il tossicodipendente o l'alcooldipendente inizi immediatamente o prosegua il programma di recupero.

 

Il comma 1, lett. b), dell’art. 2 abroga il comma 5 dell’art. 94 TU stupefacenti secondo il quale l’affidamento terapeutico al servizio sociale non può essere disposto più di due volte.

 

Anche tale intervento abrogativo era tra quelli proposti dal documento conclusivo della citata Commissione Giostra.

 

Le motivazioni alla base dell’intervento risiedono nella particolare condizione di tali soggetti che lo stato di tossicodipendenza espone al rischio di frequenti recidive nel reato. La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto-legge, sulla base dei dati di esperienza, ritiene “più opportuno non escludere del tutto la possibilità di ulteriore accessi a misure di recupero extramurarie dalla forte valenza sul piano socio-sanitario”.

 

Alla data del 31 ottobre 2013, risultavano in affidamento terapeutico ex art. 94, DPR 309/1990 un totale di 2.858 condannati tossico/alcool dipendenti. Di questi, 964 provenienti dallo stato di libertà e 1.894 provenienti da detenzione (carcere, arresti domiciliari o detenzione domiciliare).

 

La relazione illustrativa, in relazione al positivo effetto che può derivare dalla novella riferisce che - in base a dati ISTAT - gli ingressi in carcere di tossicodipendenti sono stati, nel 2011, pari a 22.432; i detenuti tossicodipendenti al 31 dicembre dello stesso anno sono risultati 16.364, pari al 24,5% del totale (66.897).

 


Articolo 3, comma 1, lett. a), b) ed i)
(Tutela dei diritti dei detenuti)

 

L’articolo 3, comma 1, lettere a), b) e i), interessa complessivamente la tutela dei diritti dei detenuti in base all’ordinamento penitenziario (legge n. 354/1975): diritto di reclamo (art. 35 dell’ordinamento penitenziario – o.p.), reclamo giurisdizionale (nuovo art. 35-bis o.p.) e funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza (art. 69 o.p.). Sulla tutela dei diritti dei detenuti interviene anche l’art. 7 del decreto-legge, sul Garante nazionale dei detenuti (v. ultra).

Le modificazioni recepiscono in gran parte indicazioni contenute nel documento conclusivo della Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, istituita presso il Ministero della Giustizia (Commissione Giostra).

 

Come ricordato dalla relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, «con la sentenza emessa in data 8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell’Uomo, decidendo nella causa promossa da Torreggiani ed altri contro l’Italia, ha dichiarato che il nostro Paese, entro il termine di un anno dalla data di definitività di tale sentenza, dovrà istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni, effettivi ed idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, precisando, da un lato, che “… il reclamo rivolto al magistrato di sorveglianza in virtù degli articoli 35 e 69 della legge sull’ordinamento penitenziario è un ricorso accessibile, ma non effettivo nella pratica …” e, dall’altro, che devono essere creati “… senza indugio un ricorso o una combinazione di ricorsi che abbiano effetti preventivi e compensativi e garantiscano realmente una riparazione effettiva (…)”».

 

La modifica introdotta dalla lettera a) amplia l’elenco dei soggetti destinatari del diritto di reclamo da parte dei detenuti e degli internati. Si tratta del reclamo in via amministrativa e non davanti al giudice.

 

Il previgente art. 35 o.p. prevedeva che i detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa:

1) al direttore dell'istituto, nonché agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e al Ministro per la grazia e giustizia;

2) al magistrato di sorveglianza;

3) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all'istituto;

4) al presidente della Giunta regionale;

5) al Capo dello Stato.

 

La modifica introduce la possibilità di indirizzare il reclamo anche:

§  al provveditore regionale

I provveditorati regionali sono organi decentrati dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria. Essi operano nel settore degli istituti e servizi per adulti sulla base di programmi, indirizzi e direttive disposti dal Dipartimento stesso, in materia di personale, organizzazione dei servizi e degli istituti, detenuti ed internati, e nei rapporti con gli enti locali, le regioni ed il Servizio sanitario nazionale, nell'ambito delle rispettive circoscrizioni regionali. Sono inoltre titolari di ogni altra funzione amministrativa concernente il personale e gli istituti ed i servizi penitenziari, demandata dalle leggi vigenti alla data di entrata in vigore della riforma del 1990 al procuratore generale della Repubblica e al procuratore della Repubblica (art. 32, legge 395/1990).

 

§  alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto,

§  al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti.

Si rammenta che già l’art. 12-bis del decreto-legge 207/2008 (conv. dalla legge 14/2009): ha aggiunto il garante dei diritti dei detenuti tra i soggetti con cui i detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza, anche al fine di compiere atti giuridici (art. 18, comma 1, o.p.); ha aggiunto i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati tra i soggetti che possono essere visitati senza autorizzazione (art. 67, primo comma, lett. l-bis, o.p.). Risultano allo stato esistenti 12 garanti regionali, 7 garanti provinciali, 25 garanti comunali.

 

Inoltre, il riferimento al “direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena” è aggiornato con il riferimento al “capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Infatti, con il nuovo ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria, introdotto dalla legge n. 395/1990, la direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena del Ministero della giustizia è stata sostituita con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

In fine, in luogo degli ispettori è fatto riferimento al direttore dell’ufficio ispettivo.

 

Gli ispettori costituiscono un autonomo ruolo del personale del Corpo di polizia penitenziaria, ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. 443/1992, articolato in quattro qualifiche.

In base al regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia (DPR 55/2000), fa invece parte dell’Ufficio del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria l’Ufficio attività ispettiva e controllo, cui è preposto un direttore. L’Ufficio svolge attività ispettiva ordinaria sulla programmazione annuale nelle sedi dell'amministrazione penitenziaria, per verificare la corretta gestione amministrativa di tutte le aree degli istituti penitenziari, l'osservanza della normativa e delle disposizioni ministeriali. Svolge attività ispettiva straordinaria in concomitanza di eventi di particolare criticità.

 

La lettera b) introduce l’art. 35-bis dell’o.p., relativo al reclamo giurisdizionale.

 

Come evidenziato dalla relazione illustrativa, il nuovo articolo è “significativamente collocato dopo la norma sul reclamo generico, in modo da sottolineare la progressività dei meccanismi di tutela e la loro riconducibilità ad un sistema integrato ed unitario”.

 

In particolare, si tratta del procedimento relativo al reclamo, che si tiene davanti al magistrato di sorveglianza, ai sensi dell’art. 69, comma 6, o.p., come modificato dalla lettera i) (v. ultra). Si tratta del reclamo relativo all’esercizio del potere disciplinare e di quello relativo alle inosservanze dell’amministrazione penitenziaria da cui derivino un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti.

Il procedimento pare connotato da maggiori garanzie rispetto a quelle attualmente assicurate dal procedimento camerale applicato in base all’art. 69 o.p. (v. ultra).

In base al comma 1 del nuovo art. 35-bis, tale procedimento si deve svolgere ai sensi degli artt. 666 e 678 c.p.p., concernenti rispettivamente il procedimento di esecuzione e il procedimento di sorveglianza.

 

In base all’art. 666 c.p.p., il giudice dell'esecuzione procede a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato o del difensore (comma 1). Se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all'interessato. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione (comma 2). Salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all'interessato che ne sia privo, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori. L'avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere depositate memorie in cancelleria (comma 3). L'udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero. L'interessato che ne fa richiesta è sentito personalmente; tuttavia, se è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di disporre la traduzione (comma 4). Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio (comma 5). Il giudice decide con ordinanza. Questa è comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in camera di consiglio davanti alla corte di cassazione (comma 6). Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente (comma 7). Se l'interessato è infermo di mente, l'avviso previsto dal comma 3 è notificato anche al tutore o al curatore; se l'interessato ne è privo, il giudice o il presidente del collegio nomina un curatore provvisorio. Al tutore e al curatore competono gli stessi diritti dell'interessato (comma 8). Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva (comma 9).

L’art. 678 c.p.p. stabilisce che il tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, e il magistrato di sorveglianza nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito, ai ricoveri per infermità psichica sopravvenuta del condannato, alle misure di sicurezza, alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell'articolo 666. Tuttavia, quando vi è motivo di dubitare della identità fisica di una persona, procedono a norma dell'articolo 667, dedicato a tale ipotesi (comma 1). Quando si procede nei confronti di persona sottoposta a osservazione scientifica della personalità, il giudice acquisisce la relativa documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento (comma 2). Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte di appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza (comma 3).

 

Pare utile valutare l’efficacia del richiamo – contenuto nell’art. 35-bis - al procedimento previsto dagli articoli 666 e 678 c.p.p., dal momento che proprio il nuovo art. 35-bis o.p. reca una specifica e distinta procedura di reclamo. Pare comunque utile valutare come possano combinarsi tra loro le discipline dei due articoli richiamati, riferite al medesimo procedimento di reclamo.

 

Si prevede che, salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’art. 666, comma 2, c.p.p., il magistrato fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso anche all’amministrazione interessata, che ha diritto di comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste.

Si osserva che l’art. 666, comma 2, non fa riferimento alla manifesta inammissibilità bensì alla richiesta “manifestamente infondata”, cui consegue la dichiarazione di inammissibilità da parte del giudice.

 

In base al comma 2 dell’art. 35-bis il termine per il reclamo relativo all’esercizio del potere disciplinare è di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. In caso di accoglimento del reclamo, il magistrato di sorveglianza dispone l’annullamento del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare.

Nella relazione illustrativa è evidenziato che la via dell’annullamento (anziché quella della disapplicazione) è stata scelta “poiché l’impugnativa disciplinare non può che avere effetto demolitorio. Si tratta, infatti, di tutela giurisdizionale del giudice ordinario sugli atti della pubblica amministrazione, che incidono su diritti e per i quali sussiste riserva di legge (ex articolo 113 della Costituzione); l’intervento normativo è dunque pienamente in linea con detta riserva. Non si è poi ritenuto di prevedere il potere di modificare la sanzione, volendosi evitare l’ingerenza nell’esercizio del potere disciplinare: se il magistrato di sorveglianza rileverà l’eccessività della sanzione, annullando quindi il provvedimento, l’amministrazione potrà provvedere ex novo, tenendo però conto delle ragioni dell’annullamento”.

 

Nelle ipotesi di inosservanza da parte dell’amministrazione penitenziaria di leggi o regolamenti, il magistrato, accertate la sussistenza e l’attualità del pregiudizio, ordina all’amministrazione di porre rimedio.

Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito (comma 4).

Viene quindi prevista, ai commi 5 e 6, una specifica procedura per garantire l’ottemperanza alle decisioni del magistrato di sorveglianza da parte dell’amministrazione penitenziaria.

Il giudizio di ottemperanza costituisce uno specifico rito previsto dal codice del processo amministrativo per garantire che i provvedimenti del giudice amministrativo siano eseguiti dalla p.a. Il giudizio di ottemperanza davanti al magistrato di sorveglianza risulta modellato sulla disciplina dell’ottemperanza davanti al giudice amministrativo. Si tratta pertanto, in questo caso, di una ipotesi in cui il giudice dell’amministrazione non è il giudice amministrativo (TAR o Consiglio di Stato).

Infatti, il libro quarto, Titolo I, del d.lgs. 104/2010 (Approvazione del codice del processo amministrativo), disciplina il giudizio di ottemperanza.

 

In base all’art. 112 (Disposizioni generali sul giudizio di ottemperanza), i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti (comma 1). L’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione: a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato; d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione; e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato (comma 2). Può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione (comma 3). Il ricorso può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza (ultimo comma).

 

L’art. 113 individua il giudice amministrativo competente per l’ottemperanza.

Il procedimento è disciplinato dall’art. 114. L’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza (comma 1). Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del suo passaggio in giudicato (comma 2). Il giudice decide con sentenza in forma semplificata (comma 3). Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso: a) ordina l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione; b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato; c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano; d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta; e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo (comma 4). Se è chiesta l’esecuzione di un’ordinanza il giudice provvede con ordinanza (comma 5). Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza, nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni. Gli atti emanati dal giudice dell'ottemperanza o dal suo ausiliario sono impugnabili dai terzi estranei al giudicato ai sensi dell'articolo 29, con il rito ordinario (comma 6). Nel caso di ricorso ai sensi del comma 5 dell’ articolo 112, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario (comma 7). Le disposizioni di cui al presente Titolo si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell’ottemperanza (comma 8). I termini per la proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III (comma 9).

 

L’art. 115 riguarda il titolo esecutivo e il rilascio di estratto del provvedimento giurisdizionale con formula esecutiva. Le pronunce del giudice amministrativo che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di parte, in forma esecutiva (comma 1). I provvedimenti emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro costituiscono titolo anche per l’esecuzione nelle forme disciplinate dal Libro III del codice di procedura civile e per l’iscrizione di ipoteca (comma 2). Ai fini del giudizio di ottemperanza di cui al presente Titolo non è necessaria l’apposizione della formula esecutiva (comma 3).

 

Il comma 5 del nuovo art. 35-bis o.p., in caso di mancata esecuzione del provvedimento non più soggetto ad impugnazione, prevede che l’interessato o il suo difensore munito di procura speciale possano richiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento. E’ inoltre previsto ancora che debbano essere osservate le disposizioni di cui agli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale (comma 5).

Pare utile individuare le singole disposizioni contenute in tali articoli del c.p.p., applicabili al giudizio di ottemperanza.

 

In base al comma 6 del nuovo art. 35-bis, qualora accolga la richiesta, il magistrato di sorveglianza:

a) ordina l’ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto del programma attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto;

b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito;

c) se non sussistono ragioni ostative, determina, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di 100 euro per ogni giorno. La statuizione costituisce titolo esecutivo;

d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta.

Il magistrato di sorveglianza conosce di tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.

Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge.

Pare utile valutare se la sintetica disciplina speciale del giudizio di ottemperanza richieda una più specifica definizione, alla luce delle disposizioni organicamente previste dal codice del processo amministrativo.

Pare inoltre utile valutare la diversa efficacia della disciplina dell’ottemperanza, in conseguenza dei diversi poteri attribuiti al magistrato di sorveglianza rispettivamente per le sanzioni disciplinari (solo potere di annullamento e non di modifica delle sanzioni) e per le inosservanze dell’amministrazione penitenziaria.

 

La lettera i) modifica due commi dell’art. 69 o.p.

 

In base a tale articolo, relativo a funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza, il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo (comma 1). Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti (comma 2). Sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali (comma 3). Provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e secondo comma dell'articolo 208 del codice penale, nonché all'applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Provvede altresì, con decreto motivato, in occasione dei provvedimenti anzidetti, alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale (comma 4). Approva, con decreto, il programma di trattamento individualizzato, ovvero, se ravvisa in esso elementi che costituiscono violazione dei diritti del condannato o dell'internato, lo restituisce, con osservazioni, al fine di una nuova formulazione. Approva, con decreto, il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno. Impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati (comma 5).

Decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura prevista per il reclamo concernente il regime di sorveglianza particolare, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l'osservanza delle norme riguardanti: a) l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali; b) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa (comma 6).

Provvede, con decreto motivato, sui permessi, sulle licenze ai detenuti semiliberi ed agli internati, e sulle modifiche relative all'affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare (comma 7). Provvede con ordinanza sulla riduzione di pena per la liberazione anticipata e sulla remissione del debito, nonché sui ricoveri previsti dall'articolo 148 del codice penale (comma 8). Esprime motivato parere sulle proposte e le istanze di grazia concernenti i detenuti (comma 9). Svolge, inoltre, tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge (comma 10).

 

Si riporta di seguito il testo a fronte dell’art. 69 dell’ordinamento penitenziario, prima e dopo l’entrata in vigore del decreto-legge.

 

Normativa previgente

Decreto-legge 146/2013

L. 26 luglio 1975, n. 354
Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà

Art. 69

Funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza

1. Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo.

1. Identico.

2. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti.

2. Identico.

3. Sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali.

3. Identico.

4. Provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e secondo comma dell'articolo 208 del codice penale, nonché all'applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Provvede altresì, con decreto motivato, in occasione dei provvedimenti anzidetti, alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale.

4. Identico.

5. Approva, con decreto, il programma di trattamento di cui al terzo comma dell'articolo 13, ovvero, se ravvisa in esso elementi che costituiscono violazione dei diritti del condannato o dell'internato, lo restituisce, con osservazioni, al fine di una nuova formulazione. Approva, con decreto, il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno. Impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati.

5. Approva, con decreto, il programma di trattamento di cui al terzo comma dell'articolo 13, ovvero, se ravvisa in esso elementi che costituiscono violazione dei diritti del condannato o dell'internato, lo restituisce, con osservazioni, al fine di una nuova formulazione. Approva, con decreto, il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno. Impartisce, inoltre, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati.

6. Decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura di cui all'articolo 14-ter, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l'osservanza delle norme riguardanti:

a) […]

       lett. a) dichiarata incostituzionale con sent. 341/2006 della Corte cost.

 

 

 

 

b) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa.

6. Provvede a norma dell’articolo 35-bis sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti:

 

 

a) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell’organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa; nei casi di cui all’articolo 39, comma 1, numeri 4 e 5, è valutato anche il merito dei provvedimenti adottati;

b) l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti.

7. Provvede, con decreto motivato, sui permessi, sulle licenze ai detenuti semiliberi ed agli internati, e sulle modifiche relative all'affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare.

7. Identico.

8. Provvede con ordinanza sulla riduzione di pena per la liberazione anticipata e sulla remissione del debito, nonché sui ricoveri previsti dall'articolo 148 del codice penale.

8. Identico

9. Esprime motivato parere sulle proposte e le istanze di grazia concernenti i detenuti.

9. Identico

10. Svolge, inoltre, tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge.

10. Identico.

 

La modificazione apportata al comma 5, con la soppressione delle parole “nel corso del trattamento”, pare diretta a determinare una più ampia possibilità per il magistrato di sorveglianza di impartire disposizioni dirette a eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati. Non è più richiesto, infatti, che tali disposizioni debbano essere impartite nel corso del trattamento. Sul punto la relazione illustrativa non reca precisazioni.

Pare utile che venga precisato quali possano essere le ipotesi in cui le disposizioni per eliminare eventuali violazioni non siano impartite nel corso del trattamento.

 

Il nuovo comma 6 dell’art. 69 o.p. stabilisce che il magistrato di sorveglianza provvede a norma del nuovo art. 35-bis dell’ordinamento penitenziario – e non più dell’art. 14-ter - sui reclami dei detenuti e degli internati.

Il richiamo all’art. 35-bis – anziché all’art. 14-ter o.p. – introduce maggiori garanzie procedurali a tutela dei detenuti.

L’art. 14-ter dell’ordinamento penitenziario disciplina il procedimento di reclamo avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare. Come si è visto, a tale procedimento faceva peraltro rinvio, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, l’art. 69 o.p., per reclami dei detenuti e internati.

 

In base all’art. 14-ter, il reclamo può essere proposto dall'interessato al tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento (comma 1). Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo (comma 2). Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L'interessato e l'amministrazione penitenziaria possono presentare memorie (comma 3). Per quanto non diversamente disposto si applicano le disposizioni sul procedeimento di sorveglianza (comma 4).

 

Sull’argomento delle garanzie procedurali è intervenuta anche la Corte costituzionale.

La Corte infatti, con la sentenza n. 341/2006, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 69, comma 6, lettera a), o.p., secondo cui il magistrato di sorveglianza decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura camerale di cui all'articolo 14-ter, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l'osservanza delle norme riguardanti l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali.

 

La Corte ha sottolineato che lo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti contribuisce a rendere le modalità di espiazione della pena conformi al principio espresso nell’art. 27, terzo comma, Cost., che assegna alla pena stessa la finalità di rieducazione del condannato e che il lavoro dei detenuti, lungi dal caratterizzarsi come fattore di aggravata afflizione, «si pone come uno dei mezzi di recupero della persona, valore centrale per il nostro sistema penitenziario non solo sotto il profilo della dignità individuale ma anche sotto quello della valorizzazione delle attitudini e delle specifiche capacità lavorative del singolo» (sentenza n. 158 del 2001): La Corte ha quindi fissato tre punti fermi nella materia: la necessaria tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dai rapporti di lavoro instauratisi nell’ambito dell’organizzazione penitenziaria; la possibilità che il legislatore ponga limiti ai diritti in questione in rapporto alla condizione restrittiva della libertà personale cui è sottoposto il lavoratore detenuto; la illegittimità di ogni «irrazionale ingiustificata discriminazione», con riguardo ai diritti inerenti alle prestazioni lavorative, tra i detenuti e gli altri cittadini.

 

La Corte ha quindi rilevato che la procedura camerale, tipica dei giudizi davanti al magistrato di sorveglianza, non assicura al detenuto una difesa nei suoi tratti essenziali equivalente a quella offerta dall’ordinamento a tutti i lavoratori, giacché è consentito un contraddittorio puramente cartolare, che esclude la diretta partecipazione del lavoratore-detenuto al processo. Per altro verso, la disposizione non assicura adeguata tutela al datore di lavoro.

Il procedimento di cui all’art. 14-ter della legge n. 354 del 1975, imposto dall’art. 69, sesto comma, lettera a), per tutte le controversie civili nascenti dalle prestazioni lavorative dei detenuti, comprime dunque – secondo la Corte - in modo notevole e irragionevole le garanzie giurisdizionali essenziali riconosciute a tutti i cittadini. Il legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, può ben prevedere forme di svolgimento dei giudizi civili nascenti da prestazioni lavorative dei detenuti tali da essere compatibili con le esigenze dell’organizzazione penitenziaria e mantenere integro, nel contempo, il nucleo essenziale delle garanzie giurisdizionali delle parti. La scelta del legislatore in favore del rito camerale non è illegittima in sé, ma solo nell’eventualità in cui non vengano assicurati lo scopo e la funzione del processo e quindi, in primo luogo, il contraddittorio. Secondo la Corte, la Costituzione non impone un modello vincolante di processo. Occorre pertanto «riconoscere al legislatore un’ampia potestà discrezionale nella conformazione degli istituti processuali, col solo limite della non irrazionale predisposizione di strumenti di tutela, pur se tra loro differenziati». La norma impugnata, tuttavia, detta, con stretta consequenzialità, regole processuali inidonee, se riferite alle controversie di lavoro, ad assicurare un nucleo minimo di contraddittorio e di difesa, quale spetta a tutti i cittadini nei procedimenti giurisdizionali.

 

Si rammenta poi che, in termini analoghi, la Corte costituzionale (sent. 53/1993), aveva dichiarato tra l’altro l'illegittimità costituzionale dell'art. 14-ter, primo, secondo e terzo comma, nella parte in cui non consente l'applicazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio.

 

 

I reclami dei detenuti e degli internati su cui il magistrato di sorveglianza deve provvedere in base al comma 6 non sono più limitati all’osservanza delle norme concernenti i diversi ambiti interessati ma tutti i reclami concernenti tali ambiti.

I reclami sono i seguenti:

§  i reclami relativi al potere disciplinare (nei termini già previsti dalla disciplina previgente). Viene peraltro precisato che per la sanzione dell’isolamento per non più di 15 giorni durante la permanenza all’aria aperta e per l’esclusione dalle attività in comune per non più di 15 giorni il magistrato valuta anche il merito dei provvedimenti adottati;

Si osserva che il riferimento al merito dei provvedimenti adottati per alcuni specifici casi, ripropone il controllo di mera legittimità per le categorie non indicate, in termini analoghi al previgente parametro della “osservanza delle norme”;

§  i reclami sull’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dall’ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti.

Secondo la relazione illustrativa, “si è inteso circoscrivere la tutela giurisdizionale unicamente ai casi in cui il detenuto o internato intenda fare valere una lesione «attuale» e «grave», che consegua alla «inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla legge penitenziaria e dal relativo regolamento. Ciò al fine di consentire l’accesso ad un meccanismo di tutela certamente «costoso» soltanto in relazione alle situazioni di pregiudizio realmente significative, consentendo alla magistratura di sorveglianza di utilizzare il filtro della inammissibilità in relazione a questioni non meritevoli di considerazione ovvero a ipotesi di lesione ormai risalenti nel tempo”.

 

 


Articolo 3, comma 1, lett. c), d) ed e)
(Affidamento in prova al servizio sociale)

 

L’articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed e), del decreto-legge, novella l’Ordinamento penitenziario (legge 354 del 1975) per quanto concerna la disciplina dell’affidamento in prova al servizio sociale.

 

L’affidamento in prova al servizio sociale, in base all’art. 47 dell’ordinamento penitenziario vigente all’entrata in vigore del decreto-legge, è applicabile ai condannati a pena detentiva non superiore a tre anni, per un periodo uguale a quello della pena da scontare, sempre che, sulla base dei risultati dell’osservazione della personalità condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, si possa ritenere che il provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione dal pericolo che egli commetta altri reati.

 

L’osservazione in istituto non è necessaria nei casi in cui il condannato, dopo la commissione del reato, ha tenuto un comportamento tale da consentire tale giudizio. L’affidamento in prova è disposto: dal P.M. prima dell’inizio dell’esecuzione della pena, secondo la procedura di cui all’articolo 656, comma 5, c.p.p.; dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, dal magistrato di sorveglianza (che sospende l’esecuzione) e dal Tribunale di sorveglianza (competente a decidere sul merito dell’istanza). La misura, che è revocabile, è accompagnata dalla previsione di prescrizioni – modificabili dal magistrato di sorveglianza - cui il soggetto ammesso alla misura è tenuto in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro. Deve essere anche stabilito che l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza. Il servizio sociale svolge funzioni di controllo, di assistenza e riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza. In caso di esito positivo del periodo di prova si produce l’estinzione della pena e di ogni altro effetto penale.

 

In base all’art. 656 c.p.p., se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni (o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), il pubblico ministero ne sospende l'esecuzione ed è possibile ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione.

 

Sull’istanza decide il tribunale di sorveglianza entro 45 giorni dal ricevimento dell'istanza. Qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione. La sospensione dell'esecuzione non può peraltro essere disposta nei confronti dei condannati per taluni delitti (previsti dall'art. 4-bis dell’o.p. nonché da altri articoli del c.p.), nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva, nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva. Se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative. La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

 

La lettera c) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge introduce un nuovo comma 3-bis nell’articolo 47 dell’ordinamento penitenziario. La modifica consente l’affidamento in prova al servizio sociale:

§  al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni;

§  quando abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio sulla rieducazione del reo e sulla prevenzione del pericolo di commissione di altri reati;

§  quando tale comportamento sia stato serbato quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà; il periodo minimo di un anno di osservazione costituisce pertanto un elemento di aggravio rispetto all’ipotesi ordinaria di affidamento in prova per pena detentiva non superiore a tre anni.

Si rammenta che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 569/1989, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47, terzo comma, della legge n. 3541975, all’epoca vigente, nella parte in cui non prevedeva che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, il condannato possa essere ammesso all'affidamento in prova al servizio sociale se, in presenza delle altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente comma 2 dello stesso articolo.

 

La lettera d) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge sostituisce poi il comma dell’articolo 47 dell’ordinamento penitenziario, rafforzando i poteri del magistrato di sorveglianza di applicare la misura in via di urgenza, sulla falsariga dell’affidamento c.d. terapeutico, previsto dall’art. 94 del testo unico sulle tossicodipendenze.

Viene pertanto previsto che:

§  l’istanza di affidamento in prova deve essere proposta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell’esecuzione (e non, come in precedenza, al magistrato di sorveglianza);

§  l’istanza può essere proposta al magistrato di sorveglianza competente quando sussiste un grave pregiudizio;

§  il magistrato di sorveglianza – in presenza dei prescritti requisiti – dispone con ordinanza la liberazione del condannato e l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova;

§  l’ordinanza conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, che decide entro sessanta giorni (in luogo di quarantacinque).

E’ inoltre soppressa la disposizione in base a cui, se l’istanza non è accolta, non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta.

 

Pare utile valutare gli effetti della soppressione della congiunzione “se” con cui esordisce il comma 4 (Se l’istanza di affidamento in prova… è proposta dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena). In particolare è da valutare se la nuova formulazione possa circoscrivere la presentazione dell’istanza di affidamento in prova ivi richiamata al solo caso in cui abbia avuto inizio l’esecuzione della pena.

 

La lettera e) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge modifica il comma 8 dell’articolo 47 dell’ordinamento penitenziario, con un’ulteriore integrazione dei poteri di urgenza del magistrato di sorveglianza concernenti l’affidamento in prova.

Infatti, alla possibilità, già prevista, per il magistrato di sorveglianza di modificare le prescrizioni dell’affidamento in prova, è aggiunta la previsione in base a cui le deroghe temporanee alle prescrizioni sono autorizzate, su proposta del direttore dell’ufficio di esecuzione penale esterna, dal magistrato di sorveglianza, anche in forma orale nei casi di urgenza.

 

Si riporta di seguito il testo a fronte dell’articolo 47 dell’ordinamento penitenziario, prima e dopo l’entrata in vigore del decreto-legge 146/2013.

 

Normativa previgente

Decreto-legge 146/2013

L. 26 luglio 1975, n. 354
Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà

Art. 47

Affidamento in prova al servizio sociale

1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.

1. Identico.

2. Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

2. Identico.

3. L'affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.

3. Identico.

 

3-bis. L'affidamento in prova può, altresì, essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione quando abbia serbato, quantomeno nell'anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.

4. Se l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga. La sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro quarantacinque giorni. Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena, e non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta.

4. L'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta, dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione. Quando sussiste un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l'istanza può essere proposta al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione. Il magistrato di sorveglianza, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga, dispone la liberazione del condannato e l'applicazione provvisoria dell'affidamento in prova con ordinanza. L'ordinanza conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti, che decide entro sessanta giorni.

5. All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.

5. Identico.

6. Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.

6. Identico.

7. Nel verbale deve anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.

7. Identico.

8. Nel corso dell'affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.

8. Nel corso dell'affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza. Le deroghe temporanee alle prescrizioni sono autorizzate, su proposta del direttore dell’ufficio di esecuzione penale esterna, dal magistrato di sorveglianza, anche in forma orale nei casi di urgenza.

9. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.

9. Identico.

10. Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.

10. Identico.

11. L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.

11. Identico.

12. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. Il tribunale di sorveglianza, qualora l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa.

12. Identico.

12-bis. All'affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 54. Si applicano gli articoli 69, comma 8, e 69-bis nonché l'articolo 54, comma 3.

12-bis. Identico.

 

 

Sono di seguito riportati alcuni dati di più diretto interesse, in relazione alle modifiche proposte sulle misure alternative alla detenzione.

 

 

 

Misure alternative alla detenzione - Dati al 30 novembre 2013

Tipologia

Numero

AFFIDAMENTO IN PROVA

 

Condannati dallo stato di libertà

5.093

Condannati dallo stato di detenzione*

2.542

Condannati tossico/alcooldipendenti dallo stato di libertà

973

Condannati tossico/alcooldipendenti dallo stato di detenzione*

1.904

Condannati tossico/alcooldipendenti in misura provvisoria

423

Condannati affetti da aids dallo stato di libertà

2

Condannati affetti da aids dallo stato di detenzione*

55

TOTALE

10.992

 

 

SEMILIBERTÀ

 

Condannati dallo stato di libertà

61

Condannati dallo stato di detenzione*

777

TOTALE

838

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Direzione generale dell'esecuzione penale esterna - Osservatorio delle misure alternative

* dallo stato di DETENZIONE = provenienti dagli ii.pp. - arresti domiciliari (art. 656 c 10 c.p.p.) - detenzione domiciliare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Detenuti presenti condannati (con almeno una condanna definitiva) per pena inflitta
Situazione al 30 Giugno 2013

 

Regione di detenzione

da 0 a 1 anno

da 1 a 2 anni

da 2 a 3 anni

da 3 a 5 anni

da 5 a 10 anni

da 10 a 20 anni

oltre 20 anni

ergastolo

Totale

Abruzzo

31

61

77

233

402

285

153

190

1.432

Basilicata

18

14

30

68

139

59

19

12

359

Calabria

66

96

152

287

425

219

73

73

1.391

Campania

195

291

403

941

1.389

488

91

58

3.856

Emilia Romagna

196

293

296

441

454

263

104

119

2.166

Friuli Venezia Giulia

72

100

116

168

98

45

12

14

625

Lazio

308

417

552

880

1.152

539

183

133

4.164

Liguria

118

107

132

287

296

95

22

7

1.064

Lombardia

480

553

627

1.080

1.473

772

287

243

5.515

Marche

46

46

83

160

188

92

58

61

734

Molise

6

13

29

89

175

91

16

7

426

Piemonte

306

429

416

738

769

411

170

133

3.372

Puglia

134

215

264

610

778

341

61

26

2.429

Sardegna

56

97

217

435

479

220

124

93

1.721

Sicilia

187

309

503

974

1.499

605

158

63

4.298

Toscana

181

271

247

502

692

522

222

142

2.779

Trentino Alto Adige

32

64

50

100

44

3

0

0

293

Umbria

33

44

111

210

409

251

135

112

1.305

Valle d'Aosta

34

46

35

58

40

8

5

4

230

Veneto

143

250

252

498

539

257

111

92

2.142

Totale

2.642

3.716

4.592

8.759

11.440

5.566

2.004

1.582

40.301

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - Sezione statistica

 

 


Detenuti presenti condannati (con almeno una condanna definitiva) per pena residua – Situazione al 30 Giugno 2013

 

Regione di detenzione

da 0 a 1 anno

da 1 a 2 anni

da 2 a 3 anni

da 3 a 5 anni

da 5 a 10 anni

da 10 a 20 anni

oltre 20 anni

ergastolo

Totale

Abruzzo

181

178

194

274

263

131

21

190

1.432

Basilicata

78

67

55

72

57

15

3

12

359

Calabria

340

257

220

218

186

80

17

73

1.391

Campania

912

847

652

744

486

140

17

58

3.856

Emilia Romagna

682

423

291

289

245

96

21

119

2.166

Friuli Venezia Giulia

231

158

101

70

35

13

3

14

625

Lazio

1.165

861

599

663

498

200

45

133

4.164

Liguria

330

227

181

176

108

33

2

7

1.064

Lombardia

1.389

1.043

791

905

764

328

52

243

5.515

Marche

169

148

101

113

78

49

15

61

734

Molise

61

81

66

100

80

29

2

7

426

Piemonte

1.045

708

460

450

357

172

47

133

3.372

Puglia

611

522

379

438

343

95

15

26

2.429

Sardegna

379

351

241

277

229

128

23

93

1.721

Sicilia

1.061

909

700

786

574

172

33

63

4.298

Toscana

607

516

408

435

425

207

39

142

2.779

Trentino Alto Adige

116

78

57

35

5

2

0

0

293

Umbria

217

209

187

200

207

136

37

112

1.305

Valle d'Aosta

108

61

24

20

7

2

4

4

230

Veneto

581

440

310

310

287

98

24

92

2.142

Totale

10.263

8.084

6.017

6.575

5.234

2.126

420

1.582

40.301

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - Sezione statistica

 

 


Articolo 3, comma 1, lett. f) e h), e comma 2
(Detenzione domiciliare e particolari modalità di controllo)

 

Le lettere f) e h) riguardano entrambe il tema dei controlli elettronici a distanza (c.d. braccialetto elettronico) da eseguire su soggetti in detenzione domiciliare. Si ricorda che il medesimo oggetto è trattato anche dall’art. 1, comma 1, lett. a), del decreto legge, al cui contenuto si rinvia per quanto riguarda le considerazioni generali sul numero dei dispositivi elettronici oggi disponibili e relativi oneri.

 

In particolare, la lettera f) novella l’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, in tema di detenzione domiciliare, abrogando il comma 4-bis, in base al quale «Nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo, può prevedere modalità di verifica per l'osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale».

L’abrogazione non rappresenta una rinuncia ai controlli elettronici a distanza in quanto il Governo dedica a questa modalità di controllo un’apposita nuova disposizione dell’ordinamento penitenziario, inserita dalla lettera h): art. 58-quater, Particolari modalità di controllo nell’esecuzione della detenzione domiciliare.

Come si evince dal seguente testo a fronte la nuova disposizione, nel riprodurre sostanzialmente i contenuti di quella abrogata (in particolare resta immutato il carattere eventuale dell’impiego degli strumenti elettronici) introduce peraltro le seguenti novità:

§  la collocazione della disposizione al di fuori dell’art. 47-ter, potrebbe renderla applicabile anche alla detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies;

§  l’impiego delle particolari modalità di controllo può essere deciso anche se la misura è già in corso di esecuzione (da qui il necessario richiamo oltre che al tribunale anche al magistrato di sorveglianza), non solo in sede di decisione circa la concessione della stessa.

 


 

Normativa vigente

Decreto-legge 146/2013

L. 26 luglio 1975, n. 354
Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà

Art. 47-ter

Detenzione domiciliare

Art. 58-quinquies

Particolari modalità di controllo nell’esecuzione della detenzione domiciliare

01. – 4. Omissis

 

4-bis. Nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo, può prevedere modalità di verifica per l'osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale.

1. Nel disporre la detenzione domiciliare, il magistrato o il tribunale di sorveglianza possono prescrivere procedure di controllo anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l'effettiva disponibilità. Allo stesso modo può provvedersi nel corso dell'esecuzione della misura. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale.

5. – 9-bis. Omissis

 

 

Anche questa nuova disposizione – al pari della novella all’art. 275-bis c.p.p. – non produce ancora effetti. Il comma 2 dell’articolo 3 del decreto-legge differisce infatti l’efficacia di questa previsione all’entrata in vigore della legge di conversione. Si segnala, invece, che l’abrogazione del comma 4-bis dell’art. 47-ter O.P. è già efficace.

 

 

L’introduzione dell’art. 58-quinquies dell’ordinamento penitenziario è auspicato anche dalla relazione conclusiva della c.d. Commissione Giostra che, peraltro, prevede l’impiego del controllo elettronico a distanza nell’applicazione non solo della detenzione domiciliare ma di tutte le misure alternative alla detenzione. Il testo dell’art. 58-quinsquies proposto dalla Commissione è il seguente: «Nel disporre le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, il permesso premio e l’assegnazione al lavoro all’esterno, il tribunale ed il magistrato di sorveglianza, quando ne abbiano accertata la disponibilità da parte dell’autorità preposta al controllo, possono prevedere modalità di verifica per l’osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 275-bis del codice di procedura penale. Le medesime modalità di controllo possono essere disposte nel corso dell’esecuzione dal magistrato di sorveglianza».

La relazione specifica che l’introduzione della norma è volta a consentire una più ampia applicazione dei benefici extramurari: ogniqualvolta residuino dubbi sull’affidabilità del detenuto che ne sconsiglierebbero la concessione, il giudice potrà ugualmente concederli qualora ritenga che i margini di rischio possano essere efficacemente contrastati dal suppletivo, più pregnante controllo, costituito dal monitoraggio elettronico del soggetto. Si è prevista anche la possibilità per il magistrato di sorveglianza di applicare il braccialetto elettronico, anche nel corso di esecuzione del beneficio, ogniqualvolta la violazione alle prescrizioni posta in essere dal soggetto non sia stata così grave da apparire incompatibile con la prosecuzione dello stesso, ma renda necessario un controllo più incisivo».

 

 

Misure alternative alla detenzione - Dati al 30 novembre 2013

 

DETENZIONE DOMICILIARE

Numero

Di cui legge 199/2010

Condannati dallo stato di libertà

3.235

668

Condannati dallo stato di detenzione*

4.567

1.865

Condannati in misura provvisoria

2.310

 

Condannati affetti da aids dallo stato di libertà

20

 

Condannati affetti da aids dallo stato di detenzione*

36

 

Condannate madri/padri dallo stato di libertà

4

 

Condannate madri/padri dallo stato di detenzione*

17

 

TOTALE

10.189

2.533

 

* dallo stato di DETENZIONE = provenienti dagli ii.pp. - arresti domiciliari (art. 656 c 10 c.p.p.) - detenzione domiciliare

 

 

Detenuti domiciliari ex Legge 199/2010 in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna
Periodo 16 dicembre 2010 - 30 novembre 2013

Condannati in stato di detenzione domiciliare dalla detenzione**

12.645

Condannati in stato di detenzione domiciliare dalla libertà

4.240

 

**Il dato comprende il numero complessivo dei beneficiari, compreso quello di coloro che vi accedono dagli arresti domiciliari, considerato dall'entrata in vigore della stessa.

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Direzione generale dell'esecuzione penale esterna - Osservatorio delle misure alternative

 


Articolo 3, comma 1, lett. g)
(Nuovi titoli di privazione della libertà)

 

La lettera g) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge sostituisce l’art. 51-bis dell’ordinamento penitenziario, relativo alla sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà.

E’ così modificato il procedimento relativo alla prosecuzione delle misure alternative: nei casi in cui sopravvenga un nuovo titolo detentivo il relativo provvedimento è assunto dal magistrato di sorveglianza, senza che si renda necessaria una decisione da parte del tribunale.

Si tratta in particolare del caso in cui durante l’attuazione dell’affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà sopravvenga un titolo di esecuzione di altra pena detentiva. E’ ora previsto che spetti al pubblico ministero – e non più al direttore dell’istituto penitenziario o del centro di servizio sociale – informare il magistrato di sorveglianza, formulando insieme le proprie richieste.

Il magistrato di sorveglianza deve verificare se, a seguito del cumulo delle pene, permangano le condizioni rispettivamente previste: per l’affidamento in prova al servizio sociale per pena detentiva inflitta inferiore a tre anni; per la detenzione domiciliare non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, per alcune categorie indicate dall’articolo 47-ter, commi 1, o.p.; per la detenzione domiciliare applicata per l'espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena; per la detenzione domiciliare speciale delle condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci; per l’ammissione alla semilibertà prevista dai primi tre commi dell’art. 50 o.p.

In caso di esito positivo, il magistrato di sorveglianza dispone con ordinanza la prosecuzione della misura in corso, altrimenti ne dispone la cessazione.

E’ soppresso pertanto l’obbligo per il magistrato di sorveglianza di trasmettere gli atti al tribunale di sorveglianza.

E’ introdotto in fine un nuovo comma in base a cui è ammesso reclamo avverso l’ordinanza del magistrato di sorveglianza, secondo il procedimento per la liberazione anticipata (art. 69-bis o.p.). In particolare, tale procedimento prevede la possibilità del reclamo al tribunale di sorveglianza.

 

Infatti, in base all’art. 69-bis o.p., sull'istanza di concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza, adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti, che è comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell'articolo 127 del codice di procedura penale (comma 1). Il magistrato di sorveglianza decide non prima di quindici giorni dalla richiesta del parere al pubblico ministero e anche in assenza di esso (comma 2). Avverso l'ordinanza di cui al comma 1 il difensore, l'interessato e il pubblico ministero possono, entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente per territorio (comma 3). Il tribunale di sorveglianza decide ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale. Si applicano le disposizioni del quinto e del sesto comma dell'articolo 30-bis, sulla composizione del collegio che giudica sul reclamo (comma 4). Il tribunale di sorveglianza, ove nel corso dei procedimenti previsti dall'articolo 70, comma 1, (l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare speciale, la semilibertà, la liberazione condizionale, la revoca o cessazione dei suddetti benefìci nonché della riduzione di pena per la liberazione anticipata, il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione delle pene detentive) sia stata presentata istanza per la concessione della liberazione anticipata, può trasmetterla al magistrato di sorveglianza (comma 5).

 

Si osserva che la nuova disciplina della sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà non contempla anche l’ipotesi – introdotta dallo stesso decreto-legge – dell’affidamento in prova per pena non superiore a quattro anni (art. 47, comma 3-bis, o.p.).

 

Si riporta di seguito il testo a fronte dell’articolo 51-bis dell’ordinamento penitenziario, prima e dopo l’entrata in vigore del decreto-legge 146/2013.

 

Normativa pre-vigente

Decreto-legge 146/2013

L. 26 luglio 1975, n. 354
Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà

Art. 51-bis

Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà

1. Quando durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, rileva che permangono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 47 o ai commi 1 e 1-bis dell'articolo 47-ter o ai commi 1 e 2 dell'articolo 47-quinquies o ai primi tre commi dell'articolo 50, dispone con decreto la prosecuzione provvisoria della misura in corso; in caso contrario dispone la sospensione della misura stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura.

1. Quando, durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà, sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il pubblico ministero informa immediatamente il magistrato di sorveglianza, formulando contestualmente le proprie richieste. Il magistrato di sorveglianza, se rileva, tenuto conto del cumulo delle pene, che permangono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 47 o ai commi 1 e 1-bis dell'articolo 47-ter o ai commi 1 e 2 dell'articolo 47-quinquies o ai primi tre commi dell'articolo 50, dispone con ordinanza la prosecuzione della misura in corso; in caso contrario, ne dispone la cessazione.

 

2. Avverso il provvedimento di cui al comma 1 è ammesso reclamo ai sensi dell'articolo 69-bis.

 

 


Articolo 4
(Liberazione anticipata speciale)

 

L’articolo 4 – con una misura temporanea destinata a incidere sui flussi in uscita dal carcere - prevede l’estensione da 45 a 75 giorni della liberazione anticipata di cui all’art. 54 dell’ordinamento penitenziario (L. 354/1975).

 

La liberazione anticipata è un beneficio in base al quale, al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata (a tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare).

 

L’art. 4 stabilisce che, per il periodo che va dal 1° gennaio 2010 al 24 dicembre 2015 (ovvero fino ai due anni successivi all’entrata in vigore del decreto-legge), ogni detenuto potrà beneficiare di uno sconto di 75 giorni di pena per ogni semestre già espiato.

L’ulteriore sconto di 30 giorni per i condannati che abbiano dal 1° gennaio 2010 già usufruito del beneficio nella misura ordinaria è riconosciuto non ex lege, bensì a seguito di valutazione sulla “meritevolezza” dell’ulteriore beneficio (comma 2).

Stante la competenza sul beneficio di cui all’art. 54 O.P., anche la valutazione per l’applicazione della liberazione anticipata speciale di cui all’art. 4 (nel silenzio della norma) appare attratta alla competenza del magistrato di sorveglianza.

Il comma 3 precisa poi che la detrazione ulteriore per i condannati che abbiano dal 1° gennaio 2010 usufruito del beneficio nella misura ordinaria si applica anche ai semestri di pena in corso di espiazione al 1° gennaio 2010.

In base al comma 4, la liberazione anticipata speciale si applicherà per tutti i reati anche se, per quelli di particolare allarme sociale di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, sarà necessaria una motivazione rafforzata.

 

Si tratta dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitto di cui all'articolo 416-bis cp (associazione mafiosa), delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600 (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 600-bis, primo comma, (Prostituzione minorile), 600-ter, primo e secondo comma (Pornografia minorile), 601 (Tratta di persone), 602 (Acquisto e alienazione di schiavi), 609-octies (Violenza sessuale di gruppo) e 630 (Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione) del codice penale, all'articolo 291-quater (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) del TU doganale di cui al DPR 43/1973, e all'articolo 74 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del DPR 309/1990.

 

La formulazione del comma 4 pare richiedere a tali condannati un quid pluris rispetto alla ordinaria “prova di partecipazione all'opera di rieducazione” richiesta dall’art. 54 per la liberazione anticipata.

Il beneficio sarà, infatti, loro concedibile sono se “abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità”.

 

A differenza della liberazione anticipata ordinaria, la liberazione anticipata “speciale” non è applicabile in relazione ai periodi in cui il condannato è ammesso all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare.

Il generico riferimento all’affidamento in prova sembra far comprendere sia l’affidamento ex art. 47 dell’ordinamento penitenziario che quello terapeutico di cui all’art. 94 del Tu stupefacenti; analogamente, per la detenzione domiciliare ordinaria e per quella speciale (artt. 47-ter e 47-quinquies dell’ordinamento penitenziario).

Si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge che “al fine di aumentare l'impatto deflattivo si è stabilito che il periodo valutabile ai fini della maggiore riduzione decorra dal 1 gennaio 2010” e che “è ragionevole prevedere che nell'immediato, sempre che vi sia una valutazione favorevole dell'autorità competente, i detenuti rimessi in libertà possano raggiungere il numero di circa 1.700”.

Si osserva che la relazione non specifica il criterio in base al quale l’efficacia retroattiva della disposizione sia stata ancorata alla data del 1° gennaio 2010.

 

Si ricorda che il DL 78/2013, convertito dalla legge 94/2013, ha previsto la possibilità di applicazione anticipata del beneficio di cui all’art 54 dell’ordinamento penitenziario. L’art. 1, comma 1, lett. b), del decreto, novellando l'articolo 656 c.p.p., ha previsto che - ai fini della sospensione dell'esecuzione della pena e della concessione delle misure alternative alla detenzione - quando la residua pena da scontare, computando le detrazioni di pena ex art. 54 OP, permette l’applicazione delle misure alternative alla detenzione, il PM sospende l’esecuzione trasmettendo gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all'eventuale applicazione della liberazione anticipata.

Potrebbe essere utile esplicitare la riferibilità o meno del nuovo istituto della liberazione anticipata speciale ai fini dell’applicazione anticipata di tale beneficio nei termini previsti dal D.L. 78/2013.

Nell’ipotesi positiva, dovrebbe valutarsi inoltre l’introduzione di una disposizione transitoria.

 


Articolo 5
(Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi)

 

L’articolo 5 novella la legge n. 199 del 2010, sull’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi, stabilizzando la misura che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena. Senza l’intervento del decreto-legge, tale misura non sarebbe stata più applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2014.

 

Si ricorda che la legge 199/2010, nel testo originario, prevedeva la possibilità di scontare presso la propria abitazione, o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, la pena detentiva non superiore ad un anno, anche residua di pena maggiore. Tale soglia temporale è stata aumentata a diciotto mesi dal decreto-legge 211/2011.

L'istituto era destinato ad operare fino alla completa attuazione del c.d. Piano carceri, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2013.

 

Il decreto-legge elimina l’incipit dell’articolo 1 della legge 199, sul carattere temporaneo del beneficio, attribuendogli così carattere permanente.

Come risulta dalle statistiche fornite dal Ministero della giustizia, al 30 novembre 2013 in applicazione della legge 199/2010 sono uscite dal carcere 12.741 persone.

 

Detenuti usciti dagli istituti penitenziari per effetto della legge 199/2010
dall'entrata in vigore fino al 30 novembre 2013

Regione di detenzione

Detenuti usciti

di cui stranieri:

Abruzzo

473

76

Basilicata

71

7

Calabria

349

41

Campania

1.077

75

Emilia Romagna

398

200

Friuli Venezia Giulia

170

49

Lazio

1.174

344

Liguria

379

152

Lombardia

1.839

784

Marche

152

38

Molise

106

6

Piemonte

1.096

462

Puglia

969

75

Sardegna

610

166

Sicilia

1.453

149

Toscana

1.130

543

Trentino Alto Adige

161

57

Umbria

255

72

Valle d’Aosta

52

22

Veneto

827

361

Totale nazionale

12.741

3.679

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica. Il dato comprende il numero complessivo di usciti dagli istituti penitenziari per adulti ai sensi della legge199/2010 e successive modifiche, dall'entrata in vigore della stessa. Non comprende, invece, i casi in cui il beneficio sia concesso dallo stato di libertà. Nel numero complessivo vengono conteggiati gli usciti per i quali la pena risulta già scontata e i casi di revoca (ad esempio per commissione di reati o irreperibilità).

I dati relativi agli usciti sono soggetti ad assestamento, pertanto eventuali piccoli scostamenti nel tempo dai valori inizialmente forniti non devono essere considerati imprecisioni.

 

Nell’ultimo anno, per effetto della legge 199 sono usciti dal carcere ogni mese circa 300 detenuti.

 

Elaborazione Servizio studi su dati Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

 

 

L’istituto che viene stabilizzato presenta le seguenti caratteristiche, disciplinate dall’art. 1 della legge del 2010.

Anzitutto, la decisione sull’esecuzione domiciliare della pena detentiva è attribuita alla competenza del magistrato di sorveglianza; il rinvio al procedimento in materia di liberazione anticipata di cui all’art. 69-bis dell’ordinamento penitenziario (insieme con la riduzione del termine per decidere da 15 a 5 giorni) prefigura un iter dell’istanza particolarmente snello (art. 1, comma 5, legge 199/2010).

In base all’articolo 1, comma 2, della legge 199/2010 l’istituto non è applicabile:

§  in relazione alla commissione dei delitti di particolare allarme sociale previsti dall'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario (L. 354/1975) ovvero: riduzione in schiavitu, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, tratta di persone, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di estorssione, associazione a delinquere finalizzatata al traffico di droga o al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;

§  ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza,

§  ai soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare in carcere, ai sensi dell’art. 14-bis dell’ordinamento penitenziario (salvo che sia stato accolto dal tribunale di sorveglianza il reclamo di cui all'art. 14-ter avverso il provvedimento che lo dispone o lo proroga);

§  se vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga;

§  se sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti;

§  l’insussistenza di un domicilio idoneo ed effettivo, anche in funzione delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato.

 

Per quanto riguarda la procedura per l’applicazione del beneficio (commi 3 e 4 dell’articolo 1):

§  se il condannato non è ancora detenuto (si è, quindi, nella fase di esecuzione della pena detentiva ai sensi dell’art. 656, comma 1, c.p.p.) il pubblico ministero  – ricorrendo il presupposto di una pena detentiva da eseguire non superiore a 18 mesi – deve sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmettere senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza affinché quest’ultimo disponga che la pena sia eseguita presso il domicilio; la disposizione non si applica se ricorrono le condizioni per la sospensione dell’esecuzione della pena ai sensi del comma 5 dell’articolo 656 c.p.p. o le cause ostative alla sospensione previste dal comma 9, lettera a), della medesima disposizione (condanna per i delitti di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, per i reati di incendio boschivo e furto aggravato, furto in abitazione e furto con strappo e delitti e delitti per i quali sussiste l’aggravante della clandestinità).

§  se, invece, il condannato è già detenuto spetta alla direzione dell’istituto penitenziario trasmettere al magistrato di sorveglianza una relazione sulla condotta tenuta dal detenuto; il nuovo istituto non si applica nel caso previsto dall’articolo 656, comma 9, lett. b), c.p.p. (soggetti che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva).

 

Sia la richiesta del P.M., nel primo caso, sia la relazione della direzione dell’istituto penitenziario, nel secondo caso, devono essere corredate di un verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio e, nel caso in cui il condannato è sottoposto ad un programma di recupero o intenda sottoporsi ad esso, della documentazione prevista per l’affidamento in prova dall’articolo 94 del T.U. stupefacenti (certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l'andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneità, ai fini del recupero del condannato).

Copia del provvedimento deve essere trasmessa al P.M. e all’Ufficio locale dell’esecuzione penale esterna; a quest’ultimo spetta anche il compito, oltre che di segnalare eventi rilevanti per l’esecuzione della pena, anche di trasmettere una relazione trimestrale e conclusiva.

In caso di condannato tossicodipendente o alcoldipendente sottoposto o che intenda sottoporsi ad un programma di recupero, la pena può essere eseguita presso una struttura sanitaria pubblica o una struttura privata accreditata ai sensi del T.U. stupefacenti.

 

L’articolo 2 della legge 199/2010 inasprisce il regime sanzionatorio per la fattispecie semplice e per quelle aggravate di evasione; tale reato, in virtù del rinvio alla disciplina della detenzione domiciliare, è applicabile anche nel caso di allontanamento dall’abitazione o dal luogo presso il quale sia in atto l’esecuzione domiciliare della pena ai sensi del precedente articolo 1.

 


 

Articolo 6
(Modifiche al TU immigrazione)

 

L’articolo 6 novella l’articolo 16 del Testo Unico immigrazione (D.lgs. 286/1998), intervenendo in particolare sull’istituto dell’espulsione dello straniero a titolo di misura alternativa alla detenzione.

 

L’articolo 16 del TU immigrazione - nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 146/2013 – disciplina nei seguenti termini due diverse ipotesi di espulsione dello straniero:

§  l’espulsione come sanzione sostitutiva (art. 16, commi 1-4) che può essere ordinata dal giudice, anche in sede di patteggiamento, quando ritiene di sostituire la pena detentiva da infliggere con la misura espulsiva. La pena può essere sostituita quando è contenuta nel limite di due anni e l'espulsione sostitutiva deve avere una durata non inferiore a cinque anni. L'esercizio del potere di sostituzione è facoltativo («il giudice può») e soggetto alle seguenti condizioni stabilite dall'art. 16:

-        che la condanna sia pronunciata per un reato non colposo;

-        che lo straniero si trovi in una delle situazioni indicate nell'art. 13, comma 2 (ingresso clandestino; permanenza nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno; appartenenza a una delle categorie di persone pericolose);

-        che non ricorrano le condizioni per la sospensione condizionale della pena;

-        che non ricorrano cause ostative previste dall'art. 14, comma 1 (soccorso; accertamenti sull'identità; acquisizione di documenti di viaggio; indisponibilità del vettore).

La sentenza di applicazione della sanzione sostitutiva può essere impugnata nelle forme ordinarie (artt. 443, 593 e 606 c.p.p.). L'espulsione sostitutiva è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile (art. 16, comma 2). Il questore infatti agisce nella sua qualità di organo amministrativo, nell'esercizio di poteri di polizia di sicurezza (e non di polizia giudiziaria o penitenziaria). Rimane all'autorità giudiziaria la valutazione, prevista dal comma 3 dell'art. 13, circa il rilascio del nulla osta all'esecuzione, poiché lo straniero espulso con sentenza non irrevocabile è ancora sottoposto a procedimento penale.

§  l'espulsione come misura alternativa alla detenzione (art. 16, commi 5 ss. Lo straniero detenuto — già identificato — che si trovi in una delle condizioni indicate nell'art. 13, comma 2 (ingresso clandestino; permanenza nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno; appartenenza a una delle categorie di persone pericolose), e deve espiare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è espulso. L'espulsione è obbligatoria («è disposta l'espulsione» - art. 16, comma 5). L'espulsione non può essere disposta se la condanna riguardi uno o più delitti previsti dall'art. 407, 2° co., lett. a), c.p.p. (delitti contro la personalità dello stato, omicidio volontario, delitti di mafia, delitti in materia di armi, di stupefacenti, di criminalità organizzata e altri gravi delitti; nonché di quelli previsti dal t.u.).

La misura è ordinata dal magistrato di sorveglianza. L'espulso ha facoltà di opposizione avanti al tribunale di sorveglianza entro il termine di dieci giorni. L'esecuzione è sospesa:

a) fino alla decorrenza dei termini per l'impugnazione e alla decisione del tribunale;

b) fino a quando non siano stati acquisiti i documenti di viaggio.

La pena si estingue dopo dieci anni dall'esecuzione dell'espulsione. Se l'espulso rientra illegittimamente nel territorio dello Stato, riprende l'esecuzione.

L'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione non si applica in taluni casi individuati dall’art. 19 del testo unico.

 

Il decreto-legge modifica la disciplina dell’espulsione come misura alternativa alla detenzione, intervenendo sui commi 5 e 6 dell’articolo 16 e aggiungendovi i commi 5-bis e 5-ter.

Rispetto al quadro normativo previgente, l’articolo 6 del decreto-legge conferma l’espulsione quando lo straniero detenuto debba scontare due anni di pena detentiva, anche residua, ma amplia il campo di possibile applicazione della misura. Infatti, in base al nuovo secondo periodo del comma 5 dell’art. 16 del testo unico immigrazione, come sostituito dal decreto-legge:

§  se la condanna è relativa a delitti previsti dal TU immigrazione è consentita l’espulsione se per tali delitti sia stabilita la pena detentiva non superiore nel massimo a 2 anni (fino all’entrata in vigore del decreto-legge era comunque esclusa l’espulsione nel caso di condanna per i delitti previsti dal testo unico); sul punto la relazione illustrativa afferma che “si estende l’area applicativa della sanzione alternativa ai delitti meno gravi previsti dal TU immigrazione”.

Si osserva, tuttavia, che nessun delitto previsto dal TU immigrazione risulta punito con la reclusione inferiore o pari nel massimo a 2 anni. Pertanto, la modifica non amplierebbe il campo d’applicazione dell’espulsione come misura alternativa alla detenzione. La possibilità dell’espulsione a fronte di detenzione per arresto, e dunque di condanna per reato contravvenzionale, era consentita già dalla precedente formulazione del comma 5, che escludeva l’espulsione solo in presenza di condanna per delitto previsto dal TU immigrazione.

§  è consentita l’espulsione anche se la condanna è relativa al delitto, consumato o tentato, di rapina aggravata (art. 628, terzo comma c.p.) o di estorsione aggravata (art. 629, secondo comma, c.p.). Sono questi, infatti, gli unici delitti compresi nell’art. 407, comma 2, lett. a) per i quali il decreto-legge consente comunque l’espulsione. La relazione illustrativa afferma che attraverso questo ampliamento alla rapina e all’estorsione il numero dei detenuti stranieri espellibili aumenta di 1.300 unità.

 

Il decreto-legge, nelle ipotesi di condanna per concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, se la condanna riguarda anche un delitto per il quale l’espulsione è esclusa, consente comunque questa misura quando la parte di pena relativa a tale delitto sia stata espiata.

 

Sul punto la relazione illustrativa afferma che l’intento del legislatore è stato quello di “risolvere la questione, controversa nella concreta pratica applicativa, della possibilità di disporre l’espulsione, previo scioglimento del cumulo, nel caso in cui il titolo esecutivo ricomprenda uno o più reati ostativi. In tal caso, infatti, la prevalente giurisprudenza di legittimità accede alla soluzione negativa, ponendo una significativa limitazione alla possibilità di ricorrere allo strumento”.

 

Il nuovo comma 5-bis dell’art. 16 del testo unico specifica la procedura da seguire per operare l’espulsione nei casi previsti dal comma 5, individuando le seguenti fasi:

-        all’ingresso in carcere dello straniero la direzione dell’istituto deve richiedere al questore informazioni su identità e nazionalità del recluso;

-        il questore avvia la procedura di identificazione attraverso le competenti autorità diplomatiche e «procede all’eventuale espulsione dei cittadini identificati». Per attuare questa disposizione il Ministro della giustizia e il Ministro dell’interno dovranno adottare i necessari strumenti di coordinamento.

Si osserva che la previsione della diretta espulsione da parte del questore dovrebbe essere coordinata con quanto disposto dal comma 6 dell’art. 16 che, anche a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge, conferma la competenza circa il provvedimento di espulsione in capo al magistrato di sorveglianza.

 

Il nuovo comma 5-ter prevede che le informazioni su identità e nazionalità del detenuto straniero siano inserite nel suo fascicolo personale conservato presso il carcere (cfr. art. 26 del regolamento penitenziario).

 

Infine, il decreto-legge sostituisce anche il comma 6 dell’art. 16 del TU immigrazione, che disciplina la competenza a disporre l’espulsione.

Rispetto alla formulazione previgente (misura ordinata dal magistrato di sorveglianza, possibile opposizione, con sospensione dell’esecuzione, presentata entro 10 giorni dallo straniero al tribunale di sorveglianza, che decide in 20 giorni), il decreto-legge:

§  specifica che non si può procedere ad espulsione se non è stato possibile identificare lo straniero;

§  sottolinea che spetta alla direzione dell’istituto penitenziario trasmettere gli atti necessari all’adozione del provvedimento di espulsione al magistrato di sorveglianza;

§  conferma che il magistrato decide con decreto motivato, senza formalità;

§  stabilisce che il decreto debba essere comunicato non solo allo straniero ma anche al suo difensore e al PM;

§  prescrive al magistrato di nominare un difensore d’ufficio se lo straniero risulta sprovvisto di un difensore di fiducia;

§  conferma il termine di 10 giorni per l’opposizione al tribunale di sorveglianza e i 20 giorni a disposizione del collegio per pronunciarsi.

 

 

Normativa pre-vigente

Decreto-legge 146/2013

D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

Art. 16

(Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione)

1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 10-bis, qualora non ricorrano le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano, in caso di sentenza di condanna, ai reati di cui all'articolo 14, commi 5-ter e 5-quater.

1. Identico.

2. L'espulsione di cui al comma 1 è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile, secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4.

2. Identico.

3. L'espulsione di cui al comma 1 non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguardi uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico, puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni.

3. Identico.

4. Se lo straniero espulso a norma del comma 1 rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, la sanzione sostitutiva è revocata dal giudice competente.

4. Identico.

5. Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l'espulsione. Essa non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico.

5. Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l'espulsione. Essa non può essere disposta nei casi di condanna per i delitti previsti dal presente testo unico, per i quali è stabilita la pena detentiva superiore nel massimo a due anni, ovvero per uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, fatta eccezione per quelli consumati o tentati di cui agli articoli 628, terzo comma e 629, secondo comma, del codice penale. In caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l'espulsione è disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa alla condanna per reati che non la consentono.

 

5-bis. Nei casi di cui al comma 5, all'atto dell'ingresso in carcere di un cittadino straniero, la direzione dell'istituto penitenziario richiede al questore del luogo le informazioni sulla identità e nazionalità dello stesso. Nei medesimi casi, il questore avvia la procedura di identificazione interessando le competenti autorità diplomatiche e procede all'eventuale espulsione dei cittadini stranieri identificati. A tal fine, il Ministro della giustizia ed il Ministro dell'interno adottano i necessari strumenti di coordinamento.

 

5-ter.  Le informazioni sulla identità e nazionalità del detenuto straniero sono inserite nella cartella personale dello stesso prevista dall'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.

6. Competente a disporre l'espulsione di cui al comma 5 è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull'identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni.

6. Salvo che il questore comunichi che non è stato possibile procedere all'identificazione dello straniero, la direzione dell'istituto penitenziario trasmette gli atti utili per l'adozione del provvedimento di espulsione al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. Il magistrato decide con decreto motivato, senza formalità. Il decreto è comunicato al pubblico ministero, allo straniero e al suo difensore, i quali, entro il termine di dieci giorni, possono proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Se lo straniero non è assistito da un difensore di fiducia, il magistrato provvede alla nomina di un difensore d'ufficio. Il tribunale decide nel termine di 20 giorni.

7. L'esecuzione del decreto di espulsione di cui al comma 6 è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del tribunale di sorveglianza e, comunque, lo stato di detenzione permane fino a quando non siano stati acquisiti i necessari documenti di viaggio. L'espulsione è eseguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

7. Identico.

8. La pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 5, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena.

8. Identico.

9. L'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione non si applica ai casi di cui all'articolo 19.

9. Identico.

 

 

Diverse sul punto sono le conclusioni cui è giunta la c.d. Commissione Giostra, che ha suggerito l’aumento a tre anni del limite di pena per l’espulsione a titolo di misura alternativa al carcere. Tale aumento di soglia consentirebbe, secondo la commissione, di espellere 1.200 detenuti stranieri in più.

 

Per completezza, di seguito si riportano le statistiche sui detenuti stranieri presenti negli istituti al 30 giugno 2013, distinti per pena inflitta e per pena residua da scontare.

 

 


Detenuti stranieri presenti condannati (con almeno una condanna definitiva)
per pena inflitta
Situazione al 30 Giugno 2013

 

Regione di detenzione

da 0 a 1 anno

da 1 a 2 anni

da 2 a 3 anni

da 3 a 5 anni

da 5 a 10 anni

da 10 a 20 anni

oltre 20 anni

ergastolo

Totale

Abruzzo

11

15

12

38

46

25

5

0

152

Basilicata

3

2

3

17

20

6

1

0

52

Calabria

4

13

37

54

64

27

1

1

201

Campania

33

29

49

97

119

40

7

1

375

Emilia Romagna

127

202

180

228

176

71

4

4

992

Friuli Venezia Giulia

36

51

65

101

50

20

2

1

326

Lazio

165

198

266

305

289

115

22

5

1.365

Liguria

80

66

80

153

110

25

3

1

518

Lombardia

303

308

309

456

494

214

36

8

2.128

Marche

23

23

43

79

78

18

4

2

270

Molise

1

0

3

13

18

8

2

0

45

Piemonte

183

254

261

405

360

138

21

4

1.626

Puglia

28

21

46

123

97

37

6

0

358

Sardegna

7

34

136

245

210

39

14

2

687

Sicilia

17

39

98

193

292

98

14

8

759

Toscana

119

157

154

294

336

183

50

19

1.312

Trentino Alto Adige

22

43

38

72

27

2

0

0

204

Umbria

22

24

73

116

134

67

13

4

453

Valle d'Aosta

27

39

26

45

25

1

0

2

165

Veneto

89

162

144

307

297

104

24

10

1.137

Totale

1.300

1.680

2.023

3.341

3.242

1.238

229

72

13.125

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - Sezione statistica

 

 


Detenuti stranieri presenti condannati (con almeno una condanna definitiva)
per pena residua
Situazione al 30 Giugno 2013

 

 

 

 

Regione di detenzione

da 0 a 1 anno

da 1 a 2 anni

da 2 a 3 anni

da 3 a 5 anni

da 5 a 10 anni

da 10 a 20 anni

oltre 20 anni

ergastolo

Totale

Abruzzo

55

25

24

22

16

8

2

0

152

Basilicata

18

11

7

10

5

1

0

0

52

Calabria

75

48

28

31

11

6

1

1

201

Campania

105

84

64

64

42

15

0

1

375

Emilia Romagna

435

230

139

108

54

21

1

4

992

Friuli Venezia Giulia

133

83

54

34

17

4

0

1

326

Lazio

522

336

173

161

131

28

9

5

1.365

Liguria

204

123

88

58

34

10

0

1

518

Lombardia

735

482

330

293

193

75

12

8

2.128

Marche

88

73

48

34

17

6

2

2

270

Molise

10

7

8

7

7

5

1

0

45

Piemonte

620

410

233

197

114

41

7

4

1.626

Puglia

125

89

45

44

40

14

1

0

358

Sardegna

218

215

107

84

39

20

2

2

687

Sicilia

249

160

117

114

82

27

2

8

759

Toscana

383

289

217

168

157

67

12

19

1.312

Trentino Alto Adige

84

51

42

24

2

1

0

0

204

Umbria

121

101

76

66

59

21

5

4

453

Valle d'Aosta

85

48

16

12

2

0

0

2

165

Veneto

377

262

169

153

132

25

9

10

1.137

Totale

4.642

3.127

1.985

1.684

1.154

395

66

72

13.125

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - Sezione statistica

 

 

 

 


Detenuti stranieri presenti negli istituti penitenziari, per area di provenienza
30 giugno 2013

Continente

Aree

Detenuti

Europa

UE

5.037

Ex Jugoslavia

993

Albania

2.882

Altri Paesi Europa

615

Totale Europa

9.527

Africa

Tunisia

2.834

Marocco

4.384

Algeria

592

Nigeria

980

Altri Paesi Africa

2.141

Totale Africa

10.931

Asia

Medio oriente

255

Altri paesi Asia

1.010

Totale Asia

1.265

America

Nord

27

Centro

359

Sud

1.104

Totale America

1.490

altro

20

Totale detenuti stranieri

 

23.233

 

 

 

 

 

 


Articolo 7
(Garante nazionale dei detenuti)

 

L’articolo 7 prevede l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Il Garante è costituito da un collegio di tre membri, di cui un Presidente, che restano in carica per cinque anni, non prorogabili.

Per quanto riguarda i requisiti soggettivi, il comma 2 stabilisce che i componenti sono scelti tra persone, non dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che assicurano indipendenza e competenza nelle discipline afferenti la tutela dei diritti umani.

La loro nomina ha luogo, previa delibera del Consiglio dei ministri, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, sentite le competenti commissioni parlamentari.

Si osserva che non è distinto il procedimento per la nomina del presidente da quello per la nomina degli altri componenti.

Inoltre, pare utile valutare l’opportunità di misure specifiche a presidio dell’indipendenza del Garante, ad esempio con riguardo al procedimento di nomina.

 

A garanzia della loro indipendenza, il comma 3 prevede che i componenti del Garante nazionale non possano assumere cariche istituzionali, anche elettive, ovvero incarichi di responsabilità in partiti politici.

Sono previsti inoltre i casi di immediata sostituzione: dimissioni, morte, incompatibilità sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti all'ufficio, ovvero nel caso in cui riportino condanna penale definitiva per delitto non colposo. Essi non hanno diritto ad indennità od emolumenti per l'attività prestata, fermo restando il diritto al rimborso delle spese.

Si osserva che non è individuato uno specifico procedimento per la sostituzione, in particolare con riguardo alla sostituzione legata alla violazione dei doveri d’ufficio.

 

Il comma 4 riguarda l’organizzazione del Garante. Esso si avvale delle strutture e delle risorse messe a disposizione dal Ministro della giustizia e alle sua dipendenze è istituito un ufficio composto da personale dello stesso Ministero, scelto in funzione delle conoscenze acquisite negli ambiti di competenza del Garante.

Sono poi rimesse a un successivo regolamento del Ministro della giustizia, da adottarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legge, la struttura e la composizione dell’ufficio.

 

Il comma 5 disciplina le funzioni del Garante nazionale, che si aggiungono a quella di promozione e collaborazione con i garanti territoriali o con altre figure istituzionali comunque denominate competenti nelle stesse materie.

Le funzioni del Garante nazionale – analiticamente individuate dall’articolo 7 - possono essere così sintetizzate:

a)           vigilanza sulla conformità di ogni forma di limitazione della libertà personale a norme e principi costituzionali, convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, disposizioni legislative e regolamentari,;

b)           visita, senza necessità di autorizzazione, agli istituti penitenziari e a ogni altra struttura restrittiva o limitativa della libertà personale, anche minorile, oltre che, previo avviso e senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative in corso, alle camere di sicurezza delle Forze di polizia, con accesso, senza restrizioni, a qualunque locale adibito o comunque funzionale alle esigenze restrittive;

c)           presa visione, previo consenso anche verbale dell'interessato, degli atti contenuti nel fascicolo della persona detenuta o privata della libertà personale e comunque degli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della libertà;

d)           richiesta alle amministrazioni responsabili delle strutture delle informazioni e dei documenti necessari; nel caso in cui l'amministrazione non fornisca risposta nel termine di trenta giorni, il Garante informa il magistrato di sorveglianza competente e può richiedere l'emissione di un ordine di esibizione;

e)           verifica del rispetto degli adempimenti connessi ai diritti previsti agli articoli 20 (trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione), 21 (modalità del trattamento), 22 (funzionamento dei centri) e 23 (attività di prima assistenza e soccorso) del regolamento di attuazione del testo unico sull’immigrazione, presso i centri di identificazione e di espulsione previsti dall'articolo 14 del testo unico, con accesso senza restrizione alcuna in qualunque locale;

f)            formulazione di specifiche raccomandazioni all'amministrazione interessata, in caso di accertamento di violazioni alle norme dell'ordinamento ovvero la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti ai sensi dell’articolo 35 dell’ordinamento penitenziario. L'amministrazione interessata, in caso di diniego, comunica il dissenso motivato nel termine di trenta giorni;

g)           trasmissione annuale di una relazione sull'attività svolta, ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia.

 

I precedenti parlamentari

Si ricorda che il tema dell’istituzione di un garante nazionale dei detenuti è già stato affrontato dal Parlamento nell’attuale e nelle più recenti legislature.

In particolare, nell’attuale legislatura sono in corso di esame presso la Commissione giustizia del Senato tre disegni di legge d’iniziativa parlamentare -  AS 210 (Torrisi), AS 383 (Barani) e AS 668 (Manconi) - volti, con diverse modalità, all’istituzione di una Autorità garante dei diritti delle persone detenute.

 

Il disegno di legge n. 210 si compone di un unico articolo che dispone che Regioni, Province e Comuni nei quali ricadono strutture carcerarie sono autorizzati ad istituire con provvedimento di propria competenza, la figura del Garante dei diritti dei detenuti al quale è previsto si applichino le disposizioni di cui all’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario che disciplina l’accesso negli istituti penitenziari. I più organici disegni di legge n. 383 e n. 668 si  propongono di istituire una figura di livello nazionale,  indipendente, terza, dotata di professionalità e competenza e dotato di forti poteri ispettivi e propositivi,  che svolga una funzione di mediazione nella risoluzione di eventuali conflitti tra detenuto e amministrazione penitenziaria a tutela della dignità e dei diritti delle persone in stato limitativo o privativo della libertà personale.

 

Nella XV legislatura l’istituzione di un organo di garanzia dei diritti dei detenuti era prevista da un testo unificato approvato il 4 aprile 2007 dalla Camera dei deputati.

Il provvedimento (AS 1463) – il cui iter non ha mai preso avvio al Senato -  prevedeva in realtà che tale funzioni fossero svolte non da un vero e proprio autonomo Garante bensì da una istituenda Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani.

Le funzioni della Commissione prevedevano: la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia dei detenuti, fosse attuata in conformità alle norme e ai princìpi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti; l’adozione di proprie determinazioni in ordine alle istanze e ai reclami che sono ad essa rivolti dai detenuti; la verifica che le strutture edilizie pubbliche adibite alla restrizione della libertà delle persone siano idonee a salvaguardarne la dignità con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali; la verifica della correttezza delle procedure seguite nei confronti dei trattenuti e le condizioni di trattenimento dei medesimi presso le camere di sicurezza eventualmente esistenti presso le caserme dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza e presso i commissariati di pubblica sicurezza; la verifica il rispetto degli adempimenti e delle procedure presso i centri di permanenza temporanea e assistenza previsti dal TU immigrazione.

Nell’esercizio delle sue funzioni, la Commissione: poteva visitare, senza preavviso, gli istituti penitenziari, gli OPG, e le altre strutture detentive, anche minorili, accedendo, senza restrizione alcuna, a qualunque locale e incontrando liberamente chiunque vi sia privato della libertà,; prendere visione degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo della persona privata della libertà, fatta eccezione per quelli coperti da segreto relativi alle indagini e al procedimento penale; richiedere alle amministrazioni responsabili delle strutture le informazioni e i documenti che ritenga necessari; in caso di mancata risposta, informare il magistrato di sorveglianza territorialmente competente chiedendogli di emettere ordine di esibizione dei documenti richiesti; nel caso in cui venga opposto il segreto di Stato, poteva informare il magistrato di sorveglianza territorialmente competente, che valutava se richiedere l’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri per la conferma, entro sessanta giorni, dell’esistenza del segreto.

La Commissione è organo collegiale costituito dal presidente, nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, e da altri quattro componenti eletti, con voto limitato a uno, in numero di due dal Senato della Repubblica e in numero di due dalla Camera dei deputati.

 

 

I Garanti dei detenuti istituiti a livello regionale e locale (dal sito internet del Ministero della giustizia)

A livello regionale sono 12 i garanti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale già istituiti.

 

Campania, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale (Legge regionale 24 luglio 2006)

Emilia Romagna, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale (Legge regionale n.3/2008)

Lazio, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale (Legge regionale 6 ottobre 2003. n . 31)

Lombardia, Difensore regionale con funzioni di garante dei detenuti (Legge regionale 6 dicembre 2010 n. 18)

Marche, Ombudsman regionale con funzioni di garante dei diritti dei detenuti (Decreto del Presidente del consiglio regionale del 30/7/2010)

Piemonte, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale (Legge regionale n. 28/2009)

Puglia, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale (Legge regionale 10 luglio 2006 n. 19 - Delibera del Consiglio regionale del 12/7/2011)

Sardegna, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale (Legge regionale 7 febbraio 2011, n. 7)

Sicilia, Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale (Legge regionale 19 maggio 2005. n. 5)

Toscana, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale (Legge Regionale Toscana 2/12/2005 n. 64)

Umbria, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale (Legge regionale 18 ottobre 2006, n. 13)

Valle d'Aosta, Difensore civico in qualità di Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale (Legge regionale Valle d’Aosta 28/08/2001 n. 17, modificata e integrata dalla legge regionale 1° agosto 2011, n. 19)

 

A livello provinciale risultano istituiti 7 Garanti mentre sono 25 i comuni che si sono dotati di un’analoga figura.

 

Altre figure di Garante previste dall’ordinamento a livello nazionale

Si ricorda che il legislatore nazionale ha altresì previsto:

§  l’Autorità Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza istituita con  la legge n. 112 del 12 luglio 2011 per assicurare la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età, in conformità a quanto previsto dalle convenzioni internazionali. La legge istitutiva prevede che l’Autorità garante, organo monocratico che dura in carica 4 anni (mandato rinnovabile una sola volta), è scelto tra persone di notoria indipendenza, di indiscussa moralità e di specifiche e comprovate professionalità, competenza ed esperienza nel campo dei diritti delle persone di minore età nonché delle problematiche familiari ed educative d i promozione e tutela delle persone di minore età, ed è nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

§  il Garante per la protezione dei dati personali, autorità amministrativa indipendente istituita dalla cosiddetta legge sulla privacy (legge  675/1996) -  che ha attuato nell'ordinamento giuridico italiano la direttiva comunitaria 95/46/CE -  oggi disciplinata dal Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003). Il Garante è organo collegiale costituito da quattro componenti, eletti due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto limitato. I componenti sono scelti tra persone che assicurano indipendenza e che sono esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o dell'informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni. I componenti eleggono nel loro ambito un presidente, il cui voto prevale in caso di parità.  Il presidente e i componenti durano in carica quattro anni e non possono essere confermati per più di una volta.

 

Le Autorità indipendenti rappresentano un peculiare modello di organizzazione amministrativa che si caratterizza per la sottrazione all'indirizzo politico governativo di alcune funzioni e per un alto grado di competenza tecnica. Tanto l'indipendenza che la competenza tecnica sono strumentali allo svolgimento delle funzioni di regolazione e di controllo che le Autorità sono chiamate a svolgere a tutela di interessi pubblici e privati di rilevanza costituzionale. Nell'ordinamento italiano si è assistito ad una notevole proliferazione delle Autorità indipendenti in un ristretto arco temporale, anche sotto l'impulso del quadro legislativo europeo, che assegna alle autorità indipendenti un ruolo di grande rilevanza, prevedendo che negli ordinamenti nazionali esse garantiscano in piena autonomia l'attuazione dei principi comunitari, traducendoli in norme regolamentari e in azioni di vigilanza conformi al dettato normativo dell'Unione. Molte delle autorità nazionali operano in sistemi di controllo istituzionale europeo, caratterizzandosi così anche come organismi di raccordo tra il diritto comunitario ed il diritto interno. Tali caratteristiche presuppongono rilevanti tratti di omogeneità tra autorità; tuttavia nel nostro ordinamento esse sono tuttora regolate da leggi istitutive non omogenee, con previsioni diverse in ordine alla struttura, alle funzioni, ai procedimenti, ai controlli e al regime degli atti. Sono generalmente classificate tra le Autorità:

  la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob, 1974);

  l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap, 1981), ora Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass, 2013);

  la Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm, 1990);

  la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (1990);

  la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP, 1993);

  l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (1994), poi trasformata in Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp);

  l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Aeeg, 1995);

  il Garante per la protezione dei dati personali (1996);

  l' Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom, 1997);

  la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CiVIT,2009);

  L’Autorità di regolazione dei trasporti (2011).

È di solito considerata quale autorità amministrativa indipendente, pur con peculiari caratteristiche, anche la Banca d'Italia.

 

 

 

 

 

 


 

Articolo 8
(Sgravi fiscali per datori di lavoro che assumono detenuti: differimento termini)

 

L’articolo 8 del decreto intende rimediare al ritardo nell’adozione dei regolamenti attuativi previsti dalle leggi 381/1991 e 193/2000 che, recentemente novellati dal DL 78/2013 (Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena), prevedono specifici benefici fiscali e contributivi per le imprese che assumono detenuti.

 

Si ricorda, infatti, che, con la finalità di sostenere il reinserimento lavorativo dei detenuti, il decreto-legge 78/2013 (art. 3-bis) è intervenuto sulla legge 193/2000 (cd. legge Smuraglia) e sulla legge 381/1991 sulle coop. sociali.

 

IL DL 78/2013 ha, anzitutto, riformulato l’art. 3 della legge n. 193 del 2000, Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti, che concede un credito d’imposta[14] alle imprese che assumono detenuti.

 

In particolare, in nuovo art. 3  ha concesso alle imprese:

§  un credito d’imposta mensile nella misura massima di 700 euro a lavoratore, se assumono – per almeno 30 giorni - detenuti ammessi al lavoro esterno ovvero svolgono nei loro confronti «effettivamente attività formative» (comma 1);

§  un credito d’imposta mensile nella misura massima di 350 euro a lavoratore, se assumono – per almeno 30 giorni – detenuti semiliberi ovvero svolgono nei loro confronti «effettivamente attività formative» (comma 2).

I crediti d’imposta sono utilizzabili esclusivamente in compensazione e sono riconosciuti (in coordinamento con la previsione della legge n. 381/1991) anche successivamente all’uscita dal carcere, per 18 o 24 mesi, a seconda che il lavoratore abbia o meno avuto accesso alle misure alternative alla detenzione.

 

L’articolo 4 della legge 193 ha previsto che le modalità ed entità delle agevolazioni e degli sgravi di cui all'articolo 3 fossero determinate da un decreto del Ministro della giustizia - da emanare entro il 31 maggio di ogni anno - di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro delle finanze. L’entità dei benefici è comunque determinata nei limiti delle risorse finanziarie di cui all'articolo 6 (dal 2014, 14,5 mln di euro all’anno)[15].

 

L’ulteriore intervento del DL 78 ha riguardato l’art. 4, comma 3-bis, della legge n. 381 del 1991 relativo a sgravi contributivi per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (tra cui i detenuti) impiegate in cooperative sociali.

 

Il DL 78/2013 ha  ampliato la durata del periodo successivo allo stato di detenzione nel quale sono concessi gli sgravi contributivi. In particolare, si è stabilito che gli sgravi (previsti inizialmente per 6 mesi) permangono:

§  per 18 mesi dalla scarcerazione, per coloro che hanno beneficiato di misure alternative o del lavoro esterno;

§  per 24 mesi dalla scarcerazione per tutti coloro che non hanno beneficiato di tali istituti.

 

Il citato art. 4 definisce le categorie di persone svantaggiate, includendovi le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'esterno (comma 1), per poi prescrivere alla cooperativa che tali persone debbano rappresentare almeno il 30% dei suoi lavoratori (comma 2). Per tali cooperative, ed in relazione a tali lavoratori svantaggiati, sono azzerate le aliquote della contribuzione per l'assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale (comma 3) con alcune eccezioni. Il comma 3-bis, infatti, stabilisce che tali aliquote, se dovute relativamente alle retribuzioni corrisposte alle persone detenute o internate negli istituti penitenziari, agli ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari e alle persone condannate e internate ammesse al lavoro esterno, sono ridotte nella misura percentuale individuata ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia.

 

L’articolo 8 in esame, in riferimento all’anno 2013, differisce per un periodo massimo di sei mesi (decorrenti dal 24 dicembre 2013, data di entrata in vigore del decreto-legge) il termine per l’adozione dei regolamenti interministeriali di attuazione relativi alle misure di favore per  imprese e cooperative sociali che assumono detenuti e internati. La proroga, come recita la relazione di accompagnamento al decreto, mira a scongiurare il rischio che costoro, in ragione del ritardo nell’adozione del regolamento, si vedano privati della possibilità di usufruire di detti benefici”.

Si tratta, quindi, dei regolamenti previsti:

§  dall’articolo 4 della legge 193/2000, per la determinazione delle modalità ed entità dei crediti d’imposta concessi alle imprese che assumono detenuti  (nei limiti stabiliti dal DPCM di ripartizione delle risorse previste dalla legge di stabilità 2013)[16];

§  dall’art.  4, comma 3-bis, della legge 381/1991, per la determinazione della riduzione delle aliquote contributive e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori corrisposte alle persone detenute o internate negli istituti penitenziari, agli ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari e alle persone condannate e internate ammesse al lavoro esterno.

 

L’articolo 8 reca, poi, una norma di interpretazione autentica dell’art. 3 della legge 193/2000 che chiarisce che l’ammontare massimo dei crediti d’imposta concessi alle imprese che assumono detenuti ha riguardo a tutti i mesi dell’anno solare 2013 e non solo a quelli successivi al 20 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge di conversione (L. 94/2013) che ha introdotto la novella all’art. 3 della stessa legge 193.

 

 


Articolo 9
(Copertura finanziaria)

 

L’articolo 9 prevede che l’attuazione del decreto-legge deve avvenire con l’utilizzo delle risorse disponibili a legislazione vigente, ovvero senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

 


 

Articolo 10
(Entrata in vigore)

 

L’articolo 10 dispone in ordine all’entrata in vigore del decreto-legge, che viene collegata alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del testo del provvedimento d’urgenza.

Si ricorda peraltro che tanto l’art. 1 quanto l’art. 3 del decreto-legge posticipano all’entrata in vigore della legge di conversione l’efficacia delle novelle sul procedimento di controllo a distanza (c.d. braccialetto elettronico) negli arresti domiciliari e nella detenzione domiciliare.

 

 

 

 

 



[1]     Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

[2]     Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica.

[3]     Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica.

[4]     La numerosità indicata per ogni categoria di reato corrisponde esattamente al numero di soggetti coinvolti. Nel caso in cui ad un soggetto siano ascritti reati appartenenti a categorie diverse egli viene conteggiato all'interno di ognuna di esse. Ne consegue che ogni categoria deve essere considerata a sé stante e non risulta corretto sommare le frequenze.

[5]     Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica.

[6]     Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

[7]     Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

[8]     La categoria “da impostare” si riferisce ad una situazione transitoria. E' infatti relativa a quei soggetti per i quali è momentaneamente impossibile inserire nell'archivio informatico lo stato giuridico, in quanto non sono ancora disponibili tutti gli atti ufficiali necessari.

[9]     Nella categoria “misto” confluiscono i detenuti imputati con a carico più fatti, ciascuno dei quali con il relativo stato giuridico, purché senza nessuna condanna definitiva.

[10]   La Cassazione (Sez. II, ordinanza n. 47413 del 10 dicembre 2003) ha ritenuto che l’art. 275-bis c.p.p. non introduce una misura coercitiva ulteriore, rispetto a quelle elencate negli articoli 281 ss cod. proc. pen., ma unicamente una condizione sospensiva della custodia in carcere, la cui applicazione viene disposta dal giudice contestualmente agli arresti domiciliari e subordinatamente al consenso dell'indagato all'adozione dello strumento elettronico. Ne deriva che il suddetto braccialetto rappresenta una cautela che il giudice può adottare, se lo ritiene necessario, non già ai fini della adeguatezza della misura più lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione ma ai fini del giudizio, da compiersi nel procedimento di scelta delle misure, sulla capacità effettiva dell'indagato di autolimitare la propria libertà personale di movimento, assumendo l'impegno di installare il braccialetto e di osservare le relative prescrizioni.

[11]   La Relazione illustrativa del decreto-legge motiva il differimento dell’entrata in vigore con necessità di tipo organizzativo legate al necessario incremento della disponibilità delle apparecchiature elettroniche

[12]   L’articolato dell’art. 275-bis c.p.p., commi 1 e 1-bis, proposto dalla Commissione è infatti il seguente: «1. Nel disporre una misura cautelare coercitiva diversa dalla custodia cautelare in carcere, anche in sostituzione di quest’ultima, il giudice, se lo ritiene necessario in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l’applicazione della misura da adottarsi qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione dei mezzi e strumenti anzidetti. 1-bis. Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275-bis, comma 1».

[13]   La estraneità delle nuove norme rispetto all'oggetto ed alle finalità del decreto-legge era stata evidenziata anche in sede parlamentare già con il parere sul disegno di legge n. 6297 espresso dal Comitato per la legislazione della Camera nella seduta del 1° febbraio 2006. Nel parere si richiamava il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 29 marzo 2002 di rinvio della legge di conversione del decreto-legge n. 4 del 2002, e si prospettava la contrarietà delle nuove norme con «l'esigenza di garantire la specificita' e  l'omogeneita'  dei contenuti normativi recati nei provvedimenti di urgenza anche nella fase di esame parlamentare»

[14]   Si ricorda che il credito di imposta è uno strumento agevolativo di carattere fiscale, nella forma di un contributo, che permette di ridurre un debito che il contribuente ha nei confronti dello Stato. L’articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997 dispone che i contribuenti, nell’effettuare i versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, possono eventualmente portare in compensazione i crediti, relativi allo stesso periodo, vantati nei confronti dei medesimi soggetti. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della successiva dichiarazione.

[15]   L’autorizzazione di spesa di 9 mln annui è stata incrementata di 5,5 mln annui a decorrere dal 2014 ai sensi del comma 7-bis dell’art. 10, D.L. 76/2013, nel testo integrato dalla legge di conversione n. 99/2013. 

[16] L’art. 1, comma 270, della L. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia un fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili, con una dotazione di 16 milioni di euro per l'anno 2013. Tali risorse vanno ripartite, con unico DPCM, tra le finalità di cui all'elenco n. 3 allegato alla legge (tra di esse, vi  è l’onere finanziario per i benefici di cui alla legge 193/2000)