Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Documento di economia e finanza 2013. Quadro di sintesi
Riferimenti:
DOC LVII, N. 1     
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 6
Data: 19/04/2013
Descrittori:
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO FINANZIARIA     


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Documento di economia e finanza 2013. Quadro di sintesi

29 aprile 2013
Edizione aggiornata



Indice

1. Finalità e struttura del Documento di Economia e Finanza|2. Il quadro macroeconomico|3. Il quadro di finanza pubblica|4. Il Programma nazionale di Riforma|



1. Finalità e struttura del Documento di Economia e Finanza

Il Documento di economia e finanza (DEF) costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio, che traccia, in una prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall'Italia per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo e il conseguimento degli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e solidale definiti nella Strategia Europa 2020. Il DEF enuncia, pertanto, le modalità e la tempistica attraverso le quali l'Italia intende conseguire il risanamento strutturale dei conti pubblici e perseguire gli obiettivi in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale, energia e sostenibilità ambientale definiti nell'ambito dell'Unione europea.

Il documento, che s'inquadra al centro del nuovo processo di coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri dell'UE - il cd. Semestre europeo – è presentato alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, entro il 10 aprile di ciascun anno, al fine di consentire alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici di politica economica in tempo utile per l'invio al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea, entro il successivo 30 aprile, del Programma di Stabilità e del Programma Nazionale di Riforma (PNR).

 

Quanto alla struttura, il DEF si compone di tre sezioni e di una serie di allegati. In particolare, la prima sezione espone lo schema del Programma di Stabilità, che dovrà contenere tutti gli elementi e le informazioni richiesti dai regolamenti dell'Unione europea e, in particolare, dal nuovo Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento agli obiettivi di politica economica da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico.

Nella seconda sezione sono indicate le regole generali sull'evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in linea con l'esigenza, evidenziata in sede europea, di individuare forme efficaci di controllo dell'andamento della spesa pubblica.

La terza sezione reca, infine, lo schema del Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in coerenza con il Programma di Stabilità, definisce gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati dalla nuova Strategia "Europa 2020". In tale ambito sono indicati:

  • lo stato di avanzamento delle riforme avviate, con indicazione dell'eventuale scostamento tra i risultati previsti e quelli conseguiti;
  • gli squilibri macroeconomici nazionali e i fattori di natura macroeconomica che incidono sulla competitività;
  • le priorità del Paese, con le principali riforme da attuare, i tempi previsti per la loro attuazione e la compatibilità con gli obiettivi programmatici indicati nel Programma di stabilità;
  • i prevedibili effetti delle riforme proposte in termini di crescita dell'economia, di rafforzamento della competitività del sistema economico e di aumento dell'occupazione.

Si segnala che il PNR 2013 non contiene quest'anno una agenda di priorità per il futuro, limitandosi invece a riportare un'analisi dettagliata delle riforme adottate e dei relativi primi risultati, nonché a indicare le aree delle politiche pubbliche dove si ritiene maggiormente necessario intervenire per il futuro.

 

In allegato al DEF – ovvero alla Nota di aggiornamento del medesimo da presentare ogni anno entro il 20 settembre – sono indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, da presentarsi alle Camere entro il mese di gennaio. In base alla legge di contabilità nazionale, in allegato al DEF devono essere riportate una serie d'informazioni supplementari:

  1. una relazione di sintesi sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate e sui risultati conseguiti;
  2. il Programma delle infrastrutture strategiche, previsto dalla "Legge obiettivo" e il relativo stato di avanzamento;
  3. un documento relativo allo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra ;
  4. un documento recante l'esposizione delle risorse del bilancio dello Stato destinate alle singole regioni;
  5. il rapporto sullo stato di attuazione della legge di contabilità e finanza pubblica.

 

La politica economica e di bilancio
La struttura del DEF


2. Il quadro macroeconomico

2.1 La congiuntura internazionale

Il DEF, nella prima sezione relativa al Programma di Stabilità, evidenza come nel 2012 l'economia mondiale abbia registrato un rallentamento rispetto al 2011, risultato più accentuato nel quarto trimestre dell'anno.

Il PIL mondiale, secondo i dati del Fondo Monetario internazionale, risulterebbe cresciuto nel 2012 ad un tasso del 3,2 per cento e il commercio del 2,5 per cento, a livelli nettamente inferiori rispetto al 2011.

Nel complesso, si confermano le tendenze già emerse negli ultimi anni relativamente al differenziale dei tassi di crescita tra i paesi avanzati e quelli emergenti e di più recente industrializzazione, che manifestano una maggiore reazione nella fase attuale di congiuntura, con una crescita sensibilmente più elevata. Permane, inoltre, un certo grado di asimmetria tra le aree più industrializzate. In questo scenario, il DEF evidenzia come nell'area dell'euro la graduale attenuazione delle turbolenze sui mercati finanziari non si sia ancora pienamente trasmessa all'economia reale, soprattutto nei paesi cosiddetti "periferici", e come ciò abbia determinato nel 2012 una contrazione del PIL dello 0,6% e un incremento del tasso di disoccupazione all'11,4%. A tale deterioramento delle prospettive macroeconomiche ha in parte contribuito la debolezza della domanda interna, registrata in particolare nei paesi che hanno adottato politiche di aggiustamento fiscale; nell'ultimo trimestre dell'anno il rallentamento ha interessato anche la Germania.

Di converso, negli Stati Uniti l'andamento del ciclo economico è stato favorevole, essendosi registrata una crescita del PIL del 2,2% e una diminuzione del tasso di disoccupazione all'8,1%. Anche in Giappone il PIL è cresciuto del 2%, mentre tassi di crescita nettamente superiori a quelli dei paesi avanzati hanno continuato a registrarsi nei paesi emergenti e di più recente industrializzazione: la Cina è cresciuta del 7,8% e l'India del 4,9%.


L'economia globale nel 2013


I segnali di rallentamento emersi nell'ultima fase del 2012 hanno indotto una revisione al ribasso delle previsioni di crescita dell'economia globale, che prevedono, per il 2013, una espansione del prodotto del 3,2% e del commercio mondiale del 3,6%.

In questo scenario, nell'Area dell'euro è attesa per il 2013 una contrazione del PIL dello 0,3% e un aumento del tasso di disoccupazione al 12,2%.

Negli Stati Uniti è invece prevista una crescita dell'1,9% per cento, mentre la disoccupazione dovrebbe ridursi al 7,6 per cento; il Giappone dovrebbe crescere dell'1% e la Cina a tassi prossimi all'8%. I paesi emergenti continuerebbero a reagire meglio all'attuale congiuntura, con livelli di crescita più intensi rispetto alle economie avanzate, che forniscono un rilevante contributo all'andamento dell'economia globale.

Più robusti segnali di stabilizzazione del contesto internazionale comincerebbero a manifestarsi nel 2014, anno in cui il PIL mondiale è stimato nel DEF in aumento del 3,9 per cento (rispetto al 4 per cento indicato dal FMI ed esposto nella precedente Tabella)

Le prime indicazioni provenienti dal contesto internazionale inducono, secondo il Governo, ad un moderato ottimismo. In particolare, il DEF sottolinea come gli elevati tassi di crescita dei paesi emergenti possano fungere da volano per la ripresa dei paesi sviluppati, analogamente alla prevista diminuzione dei prezzi delle materie prime – energetiche, alimentari e industriali –, che dovrebbe comportare riflessi positivi anche sull'inflazione.

Pur in presenza di segnali di stabilizzazione del contesto internazionale, continuano tuttavia a persistere elementi di incertezza per il futuro.

Nei paesi sviluppati gli elementi di criticità che influiscono sulla ripresa economica continuano a essere connessi agli effetti delle politiche fiscali restrittive che sono state adottate per contenere gli ampi livelli d'indebitamento raggiunti a seguito della crisi finanziaria.

In particolare, nell'area dell'euro gli elementi d'incertezza sono connessi a una possibile recrudescenza delle tensioni sui mercati finanziari, che ancora permangono, come dimostra la recente crisi bancaria di Cipro.

Negli Stati Uniti, nonostante la politica monetaria accomodante finora adottata dalla Federal Reserve, si registrano i rischi connessi al possibile combinarsi di tagli alla spesa e maggiori tasse, derivanti dalle misure decise alla fine dello scorso anno per evitare il c.d. "fiscal cliff" e dai tagli automatici ai programmi di spesa pubblica disposti per i prossimi dieci anni (il c.d. sequester); ulteriori incertezze sono connesse all'approvazione di un piano di consolidamento fiscale a medio termine e al raggiungimento del tetto al debito pubblico previsto, in mancanza di un accordo tra l'Amministrazione e il Congresso per la sua elevazione, nella seconda metà di maggio. In Giappone, invece, le recenti innovative azioni di politica monetaria riflettono l'esigenza di tornare a crescere a ritmi sostenuti.

 

La politica monetaria

Appare utile richiamare in questa sede anche quanto riportato nel Bollettino Economico di Banca d'Italia dell'aprile 2013, il quale evidenzia che le banche centrali delle maggiori economie avanzate hanno reso ancora più accomodante l'intonazione delle rispettive politiche monetarie.

Negli Stati Uniti la Federal Reserve (FED) ha lasciato invariato l'intervallo obiettivo per il tasso d'interesse sui federal funds tra 0 e 0,25 per cento, riaffermando che il tasso sarà mantenuto su valori eccezionalmente bassi fino a quando permarranno tassi di disoccupazione elevati (superiori al 6,5%) e basse aspettative di inflazione. Ha inoltre deciso di proseguire con il piano di acquisti a titolo definitivo di mutui cartolarizzati per 40 miliardi di dollari al mese e di obbligazioni del Tesoro a lungo termine per ulteriori 45 miliardi.

La Banca del Giappone, dopo aver introdotto in gennaio un obiettivo esplicito per la stabilità dei prezzi pari al 2 per cento - in sostituzione del precedente tasso di inflazione di riferimento nel breve termine (1 per cento) - ha varato, in aprile, un nuovo ampio programma di espansione quantitativa, finalizzato al raggiungimento del target di inflazione entro due anni. Il nuovo regime determinerà un raddoppio della base monetaria nel corso del prossimo biennio, diventando il nuovo obiettivo operativo della politica monetaria; nel medesimo arco temporale verrà raddoppiata la quantità di attività finanziarie detenute nel portafoglio della Banca centrale e più che raddoppiata la vita media residua degli acquisti di obbligazioni pubbliche.

La Banca d'Inghilterra ha invece lasciato invariato lo stock di attività finanziarie nel proprio portafoglio a 375 miliardi di sterline.

La Banca centrale europea (BCE) ha mantenuto un orientamento di politica monetaria accomodante, lasciando allo 0,75 per cento il tasso di riferimento per le operazioni di rifinanziamento principali. La liquidità in eccesso si è mantenuta ampia, anche se sono diminuiti di circa 220 miliardi di euro i finanziamenti complessivi forniti dall'Eurosistema alle banche operanti nell'area mediante le operazioni di rifinanziamento in ragione della restituzione anticipata di una parte dei fondi ottenuti nelle due operazioni di rifinanziamento con durata triennale (LTRO) condotte a dicembre del 2011 e a febbraio del 2012. Il Consiglio direttivo della BCE ha confermato che l'orientamento di politica monetaria rimarrà accomodante con piena aggiudicazione della liquidità richiesta dalle banche fino a quando necessario; ha inoltre chiarito di essere pronto a ulteriori azioni sulla base della valutazione delle informazioni in arrivo nel prossimo futuro.

Con riferimento al cambio, si segnala infine che all'inizio dell'anno in corso l'euro si è deprezzato dell'1,1 per cento rispetto al dollaro, ma si è rafforzato nei confronti dello yen del 14 per cento, in seguito all'ulteriore allentamento delle condizioni monetarie in Giappone; è comunque proseguito il trend di apprezzamento avviatosi nel 2012 in termini effettivi nominali. Analogamente a quanto avvenuto in Francia e in Germania, il guadagno di competitività accumulato dall'Italia a partire dal 2010, che ha favorito il miglioramento del saldo delle partite correnti, è stato in parte ridotto, dallo scorso agosto, dalla rivalutazione nominale dell'euro.

2.2 Lo scenario macroeconomico nazionale

Il DEF espone l'analisi del quadro macroeconomico italiano nel 2012 e le previsioni per l'anno in corso e per il periodo 2014-2017, che riflettono gli elementi d'incertezza che ancora caratterizzano le prospettive di crescita globali.

Con riferimento all'anno 2012, si evidenzia come la recessione, manifestatasi nuovamente nella seconda metà del 2011 - dopo i moderati segnali di ripresa di inizio anno – si sia protratta, in Italia, per tutto il 2012. Nel complesso, nel 2012 il PIL ha registrato una contrazione del 2,4 per cento, a fronte della crescita dello 0,4 per cento registrata nel 2011 (dato, quest'ultimo, in netto rallentamento rispetto alla crescita dell'1,7% manifestatasi nel 2010).

La contrazione del prodotto nel 2012 è risultata in linea con le previsioni formulate nella Nota di aggiornamento del DEF, presentata a settembre 2012. In merito, il DEF sottolinea che la fase recessiva dell'economia italiana, che ha attraversato l'intero arco dell'anno 2012, si è inasprita nella fase finale dell'anno, segnando nell'ultimo trimestre una variazione negativa superiore alle attese (- 0,9% sul trimestre precedente). Sul risultato complessivo ha inciso, in maniera rilevante, il debole andamento della domanda interna, il cui contributo negativo alla variazione del PIL è stato particolarmente ampio, pari a -4,8 punti percentuali. La contrazione del PIL nel 2012 è stata, inoltre, accompagnata da una diminuzione delle importazioni di beni e servizi del 7,7%, che ha accentuato la contrazione delle risorse disponibili (-3,6%). Un apporto positivo è, invece, disceso dalla domanda estera (3 punti percentuali).

In merito, il DEF evidenzia come mentre il precedente episodio di caduta del PIL, culminato nel 2010, era stato caratterizzato da un vistoso calo delle esportazioni, nel corso del 2012 il principale impulso recessivo è venuto dalle ripercussioni negative sull'economia dovute alla crisi finanziaria. L'apertura di un differenziale molto elevato tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi e le tensioni sul mercato interbancario europeo si sono infatti trasmesse sul finanziamento al settore privato sia in termini di tassi di interesse più elevati, sia in termini di contrazione del credito totale all'economia. Al contempo, l'ampio sforzo di consolidamento fiscale resosi necessario per stabilizzare le aspettative dei mercati e per ottemperare agli impegni interni e internazionali di anticipo del pareggio strutturale di bilancio al 2013, ha fornito ulteriore impulso negativo all'economia, cui si aggiunta una drastica caduta di fiducia di famiglie e imprese che ha contribuito alla congiuntura sfavorevole. Da tali fattori è discesa una nuova rilevante flessione del PIL generata dalla contrazione di tutte le componenti della domanda interna e un ulteriore aumento del tasso di disoccupazione.

Le prospettive dell'economia italiana

 

Il DEF 2013 sottolinea come le prospettive di recupero dell'economia italiana siano fortemente influenzate dagli sviluppi della crisi in Europa e, al contempo, dall'evoluzione dello scenario economico globale. A tale ultimo riguardo, il DEF ipotizza una progressiva ripresa della domanda internazionale già a partire dal 2013, dopo il rallentamento della seconda metà del 2012, che dovrebbe riflettersi positivamente sulla crescita delle esportazioni italiane.

In linea con quanto già indicato nella Relazione al Parlamento 2013, presentata nel marzo scorso, il DEF conferma la revisione al ribasso delle prospettive di crescita dell'economia italiana, stimando per il 2013 una contrazione del PIL pari a -1,3%, rispetto al -0,2 per cento indicato nella Nota di aggiornamento del DEF del settembre scorso.

Tale revisione delle stime di crescita per l'anno in corso riflette, oltre agli effetti di trascinamento negativo (pari a circa un punto percentuale) ereditati dall'ultima parte del 2012, anche i segnali ancora poco confortanti dell'andamento congiunturale dei primi mesi dell'anno, in cui si prefigura, secondo i dati attualmente disponibili, una ulteriore contrazione del PIL nel primo trimestre 2013. Il livello delle attività economiche è atteso permanere debole nella prima metà dell'anno, in ragione della debolezza della domanda interna; a una sostanziale stabilizzazione del prodotto nel secondo trimestre dovrebbe seguire una crescita nella seconda parte dell'anno, favorita anche dall'immissione di liquidità nel sistema economico derivante dal recente decreto-legge n. 35/2013 in tema di pagamento dei debiti pregressi della PA e di rimborsi fiscali, attualmente all'esame della Commissione speciale.

Per l'anno 2014 si stima una più decisa ripresa delle attività economiche, con un livello di crescita del PIL che dovrebbe attestarsi all'1,3%, ossia superiore di due decimi di punto percentuale rispetto alle previsioni indicate nella Nota di aggiornamento al DEF 2012. Tale previsione, come quella per l'anno in corso, sconta gli effetti positivi sulla domanda interna derivanti dal predetto provvedimento in tema di accelerazione del pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni. Sul punto, il DEF precisa che in mancanza delle misure adottate con il citato decreto-legge la crescita del PIL nel 2014 si sarebbe attestata a circa lo 0,6%.

Gli effetti positivi delle misure di accelerazione dei pagamenti dei debiti della PA influenzeranno l'andamento del prodotto anche negli anni successivi, in cui il PIL è previsto crescere dell'1,5% nel 2015, dell'1,3% nel 2016 e dell'1,4% nel 2017.


Componenti del quadro macroeconomico italiano

 

La tabella che segue riporta le previsioni per gli anni 2013-2017 dei principali indicatori del quadro macroeconomico complessivo esposto nel DEF 2013, a raffronto con i consuntivi degli ultimi due anni.

Come si evince dalla tabella, tutti i principali indicatori macroeconomici manifestano nell'anno 2013 un valore negativo rispetto al 2012, salvo l'andamento positivo indicato per le esportazioni (+2,2%).

Per quanto concerne il mercato del lavoro , il DEF, confermando quanto già esposto nella Relazione al Parlamento presentata a marzo scorso, stima per l'anno 2013 una contrazione dell'occupazione, in termini di ULA, dello 0,3 per cento rispetto al 2012, anno in cui l'occupazione si è ridotta dell'1,1 per cento. Una ripresa occupazionale è attesa realizzarsi soltanto a partire dal 2014, anno in cui l'occupazione segnerebbe un valore positivo (+0,6%), fino a giungere allo 0,8 per cento nel 2017.

Il tasso di disoccupazione si manterrebbe al di sopra del livello registrato nel 2012 (10,7%) per tutto il periodo di previsione, attestandosi all'11,6 per cento nel 2013 e all'11,8 per cento nel 2014. Il DEF ipotizza che soltanto alla fine del periodo di previsione il tasso possa tornare, scontando comunque un progressivo aumento del tasso di partecipazione, al di sotto della soglia dell'11 per cento, atteso che con la ripresa dell'economia gli aumenti dell'occupazione saranno probabilmente meno che proporzionali rispetto alle variazioni del PIL.

 

Al riguardo appare utile riportare anche il seguente grafico che mostra l'andamento del tasso di disoccupazione a partire dal 2008 per i principali paesi della UE e per gli Stati Uniti, tratto dal recente rapporto del Fondo monetario internazionale (Word Economic Outlook, aprile 2013).

 

2.3 Confronti internazionali

 

Nel rapporto del Fondo Monetario Internazionale (World Economic Outlook – aprile 2013), le previsioni per l'economia dell'area dell'euro risultano riviste al ribasso.

In tale ambito, con riferimento all'area dell'euro, le revisioni più significative rispetto alle precedenti stime hanno riguardato l'Italia e la Francia, paesi per i quali l'FMI ha indicato una contrazione del PIL nel 2013 pari a -1,5 per cento per l'Italia (superiore di mezzo punto percentuale rispetto a quanto previsto a gennaio) e a -0,1 per cento per la Francia (a fronte di una previsione di crescita dello 0,3 per cento).

Nel complesso, nell'Area euro si prevede una riduzione del PIL nel 2013 pari allo 0,3 per cento. Nel 2014, l'espansione del prodotto in Italia è prevista a un ritmo più modesto di quanto indicato dal Governo nel DEF, pari allo 0,5 per cento. Tale previsione non include, tuttavia, l'impatto economico derivante dal predetto provvedimento sull'accelerazione dei pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni. Ciò considerato, la previsione dell'FMI si pone sostanzialmente in linea con quanto indicato nel DEF, il quale stima, in assenza del citato intervento, una crescita dell'Italia nel 2014 di poco superiore allo 0,5 per cento.

Secondo quanto riportato nel World Economic Outlook , le revisioni alle stime di crescita operate nel mese in corso si basano sulla considerazione di fondo per cui ciò che appariva una ripresa a due velocità, si configura ora in modo più netto come una ripresa a tre velocità, che vede da un lato i mercati emergenti - i quali continuano a procedere su ritmi sostenuti di crescita-, e dall'altro le economie avanzate, le quali, però mostrano una biforcazione: gli Stati Uniti da una parte, stimati crescere sui livelli sostanzialmente già prospettati nel precedente Outlook di gennaio, e l'Area euro dall'altra, i cui tassi di crescita economica sono invece più deboli. La crescita nei paesi emergenti è, infatti, prevista raggiungere nel 2013 il 5,3 per cento ed il 5,7 per cento nel 2014. Negli Stati Uniti la stima per il 2013 si attesta intorno all'1,9 per cento e al 3 per cento nel 2014. Al contrario, l'Area euro decrescerebbe dello 0,3 per cento nel 2013 per riprendere debolmente a crescere dell'1,1 per cento nel 2014.

In particolare, per ciò che concerne l'Area Euro, la crescita negativa riflette – secondo le valutazioni dell'FMI - non solo la debolezza dei paesi periferici, ma anche una qualche debolezza nel nucleo stesso dell'Area, atteso che anche la Germania, pur confermando una espansione del prodotto, manifesterebbe una crescita ben al di sotto dell'1 per cento. Le previsioni per la Francia sono, invece, più negative nel 2013, così come quelle per l'Italia e la Spagna.

 

Persiste la debolezza del contesto internazionale
L'andamento economico è molto eterogeneo
Emergono segnali di stabilizzazione...
... ma non mancano incognite per il futuro
Le politiche monetarie sono divenute più espansive, in particolare in USA e Giappone
La rivalutazione dell'euro incide sulla competitività
La caduta del PIL si è accentuata nel IV trimestre 2012
Il livello della domanda interna frena la crescita
Il PIL 2013 è stato rivisto al ribasso
Senza il decreto sui pagamenti della P.A. la flessione del PIL sarebbe stata più marcata...
... e la crescita dal 2014 più debole
La disoccupazione è in forte aumento
World Economic Outlook
La ripresa presenta forti differenze tra i Paesi
Nell'Area dell'euro si estende la debolezza ciclica


3. Il quadro di finanza pubblica

I risultati del 2012

 

I dati di finanza pubblica riportati nel DEF relativi al consuntivo 2012 espongono un miglioramento dell'indebitamento netto rispetto al risultato 2011, nei cui confronti si passa dal -3,8 al -3% del Pil, in presenza, tuttavia, di una previsione nella Nota di aggiornamento di settembre 2012 nella quale era stimato un valore minore dell'indebitamento medesimo, pari a -2,6%.


 

Il miglioramento dell'indebitamento registrato nel 2012 rispetto al 2011, pari a 0,8 punti di Pil, è dovuto a un aumento delle entrate di 1,5 punti Pil, compensato in parte da un aumento della spesa di 0,8 punti; l'avanzo primario è più che raddoppiato, passando dall'1,2 al 2,5% del Pil.

Più in dettaglio, le entrate correnti hanno registrato una variazione in aumento del 3,1%, dovuto a un incremento delle entrate tributarie del 5,2% ascrivibile sia alle imposte indirette, trainate prevalentemente dal gettito dell'IMU e dall'aumento delle accise sugli oli minerali, sia a quelle dirette, per effetto dell'aumento del gettito Irpef, della relativa addizionale regionale e dell'aumento della tassazione delle rendite finanziarie. L'aumento delle entrate correnti al 47,7% del Pil ha determinato un valore della pressione fiscale pari al 44%, in consistente aumento rispetto al 42,6% del 2011.

Dal lato della spesa le uscite totali mostrano una dinamica contenuta rispetto al 2011 (0,6%), sulla base di un pressoché analogo andamento delle spese correnti. In particolare, i redditi da lavoro dipendente sono diminuiti del 2,3%, a seguito di una lieve riduzione dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche e del permanere del blocco dei rinnovi contrattuali; le prestazioni sociali in denaro sono aumentate del 2,4 per cento, in linea con la crescita della spesa per pensioni e rendite. Di maggior consistenza l'aumento degli interessi passivi che, anche in relazione alla crescente dinamica del debito e all'incremento dei costi di finanziamento, è risultato del 10,7% rispetto al 2011.

Il percorso di rientro del deficit nel 2012, che dovrebbe in ogni caso consentire la chiusura della procedura per disavanzi eccessivi, è stato condizionato negativamente, rispetto ai dati previsionali contenuti nel DEF 2012 e nella relativa Nota di aggiornamento (nei quali l'indebitamento netto veniva quantificato, rispettivamente, a -1,7 e -2,6%), sia dal peggioramento della congiuntura economica, sia dal persistere dalle tensioni sui mercati finanziari.


Le previsioni 2013-2017

 

Le previsioni per il quinquennio 2013-2017 sono costruite sulla base delle risultanze dell'anno 2012 e tenendo conto degli effetti finanziari del decreto-legge n. 35/2013 in tema di pagamenti dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni; i valori dell'indebitamento per gli ultimi tre anni del periodo considerano, inoltre, la prosecuzione dell'attuale regime sperimentale di tassazione degli immobili (IMU e aumento dei coefficienti catastali) che, in assenza di conferma, dovrebbe cessare al termine del 2014.

 

Le previsioni evidenziano un consistente aumento dell'indebitamento netto per il 2013 rispetto alle indicazioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF 2012, pari all'1,1% (-2,9%, in luogo del -1,8% programmato), dovuto per circa 0,5 punti agli effetti del citato D.L. n. 35/2013, per 0,9 punti alla minore crescita del Pil per circa 1,8 punti percentuali (-1,3%, anziché il previsto -0,5%), parzialmente compensati da una minore spesa per interessi dello 0,3%. Ciononostante, nel 2013 il valore dell'indebitamento netto strutturale – vale a dire al netto delle una tantum e corretto per il ciclo – consente comunque il conseguimento del pareggio di bilancio in termini strutturali, nonché il formarsi di un surplus , sempre in termini strutturali, nel 2014 pari allo 0,4%.

In sintesi, gli andamenti tendenziali esposti nella tabella espongono che:

  • le spese correnti al netto degli interessi passano dal 42,7% del Pil nel 2013 al 40,2 al termine del periodo, con una diminuzione di 2,5 punti percentuali. Ciò deriva da una riduzione di tutte le principali componenti di spesa, con la precisazione che la componente relativa alle prestazioni sociali rimane stabile per i primi due anni, iniziando la diminuire solo dal 2015 (le altre componenti decrescono fin dall'inizio del periodo);
  • la diminuzione opera anche per la spesa in conto capitale, la cui riduzione è tuttavia più contenuta (-1,1%) rispetto a quella di parte corrente, in un percorso, precisa il DEF, destinato a continuare anche nel prosieguo, al fine di creare una situazione di finanza pubblica in grado di supportare al meglio lo sviluppo e la crescita economica;
  • la spesa per interessi segue invece un andamento crescente, per 0,8 punti percentuali che, tuttavia, appare al momento più favorevole di quanto in precedenza ipotizzato a settembre 2012 nella Nota di aggiornamento (ove era prevista attestarsi nel 2017 al 6,3% di Pil), a seguito di uno scenario dei tassi più favorevole;
  • le entrate totali si attestano nel primo anno al valore più elevato del periodo, pari al 48,6 del Pil (ed in aumento di 0,5 punti in quota Pil rispetto all'anno precedente), seguendo tuttavia nel prosieguo un percorso lievemente discendente, fino al 27,4% nel 2017, con una correlata diminuzione del livello della pressione fiscale complessiva.

 

 

 

 

 

 

Il quadro programmatico

 

Come indicato nella tabella che segue, il quadro tendenziale risulta predisposto includendo la prosecuzione, anche negli anni 2015 e successivi, del vigente regime sperimentale dell'IMU, introdotto, limitatamente al periodo 2012-2014, dall'articolo 13 del D.L. n. 201 del 2011.

 


 

 

Per quanto concerne il quadro programmatico, questo espone un valore del saldo di bilancio progressivamente decrescente - dal -2,9% del primo anno al -0,4% del 2017 - parametrato su un obiettivo che in termini di indebitamento netto strutturale assicuri il conseguimento del pareggio di bilancio per tutto il periodo di previsione.

Come evidenziato in tabella, per il 2013 e il 2014 l'obiettivo programmatico e tendenziale coincidono, in ragione dell'operare degli effetti correttivi per tale periodo derivanti dalle misure di risanamento finanziario sinora varate.

Per gli anni dal 2015 al 2017 invece, il mantenimento del pareggio del saldo strutturale dovrebbe comportare un obiettivo di manovra correttiva pari, nel complesso, allo 0,6% del Pil (manovra che, in assenza della conferma del regime sperimentale IMU, ammonterebbe all'1,4% del PIL).

Il DEF non fornisce indicazioni in ordine alle misure da adottare, limitandosi a rilevare che dal 2015 in poi il profilo dell'indebitamento netto si avvicinerebbe al livello necessario per l'equilibrio strutturale di bilancio, benché l'obiettivo del pareggio possa comunque richiedere l'adozione di interventi per colmare il gap residuo, resta in ogni caso ferma la necessità di mantenere la dinamica della spesa il linea con le regole definite per essa a livello europeo.


La regola della spesa

I nuovi regolamenti europei, il c.d. six pack, introducono nell'ambito del braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) un vincolo alla crescita della spesa diretto a rafforzare il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine - che per l'Italia è fissato, dal 2013, nel pareggio di bilancio in termini strutturali - parametrato al tasso di crescita di medio periodo del PIL potenziale.

L'aggregato di spesa pubblica sottoposto a valutazione è individuato nel totale della spesa delle Amministrazioni Pubbliche diminuito della spesa per interessi, della spesa nei programmi europei per la quota coperta da fondi comunitari e la componente non discrezionale (quella legata al ciclo economico) per indennità di disoccupazione. L'aggregato deve essere depurato dalla volatilità intrinseca della spesa per investimenti, prevedendo che il valore iscritto in ciascun esercizio sia sostituito da un valore medio calcolato sulla base della spesa per l'esercizio in corso e quella relativa ai tre esercizi precedenti. Al valore della spesa così ottenuto devono essere sottratte le entrate derivanti da misure discrezionali, cui si aggiungono le eventuali maggiori entrate derivanti da innalzamenti automatici di imposte e/o tasse previsti dalla legislazione a copertura di poste specifiche di spesa.

Per i paesi che hanno conseguito il proprio obiettivo, l'aggregato di spesa di riferimento (espresso in termini reali) può incrementarsi in linea con il tasso di crescita di medio periodo del PIL potenziale, mentre per quelli lontani dall'obiettivo la crescita dell'aggregato deve essere ridotta rispetto al tasso di crescita suddetto per un ammontare (shortfall) che garantisca un miglioramento del saldo strutturale del bilancio di almeno 0,5 punti in termini di PIL.

Per l'Italia il limite per la crescita dell'aggregato è pari a -0,8 per cento, sia per il 2012 che per il 2013, esercizio in cui è previsto il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio strutturale. Nel periodo successivo, tale benchmark é pari a zero, in caso di mantenimento dell'obiettivo (mentre in caso contrario ci si dovrebbe attestare su un tasso di crescita negativo pari a -1,1%). Sulla base dei tassi di crescita dell'aggregato in questione previsti per il periodo 2013-2017 il DEF segnala come la regola della spesa risulti osservata per tutto il periodo, ad eccezione degli anni 2015 e 2017, nei quali si dovrebbe registrare un incremento dell'aggregato di spesa pari, rispettivamente, allo 0,4 ed allo 0,5 per cento (anziché essere uguale a zero).

 

Per quanto concerne l'indebitamento netto strutturale, si rammenta che sulla base delle regole vigenti nel sistema europeo dei conti pubblici, esso consiste nell'ammontare del saldo nominale depurato degli effetti della componente ciclica, vale a dire quelli derivanti dal ciclo economico: se negativa, tale componente migliora il saldo in termini strutturali; viceversa in caso di componente ciclica positiva. Indi, tale saldo va depurato delle misure una tantum, costituite dalle entrate e spese identificate come straordinarie: in caso di prevalenza delle entrate sulle spese si ha un peggioramento del saldo, viceversa in caso di prevalenza delle spese sulle entrate. Per la misurazione della componente ciclica occorre far riferimento all'output gap, che rappresenta la variabile di misura della distanza del Pil effettivo rispetto al Pil potenziale, rapportata a quest'ultimo (che rappresenta il livello teorico massimo di produzione che un paese può raggiungere senza causare tensioni inflazionistiche). La componente ciclica che fornisce una misura approssimata dell'impatto delle fluttuazione congiunturali sul bilancio viene definita come il prodotto tra l'output gap e l'elasticità del saldo di bilancio alla crescita economica.

Secondo i valori riportati nel DEF, la variabile dell'output gap si attesta al valore più elevato nel primo anno del periodo, risultando pari a -4,8 nel 2013, per tendere poi a chiudersi negli anni successivi, restando in valori negativi, ma di importo via via più ridotto, sino a raggiungere il valore dello -0,8 per cento nel 2017. Tale andamento è messo in relazione all'evoluzione del Pil potenziale, che dal valore negativo del -0,5% del 2012, viene stimato pari a 0 nel 2013, tornando a crescere dello 0,2% nel 2014, sino a raggiungere lo 0,5% nel 2017.


Con riguardo all'evoluzione del rapporto debito pubblico/PIL , il dato 2012 si è posizionato ad un livello lievemente superiore alle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento (126,4 per cento), attestandosi al 127 per cento: ciò a causa principalmente dell'andamento del volume di debito, risultato superiore di circa 12 miliardi rispetto alle stime di settembre. Un livello ancora superiore si prevede per il 2013, in cui il debito si attesterà al 130,4% del PIL (+4,4 punti percentuali rispetto alla stima programmatica della Nota). Le ragioni di tale incremento sono indicate nell'effetto di trascinamento dei risultati negativi del 2012 (per 0,7 punti di PIL), dal negativo andamento del Pil nell'anno e, principalmente, dalla revisione al rialzo del fabbisogno del settore pubblico, anche per effetto del D.L. n. 35/2013. Il livello del debito si prevede in lieve discesa dal 2014 (129%, circa 6 punti percentuali di Pil in più rispetto alle previsioni), mentre dal 2015 si dovrebbe determinare un più incisivo percorso di riduzione, nell'ordine di 4 punti percentuali l'anno, fino a raggiungere il livello del 113,8% al 2017.

La praticabilità di tale significativo percorso di riduzione del debito viene ricondotta secondo il DEF, a diversi ordini di ragioni: il cessare degli effetti del D.L. n. 35 citato; la più robusta crescita del PIL; una dinamica del fabbisogno stimata come particolarmente virtuosa dal 2016 in poi; il mantenimento, per tutto il periodo di previsione, di dismissioni immobiliari per importi pari a circa 1 punto di PIL all'anno. Incide inoltre, ovviamente, il conseguimento e mantenimento del consistente avanzo primario indicato nel quadro programmatico, stimato crescere sino al 5,7% nel 2017.

In considerazione dei suoi valori elevati, l'andamento del rapporto debito/PIL deve essere valutato anche ai fini del rispetto della regola europea sul debito.

La regola del debito

Il nuovo quadro di riforma della governance economica dell'UE, adottato nel novembre 2011 (six pack) e richiamato nel Fiscal compact, rafforza il controllo della disciplina di bilancio attraverso l'introduzione di una regola numerica che specifica il ritmo di avvicinamento del debito al valore soglia del 60% del PIL. In particolare, il nuovo articolo 2 del regolamento 1467/97 stabilisce che, per la quota del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60%, il tasso di riduzione debba essere pari ad 1/20 all'anno nella media dei tre precedenti esercizi.

Nel caso in cui il valore del rapporto debito/PIL nell'esercizio di riferimento sia superiore al benchmark, la Commissione deve verificare se il mancato rispetto della regola possa essere attribuibile a effetti ciclici o se, sulla base delle previsioni a politiche invariate, è prevista una correzione entro i due anni successivi al primo anno di valutazione.

Qualora il rapporto debito/PIL fosse più alto del benchmark anche dopo l'aggiustamento per il ciclo e rimanesse più elevato anche in prospettiva (nei due anni successivi all'anno di riferimento), la Commissione sarà chiamata ad aprire una procedura per disavanzi eccessivi con la redazione di un rapporto ex art. 126(3) TFUE, nel quale al benchmark numerico si aggiungono valutazioni "qualitative" relative a un certo insieme di "altri fattori rilevanti". L'analisi di tali fattori – che in questa sede non si dettagliano - rappresenta, quindi, un passo obbligato nelle valutazioni che inducono ad avviare una procedura per disavanzi eccessivi a causa di una mancata riduzione del debito ad un "ritmo adeguato".

E' da rilevare che, nel caso di Stati membri correntemente sottoposti alla procedura di deficit eccessivo, è previsto un periodo di transizione di tre anni per l'applicazione della regola. In tale periodo, gli Stati devono prevedere un aggiustamento fiscale (cioè una correzione del saldo di bilancio) strutturale minimo tale da garantire un progresso continuo e realistico verso il benchmark del debito. L'aggiustamento deve essere tale da rispettare le seguenti condizioni: a) l'aggiustamento strutturale annuo non deve scostarsi più dello 0,25 per cento del PIL dell'aggiustamento richiesto per assicurare la regola del debito a fine periodo; b) in qualsiasi momento del periodo di transizione, il restante aggiustamento strutturale annuo non deve superare lo 0,75 per cento del PIL.

La prima valutazione della Commissione sulla conformità alla regola del debito avverrà per l'Italia nel 2015, ossia al termine del periodo di transizione triennale successivo alla chiusura della procedura del deficit eccessivo.

Sul punto il DEF, nella sezione del Programma di stabilità che analizza l'evoluzione del rapporto debito/Pil, rileva come in tale anno, a fronte di un benchmark che risulterebbe pari al 122,2 per cento di PIL, il debito risulti previsto di ammontare superiore, al 125,5% del PIL, con il rischio di un mancato rispetto della regola in questione. Tuttavia, considerando i due aspetti che vanno in proposito previamente valutati dalla Commissione, vale a dire la correzione per il ciclo e l'evoluzione del debito nei due anni successivi, il DEF afferma che la regola non risulta violata, rilevando altresì come il miglioramento dell'avanzo primario previsto fino al 2015 permetterebbe comunque di avvicinarsi sensibilmente al benchmark. Il DEF rileva inoltre come, pure in presenza di fattori rilevanti, l'eventuale differenziale nella riduzione del debito rispetto all'obiettivo della regola europea che dovesse emergere sarà colmato con un accelerazione nel processo di privatizzazione che sarà definito più chiaramente dal prossimo Governo. Negli anni successivi la condizione necessaria per rispettare la regola del debito al 2017 con un ampio margine di sicurezza consiste nel mantenimento del saldo strutturale in pareggio.

 

Il deficit 2012 è stato più alto di quello previsto...
... ma dovrebbe comunque consentire l'imminente chiusura della procedura per disavanzi eccessivi
Il saldo strutturale è stimato in pareggio nel 2013 e in lieve surplus nel 2014
Correzione necessaria per mantenimento pareggio di bilancio strutturale 2015-2017
Progressiva chiusura dell'output gap
La discesa del rapporto debito/PIL è attesa dal 2014
Regola europea sul debito


4. Il Programma nazionale di Riforma

Il Programma Nazionale di Riforma (PNR), contenuto nella Sezione III del DEF, ha, da un lato, la funzione di verificare – in termini di effetti, portata e conformità con gli obiettivi europei - le riforme intraprese dopo l'approvazione del PNR dello scorso anno, e, dall'altro, dovrebbe prospettare un'agenda di interventi per il futuro funzionali al conseguimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 e all'attuazione degli indirizzi sulle politiche pubbliche che le istituzioni comunitarie, nel quadro della nuova governance economica europea, hanno diretto all'Italia.

 

La presentazione del PNR 2013 viene tuttavia a cadere, come afferma la premessa al DEF, in un momento particolare della vita politica e istituzionale del Paese, che induce il Governo dimissionario, in carica per il disbrigo degli affari correnti, a rilevare l'impossibilità di formulare orientamenti per il futuro che presuppongano scelte d'indirizzo politico-legislativo o l'avvio di nuove politiche di vasto respiro che non siano già state condivise dal Parlamento. Per tali ragioni, il PNR 2013 non contiene quest'anno una agenda di priorità per il futuro, limitandosi invece a riportare un'analisi dettagliata delle riforme adottate e dei relativi primi risultati, nonché a indicare le aree di politiche pubbliche dove è maggiormente necessario intervenire per il futuro. Spetterà al nuovo Governo la facoltà d'integrare il quadro prospettato, presentando un'agenda di riforme, con le relative compatibilità finanziarie, volta a proseguire il percorso di avvicinamento agli obiettivi della Strategia Europa 2020.

 

Quadro di sintesi del contenuto del PNR

 

Dal punto di vista dei contenuti, la struttura del PNR 2013, ampiamente rivista rispetto a quella dello scorso anno, è articolata in sei capitoli più un'appendice.

Nel primo capitolo si descrivono sinteticamente le riforme introdotte nel periodo di riferimento previsto dal Semestre Europeo, evidenziandone la coerenza con:

  1. gli impegni presi dal Paese nell'ambito del Patto Euro Plus, con il quale gli Stati membri hanno convenuto un coordinamento rafforzato delle politiche economiche volto a conseguire quattro obiettivi prioritari: 1) stimolare la competitività; 2) favorire l'occupazione; 3) migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche; 4): rafforzare la stabilità finanziaria;
  2. gli indirizzi indicati dalla Commissione europea nell'ambito dell'analisi annuale delle crescita con cui si avvia il Semestre Europeo, nell'ambito della quale sono state ribadite le seguenti priorità: 1) risanare il bilancio in modo differenziato e favorevole alla crescita; 2) ripristinare la normale erogazione di prestiti all'economia; 3) promuovere la crescita e la competitività nel breve e nel lungo periodo; 4) lottare contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi; 5) modernizzare la Pubblica Amministrazione;
  3. gli obiettivi della Strategia Europa 2020 espressi in termini di target europei declinati a livello nazionale;
  4. le sette iniziative prioritarie (Flagship Initiatives) sulla base delle quali l'UE e i governi nazionali sostengono i loro sforzi per realizzare la predetta Strategia: 1) agenda digitale europea; 2) unione dell'innovazione; 3) giovani in movimento; 4) un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse; 5) una politica industriale per l'era della globalizzazione; 6) agenda per nuove competenze e lavoro; 7) piattaforma europea contro la povertà.

Nell'ambito di questa cornice il PNR 2013 illustra il percorso compiuto sulla strada delle riforme sollecitate dalle istituzioni europee, sottolineando come gli sforzi compiuti abbiano affrontato sia i problemi urgenti di breve periodo causati dalla crisi, sia le questioni strutturali dalla cui soluzione dipende il benessere economico di lungo periodo del Paese. In questa prospettiva, il documento annovera tra le principali misure adottate:

  • il piano per il conseguimento del pareggio strutturale del bilancio anticipato al 2013 e l'inserimento nella Costituzione del principio dell'equilibrio delle entrate e delle spese e della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni;
  • la strategia di riduzione del debito pubblico da attuarsi con la dismissione e la valorizzazione dei beni pubblici;
  • la profonda riforma delle pensioni, che ha reso il sistema previdenziale italiano uno dei più sostenibili in Europa;
  • le misure per il contenimento della spesa pubblica (c.d. spending review), la riduzione del carico amministrativo per le imprese e il miglioramento dell'ambiente imprenditoriale;
  • la riforma del mercato del lavoro, volta ad aumentare la flessibilità e a ridurre la segmentazione;
  • la politica di sviluppo nazionale per l'imprenditoria a favore dell'innovazione e dell'internazionalizzazione;
  • le misure di razionalizzazione ed efficientamento del sistema sanitario;
  • il migliore utilizzo delle risorse comunitarie.

Il Governo sottolinea, inoltre, come le riforme strutturali volte a stimolare la competitività e la crescita siano state adottate senza mai perdere di vista l'obiettivo della stabilità finanziaria e come ciò abbia accresciuto la credibilità internazionale e favorito il riconoscimento, da parte del Consiglio Europeo del 14 marzo 2013, della necessità di un risanamento di bilancio differenziato che permetta all'Italia di utilizzare spazi di flessibilità controllata per azioni di sostegno volte a rilanciare, nel rispetto della stabilità finanziaria, la crescita e l'occupazione, azioni nel cui ambito s'innesta il provvedimento d'urgenza recentemente adottato per la liquidazione dei debiti pregressi della pubblica amministrazione.


L'impatto macroeconomico delle riforme

 

Il secondo capitolo del PNR contiene la valutazione degli impatti macroeconomici connessi alle riforme attuate con:

  1. il decreto- legge n. 83/2012 e il decreto-legge n. 179/2012 , recanti un insieme eterogeneo di misure volte a rilanciare la crescita e l'efficienza del sistema economico, dai quali dovrebbe discendere un aumento del prodotto interno lordo dello 0,3 e dello 0,5 per cento rispettivamente al 2015 e al 2020, e dello 0,7 per cento nel lungo periodo;
  2. la riforma del mercato del lavoro di cui alla legge n. 92/2012, la quale, secondo l'indicazione del Governo, determinerebbe mediamente, in base ai diversi esercizi di simulazione elaborati, un impatto positivo sul PIL pari allo 0,4 per cento nel 2015 (mentre l'occupazione rimarrebbe sostanzialmente invariata nello stesso periodo) e destinato a crescere al 2020, quando l'aumento del prodotto, rispetto allo scenario base, raggiungerebbe mediamente l'1 per cento, a fronte di un'occupazione in crescita dello 0,9 per cento. Nel lungo periodo lo scostamento rispetto allo scenario base per il prodotto e l'occupazione risulterebbe, rispettivamente, dell'1,4 e 1,2 per cento.

L'impatto macroeconomico dell'insieme delle riforme strutturali varate dal Governo nel 2012 – comprendenti gli interventi per la crescita, la riforma del mercato del lavoro, nonché le misure in tema di liberalizzazioni e semplificazioni già oggetto di stima nel precedente PNR – determina, rispetto allo scenario di base, un incremento del PIL pari a 1,6 punti percentuali al 2015 e a 3,9 punti nel 2020, sino a raggiungere i 6,9 punti percentuali nel lungo periodo.

 

Il PNR reca altresì l'analisi dell'impatto finanziario delle misure in esso indicate, articolate in dieci aree di politiche pubbliche in cui sono aggregate le nuove misure d'intervento tratte dai provvedimenti vigenti dall'aprile 2012, che includono anche disposizioni afferenti a misure già poste in essere negli anni precedenti, riportate quale aggiornamento normativo e finanziario dei PNR 2012 e 2011. Gli effetti finanziari sono valutati in termini di maggiori/minori entrate e maggiori/minori spese e quantificati con riferimento ai relativi saldi. Per il 2013 si riportano i risultati dell'analisi d'impatto sul bilancio dello Stato. Le predette aree di politiche pubbliche, cui sono associate le relative misure di intervento, sono le seguenti:

  • contenimento ed efficientamento della spesa pubblica;
  • federalismo;
  • efficienza amministrativa;
  • mercato dei prodotti e concorrenza;
  • lavoro e pensioni;
  • innovazione e capitale umano;
  • sostegno alle imprese;
  • sostegno al sistema finanziario;
  • energia e ambiente;
  • infrastrutture e sviluppo.

 

Le risposte alle Raccomandazioni UE

 

Il terzo capitolo del PNR illustra le misure che il Paese ha adottato in risposta alle Raccomandazioni del Consiglio Europeo, nonché le iniziative più rilevanti ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali della Strategia Europa 2020 (in materia di tasso di disoccupazione, investimenti in ricerca e sviluppo, fonti rinnovabili, efficienza energetica, abbandoni scolastici, istruzione universitaria, contrasto alla povertà). Alla fine del capitolo è altresì riportata una sintesi dei risultati dell'utilizzo dei Fondi comunitari e indicazioni in ordine alla nuova fase di programmazione 2014-2020.

Limitando la presente sintesi alle indicazioni fornite nel PNR con riferimento ai "prossimi passi" da compiere in risposta alle predette raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea, si segnalano le seguenti questioni:

  1. riduzione del debito pubblico : ferma restando la strategia di riduzione della spesa pubblica e di consolidamento fiscale, che consentirà di raggiungere nell'anno in corso il pareggio di bilancio in termini strutturali e di mantenere un avanzo di bilancio di oltre il 4 per cento del PIL a partire dal 2015, occorre completare il censimento del patrimonio pubblico, nonché costituire la prevista Società di Gestione del Risparmio per la relativa valorizzazione e dismissione. Sarà, inoltre, esteso all'intero territorio nazionale il Progetto "Valore Paese" per la valorizzazione d'immobili non utilizzati appartenenti al patrimonio dello Stato e degli enti pubblici e proseguita la dismissione di alloggi di servizio delle Forze Armate;
  2. efficienza e qualità della spesa pubblica e uso dei fondi strutturali: nel 2013 proseguirà il processo di contenimento e riqualificazione della spesa (avvio della terza fase della spending review), indirizzata in particolare all'articolazione periferica delle amministrazioni statali; in linea con la legge di stabilità 2013, saranno inoltre adottati i provvedimenti legislativi di riordino delle Province e d'istituzione delle città metropolitane. Proseguirà, inoltre, l'attuazione del Piano di Azione Coesione è sarà necessario accelerare l'attuazione dei Programmi operativi, aumentando i target nazionali intermedi di spesa per evitare la concentrazione delle spese negli anni 2014-2015, in coincidenza con l'avvio del nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali; in relazione a tale nuovo ciclo saranno definiti, sulla base del confronto istituzionale e con il partenariato economico- sociale e del negoziato con la Commissione europea, gli strumenti d'intervento, nonché le più appropriate condizionalità ex ante volte ad assicurare la piena operatività dei requisiti di efficacia degli interventi;
  3. disoccupazione giovanile, percorsi formativi e abbandoni scolastici: nel corso del 2013 proseguiranno, in accordo con le Regioni, le azioni di diffusione e incentivazione del contratto di apprendistato. Sarà rafforzata la semplificazione degli oneri amministrativi e dei servizi alle imprese, nonché l'erogazione di un'offerta formativa adeguata. Specifiche misure saranno adottate per rafforzare la capacità di collocamento dei servizi per l'impiego pubblici e privati, dando priorità all'interoperabilità di tutte le componenti del sistema formativo e al monitoraggio delle azioni svolte dai servizi per l'impiego. Proseguirà inoltre il monitoraggio degli effetti della riforma del lavoro, al fine di raccogliere una base informativa e registrare eventuali criticità che potrebbero suggerire ulteriori interventi di revisione; in tale ambito una particolare attenzione sarà dedicata agli aspetti della flessibilità d'ingresso nel mercato del lavoro. Sarà poi rafforzata l'azione di contrasto agli abbandoni scolastici, anche mediante la promozione dell'apprendimento permanente e il potenziamento del rapporto tra scuola ed esigenze del mercato del lavoro. Il migliore utilizzo dei fondi strutturali contribuirà a contrastare l'insuccesso formativo, soprattutto nelle Regioni del Sud. Infine, nel corso dell'anno saranno adottate misure per rafforzare la formazione continua degli insegnanti e promuovere un loro ricambio generazionale;
  4. mercato del lavoro e competitività : in tali ambiti occorrerà, in primo luogo, rafforzare e monitorare l'attuale sistema di tutele relativo all'Assicurazione Sociale per l'Impiego (ASpI), istituto entrato in vigore dal 1° gennaio 2013 e consistente nell'erogazione di un'indennità mensile ai lavoratori dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti e i soci di cooperative di lavoro e i lavoratori a termine della PA, che hanno perso involontariamente il lavoro. Devono inoltre essere integrati gli strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia già introdotti o rafforzati dal Governo al fine di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Per la tutela di donne e giovani è necessario esaminare modalità per un intervento di abolizione dei ricongiungimenti previdenziali onerosi, che penalizzano coloro che sono costretti a cambiare lavoro. In via generale, si sottolinea, inoltre, la necessità di accompagnare il percorso di ripresa con politiche attente all'investimento sociale, evidenziando come il nuovo Governo dovrà affrontare la questione del finanziamento della spesa per la rete degli interventi e servizi sociali territoriali, al fine, in particolare, di favorire i servizi socio-educativi per la prima infanzia, i servizi di cura per le persone con disabilità e gli anziani non autosufficienti, i servizi residenziali per le fragilità e gli strumenti locali di contrasto alla povertà, valutando a tale ultimo proposito l'estensione, dal punto di vista territoriale e dei beneficiari, della sperimentazione della nuova social card, anche tramite con il sostegno dei fondi strutturali;
  5. lotta all'evasione e riforma fiscale : nell'ambito di una strategia di politica fiscale incentrata sulla lotta all'evasione e all'elusione fiscale e sullo spostamento della tassazione dal lavoro e dal reddito al patrimonio e al consumo, si segnala per il futuro l'esigenza di riprendere i principi contenuti nel disegno di legge di delega fiscale, il cui iter parlamentare non si è completato nella scorsa legislatura, e di portare a termine la riforma del catasto e il processo di semplificazione fiscale. Per quanto concerne il carico fiscale, andranno introdotti interventi correttivi soprattutto a tutela delle fasce più deboli e delle famiglie numerose, mentre sul versante delle attività produttive viene segnalato l'apporto che potrà derivare dalla graduale eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile dell'IRAP, in particolare per le piccole e medie imprese, nonché l'esigenza di continuare a favorire l'occupazione incentivando le imprese e favorendo l'investimento degli utili in azienda. Specifico rilievo viene inoltre dato alla necessità di rinforzare gli incentivi occupazionali per giovani e donne tenendo conto delle peculiarità territoriali;
  6. concorrenza, infrastrutture e ambiente imprenditoriale: in tali settori d'intervento, viene in primo luogo segnalata l'esigenza di potenziare le infrastrutture critiche legate all'ambiente e all'energia (quali, ad esempio, gli impianti per il trattamento dei rifiuti, le reti idriche, le smart grids) e l'azione di messa in sicurezza del territorio. Sarà inoltre riesaminato Il credito d'imposta per le infrastrutture realizzate in project financing al fine di superare la logica delle "grandi opere" estendendo l'agevolazione alle opere d'importo inferiore ai 500 milioni di euro. Specifico rilievo, nell'ottica della velocizzazione dell'attuazione dei progetti di dotazione infrastrutturale viene attribuito alla prosecuzione del programma di semplificazione delle procedure e, in particolare, alla semplificazione dei livelli decisionali tra Stato, Regioni ed Enti locali, cui potrebbe contribuire la proposta di legge costituzionale di revisione del Titolo V della Costituzione presentata nel 2012 e non ancora approvata. Tra le opere infrastrutturali di rilievo sono richiamati il Piano contro il dissesto idrogeologico, quello sui depuratori e il Piano per le scuole. Oltre all'impegno della PA di fornire liquidità al tessuto imprenditoriale attraverso l'accelerazione dei pagamenti dei debiti pregressi, viene poi segnalata l'esigenza di potenziare l'accesso delle imprese agli strumenti finanziari, agendo a tal fine sul funzionamento del Fondo di Garanzia per le PMI e sulla relazione tra banche e imprese. Con riferimento al miglioramento dell'ambiente imprenditoriale, si sottolinea la necessità di potenziare l'opera di semplificazione amministrativa con una cospicua riduzione delle procedure inutili, adottando a tal fine, previa consultazione telematica e su intesa con Regioni ed Enti Locali, un nuovo programma per la misurazione e la riduzione degli oneri regolatori e dei tempi. Le semplificazioni in materia di attività produttive e di autorizzazioni ambientali, l'utilizzo sempre più esteso di procedure telematiche, lo snellimento delle procedure autorizzative e la completa operatività dello Statuto delle imprese, sono qualificati come impegni imprescindibili. Per quanto concerne la competitività sarà in primo luogo data attuazione all'apposito fondo per finanziare la ricerca e l'innovazione costituito con la Legge di stabilità 2013 e sarà esaminata la possibilità di rendere strutturale il credito d'imposta per le imprese che investono. Dovranno inoltre essere portate avanti le azioni di sostegno alle start up innovative e per i giovani imprenditori. Con riferimento al processo di liberalizzazione del mercato e rafforzamento della concorrenza, specifico rilievo è dato all'esigenza di non rinviare ulteriormente la riforma dei servizi pubblici locali, eliminando l'attuale incertezza normativa che costituisce il principale ostacolo allo sviluppo e agli investimenti nel settore. Viene poi sottolineata la necessità di completare e monitorare l'attuazione degli interventi disposti con il decreto legge sulle liberalizzazioni, con particolare riguardo all'operatività dell'Autorità dei Trasporti, alle assicurazioni RC-Auto e al settore dei taxi, valutando al contempo l'impatto delle nuove norme nel settore delle farmacie. Per estendere progressivamente il perimetro delle liberalizzazioni e perfezionare quelle già in atto sarà, inoltre, necessario vigilare sull'elaborazione e implementazione della legge annuale sulla concorrenza.
    Infine, occorrerà proseguire l'opera di razionalizzazione della macchina giudiziaria, assicurando una maggiore deflazione della domanda di giustizia, attraverso una revisione della normativa sulla mediazione, e una maggiore efficienza ed efficacia degli uffici giudiziari, attraverso: il completamento della riforma della geografia giudiziaria; la prosecuzione del processo d'informatizzazione degli uffici; la diffusione delle buone prassi organizzative; il monitoraggio del funzionamento dei Tribunali delle Imprese, anche per verificare l'utilità di possibili successivi ampliamenti delle materie di specializzazione. Per quanto attiene alla deflazione del contenzioso, andranno considerate misure, anche di carattere straordinario, per affrontare le cause pendenti, specie nelle Corti d'Appello. Va inoltre istituito un osservatorio per l'analisi degli effetti delle riforme e completata la creazione di una banca dati automatizzata, con lo scopo di monitorare l'impatto delle riforme, identificarne le criticità e raccogliere le buone pratiche.


L'analisi degli squilibri macroeconomici

 

Nel quarto capitolo del PNR è contenuta l'analisi degli squilibri macroeconomici che incidono sulla competitività del paese. Il processo di sorveglianza degli squilibri macroeconomici dei Paesi dell'Area dell'Euro, che rientra nel ciclo annuale del Semestre europeo, prevede una valutazione periodica da parte della Commissione europea dei rischi derivanti dagli squilibri macroeconomici in ciascuno Stato membro, effettuata sulla base di un quadro di riferimento costituito da dieci indicatori economici (scoreboard).

Gli indicatori sono distinti tra quelli che monitorano gli squilibri esterni e quelli riferiti agli squilibri interni, come evidenzia la seguente tabella. Per ciascuno di essi sono stabilite delle soglie di allerta, che possono individuare sia livelli eccessivamente alti, sia eccessivamente bassi della variabile.

Il riscontro di "gravi squilibri" tali da mettere in rischio il funzionamento dell'Unione economica e monetaria può determinare l'attivazione di una procedura correttiva, comprendente anche elementi sanzionatori, volta a condurre lo Stato interessato ad adottare le misure correttive necessarie.

La valutazione in questione è stata per la prima volta attivata nel 2012, quando la Commissione ha pubblicato il primo Rapporto di Allerta (COM(2012)68), in cui s'indicava che 12 Paesi, tra cui l'Italia, necessitavano di una "analisi approfondita" per valutare possibili squilibri eccessivi. Nel Rapporto si evidenziava, in particolare, come l'Italia, con riferimento ai risultati 2010, abbia superato i valori soglia di due indicatori, costituiti dalla perdita di competitività - desumibile dalla contrazione delle quote di mercato delle esportazioni - e dal livello elevato del debito pubblico. Nelle analisi approfondite pubblicate nel successivo mese di maggio del 2012, tali squilibri sono stati giudicati "seri", ma non eccessivi e l'Italia è stata pertanto inclusa nella procedura preventiva.

 

Anche il successivo Rapporto di Allerta include l'Italia tra i Paesi che, presentando "seri" squilibri, necessitano di un'analisi approfondita, che è stata pubblicata il 10 aprile 2013.


La relazione approfondita dalla Commissione europea (COM(2013)199Final) rileva l'esistenza di squilibri macroeconomici in tredici Stati membri dell'UE: Belgio, Bulgaria, Danimarca, Spagna, Francia, Italia, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Slovenia, Finlandia, Svezia e Regno Unito. Per ciascuno di questi Paesi la Commissione ha predisposto un documento di lavoro recante un'analisi specifica. Soltanto nel caso della Spagna e della Slovenia la Commissione ritiene che gli squilibri macroeconomici rilevati siano eccessivi e richiedano, pertanto, raccomandazioni specifiche. Per quanto concerne l'Italia, l'esame approfondito della Commissione, nel rilevare l'esistenza di squilibri macroeconomici che richiedono un attento monitoraggio e misure di correzione in coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese che saranno adottate dal Consiglio in esito al semestre europeo 2013, evidenzia, in particolare che:

  • in un contesto di modesta crescita, la perdita di quote nel mercato nelle esportazioni e la sottostante perdita di competitività, unitamente al livello elevato di indebitamento pubblico, devono essere oggetto di un'attenzione costante in un più ampio programma di riforme, al fine di ridurre il rischio di effetti negativi sul funzionamento dell'economia italiana e dell'Unione economica e monetaria nel suo complesso;
  • in un contesto di elevata avversione al rischio da parte dei mercati finanziari, l'alto debito pubblico si riverbera negativamente sulle prospettive di crescita del Paese, generando una serie di effetti negativi: l'aumento della pressione fiscale necessaria per pagare gli interessi sul debito, la difficoltà del sistema bancario e – di riflesso – di imprese e famiglie a finanziarsi a costi contenuti; un margine molto limitato per le politiche fiscali anticicliche e di stimolo alla crescita. La Commissione riconosce che il Governo italiano, al fine di mettere l'elevato rapporto debito-PIL pubblico su un percorso di discesa costante, ha perseguito una rilevante strategia di consolidamento fiscale, ma le prospettive negative in termini di crescita rendono ancora più essenziale raggiungere e mantenere un avanzo primario (differenza tra entrate e uscite dello Stato al netto degli interessi sul debito) consistente;
  • la produttività stagnante ha comportato un aumento dei costi per unità di lavoro rispetto agli altri Paesi e, unitamente all'apprezzamento considerevole del tasso di cambio effettivo nominale in Italia tra il 2003 e il 2009, ha ulteriormente minato la competitività di costo dei prodotti italiani;
  • la pressione fiscale si mantiene elevata, soprattutto sul lavoro e capitale;
  • il mercato delle esportazioni continua a soffrire di una specializzazione di prodotto sfavorevole, e la debole dotazione di capitale umano ostacola il passaggio a un modello di specializzazione tecnologicamente più avanzato;
  • la complessità del quadro istituzionale e normativo, nonché la struttura proprietaria e gestionale delle imprese, ostacolano la capacità delle aziende italiane di crescere, limitando gli incrementi di produttività e l'espansione su scala internazionale. Questi fattori limitano anche l'afflusso d'investimenti diretti esteri;
  • la recessione ha seriamente indebolito la capacità del settore bancario italiano di sostenere l'aggiustamento necessario per affrontare gli squilibri.

 

Il DEF rileva, quindi, che analogamente allo scorso anno anche nel 2013 il meccanismo di sorveglianza degli squilibri evidenzia, per l'Italia, valori sopra la soglia di allerta per il debito pubblico e per le quote di mercato delle esportazioni, la cui contrazione sarebbe legata alla perdita di competitività verificatasi a partire dall'introduzione dell'euro.

Nell'analisi degli squilibri macroeconomici riportata nel PNR si rileva come tra il 2000 e il 2011 la quota dell'Italia sul totale del commercio mondiale sia scesa dal 3,8 al 3,3 per cento. Salvo una fase di recupero realizzatasi nel 2001-2014, si è registrata una tendenza negativa durata sino al 2010; i dati più recenti segnalano, peraltro, una decisa attenuazione della velocità di caduta della quota, con una sua sostanziale stabilizzazione a partire dal 2011.

 

In questo quadro, il principale ostacolo per riguadagnare competitività e migliorare le prospettive di crescita economica è costituito dalla bassa produttività. Secondo le valutazioni della Commissione, un fattore di debolezza è costituito, in particolare, dal livello elevato, rispetto alla media dell'Area dell'euro, del costo unitario del lavoro, imputabile anche a una dinamica salariale non allineata a quella della produttività.

Si ricorda che già il PNR dello scorso anno identificava una serie di debolezze di fondo del sistema economico nazionale, segnalando nella progressiva riduzione della produttività totale dei fattori, accompagnata da un alto costo unitario del lavoro rispetto agli altri paesi UE, una delle principali ragioni della bassa crescita italiana. In particolare, il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), incidendo in modo rilevante sulla competitività di prezzo, costituisce è uno degli indicatori preso a riferimento per la valutazione degli squilibri esterni. Pur non oltrepassando, al momento della valutazione, il valore soglia individuato dalla Commissione, il PNR 2013 rileva come l'aumento del CLUP sia strettamente connesso con la perdita di competitività e di quote di mercato dell'Italia e sia legato principalmente all'andamento stagnante della produttività. Nel quadro di una crescita pressoché nulla della produttività del lavoro iniziata dalla fine degli anni '90, il costo unitario del lavoro per l'intera economia ha continuato ad aumentare nel periodo successivo alla crisi anche in termini reali, poiché la dinamica del reddito pro-capite, seppure in moderazione nei trimestri più recenti, è risultata maggiore di quella della produttività. Una causa dell'andamento ancora insoddisfacente dell'indicatore è attribuibile, ad avviso del Governo, ad aspetti ciclici e a un diverso comportamento del mercato del lavoro rispetto a quello dei beni. La contrazione dell'occupazione è stata molto meno marcata rispetto alla caduta del prodotto interno lordo. In prospettiva, è atteso invece un ribilanciamento di queste due componenti, posto che con la ripresa dell'economia gli aumenti dell'occupazione saranno probabilmente meno che proporzionali rispetto alle variazioni del PIL. Resta tuttavia cruciale, prosegue il Governo, ottenere maggiori incrementi di produttività che non vadano a scapito di aumenti di occupazione. In proposito, già il PNR dello scorso anno includeva, tra le principali cause della riduzione della produttività italiana, la minore qualificazione del capitale umano, un modello di sviluppo basato sulle piccole e medie imprese che mostrano una minore capacità di assorbimento delle nuove tecnologie e di penetrazione sui mercati internazionali. Per quanto concerne l'altra componente che determina il CLUP, ossia la variazione dei salari nominali, essa è risultata sostanzialmente in linea con la media europea e si ritiene pertanto che questa variabile non abbia giocato, al contrario della bassa produttività, un ruolo rilevante nella perdita di competitività. Il Governa ricorda, inoltre, come alla necessità di perseguire un maggiore allineamento tra il comportamento dei salari e le variazioni della produttività sia stata data una risposta rafforzando la negoziazione salariale di secondo livello tramite il recente accordo sulla produttività. Si rileva, infine, come alla necessità di far recuperare competitività di prezzo all'economia italiana si contrapponga l'esigenza di non deprimere ulteriormente la domanda interna, particolarmente rilevante in una fase congiunturale ancora molto delicata come quella attuale.

 

Per quanto concerne le variabili finanziarie, salvo il livello del debito pubblico, l'Italia non presenta valori critici: i flussi di credito sono considerati nella norma e il livello dell'indebitamento del settore privato presenta dimensioni molto contenute rispetto alla media europea. Non si rilevano, inoltre, variazioni eccessive nelle passività del settore finanziario.

In particolare, la situazione complessiva della ricchezza delle famiglie, reale e finanziaria, è da considerarsi tra le più solide in Europa. Il settore delle imprese non finanziarie risulta, come in tutte le economie avanzate, strutturalmente in una posizione debitoria, con un livello d'indebitamento sostanzialmente in linea con la media europea, anche se i prestiti contratti nei confronti delle banche rappresentano una percentuale più alta rispetto al benchmark europeo, anche in ragione della composizione del tessuto produttivo, composto da imprese di piccole e medie dimensioni che trovano difficoltà ad accedere in maniera diretta al mercato dei capitali e risultano più vulnerabili a situazioni di restrizione del credito. Le imprese finanziarie hanno riqualificato le attività patrimoniali a favore di crediti meno rischiosi e le principali banche, dando seguito alla raccomandazione della European Banking Authority del dicembre 2011, hanno provveduto ad effettuare ricapitalizzazioni e rilevanti operazioni di deleveraging. Nel complesso, il settore bancario italiano è considerato solido perché presenta un'esposizione contenuta verso attività rischiose e un valore ridotto della leva finanziaria rispetto alla media europea. La solidità strutturale del sistema finanziario, comprovata dalle analisi effettuate dall'autorità di vigilanza e confermata dal FMI al termine della missione svoltasi nel marzo del 2013, implica, ad avviso del Governo, che non appena se ne verificassero le condizioni il settore bancario potrebbe tornare ad espandere il credito all'economia.

Un elemento di preoccupazione, in base alle valutazioni della Commissione riportate nel PNR, attiene all'elevato costo dei finanziamenti alle imprese, il cui divario rispetto ai principali paesi dell'Area dell'euro rifletterebbe le tensioni sui debiti sovrani e la conseguente difformità di trasmissione della politica monetaria nelle varie economie dell'Area. Analogamente a quanto affermato lo scorso anno si evidenzia, invece, che l'indebitamento del settore privato è inferiore alla media dell'Area.

 

In via generale, il PNR sottolinea, infine, come le politiche di aggiustamento fiscale e le riforme attuate abbiano condotto ad un miglioramento strutturale complessivo dal punto di vista degli squilibri macroeconomici, anche se la fase congiunturale, ancora sfavorevole, ha reso più difficile il pieno palesarsi dei risultati conseguiti. Segnali positivi sono riscontrabili sia dal lato della competitività – ove gli scambi con l'estero sono caratterizzati da un deciso miglioramento del saldo delle partite correnti, da un buon andamento delle esportazioni e da una sostanziale stabilizzazione delle quote di prodotti italiani nei mercati internazionali – sia sotto il profilo dei mercati finanziari, ove si è registrato un deciso calo del differenziale di rendimento tra i BTP e i Bund tedeschi rispetto ai picchi registrati nei momenti più acuti della crisi, il quale contribuirà al graduale venire meno delle tensioni sul mercato del credito e, in generale, su tutti gli indicatori finanziari monitorati a livello europeo.

Il quinto capitolo del PNR illustra, nel dettaglio, il complesso delle riforme nazionali adottate nel 2012 – che qui per brevità non è possibile richiamare- anche attraverso specifichi approfondimenti tecnici e l'indicazione delle "azioni in itinere'" per le iniziative governative che non sono riuscite ad arrivare alla fine del processo parlamentare ancorché deliberate dal Consiglio dei Ministri. Nel capitolo sono altresì riportate informazioni sullo stato di attuazione dei provvedimenti adottati.

Il sesto capitolo del PNR indica le principali azioni intraprese dalle amministrazioni locali nell'ambito del processo del Semestre europeo.

In allegato al PNR è, infine, riportata appendice con quattro griglie di dettaglio recanti la una disaggregazione degli impatti macroeconomici delle riforme, la sintesi di tutte le nuove misure introdotte nel periodo 2012-2013 e l'aggiornamento attuativo delle misure del precedente PNR, nonché il dettaglio delle misure introdotte a livello regionale.

 

Le riforme introdotte in coerenza con gli impegni europei
Le riforme strutturali
Riduzione del debito pubblico
La spesa pubblica
I giovani
La competitività
La riforma fiscale
Le infrastrutture e le imprese
Primo Rapporto di Allerta
Produttività e costo unitario del lavoro
Il settore finanziario
Finanziamenti alle imprese
Le riforme nazionali