Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Titolo: | Documento di economia e finanza 2013. Quadro di sintesi | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 6 | ||
Data: | 19/04/2013 | ||
Descrittori: |
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Documento di economia e finanza 2013. Quadro di sintesi
29 aprile 2013
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Indice |
1. Finalità e struttura del Documento di Economia e Finanza|2. Il quadro macroeconomico|3. Il quadro di finanza pubblica|4. Il Programma nazionale di Riforma| |
1. Finalità e struttura del Documento di Economia e FinanzaIl Documento di economia e finanza (DEF) costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio, che traccia, in una prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall'Italia per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo e il conseguimento degli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e solidale definiti nella Strategia Europa 2020. Il DEF enuncia, pertanto, le modalità e la tempistica attraverso le quali l'Italia intende conseguire il risanamento strutturale dei conti pubblici e perseguire gli obiettivi in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale, energia e sostenibilità ambientale definiti nell'ambito dell'Unione europea. Il documento, che s'inquadra al centro del nuovo processo di coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri dell'UE - il cd. Semestre europeo – è presentato alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, entro il 10 aprile di ciascun anno, al fine di consentire alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici di politica economica in tempo utile per l'invio al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea, entro il successivo 30 aprile, del Programma di Stabilità e del Programma Nazionale di Riforma (PNR).
Quanto alla struttura, il DEF si compone di tre sezioni e di una serie di allegati. In particolare, la prima sezione espone lo schema del Programma di Stabilità, che dovrà contenere tutti gli elementi e le informazioni richiesti dai regolamenti dell'Unione europea e, in particolare, dal nuovo Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento agli obiettivi di politica economica da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico. Nella seconda sezione sono indicate le regole generali sull'evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in linea con l'esigenza, evidenziata in sede europea, di individuare forme efficaci di controllo dell'andamento della spesa pubblica. La terza sezione reca, infine, lo schema del Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in coerenza con il Programma di Stabilità, definisce gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati dalla nuova Strategia "Europa 2020". In tale ambito sono indicati:
Si segnala che il PNR 2013 non contiene quest'anno una agenda di priorità per il futuro, limitandosi invece a riportare un'analisi dettagliata delle riforme adottate e dei relativi primi risultati, nonché a indicare le aree delle politiche pubbliche dove si ritiene maggiormente necessario intervenire per il futuro.
In allegato al DEF – ovvero alla Nota di aggiornamento del medesimo da presentare ogni anno entro il 20 settembre – sono indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, da presentarsi alle Camere entro il mese di gennaio. In base alla legge di contabilità nazionale, in allegato al DEF devono essere riportate una serie d'informazioni supplementari:
| La politica economica e di bilancioLa struttura del DEF |
2. Il quadro macroeconomico2.1 La congiuntura internazionale Il DEF, nella prima sezione relativa al Programma di Stabilità, evidenza come nel 2012 l'economia mondiale abbia registrato un rallentamento rispetto al 2011, risultato più accentuato nel quarto trimestre dell'anno. Il PIL mondiale, secondo i dati del Fondo Monetario internazionale, risulterebbe cresciuto nel 2012 ad un tasso del 3,2 per cento e il commercio del 2,5 per cento, a livelli nettamente inferiori rispetto al 2011. Nel complesso, si confermano le tendenze già emerse negli ultimi anni relativamente al differenziale dei tassi di crescita tra i paesi avanzati e quelli emergenti e di più recente industrializzazione, che manifestano una maggiore reazione nella fase attuale di congiuntura, con una crescita sensibilmente più elevata. Permane, inoltre, un certo grado di asimmetria tra le aree più industrializzate. In questo scenario, il DEF evidenzia come nell'area dell'euro la graduale attenuazione delle turbolenze sui mercati finanziari non si sia ancora pienamente trasmessa all'economia reale, soprattutto nei paesi cosiddetti "periferici", e come ciò abbia determinato nel 2012 una contrazione del PIL dello 0,6% e un incremento del tasso di disoccupazione all'11,4%. A tale deterioramento delle prospettive macroeconomiche ha in parte contribuito la debolezza della domanda interna, registrata in particolare nei paesi che hanno adottato politiche di aggiustamento fiscale; nell'ultimo trimestre dell'anno il rallentamento ha interessato anche la Germania. Di converso, negli Stati Uniti l'andamento del ciclo economico è stato favorevole, essendosi registrata una crescita del PIL del 2,2% e una diminuzione del tasso di disoccupazione all'8,1%. Anche in Giappone il PIL è cresciuto del 2%, mentre tassi di crescita nettamente superiori a quelli dei paesi avanzati hanno continuato a registrarsi nei paesi emergenti e di più recente industrializzazione: la Cina è cresciuta del 7,8% e l'India del 4,9%. L'economia globale nel 2013 I segnali di rallentamento emersi nell'ultima fase del 2012 hanno indotto una revisione al ribasso delle previsioni di crescita dell'economia globale, che prevedono, per il 2013, una espansione del prodotto del 3,2% e del commercio mondiale del 3,6%. In questo scenario, nell'Area dell'euro è attesa per il 2013 una contrazione del PIL dello 0,3% e un aumento del tasso di disoccupazione al 12,2%. Negli Stati Uniti è invece prevista una crescita dell'1,9% per cento, mentre la disoccupazione dovrebbe ridursi al 7,6 per cento; il Giappone dovrebbe crescere dell'1% e la Cina a tassi prossimi all'8%. I paesi emergenti continuerebbero a reagire meglio all'attuale congiuntura, con livelli di crescita più intensi rispetto alle economie avanzate, che forniscono un rilevante contributo all'andamento dell'economia globale.
Più robusti segnali di stabilizzazione del contesto internazionale comincerebbero a manifestarsi nel 2014, anno in cui il PIL mondiale è stimato nel DEF in aumento del 3,9 per cento (rispetto al 4 per cento indicato dal FMI ed esposto nella precedente Tabella) Le prime indicazioni provenienti dal contesto internazionale inducono, secondo il Governo, ad un moderato ottimismo. In particolare, il DEF sottolinea come gli elevati tassi di crescita dei paesi emergenti possano fungere da volano per la ripresa dei paesi sviluppati, analogamente alla prevista diminuzione dei prezzi delle materie prime – energetiche, alimentari e industriali –, che dovrebbe comportare riflessi positivi anche sull'inflazione. Pur in presenza di segnali di stabilizzazione del contesto internazionale, continuano tuttavia a persistere elementi di incertezza per il futuro. Nei paesi sviluppati gli elementi di criticità che influiscono sulla ripresa economica continuano a essere connessi agli effetti delle politiche fiscali restrittive che sono state adottate per contenere gli ampi livelli d'indebitamento raggiunti a seguito della crisi finanziaria. In particolare, nell'area dell'euro gli elementi d'incertezza sono connessi a una possibile recrudescenza delle tensioni sui mercati finanziari, che ancora permangono, come dimostra la recente crisi bancaria di Cipro. Negli Stati Uniti, nonostante la politica monetaria accomodante finora adottata dalla Federal Reserve, si registrano i rischi connessi al possibile combinarsi di tagli alla spesa e maggiori tasse, derivanti dalle misure decise alla fine dello scorso anno per evitare il c.d. "fiscal cliff" e dai tagli automatici ai programmi di spesa pubblica disposti per i prossimi dieci anni (il c.d. sequester); ulteriori incertezze sono connesse all'approvazione di un piano di consolidamento fiscale a medio termine e al raggiungimento del tetto al debito pubblico previsto, in mancanza di un accordo tra l'Amministrazione e il Congresso per la sua elevazione, nella seconda metà di maggio. In Giappone, invece, le recenti innovative azioni di politica monetaria riflettono l'esigenza di tornare a crescere a ritmi sostenuti.
2.2 Lo scenario macroeconomico nazionale Il DEF espone l'analisi del quadro macroeconomico italiano nel 2012 e le previsioni per l'anno in corso e per il periodo 2014-2017, che riflettono gli elementi d'incertezza che ancora caratterizzano le prospettive di crescita globali. Con riferimento all'anno 2012, si evidenzia come la recessione, manifestatasi nuovamente nella seconda metà del 2011 - dopo i moderati segnali di ripresa di inizio anno – si sia protratta, in Italia, per tutto il 2012. Nel complesso, nel 2012 il PIL ha registrato una contrazione del 2,4 per cento, a fronte della crescita dello 0,4 per cento registrata nel 2011 (dato, quest'ultimo, in netto rallentamento rispetto alla crescita dell'1,7% manifestatasi nel 2010). La contrazione del prodotto nel 2012 è risultata in linea con le previsioni formulate nella Nota di aggiornamento del DEF, presentata a settembre 2012. In merito, il DEF sottolinea che la fase recessiva dell'economia italiana, che ha attraversato l'intero arco dell'anno 2012, si è inasprita nella fase finale dell'anno, segnando nell'ultimo trimestre una variazione negativa superiore alle attese (- 0,9% sul trimestre precedente). Sul risultato complessivo ha inciso, in maniera rilevante, il debole andamento della domanda interna, il cui contributo negativo alla variazione del PIL è stato particolarmente ampio, pari a -4,8 punti percentuali. La contrazione del PIL nel 2012 è stata, inoltre, accompagnata da una diminuzione delle importazioni di beni e servizi del 7,7%, che ha accentuato la contrazione delle risorse disponibili (-3,6%). Un apporto positivo è, invece, disceso dalla domanda estera (3 punti percentuali). In merito, il DEF evidenzia come mentre il precedente episodio di caduta del PIL, culminato nel 2010, era stato caratterizzato da un vistoso calo delle esportazioni, nel corso del 2012 il principale impulso recessivo è venuto dalle ripercussioni negative sull'economia dovute alla crisi finanziaria. L'apertura di un differenziale molto elevato tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi e le tensioni sul mercato interbancario europeo si sono infatti trasmesse sul finanziamento al settore privato sia in termini di tassi di interesse più elevati, sia in termini di contrazione del credito totale all'economia. Al contempo, l'ampio sforzo di consolidamento fiscale resosi necessario per stabilizzare le aspettative dei mercati e per ottemperare agli impegni interni e internazionali di anticipo del pareggio strutturale di bilancio al 2013, ha fornito ulteriore impulso negativo all'economia, cui si aggiunta una drastica caduta di fiducia di famiglie e imprese che ha contribuito alla congiuntura sfavorevole. Da tali fattori è discesa una nuova rilevante flessione del PIL generata dalla contrazione di tutte le componenti della domanda interna e un ulteriore aumento del tasso di disoccupazione. Le prospettive dell'economia italiana
Il DEF 2013 sottolinea come le prospettive di recupero dell'economia italiana siano fortemente influenzate dagli sviluppi della crisi in Europa e, al contempo, dall'evoluzione dello scenario economico globale. A tale ultimo riguardo, il DEF ipotizza una progressiva ripresa della domanda internazionale già a partire dal 2013, dopo il rallentamento della seconda metà del 2012, che dovrebbe riflettersi positivamente sulla crescita delle esportazioni italiane. In linea con quanto già indicato nella Relazione al Parlamento 2013, presentata nel marzo scorso, il DEF conferma la revisione al ribasso delle prospettive di crescita dell'economia italiana, stimando per il 2013 una contrazione del PIL pari a -1,3%, rispetto al -0,2 per cento indicato nella Nota di aggiornamento del DEF del settembre scorso. Tale revisione delle stime di crescita per l'anno in corso riflette, oltre agli effetti di trascinamento negativo (pari a circa un punto percentuale) ereditati dall'ultima parte del 2012, anche i segnali ancora poco confortanti dell'andamento congiunturale dei primi mesi dell'anno, in cui si prefigura, secondo i dati attualmente disponibili, una ulteriore contrazione del PIL nel primo trimestre 2013. Il livello delle attività economiche è atteso permanere debole nella prima metà dell'anno, in ragione della debolezza della domanda interna; a una sostanziale stabilizzazione del prodotto nel secondo trimestre dovrebbe seguire una crescita nella seconda parte dell'anno, favorita anche dall'immissione di liquidità nel sistema economico derivante dal recente decreto-legge n. 35/2013 in tema di pagamento dei debiti pregressi della PA e di rimborsi fiscali, attualmente all'esame della Commissione speciale. Per l'anno 2014 si stima una più decisa ripresa delle attività economiche, con un livello di crescita del PIL che dovrebbe attestarsi all'1,3%, ossia superiore di due decimi di punto percentuale rispetto alle previsioni indicate nella Nota di aggiornamento al DEF 2012. Tale previsione, come quella per l'anno in corso, sconta gli effetti positivi sulla domanda interna derivanti dal predetto provvedimento in tema di accelerazione del pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni. Sul punto, il DEF precisa che in mancanza delle misure adottate con il citato decreto-legge la crescita del PIL nel 2014 si sarebbe attestata a circa lo 0,6%. Gli effetti positivi delle misure di accelerazione dei pagamenti dei debiti della PA influenzeranno l'andamento del prodotto anche negli anni successivi, in cui il PIL è previsto crescere dell'1,5% nel 2015, dell'1,3% nel 2016 e dell'1,4% nel 2017.
Componenti del quadro macroeconomico italiano
La tabella che segue riporta le previsioni per gli anni 2013-2017 dei principali indicatori del quadro macroeconomico complessivo esposto nel DEF 2013, a raffronto con i consuntivi degli ultimi due anni. Come si evince dalla tabella, tutti i principali indicatori macroeconomici manifestano nell'anno 2013 un valore negativo rispetto al 2012, salvo l'andamento positivo indicato per le esportazioni (+2,2%). Per quanto concerne il mercato del lavoro , il DEF, confermando quanto già esposto nella Relazione al Parlamento presentata a marzo scorso, stima per l'anno 2013 una contrazione dell'occupazione, in termini di ULA, dello 0,3 per cento rispetto al 2012, anno in cui l'occupazione si è ridotta dell'1,1 per cento. Una ripresa occupazionale è attesa realizzarsi soltanto a partire dal 2014, anno in cui l'occupazione segnerebbe un valore positivo (+0,6%), fino a giungere allo 0,8 per cento nel 2017. Il tasso di disoccupazione si manterrebbe al di sopra del livello registrato nel 2012 (10,7%) per tutto il periodo di previsione, attestandosi all'11,6 per cento nel 2013 e all'11,8 per cento nel 2014. Il DEF ipotizza che soltanto alla fine del periodo di previsione il tasso possa tornare, scontando comunque un progressivo aumento del tasso di partecipazione, al di sotto della soglia dell'11 per cento, atteso che con la ripresa dell'economia gli aumenti dell'occupazione saranno probabilmente meno che proporzionali rispetto alle variazioni del PIL.
Al riguardo appare utile riportare anche il seguente grafico che mostra l'andamento del tasso di disoccupazione a partire dal 2008 per i principali paesi della UE e per gli Stati Uniti, tratto dal recente rapporto del Fondo monetario internazionale (Word Economic Outlook, aprile 2013).
2.3 Confronti internazionali
Nel rapporto del Fondo Monetario Internazionale (World Economic Outlook – aprile 2013), le previsioni per l'economia dell'area dell'euro risultano riviste al ribasso. In tale ambito, con riferimento all'area dell'euro, le revisioni più significative rispetto alle precedenti stime hanno riguardato l'Italia e la Francia, paesi per i quali l'FMI ha indicato una contrazione del PIL nel 2013 pari a -1,5 per cento per l'Italia (superiore di mezzo punto percentuale rispetto a quanto previsto a gennaio) e a -0,1 per cento per la Francia (a fronte di una previsione di crescita dello 0,3 per cento). Nel complesso, nell'Area euro si prevede una riduzione del PIL nel 2013 pari allo 0,3 per cento. Nel 2014, l'espansione del prodotto in Italia è prevista a un ritmo più modesto di quanto indicato dal Governo nel DEF, pari allo 0,5 per cento. Tale previsione non include, tuttavia, l'impatto economico derivante dal predetto provvedimento sull'accelerazione dei pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni. Ciò considerato, la previsione dell'FMI si pone sostanzialmente in linea con quanto indicato nel DEF, il quale stima, in assenza del citato intervento, una crescita dell'Italia nel 2014 di poco superiore allo 0,5 per cento.
Secondo quanto riportato nel World Economic Outlook , le revisioni alle stime di crescita operate nel mese in corso si basano sulla considerazione di fondo per cui ciò che appariva una ripresa a due velocità, si configura ora in modo più netto come una ripresa a tre velocità, che vede da un lato i mercati emergenti - i quali continuano a procedere su ritmi sostenuti di crescita-, e dall'altro le economie avanzate, le quali, però mostrano una biforcazione: gli Stati Uniti da una parte, stimati crescere sui livelli sostanzialmente già prospettati nel precedente Outlook di gennaio, e l'Area euro dall'altra, i cui tassi di crescita economica sono invece più deboli. La crescita nei paesi emergenti è, infatti, prevista raggiungere nel 2013 il 5,3 per cento ed il 5,7 per cento nel 2014. Negli Stati Uniti la stima per il 2013 si attesta intorno all'1,9 per cento e al 3 per cento nel 2014. Al contrario, l'Area euro decrescerebbe dello 0,3 per cento nel 2013 per riprendere debolmente a crescere dell'1,1 per cento nel 2014. In particolare, per ciò che concerne l'Area Euro, la crescita negativa riflette – secondo le valutazioni dell'FMI - non solo la debolezza dei paesi periferici, ma anche una qualche debolezza nel nucleo stesso dell'Area, atteso che anche la Germania, pur confermando una espansione del prodotto, manifesterebbe una crescita ben al di sotto dell'1 per cento. Le previsioni per la Francia sono, invece, più negative nel 2013, così come quelle per l'Italia e la Spagna. | Persiste la debolezza del contesto internazionaleL'andamento economico è molto eterogeneo Emergono segnali di stabilizzazione... ... ma non mancano incognite per il futuro Le politiche monetarie sono divenute più espansive, in particolare in USA e Giappone La rivalutazione dell'euro incide sulla competitività La caduta del PIL si è accentuata nel IV trimestre 2012 Il livello della domanda interna frena la crescita Il PIL 2013 è stato rivisto al ribasso Senza il decreto sui pagamenti della P.A. la flessione del PIL sarebbe stata più marcata... ... e la crescita dal 2014 più debole La disoccupazione è in forte aumento World Economic Outlook La ripresa presenta forti differenze tra i Paesi Nell'Area dell'euro si estende la debolezza ciclica |
3. Il quadro di finanza pubblicaI risultati del 2012
I dati di finanza pubblica riportati nel DEF relativi al consuntivo 2012 espongono un miglioramento dell'indebitamento netto rispetto al risultato 2011, nei cui confronti si passa dal -3,8 al -3% del Pil, in presenza, tuttavia, di una previsione nella Nota di aggiornamento di settembre 2012 nella quale era stimato un valore minore dell'indebitamento medesimo, pari a -2,6%.
Il miglioramento dell'indebitamento registrato nel 2012 rispetto al 2011, pari a 0,8 punti di Pil, è dovuto a un aumento delle entrate di 1,5 punti Pil, compensato in parte da un aumento della spesa di 0,8 punti; l'avanzo primario è più che raddoppiato, passando dall'1,2 al 2,5% del Pil. Più in dettaglio, le entrate correnti hanno registrato una variazione in aumento del 3,1%, dovuto a un incremento delle entrate tributarie del 5,2% ascrivibile sia alle imposte indirette, trainate prevalentemente dal gettito dell'IMU e dall'aumento delle accise sugli oli minerali, sia a quelle dirette, per effetto dell'aumento del gettito Irpef, della relativa addizionale regionale e dell'aumento della tassazione delle rendite finanziarie. L'aumento delle entrate correnti al 47,7% del Pil ha determinato un valore della pressione fiscale pari al 44%, in consistente aumento rispetto al 42,6% del 2011. Dal lato della spesa le uscite totali mostrano una dinamica contenuta rispetto al 2011 (0,6%), sulla base di un pressoché analogo andamento delle spese correnti. In particolare, i redditi da lavoro dipendente sono diminuiti del 2,3%, a seguito di una lieve riduzione dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche e del permanere del blocco dei rinnovi contrattuali; le prestazioni sociali in denaro sono aumentate del 2,4 per cento, in linea con la crescita della spesa per pensioni e rendite. Di maggior consistenza l'aumento degli interessi passivi che, anche in relazione alla crescente dinamica del debito e all'incremento dei costi di finanziamento, è risultato del 10,7% rispetto al 2011. Il percorso di rientro del deficit nel 2012, che dovrebbe in ogni caso consentire la chiusura della procedura per disavanzi eccessivi, è stato condizionato negativamente, rispetto ai dati previsionali contenuti nel DEF 2012 e nella relativa Nota di aggiornamento (nei quali l'indebitamento netto veniva quantificato, rispettivamente, a -1,7 e -2,6%), sia dal peggioramento della congiuntura economica, sia dal persistere dalle tensioni sui mercati finanziari. Le previsioni 2013-2017
Le previsioni per il quinquennio 2013-2017 sono costruite sulla base delle risultanze dell'anno 2012 e tenendo conto degli effetti finanziari del decreto-legge n. 35/2013 in tema di pagamenti dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni; i valori dell'indebitamento per gli ultimi tre anni del periodo considerano, inoltre, la prosecuzione dell'attuale regime sperimentale di tassazione degli immobili (IMU e aumento dei coefficienti catastali) che, in assenza di conferma, dovrebbe cessare al termine del 2014.
Le previsioni evidenziano un consistente aumento dell'indebitamento netto per il 2013 rispetto alle indicazioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF 2012, pari all'1,1% (-2,9%, in luogo del -1,8% programmato), dovuto per circa 0,5 punti agli effetti del citato D.L. n. 35/2013, per 0,9 punti alla minore crescita del Pil per circa 1,8 punti percentuali (-1,3%, anziché il previsto -0,5%), parzialmente compensati da una minore spesa per interessi dello 0,3%. Ciononostante, nel 2013 il valore dell'indebitamento netto strutturale – vale a dire al netto delle una tantum e corretto per il ciclo – consente comunque il conseguimento del pareggio di bilancio in termini strutturali, nonché il formarsi di un surplus , sempre in termini strutturali, nel 2014 pari allo 0,4%. In sintesi, gli andamenti tendenziali esposti nella tabella espongono che:
Il quadro programmatico
Come indicato nella tabella che segue, il quadro tendenziale risulta predisposto includendo la prosecuzione, anche negli anni 2015 e successivi, del vigente regime sperimentale dell'IMU, introdotto, limitatamente al periodo 2012-2014, dall'articolo 13 del D.L. n. 201 del 2011.
Per quanto concerne il quadro programmatico, questo espone un valore del saldo di bilancio progressivamente decrescente - dal -2,9% del primo anno al -0,4% del 2017 - parametrato su un obiettivo che in termini di indebitamento netto strutturale assicuri il conseguimento del pareggio di bilancio per tutto il periodo di previsione. Come evidenziato in tabella, per il 2013 e il 2014 l'obiettivo programmatico e tendenziale coincidono, in ragione dell'operare degli effetti correttivi per tale periodo derivanti dalle misure di risanamento finanziario sinora varate. Per gli anni dal 2015 al 2017 invece, il mantenimento del pareggio del saldo strutturale dovrebbe comportare un obiettivo di manovra correttiva pari, nel complesso, allo 0,6% del Pil (manovra che, in assenza della conferma del regime sperimentale IMU, ammonterebbe all'1,4% del PIL). Il DEF non fornisce indicazioni in ordine alle misure da adottare, limitandosi a rilevare che dal 2015 in poi il profilo dell'indebitamento netto si avvicinerebbe al livello necessario per l'equilibrio strutturale di bilancio, benché l'obiettivo del pareggio possa comunque richiedere l'adozione di interventi per colmare il gap residuo, resta in ogni caso ferma la necessità di mantenere la dinamica della spesa il linea con le regole definite per essa a livello europeo.
Per quanto concerne l'indebitamento netto strutturale, si rammenta che sulla base delle regole vigenti nel sistema europeo dei conti pubblici, esso consiste nell'ammontare del saldo nominale depurato degli effetti della componente ciclica, vale a dire quelli derivanti dal ciclo economico: se negativa, tale componente migliora il saldo in termini strutturali; viceversa in caso di componente ciclica positiva. Indi, tale saldo va depurato delle misure una tantum, costituite dalle entrate e spese identificate come straordinarie: in caso di prevalenza delle entrate sulle spese si ha un peggioramento del saldo, viceversa in caso di prevalenza delle spese sulle entrate. Per la misurazione della componente ciclica occorre far riferimento all'output gap, che rappresenta la variabile di misura della distanza del Pil effettivo rispetto al Pil potenziale, rapportata a quest'ultimo (che rappresenta il livello teorico massimo di produzione che un paese può raggiungere senza causare tensioni inflazionistiche). La componente ciclica che fornisce una misura approssimata dell'impatto delle fluttuazione congiunturali sul bilancio viene definita come il prodotto tra l'output gap e l'elasticità del saldo di bilancio alla crescita economica. Secondo i valori riportati nel DEF, la variabile dell'output gap si attesta al valore più elevato nel primo anno del periodo, risultando pari a -4,8 nel 2013, per tendere poi a chiudersi negli anni successivi, restando in valori negativi, ma di importo via via più ridotto, sino a raggiungere il valore dello -0,8 per cento nel 2017. Tale andamento è messo in relazione all'evoluzione del Pil potenziale, che dal valore negativo del -0,5% del 2012, viene stimato pari a 0 nel 2013, tornando a crescere dello 0,2% nel 2014, sino a raggiungere lo 0,5% nel 2017. Con riguardo all'evoluzione del rapporto debito pubblico/PIL , il dato 2012 si è posizionato ad un livello lievemente superiore alle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento (126,4 per cento), attestandosi al 127 per cento: ciò a causa principalmente dell'andamento del volume di debito, risultato superiore di circa 12 miliardi rispetto alle stime di settembre. Un livello ancora superiore si prevede per il 2013, in cui il debito si attesterà al 130,4% del PIL (+4,4 punti percentuali rispetto alla stima programmatica della Nota). Le ragioni di tale incremento sono indicate nell'effetto di trascinamento dei risultati negativi del 2012 (per 0,7 punti di PIL), dal negativo andamento del Pil nell'anno e, principalmente, dalla revisione al rialzo del fabbisogno del settore pubblico, anche per effetto del D.L. n. 35/2013. Il livello del debito si prevede in lieve discesa dal 2014 (129%, circa 6 punti percentuali di Pil in più rispetto alle previsioni), mentre dal 2015 si dovrebbe determinare un più incisivo percorso di riduzione, nell'ordine di 4 punti percentuali l'anno, fino a raggiungere il livello del 113,8% al 2017. In considerazione dei suoi valori elevati, l'andamento del rapporto debito/PIL deve essere valutato anche ai fini del rispetto della regola europea sul debito.
| Il deficit 2012 è stato più alto di quello previsto...... ma dovrebbe comunque consentire l'imminente chiusura della procedura per disavanzi eccessivi Il saldo strutturale è stimato in pareggio nel 2013 e in lieve surplus nel 2014 Correzione necessaria per mantenimento pareggio di bilancio strutturale 2015-2017 Progressiva chiusura dell'output gap La discesa del rapporto debito/PIL è attesa dal 2014 Regola europea sul debito |
4. Il Programma nazionale di RiformaIl Programma Nazionale di Riforma (PNR), contenuto nella Sezione III del DEF, ha, da un lato, la funzione di verificare – in termini di effetti, portata e conformità con gli obiettivi europei - le riforme intraprese dopo l'approvazione del PNR dello scorso anno, e, dall'altro, dovrebbe prospettare un'agenda di interventi per il futuro funzionali al conseguimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 e all'attuazione degli indirizzi sulle politiche pubbliche che le istituzioni comunitarie, nel quadro della nuova governance economica europea, hanno diretto all'Italia.
La presentazione del PNR 2013 viene tuttavia a cadere, come afferma la premessa al DEF, in un momento particolare della vita politica e istituzionale del Paese, che induce il Governo dimissionario, in carica per il disbrigo degli affari correnti, a rilevare l'impossibilità di formulare orientamenti per il futuro che presuppongano scelte d'indirizzo politico-legislativo o l'avvio di nuove politiche di vasto respiro che non siano già state condivise dal Parlamento. Per tali ragioni, il PNR 2013 non contiene quest'anno una agenda di priorità per il futuro, limitandosi invece a riportare un'analisi dettagliata delle riforme adottate e dei relativi primi risultati, nonché a indicare le aree di politiche pubbliche dove è maggiormente necessario intervenire per il futuro. Spetterà al nuovo Governo la facoltà d'integrare il quadro prospettato, presentando un'agenda di riforme, con le relative compatibilità finanziarie, volta a proseguire il percorso di avvicinamento agli obiettivi della Strategia Europa 2020.
Quadro di sintesi del contenuto del PNR
Dal punto di vista dei contenuti, la struttura del PNR 2013, ampiamente rivista rispetto a quella dello scorso anno, è articolata in sei capitoli più un'appendice. Nel primo capitolo si descrivono sinteticamente le riforme introdotte nel periodo di riferimento previsto dal Semestre Europeo, evidenziandone la coerenza con:
Nell'ambito di questa cornice il PNR 2013 illustra il percorso compiuto sulla strada delle riforme sollecitate dalle istituzioni europee, sottolineando come gli sforzi compiuti abbiano affrontato sia i problemi urgenti di breve periodo causati dalla crisi, sia le questioni strutturali dalla cui soluzione dipende il benessere economico di lungo periodo del Paese. In questa prospettiva, il documento annovera tra le principali misure adottate:
Il Governo sottolinea, inoltre, come le riforme strutturali volte a stimolare la competitività e la crescita siano state adottate senza mai perdere di vista l'obiettivo della stabilità finanziaria e come ciò abbia accresciuto la credibilità internazionale e favorito il riconoscimento, da parte del Consiglio Europeo del 14 marzo 2013, della necessità di un risanamento di bilancio differenziato che permetta all'Italia di utilizzare spazi di flessibilità controllata per azioni di sostegno volte a rilanciare, nel rispetto della stabilità finanziaria, la crescita e l'occupazione, azioni nel cui ambito s'innesta il provvedimento d'urgenza recentemente adottato per la liquidazione dei debiti pregressi della pubblica amministrazione.
Il secondo capitolo del PNR contiene la valutazione degli impatti macroeconomici connessi alle riforme attuate con:
L'impatto macroeconomico dell'insieme delle riforme strutturali varate dal Governo nel 2012 – comprendenti gli interventi per la crescita, la riforma del mercato del lavoro, nonché le misure in tema di liberalizzazioni e semplificazioni già oggetto di stima nel precedente PNR – determina, rispetto allo scenario di base, un incremento del PIL pari a 1,6 punti percentuali al 2015 e a 3,9 punti nel 2020, sino a raggiungere i 6,9 punti percentuali nel lungo periodo.
Il PNR reca altresì l'analisi dell'impatto finanziario delle misure in esso indicate, articolate in dieci aree di politiche pubbliche in cui sono aggregate le nuove misure d'intervento tratte dai provvedimenti vigenti dall'aprile 2012, che includono anche disposizioni afferenti a misure già poste in essere negli anni precedenti, riportate quale aggiornamento normativo e finanziario dei PNR 2012 e 2011. Gli effetti finanziari sono valutati in termini di maggiori/minori entrate e maggiori/minori spese e quantificati con riferimento ai relativi saldi. Per il 2013 si riportano i risultati dell'analisi d'impatto sul bilancio dello Stato. Le predette aree di politiche pubbliche, cui sono associate le relative misure di intervento, sono le seguenti:
Le risposte alle Raccomandazioni UE
Il terzo capitolo del PNR illustra le misure che il Paese ha adottato in risposta alle Raccomandazioni del Consiglio Europeo, nonché le iniziative più rilevanti ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali della Strategia Europa 2020 (in materia di tasso di disoccupazione, investimenti in ricerca e sviluppo, fonti rinnovabili, efficienza energetica, abbandoni scolastici, istruzione universitaria, contrasto alla povertà). Alla fine del capitolo è altresì riportata una sintesi dei risultati dell'utilizzo dei Fondi comunitari e indicazioni in ordine alla nuova fase di programmazione 2014-2020. Limitando la presente sintesi alle indicazioni fornite nel PNR con riferimento ai "prossimi passi" da compiere in risposta alle predette raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea, si segnalano le seguenti questioni:
L'analisi degli squilibri macroeconomici
Nel quarto capitolo del PNR è contenuta l'analisi degli squilibri macroeconomici che incidono sulla competitività del paese. Il processo di sorveglianza degli squilibri macroeconomici dei Paesi dell'Area dell'Euro, che rientra nel ciclo annuale del Semestre europeo, prevede una valutazione periodica da parte della Commissione europea dei rischi derivanti dagli squilibri macroeconomici in ciascuno Stato membro, effettuata sulla base di un quadro di riferimento costituito da dieci indicatori economici (scoreboard). Gli indicatori sono distinti tra quelli che monitorano gli squilibri esterni e quelli riferiti agli squilibri interni, come evidenzia la seguente tabella. Per ciascuno di essi sono stabilite delle soglie di allerta, che possono individuare sia livelli eccessivamente alti, sia eccessivamente bassi della variabile. Il riscontro di "gravi squilibri" tali da mettere in rischio il funzionamento dell'Unione economica e monetaria può determinare l'attivazione di una procedura correttiva, comprendente anche elementi sanzionatori, volta a condurre lo Stato interessato ad adottare le misure correttive necessarie. La valutazione in questione è stata per la prima volta attivata nel 2012, quando la Commissione ha pubblicato il primo Rapporto di Allerta (COM(2012)68), in cui s'indicava che 12 Paesi, tra cui l'Italia, necessitavano di una "analisi approfondita" per valutare possibili squilibri eccessivi. Nel Rapporto si evidenziava, in particolare, come l'Italia, con riferimento ai risultati 2010, abbia superato i valori soglia di due indicatori, costituiti dalla perdita di competitività - desumibile dalla contrazione delle quote di mercato delle esportazioni - e dal livello elevato del debito pubblico. Nelle analisi approfondite pubblicate nel successivo mese di maggio del 2012, tali squilibri sono stati giudicati "seri", ma non eccessivi e l'Italia è stata pertanto inclusa nella procedura preventiva.
Anche il successivo Rapporto di Allerta include l'Italia tra i Paesi che, presentando "seri" squilibri, necessitano di un'analisi approfondita, che è stata pubblicata il 10 aprile 2013. La relazione approfondita dalla Commissione europea (COM(2013)199Final) rileva l'esistenza di squilibri macroeconomici in tredici Stati membri dell'UE: Belgio, Bulgaria, Danimarca, Spagna, Francia, Italia, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Slovenia, Finlandia, Svezia e Regno Unito. Per ciascuno di questi Paesi la Commissione ha predisposto un documento di lavoro recante un'analisi specifica. Soltanto nel caso della Spagna e della Slovenia la Commissione ritiene che gli squilibri macroeconomici rilevati siano eccessivi e richiedano, pertanto, raccomandazioni specifiche. Per quanto concerne l'Italia, l'esame approfondito della Commissione, nel rilevare l'esistenza di squilibri macroeconomici che richiedono un attento monitoraggio e misure di correzione in coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese che saranno adottate dal Consiglio in esito al semestre europeo 2013, evidenzia, in particolare che:
Il DEF rileva, quindi, che analogamente allo scorso anno anche nel 2013 il meccanismo di sorveglianza degli squilibri evidenzia, per l'Italia, valori sopra la soglia di allerta per il debito pubblico e per le quote di mercato delle esportazioni, la cui contrazione sarebbe legata alla perdita di competitività verificatasi a partire dall'introduzione dell'euro. Nell'analisi degli squilibri macroeconomici riportata nel PNR si rileva come tra il 2000 e il 2011 la quota dell'Italia sul totale del commercio mondiale sia scesa dal 3,8 al 3,3 per cento. Salvo una fase di recupero realizzatasi nel 2001-2014, si è registrata una tendenza negativa durata sino al 2010; i dati più recenti segnalano, peraltro, una decisa attenuazione della velocità di caduta della quota, con una sua sostanziale stabilizzazione a partire dal 2011.
In questo quadro, il principale ostacolo per riguadagnare competitività e migliorare le prospettive di crescita economica è costituito dalla bassa produttività. Secondo le valutazioni della Commissione, un fattore di debolezza è costituito, in particolare, dal livello elevato, rispetto alla media dell'Area dell'euro, del costo unitario del lavoro, imputabile anche a una dinamica salariale non allineata a quella della produttività. Si ricorda che già il PNR dello scorso anno identificava una serie di debolezze di fondo del sistema economico nazionale, segnalando nella progressiva riduzione della produttività totale dei fattori, accompagnata da un alto costo unitario del lavoro rispetto agli altri paesi UE, una delle principali ragioni della bassa crescita italiana. In particolare, il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), incidendo in modo rilevante sulla competitività di prezzo, costituisce è uno degli indicatori preso a riferimento per la valutazione degli squilibri esterni. Pur non oltrepassando, al momento della valutazione, il valore soglia individuato dalla Commissione, il PNR 2013 rileva come l'aumento del CLUP sia strettamente connesso con la perdita di competitività e di quote di mercato dell'Italia e sia legato principalmente all'andamento stagnante della produttività. Nel quadro di una crescita pressoché nulla della produttività del lavoro iniziata dalla fine degli anni '90, il costo unitario del lavoro per l'intera economia ha continuato ad aumentare nel periodo successivo alla crisi anche in termini reali, poiché la dinamica del reddito pro-capite, seppure in moderazione nei trimestri più recenti, è risultata maggiore di quella della produttività. Una causa dell'andamento ancora insoddisfacente dell'indicatore è attribuibile, ad avviso del Governo, ad aspetti ciclici e a un diverso comportamento del mercato del lavoro rispetto a quello dei beni. La contrazione dell'occupazione è stata molto meno marcata rispetto alla caduta del prodotto interno lordo. In prospettiva, è atteso invece un ribilanciamento di queste due componenti, posto che con la ripresa dell'economia gli aumenti dell'occupazione saranno probabilmente meno che proporzionali rispetto alle variazioni del PIL. Resta tuttavia cruciale, prosegue il Governo, ottenere maggiori incrementi di produttività che non vadano a scapito di aumenti di occupazione. In proposito, già il PNR dello scorso anno includeva, tra le principali cause della riduzione della produttività italiana, la minore qualificazione del capitale umano, un modello di sviluppo basato sulle piccole e medie imprese che mostrano una minore capacità di assorbimento delle nuove tecnologie e di penetrazione sui mercati internazionali. Per quanto concerne l'altra componente che determina il CLUP, ossia la variazione dei salari nominali, essa è risultata sostanzialmente in linea con la media europea e si ritiene pertanto che questa variabile non abbia giocato, al contrario della bassa produttività, un ruolo rilevante nella perdita di competitività. Il Governa ricorda, inoltre, come alla necessità di perseguire un maggiore allineamento tra il comportamento dei salari e le variazioni della produttività sia stata data una risposta rafforzando la negoziazione salariale di secondo livello tramite il recente accordo sulla produttività. Si rileva, infine, come alla necessità di far recuperare competitività di prezzo all'economia italiana si contrapponga l'esigenza di non deprimere ulteriormente la domanda interna, particolarmente rilevante in una fase congiunturale ancora molto delicata come quella attuale.
Per quanto concerne le variabili finanziarie, salvo il livello del debito pubblico, l'Italia non presenta valori critici: i flussi di credito sono considerati nella norma e il livello dell'indebitamento del settore privato presenta dimensioni molto contenute rispetto alla media europea. Non si rilevano, inoltre, variazioni eccessive nelle passività del settore finanziario. In particolare, la situazione complessiva della ricchezza delle famiglie, reale e finanziaria, è da considerarsi tra le più solide in Europa. Il settore delle imprese non finanziarie risulta, come in tutte le economie avanzate, strutturalmente in una posizione debitoria, con un livello d'indebitamento sostanzialmente in linea con la media europea, anche se i prestiti contratti nei confronti delle banche rappresentano una percentuale più alta rispetto al benchmark europeo, anche in ragione della composizione del tessuto produttivo, composto da imprese di piccole e medie dimensioni che trovano difficoltà ad accedere in maniera diretta al mercato dei capitali e risultano più vulnerabili a situazioni di restrizione del credito. Le imprese finanziarie hanno riqualificato le attività patrimoniali a favore di crediti meno rischiosi e le principali banche, dando seguito alla raccomandazione della European Banking Authority del dicembre 2011, hanno provveduto ad effettuare ricapitalizzazioni e rilevanti operazioni di deleveraging. Nel complesso, il settore bancario italiano è considerato solido perché presenta un'esposizione contenuta verso attività rischiose e un valore ridotto della leva finanziaria rispetto alla media europea. La solidità strutturale del sistema finanziario, comprovata dalle analisi effettuate dall'autorità di vigilanza e confermata dal FMI al termine della missione svoltasi nel marzo del 2013, implica, ad avviso del Governo, che non appena se ne verificassero le condizioni il settore bancario potrebbe tornare ad espandere il credito all'economia. Un elemento di preoccupazione, in base alle valutazioni della Commissione riportate nel PNR, attiene all'elevato costo dei finanziamenti alle imprese, il cui divario rispetto ai principali paesi dell'Area dell'euro rifletterebbe le tensioni sui debiti sovrani e la conseguente difformità di trasmissione della politica monetaria nelle varie economie dell'Area. Analogamente a quanto affermato lo scorso anno si evidenzia, invece, che l'indebitamento del settore privato è inferiore alla media dell'Area.
In via generale, il PNR sottolinea, infine, come le politiche di aggiustamento fiscale e le riforme attuate abbiano condotto ad un miglioramento strutturale complessivo dal punto di vista degli squilibri macroeconomici, anche se la fase congiunturale, ancora sfavorevole, ha reso più difficile il pieno palesarsi dei risultati conseguiti. Segnali positivi sono riscontrabili sia dal lato della competitività – ove gli scambi con l'estero sono caratterizzati da un deciso miglioramento del saldo delle partite correnti, da un buon andamento delle esportazioni e da una sostanziale stabilizzazione delle quote di prodotti italiani nei mercati internazionali – sia sotto il profilo dei mercati finanziari, ove si è registrato un deciso calo del differenziale di rendimento tra i BTP e i Bund tedeschi rispetto ai picchi registrati nei momenti più acuti della crisi, il quale contribuirà al graduale venire meno delle tensioni sul mercato del credito e, in generale, su tutti gli indicatori finanziari monitorati a livello europeo. Il quinto capitolo del PNR illustra, nel dettaglio, il complesso delle riforme nazionali adottate nel 2012 – che qui per brevità non è possibile richiamare- anche attraverso specifichi approfondimenti tecnici e l'indicazione delle "azioni in itinere'" per le iniziative governative che non sono riuscite ad arrivare alla fine del processo parlamentare ancorché deliberate dal Consiglio dei Ministri. Nel capitolo sono altresì riportate informazioni sullo stato di attuazione dei provvedimenti adottati. Il sesto capitolo del PNR indica le principali azioni intraprese dalle amministrazioni locali nell'ambito del processo del Semestre europeo. In allegato al PNR è, infine, riportata appendice con quattro griglie di dettaglio recanti la una disaggregazione degli impatti macroeconomici delle riforme, la sintesi di tutte le nuove misure introdotte nel periodo 2012-2013 e l'aggiornamento attuativo delle misure del precedente PNR, nonché il dettaglio delle misure introdotte a livello regionale. | Le riforme introdotte in coerenza con gli impegni europeiLe riforme strutturali Riduzione del debito pubblico La spesa pubblica I giovani La competitività La riforma fiscale Le infrastrutture e le imprese Primo Rapporto di Allerta Produttività e costo unitario del lavoro Il settore finanziario Finanziamenti alle imprese Le riforme nazionali |