Online il nostro Rapporto 2017 sull'amministrazione condivisa dei beni comuni

Rispetto all’anno scorso, quest’anno si è potuto lavorare su un numero di casi molto maggiore, anche se certamente non esaustivo, perché siamo sicuri che in tutta Italia sono stati stipulati molti più patti di quelli che noi siamo riusciti a trovare. Ma dal campione che abbiamo preso in esame, comunque già molto rappresentativo, emergono alcune caratteristiche dei patti di collaborazione che riteniamo possano essere considerate di carattere generale.

Comunità responsabili…

Un primo aspetto interessante è che i patti (o meglio, la loro progettazione e sottoscrizione) spesso operano come una sorta di “catalizzatore” per far emergere quella che nel Rapporto chiamiamo la “società responsabile”, cioè quei gruppi di cittadini che si aggregano perché vogliono prendersi cura di specifici beni comuni presenti sul loro territorio: verde pubblico, spazi pubblici, scuole, beni culturali e simili.
I cittadini che concorrono a formare la “società responsabile” sono presenti come individui nelle rispettive comunità già prima che si decida di stipulare un patto di collaborazione per la cura di un bene comune, ma il patto li fa emergere, li aggrega, li costituisce in “comunità responsabile”.

…e identità collettiva

Il secondo aspetto è che la “comunità responsabile” che, grazie al patto, si aggrega intorno ad un bene comune per prendersene cura, fa emergere un’identità collettiva, grazie alla capacità dei partecipanti al patto di essere interpreti dello “spirito dei luoghi” dove vivono, individuando e trasmettendo agli altri questa identità collettiva del bene, con la sua storia e il suo “spirito”.
Si sviluppa una dimensione “corale” perché, come viene notato nel Rapporto, nel curare i beni comuni i cittadini attivi curano l’insieme, ossia la comunità e il territorio, superando visioni settoriali e integrando ambiti di intervento diversi. Si crea un ambiente in cui si sviluppa l’”humus civico” dei partecipanti al patto, mettendo al centro non soltanto i singoli beni comuni di cui si occupano, ma il loro insieme, evidenziando le connessioni e, quindi, l’identità dei luoghi.

E’ la società della cura

Dal Rapporto emerge anche che più della metà dei patti esaminati ha una durata non superiore ad un anno. Non è un loro limite, anzi, al contrario, è il segno che i patti sono strumenti flessibili, modulabili, capaci di seguire costantemente le sensibilità che si manifestano in un territorio senza eccessive rigidità, individuando di volta in volta le destinazioni che una comunità ritiene più adeguate nel tempo ai beni comuni oggetto dei patti.
Infine, un altro aspetto emerso in questo ultimo anno è la conferma che i patti sono strumenti perfetti per la costruzione di quella che è stata definita la “società della cura”, un modello sociale costruito intorno alla pratica quotidiana della cura, sia quella delle persone, sia quella dei beni comuni, per realizzare un nuovo modello di vita nella città.
La società della cura è infatti una società tutta intessuta di relazioni, perché la cura è l’espressione qualitativamente più alta della relazione. Lo è nello spazio privato, in cui finora la cura è stata prevalentemente relegata, ma lo è anche nello spazio pubblico, dove l’attività di cura si esercita sia nei confronti delle persone in difficoltà, grazie alla meritoria opera delle organizzazioni di volontariato, sia dei beni comuni, attraverso l’intervento dei cittadini attivi.

A questo link è possibile scaricare gratuitamente il nostro Rapporto 2017.

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