Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Abolizione del finanziamento pubblico diretto dei partiti politici - D.L. 149/2013 ' A.C. 2096 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2096/XVII   DL N. 149 DEL 28-DIC-13
Serie: Progetti di legge    Numero: 118
Data: 17/02/2014
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2013 0149   FINANZIAMENTO A PARTITI POLITICI

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Abolizione del finanziamento pubblico diretto dei partiti politici

D.L. 149/2013 – A.C. 2096

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 118

 

 

 

18 febbraio 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

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Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

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File: D13149.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Il decreto-legge n. 149/2013  3

§  Premessa  3

§  Oggetto e finalità del disegno di legge  5

§  Democrazia interna, trasparenza e controlli 7

§  Disciplina delle contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta  33

§  Disposizioni transitorie e finali 57

Il quadro normativo  67

Statuto e finanziamento dei partiti politici europei 81

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Il decreto-legge n. 149/2013

Premessa

Il decreto-legge n. 149 del 2014, approvato con modificazioni dal Senato il 12 febbraio 2014, abolisce il finanziamento diretto ai partiti e introduce un sistema di contribuzione volontaria.

Il decreto-legge nel testo vigente, trasmesso dal Governo al Senato in prima lettura, recepisce integralmente, ad eccezione della soppressione di una disposizione di delega, il testo del progetto di legge approvato dalla Camera in prima lettura nella seduta del 16 ottobre 2013.

Si tratta di un testo risultante dall'abbinamento di nove disegni di legge d'iniziativa parlamentare, uno d'iniziativa popolare, uno d'iniziativa governativa A.C. 1154 (quest'ultimo poi assunto come testo base nella sede referente).

La Camera ha apportato diverse modifiche a questo testo giungendo alla sua approvazione il 16 ottobre 2013 e provvedendo alla sua trasmissione al Senato (A.S. 1118).

La Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato l'esame in sede referente il 18 dicembre 2013.

Dieci giorni dopo, il Governo ha adottato il decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, avente medesimo titolo e contenuto, ad eccezione di un articolo del disegno di legge (art. 18), espunto in quanto recante delega legislativa (all'adozione di un testo unico delle disposizioni vigenti in materia).

Il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 149 è stato comunicato alla Presidenza del Senato il medesimo 28 dicembre 2013 (A.S. 1213).

 

Il provvedimento è suddiviso nei seguenti 4 capi:

§  Capo I, Disposizioni generali (art. 1);

§  Capo II, Democrazia interna, trasparenza e controlli (artt. 2-9);

§  Capo III, Disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta (artt. 10-13);

§  Capo IV, Disposizioni transitorie e finali (artt. 13-bis-19).

 

 

 


Oggetto e finalità del disegno di legge

L’articolo 1 del decreto-legge indica la finalità dell’intervento normativo, individuata nell’abolizione dei contributi pubblici ai partiti come attualmente disciplinati (comma 1) e la loro sostituzione (comma 2) con ”forme di contribuzione volontaria fiscalmente agevolata e di contribuzione indiretta fondate sulle scelte espresse dai cittadini”.

Si tratta dei benefici di cui all’articolo 11 (detrazioni per le erogazioni liberali) e all’articolo 12 (destinazione volontaria del 2 per mille IRPEF).

L’accesso a queste forme di contribuzione è condizionato al rispetto dei requisiti di trasparenza e democraticità indicati nel Capo II del decreto-legge, in cui si prevede tra l’altro l’istituzione di un registro dei partiti politici, ai fini dell’accesso ai benefici (artt. 3 e 4).

 

Il contributo pubblico a favore di partiti o movimenti politici è stato introdotto per la prima volta dalla legge 2 maggio 1974, n. 195. La legge 195/1974 è stata in seguito modificata e integrata dalla legge 18 novembre 1981, n. 659 e da altri provvedimenti (art. 1 della legge 8 agosto 1980, n. 422; art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 413). In base a tali leggi, si prevedevano:

§  una forma di contributo statale per il funzionamento ordinario dei partiti;

§  una ulteriore forma di contributo a titolo di rimborso per le spese elettorali da questi sostenute per le elezioni politiche, europee e regionali.

Con il referendum popolare del 18 aprile 1993, è stata disposta l’abrogazione delle disposizioni di legge che erogavano finanziamenti per il funzionamento ordinario dei partiti politici. Pertanto, l’unica forma di contributo da parte dello Stato che ha continuato a sussistere è quella relativa al rimborso delle spese elettorali, che successivamente è stata ridisciplinata con la legge 157 del 1999.

La legge 6 luglio 2012, n. 96 ha ridotto l’ammontare dei contributi e ha modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il 70% degli stanziamenti a favore dei partiti viene erogato, oltre che a titolo di rimborso per le spese sostenute in occasione delle elezioni, anche come contributo per il finanziamento delle attività politiche dei partiti, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento del partito ed è erogato in maniera proporzionale alle quote associative e ai finanziamenti privati raccolti. A questo fine si considerano solamente i partiti che abbiano raggiunto un risultato elettorale minimo stabilito dalla legge.

Per gli anni 2012 e 2013 i risparmi derivanti dalla riduzione sono destinati agli interventi nelle aree colpite da calamità naturali a partire dal 2009.

 

Il provvedimento in esame supera la parziale riforma del sistema di contribuzione pubblica disposta dalla legge n. 96 del 2012, con la quale al sistema dei rimborsi elettorali è stato affiancato il cofinanziamento dello Stato, proporzionato alle capacità di autofinanziamento dei partiti.

Della legge 96/2012 viene mantenuta, con ampie modifiche, la parte relativa alla trasparenza e ai controlli dei bilanci, come pure il vincolo tra democrazia interna e concessione dei benefici, dalla stessa legge introdotto per la prima volta.

Per quanto riguarda le forme di contribuzione alternative disciplinate dal decreto- legge, di fatto si tratta del potenziamento di un istituto già previsto dall’ordinamento (la detrazione fiscale dei finanziamenti privati) e di un meccanismo (quello del 2 per mille) sperimentato per un breve periodo nel 1997 (L. 2/1997 e, in gran parte, abrogato dalla L. 157/1999).

 

La definizione di partiti politici, ai fini del decreto, è recata dall’articolo 18, comma 1, secondo il quale si intendono per partiti politici:

§  i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo di uno degli organi indicati dall'articolo 10, comma 1, lettera a), cioè Senato, Camera, Parlamento europeo, consigli regionali e province autonome;

§  i partiti politici, iscritti nel registro di cui all’articolo 4, cui dichiari di fare riferimento un gruppo parlamentare costituito in almeno una delle Camere secondo le norme dei rispettivi regolamenti ovvero una singola componente interna al gruppo misto (articolo 10, comma 2, lett. a);

§  i partiti politici, iscritti nel registro di cui all’articolo 4 prima del deposito del contrassegno, che abbiano depositato congiuntamente il contrassegno elettorale e partecipato in forma aggregata a una competizione elettorale in occasione del rinnovo del Senato, della Camera o delle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, riportando almeno un candidato eletto (articolo 10, comma 2, lett. b).

 

 


Democrazia interna, trasparenza e controlli

Il capo II affronta le questioni della definizione e della natura giuridica dei partiti politici, della forma e del contenuto dello statuto, della trasparenza della struttura interna e dei documenti contabili, nonché delle prescrizioni necessarie a promuovere la parità di genere.

Definizione e natura giuridica dei partiti politici

L’art. 2, comma 1, qualifica i partiti politici “libere associazioni”.

Senza introdurre alcun elemento innovativo rispetto all’attuale condizione giuridica, i partiti permangono pertanto associazioni prive di personalità giuridica, cui si applica il regime del codice civile riferito alle associazioni non riconosciute.

 

Con l’espressione “associazione non riconosciuta” s’intende una collettività di persone organizzata per il raggiungimento di uno scopo comune - lecito e non segreto - che non ha richiesto (o ottenuto) il riconoscimento come persona giuridica.

La disciplina delle associazioni non riconosciute e dei comitati è contenuta nel capo III del titolo II del libro primo del codice civile (artt. da 36 a 42).

Le principali diversità di regime giuridico tra associazione riconosciuta e non riconosciuta riguardano i seguenti aspetti:

-          le associazioni riconosciute hanno un patrimonio, quelle non riconosciute un fondo comune, anche se di fatto esiste identità di condizione giuridica;

-          nelle associazioni riconosciute, risponde delle obbligazioni assunte solo l’associazione ed il suo patrimonio; nella associazioni non riconosciute si aggiunge la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (art. 38);

-          le associazioni riconosciute sono sottoposte ai controlli della autorità governativa ed alle registrazioni previste per le persone giuridiche; nessuna forma di controllo è prevista per le associazioni non riconosciute.

Nell'intenzione del legislatore del 1942, l'associazione non riconosciuta avrebbe dovuto dar veste giuridica a realtà minori e di scarsa importanza sociale (circoli sportivi, ricreativi ecc.); al contrario, essa oggi rappresenta la più usuale forma di presenza, nel nostro ordinamento, dei maggiori gruppi organizzati per fini non lucrativi: tali sono, infatti, i partiti politici, i sindacati, molte società sportive, non avendo richiesto il riconoscimento della personalità giuridica. Tali organismi associativi costituiscono i cd. enti di fatto ovvero complessi organizzati di soggetti e di beni, diretti alla realizzazione di uno scopo non lucrativo, ma privi di personalità giuridica.

Le caratteristiche strutturali delle associazioni non riconosciute sono comuni a quelli delle associazioni riconosciute; c’è, quindi:

-      un’organizzazione;

-      un elemento patrimoniale;

-      lo scopo non di lucro;

-      la struttura aperta del rapporto.

Anzitutto, il codice civile – in relazione all’organizzazione interna cioè ai rapporti degli associati fra loro, e all’amministrazione dei beni comuni – riconosce efficacia agli accordi intervenuti fra gli associati (art. 36). Anche tali enti hanno la loro fonte in un atto costitutivo e in uno statuto.

Sebbene il codice civile consenta di dare vita ad un’associazione non riconosciuta anche per mezzo di un semplice accordo verbale, nella maggioranza dei casi tali associazioni si costituiscono con un atto scritto (contratto di associazione) che consta di due componenti: l’atto costitutivo e lo statuto.

 

In assenza di una disciplina specifica, i partiti politici sono stati assimilati alle associazioni non riconosciute, come del resto avviene per le organizzazioni sindacali. Per quest’ultime, a differenza dei partiti, è invece prevista, ma non attuata, la definizione con legge della loro registrazione con conseguente acquisizione della personalità giuridica (art. 39 Cost.).

In questo quadro assume particolare rilievo il rapporto tra l’art. 49 e il diritto di associazione contenuto nell’art. 18 Cost. Secondo la dottrina prevalente, il diritto di associarsi in partiti politici si configura come un’espressione particolare del più generale diritto dei cittadini di associarsi liberamente; pertanto, i limiti al diritto di associazione contenuti nell’art. 19 (proibizione delle associazioni segrete, di carattere militare o per fini vietati dalla legge penale) sono applicabili anche ai partiti politici.

D’altra parte, non sarebbero ammesse da parte della legge ordinaria ulteriori limitazioni oltre a quelle indicate tassativamente dalla Costituzione. E non sarebbe neanche possibile introdurre alcuna forma di autorizzazione, dal momento che il primo comma dell’art. 18 prevede che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, “senza autorizzazione”.

 

Anche il testo unificato adottato nella scorsa legislatura si limitava a definire i partiti, “libere associazioni di cittadini” (art. 2), mentre alcune delle proposte di legge che ne costituivano la base effettuavano precise scelte in merito.

Non tutte le proposte di legge prevedevano l'attribuzione di personalità giuridica, limitandosi alcune a dare una definizione del partito o movimento politico non riconducibile a definite categorie giuridiche. In ogni caso, sia ricorrendo a procedimenti già vigenti di diritto comune, sia prevedendo procedimenti ad hoc, la personalità giuridica, laddove prevista, aveva carattere privatistico.

In particolare, alcune proposte ricorrevano alla categoria giuridica dell’associazione[1] e il procedimento in prevalenza previsto per il riconoscimento era l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361/2000[2] con effetto di acquisto della personalità giuridica[3]. Ai fini dell'iscrizione le proposte di legge stabilivano prescrizioni attinenti soprattutto ad alcuni contenuti, considerati necessari, dello statuto del soggetto politico.

In tal modo il procedimento per l'attribuzione della personalità giuridica veniva ricondotto a quello già vigente per  le associazioni e le fondazioni, conferendo personalità giuridica di natura privata. Alcune proposte di legge innestavano tale procedimento di diritto comune su procedimenti specifici, come l'omologazione dello statuto del soggetto politico attribuita alla competenza dell'Ufficio centrale elettorale presso la Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 12 del D.P.R. n. 361del 1957[4].

Altre scelte normative, finalizzate comunque a definire una soggettività del partito o movimento politico, si incentravano su procedure non riconducibili ad a quelle già vigenti: in questo senso si poneva la proposta[5] che prevedeva la costituzione di un registro dei partiti politici presso la Corte costituzionale, differenziando il partito politico dalle associazioni riconosciute, ma mantenendo fermo il carattere privatistico della personalità giuridica così acquisita, con decorrenza dalla data di deposito dello statuto.

 

Diversamente, nella attuale legislatura, alcune delle proposte di legge abbinate al disegno di legge del Governo presentato il 5 giugno 2013 (A.C. 1154) intendono attribuire ai partiti politici la natura di associazioni riconosciute e dunque dotate di personalità giuridica in base al DPR n. 361/2000.

 

Si ricorda che mentre in passato il riconoscimento consisteva in un atto amministrativo discrezionale concesso con DPR, dopo la riforma introdotta col DPR 361 del 2000[6], le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture (art. 1).

La domanda di riconoscimento (cui è allegata copia autentica dell'atto costitutivo e dello statuto), sottoscritta dal fondatore ovvero da coloro ai quali è conferita la rappresentanza dell'ente, è presentata alla prefettura nella cui provincia è stabilita la sede dell’ente stesso. Le condizioni del riconoscimento sono:

-          che risultino soddisfatte le norme legislative e regolamentari per la costituzione dell’ente;

-          che lo scopo della persona giuridica sia possibile e lecito;

-          che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo (la consistenza del patrimonio deve essere dimostrata da idonea documentazione allegata alla domanda).

Entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda il prefetto provvede all'iscrizione nel registro. Nel registro devono altresì essere iscritte le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto, il trasferimento della sede e l'istituzione di sedi secondarie, la sostituzione degli amministratori, con indicazione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o accertano l'estinzione, il cognome e nome dei liquidatori e tutti gli altri atti e fatti la cui iscrizione è espressamente prevista da norme di legge o di regolamento.

Qualora la prefettura ravvisi ragioni ostative all'iscrizione ovvero la necessità di integrare la documentazione presentata, entro il termine dei 120 giorni ne dà motivata comunicazione ai richiedenti, i quali, nei successivi 30 giorni, possono presentare memorie e documenti. Se, nell'ulteriore termine di 30 giorni, il prefetto non comunica ai richiedenti il motivato diniego ovvero non provvede all'iscrizione, questa si intende negata.

 

L’art. 2 adotta al comma 1 una formulazione che trasferisce sulle “associazioni partito”, cui si riferisce la definizione, la qualificazione “libere”, che il testo dell’art. 49 Cost. attribuisce, invece, al diritto garantito a tutti i cittadini di associarsi in partito. Lo stesso comma 1 effettua un’analoga operazione lessicale, di segno inverso, collegando ai cittadini la finalità del “concorso con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale”, che l’art. 49 invece connette ai partiti.

Il comma 2 pone una espressa relazione tra l’osservanza delle disposizioni contenute nel decreto-legge e il rispetto del metodo democratico che, ai sensi dell’art. 49 Cost., deve presiedere al concorso alla determinazione della politica nazionale.

 

E, tuttavia, secondo l’art. 3, il rispetto di norme come quelle relative al contenuto dello statuto è condizione solo per i benefici previsti dal testo stesso e non sembra incidere sulla questione generale del rispetto del metodo democratico quale costante dell’attività dei partiti.

 

Occorre evidenziare che l’art. 2 del decreto-legge non esplicita una finalità di attuazione dell’art. 49 Cost., che, d’altronde, a differenza dell’art. 39 Cost. per i sindacati, non reca alcuna clausola di rinvio ad altre fonte per l’attuazione delle disposizioni in esso contenute. Del resto la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione afferma che il testo delinea “una prima attuazione all'articolo 49 della Costituzione” e che il filo conduttore dell’intervento normativo è “legare in modo strutturale il nuovo modello di finanziamento della politica ad un sistema di regole che garantisca la democrazia interna dei partiti politici e la trasparenza del proprio funzionamento e dei propri bilanci”.

 

Nella Carta fondamentale si rinvengono poche altre disposizioni in materia di partiti politici. L’art. 98, al terzo comma, prevede la possibilità di stabilire con legge limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per alcune determinate categorie di pubblici funzionari: magistrati, militari, funzionari ed agenti di polizia, diplomatici.

Inoltre, la XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista.

Mentre le due disposizioni da ultimo citate hanno avuto un seguito legislativo (L. 121/1981 sul divieto di iscrizione ai partiti per la polizia, D.Lgs. 109/2006 che considera illecito disciplinare l’iscrizione ai partiti politici dei magistrati, L. 645/1952, cosiddetta “legge Scelba”, che attua la XII disposizione transitoria) non si è mai proceduto ad una regolamentazione dei partiti politici, le cui basi giuridiche sono dunque limitate alle disposizioni costituzionali sopra citate e a poche altre norme contenute in leggi ordinarie attinenti a specifici ambiti, quali il finanziamento della politica, la partecipazione alle elezioni, la propaganda politica ed elettorale.

Il complesso di tali disposizioni prefigurerebbe una titolarità di attribuzioni costituzionali dei partiti politici. Ma la giurisprudenza costituzionale, pur riconoscendo che “i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche”, ha negato una loro qualificazione come poteri dello Stato (Corte cost., ord. 79/2006).

Gli statuti

L’art. 3 del decreto-legge disciplina lo statuto dei partiti politici, che viene qualificato come requisito necessario per avvalersi dei benefici previsti dal decreto (ossia, detrazioni fiscali per le erogazioni liberali e destinazione volontaria del 2 per mille IRPEF). Lo statuto viene disciplinato sotto il profilo sia della forma, sia del contenuto.

Non vi è alcuna previsione in tema di atto costitutivo, prescritto invece dall’art. 5 della legge 96/2012 (articolo di cui il decreto-legge dispone l’abrogazione).

 

L’art. 5 della L. 96/2012, dispone per i partiti che abbiano diritto ai rimborsi per le spese elettorali o ai contributi di cui alla medesima legge, l’obbligo di dotarsi anche di uno statuto del quale si limita a prevedere che sia conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti. Al contempo, la stessa disposizione richiede l'atto costitutivo, anch’esso da redigere nella forma dell'atto pubblico. I due documenti devono indicare in ogni caso l'organo competente ad approvare il rendiconto di esercizio e l'organo responsabile per la gestione economico-finanziaria.

Si ricorda, infine, che, in generale, l’atto costitutivo è richiesto dall’art. 1 del D.P.R. 361/2001 ai fini dell’acquisto della personalità giuridica privata per le associazioni, le fondazioni e altre istituzioni di carattere privato.

 

La forma necessaria dello statuto è l’atto pubblico, che l’art. 14 del codice civile richiede per la costituzione di associazioni e fondazioni.

 

Quanto al contenuto, il comma 1, sul punto modificato durante l’esame del provvedimento al Senato, prescrive innanzitutto che lo statuto deve contenere la descrizione del simbolo, che concorre con la denominazione a costituire elemento essenziale di riconoscimento del partito. Può essere altresì allegato in forma grafica allo statuto.

 

Le modifiche apportate concorrono ad una migliore definizione della versione originaria del decreto, ai sensi della quale è previsto che il simbolo sia allegato necessario dello statuto, anche in forma grafica.

 

Il Senato ha introdotto ulteriori prescrizioni dirette ad assicurare la non confondibilità del simbolo e della denominazione: a tal fine, si richiede che il simbolo e la denominazione, anche in forma abbreviata, siano chiaramente distinguibili da quelli di altro partito esistente.

 

Una disciplina con analoga finalità è contenuta nell’articolo 14 del testo unico delle leggi per l’elezione della Camera (D.P.R. 361/1957), che proibisce la presentazione di simboli confondibili con quelli usati da altri partiti e definisce in dettaglio gli elementi di confondibilità da considerare ai fini del divieto.

 

Gli elementi necessari dello statuto sono indicati dal comma 2 e posti nel rispetto della Costituzione e dell’ordinamento europeo, come precisato al Senato.

Tali elementi riguardano: gli organi deliberativi, esecutivi e di controllo; la rappresentanza legale; la cadenza delle assemblee congressuali; le procedure deliberative; i diritti e i doveri degli iscritti con i relativi istituti ed organi di garanzia; le procedure per lo scioglimento e per le altre cause che incidano sull’attività delle eventuali articolazioni territoriali del partito, nonché i criteri con i quali assicurare a queste le risorse; le misure disciplinari e i procedimenti ad esse relativi; le modalità di selezione delle candidature per le competizioni elettorali; le procedure per la modificazione dello statuto, del simbolo e della denominazione; l’indicazione del responsabile della gestione economico–finanziaria e patrimoniale e dell’organo deputato ad approvare il rendiconto di esercizio.

La predeterminazione di tali elementi costituisce così una condizione di democrazia interna del partito, così come, sotto un profilo ancor più sostanziale, la predeterminazione di ulteriori elementi, anch’essi richiesti dallo stesso comma 2, relativi alla presenza delle minoranze e all’equilibrio di genere.

Per quanto riguarda le minoranze interne un emendamento approvato dal Senato prevede che lo statuto debba promuovere la loro tutela e non assicurarla, come previsto dal testo originario. Inoltre, viene prevista espressamente l'eventualità di mancanza di opposizione interna ai partiti.

Anche per l’equilibrio di genere, un emendamento di analogo tenore approvato dal Senato richiede che lo statuto contenga le modalità per promuovere (e non più assicurare, come nel testo originario del decreto) la parità tra i sessi negli organismi collegiali e per le cariche elettive.

Nel corso dell'esame del Senato è stato previsto, infine, che lo statuto debba contenere anche:

·        l’indirizzo della sede legale nel territorio dello Stato;

·        regole per assicurare la trasparenza, in particolare della gestione economico-finanziaria del partito, nonché il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali.

 

In merito alla formulazione del comma 2, si rileva l’opportunità, sotto un profilo meramente formale, di indicare alla lett. a) gli organi di garanzia e quelli competenti in materia disciplinare, rispettivamente richiamati alle lettere d) e i). Non risulta inoltre chiara la formulazione delle vicende del partito e delle articolazioni territoriali indicate alla lettera f), in quanto lo scioglimento dovrebbe riferirsi al partito, mentre la chiusura e le altre vicende di seguito elencate dovrebbero riguardare le articolazioni territoriali.

 

Contenuto eventuale dello statuto, ai sensi dell’art. 3, comma 3, sono le disposizioni per la composizione extragiudiziale di controversie aventi ad oggetto lo statuto e di conciliazione ed arbitrato.

Per quanto non espressamente disciplinato dal decreto-legge, si fa rinvio all’applicazione delle “disposizioni del codice civile” e delle “norme di legge vigenti in materia” (art. 3, comma 4). Il rinvio disposto da tale clausola deve intendersi riferito alle disposizioni in tema di associazioni non riconosciute di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile.

 

Poiché l’art. 36 cc. stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati, la disciplina stabilita dal decreto-legge vincola tali accordi qualora il partito intenda avvalersi dei benefici previsti.

 

Si rileva infine che il rinvio alle altre norme vigenti in materia applicabili risulta del tutto generico.

Controllo e trasparenza

Nel disegno di legge il passaggio ad un sistema di finanziamento incentrato sulla contribuzione volontaria e indiretta fa leva, oltre che sulla fissazione di requisiti di base di democraticità dello statuto, su strumenti e procedure di controllo e di pubblicità che costituiscono oneri in capo ai partiti ai fini dei benefici previsti.

A questo scopo si utilizzano anche istituti introdotti dalla legge n. 96 del 2012, della quale viene poi disposta con l’art. 14 l’abrogazione di diverse disposizioni.

Registro dei partiti politici

L’articolo 4 stabilisce che i partiti politici che intendono avvalersi dei benefici di legge debbano trasmettere copia autentica del proprio statuto, alla Commissione di garanzia prevista dalla legge 96/2012 (art. 9, comma 3). Nel corso dell’esame del Senato è stato specificato che spetta allo stesso legale rappresentante del partito trasmettere lo statuto, e, inoltre, è stato stabilito che esso viene trasmesso direttamente alla Commissione, senza il tramite dei Presidenti delle Camere, come previsto dal testo vigente.

In tal modo la disposizione è stata adeguata a quanto previsto dall’articolo 5 della legge n. 96 del 2012 (abrogato dal presente provvedimento) che prevede analoga trasmissione, entro quarantacinque giorni dalla data di svolgimento delle elezioni, alla Commissione prevista dalla citata legge all'articolo 9, comma 3.

 

Si tratta della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, con sede presso la Camera dei deputati, composta da cinque componenti, di cui uno designato dal Primo presidente della Corte di cassazione, uno designato dal Presidente del Consiglio di Stato e tre designati dal Presidente della Corte dei conti; tutti i componenti sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali con qualifica non inferiore a quella di consigliere di cassazione o equiparata. La Commissione è nominata, sulla base delle designazioni così effettuate, con atto congiunto dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

 

Nella legge 96/2012 a tale Commissione è assegnato un controllo di regolarità e di conformità alla legge del rendiconto dei partiti e dei relativi allegati, anche verificando la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione prodotta a prova delle stesse, nonché di ottemperanza alle disposizioni di legge.

Invece, in base al decreto-legge in esame, la Commissione è competente anche alla verifica della presenza nello statuto degli elementi indicati all’articolo 3, ai fini dell’iscrizione al registro dei partiti politici, con facoltà di richiedere al partito, assicurando il contraddittorio, di apportarvi, entro un determinato termine, le conseguenti modifiche.

L’ampliamento delle competenze della Commissione alla materia statutaria – competenze che l’articolo 8 più avanti illustrato estende agli obblighi di trasparenza e pubblicità previsti dagli articoli 4 e 5 - della quale resta immutata la composizione, è formalizzato dalla nuova denominazione ad essa attribuita dal comma 1 dell’articolo 4 di Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, che esplicita le nuove competenze.

 

Poiché l’articolo 9, comma 3, della L. 96/2012 - non abrogato dall’articolo 14, comma 4, lett. f), del decreto-legge - rimane in vigore recando una diversa denominazione dello stesso organo, si valuti l’opportunità di procedere al mutamento di denominazione della Commissione attraverso il metodo della novellazione.

 

Come accennato, nel caso in cui la verifica dello statuto abbia esito negativo, la Commissione invita il partito ad apportarvi le necessarie modifiche entro un termine da 30 a 60 giorni. La individuazione per legge del termine per le modifiche statutarie è stato introdotto dal Senato, mentre nel testo vigente del decreto-legge, spetta alla Commissione stabilire il termine. Sempre al Senato è stato introdotto l'obbligo di motivazione in caso di diniego e la possibilità di impugnare l'atto di diniego presso il giudice amministrativo.

 

L’esito positivo della verifica è condizione per l'iscrizione del partito al registro tenuto dalla stessa Commissione: l’articolo 4, comma 2, definisce il registro “nazionale” dei “partiti politici riconosciuti ai sensi del presente decreto”.

Come già anticipato, l’articolo 18, comma 1, del decreto-legge prevede che, agli effetti del decreto-legge medesimo, si intendono per partiti politici, i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo di Senato, Camera, Parlamento europeo o consigli regionali e province autonome, nonché i partiti cui dichiari di fare riferimento un gruppo parlamentare, o componente del gruppo misto, costituito in almeno una delle Camere e i partiti che abbiano depositato congiuntamente il contrassegno elettorale e partecipato in forma aggregata a una competizione elettorale politica od europea.

Per l’iscrizione nel registro, saranno pertanto necessari due elementi:

§  la presentazione di candidati con il proprio simbolo, anche in modo congiunto con altri partiti, alle elezioni, ovvero, nel caso di partiti che non si sono ancora presentati alle elezioni, il collegamento con un gruppo parlamentare;

§  la verifica positiva di conformità dello statuto ai requisiti prescritti dalla legge.

 

L’iscrizione ha quindi un effetto costitutivo in quanto attribuisce al soggetto iscritto lo status di partito riconosciuto ai soli fini specifici del provvedimento in esame. Inoltre il comma 7 chiarisce che “l'iscrizione e la permanenza nel registro (...) sono condizioni necessarie per l'ammissione dei partiti politici ai benefici eventualmente spettanti” previsti dal decreto-legge. Pertanto il riconoscimento cui si riferisce l’art. 4, comma 2, costituisce istituto diverso dal riconoscimento di cui al DPR 361 del 2000, sopra ricordato, da cui consegue l’acquisto della personalità giuridica.

Solo una volta effettuata l’iscrizione, nel termine di un mese dalla relativa data, dovrà essere effettuata la pubblicazione dello statuto in Gazzetta Ufficiale (comma 5).

Le procedure illustrate dovranno essere seguite anche per le modifiche statutarie (comma 4).

Una disposizione transitoria, recata al comma 6, prevede che i partiti politici già costituiti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, hanno 12 mesi di tempo per la trasmissione dello statuto alla Commissione; tale termine è presumibilmente collegato alla necessità di apportare le eventuali modifiche allo statuto stesso per adeguarlo ai principi indicati nell’articolo 3. Nel corso dell’esame del Senato l’applicazione di tale termine è stata estesa anche ai partiti – presumibilmente anche non ancora costituiti - che fanno riferimento ad un gruppo parlamentare o componente di gruppo misto. Nelle more della scadenza di tale termine, i partiti possono comunque usufruire dei benefici purché siano in possesso dei requisiti richiesti (comma 7, secondo periodo).

 

Nel registro sono evidenziate due sezioni, l’una relativa ai partiti politici che soddisfano i requisiti per essere ammessi al finanziamento privato in regime fiscale agevolato, l’altra relativa ai partiti politici ammessi alla ripartizione delle risorse rinvenienti dalla destinazione da parte dei contribuenti del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (comma 8, secondo periodo).

 

Il sito internet ufficiale del Parlamento italiano, secondo l’articolo 4, comma 8, primo periodo, deve assicurare la consultabilità del registro in un'apposita sezione.

Trasparenza e semplificazione

L’articolo 5 prescrive ai partiti politici e alle fondazioni e associazioni loro collegate, la realizzazione di un sito internet, che deve rispondere a requisiti espressamente indicati (quali accessibilità, completezza di informazione, affidabilità e semplicità), dal quale devono risultare le informazioni relative all’assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, compresi (come specificato nel corso del’esame del Senato) i rendiconti (comma 1).

In particolare il comma 2 richiede ai partiti politici (ma non anche alle fondazioni cui si applica il solo comma 1) la pubblicazione, entro il 15 luglio di ogni anno, dello statuto (dopo il controllo di conformità) del rendiconto di esercizio, (il Senato ha abrogato le previsione che il rendiconto sia pubblicato in formato open data, modalità prevista in via generale per tutti i dati ai sensi del novellato articolo 18), corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, della relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico, da effettuare dopo il controllo di regolarità e conformità di cui all'articolo 9, comma 4, della legge 6 luglio 2012, n. 96.

Mentre nel testo vigente è prevista la pubblicazione degli stessi documenti anche in apposita sezione del portale internet del Parlamento, il Senato ha stabilito che di tali documenti i partiti rendano “comunicazione” ai Presidenti delle Camere e ne sia data “evidenza” sul sito del Parlamento.

E’ stata mantenuta invece la previsione della pubblicazione nel sito del Parlamento dei dati relativi alla situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di Governo e dei parlamentari, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 in tema di trasparenza che ha reso obbligatoria la pubblicazione dei dati patrimoniali e di reddito dei titolari di cariche elettive e di governo (art. 14).

Nel corso dell’esame da parte del Senato è stato soppresso l’obbligo di pubblicazione dei dati dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia (obbligo che a sua volta era stato introdotto alla Camera nel corso dell'esame dei ddl ordinario A.C. 1154).

 

L’art. 9, comma 20, della legge 96/2012, di cui il disegno di legge prevede l’abrogazione, prescrive che nei siti internet dei partiti e dei movimenti politici, entro il 10 luglio di ogni anno, nonché in un'apposita sezione del sito internet della Camera dei deputati, sono pubblicati, anche in formato open data, il rendiconto di esercizio e i relativi allegati, nonché la relazione della società di revisione e il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio.

 

Il riferimento al revisore non trova fondamento nella L. 96/2012 che non menziona la facoltà dei partiti e movimenti politici di rivolgersi a revisori costituiti da persone fisiche, ma solo a società di revisione. Qualora con tale riferimento si intenda prevedere la facoltà di avvalersi per funzioni di revisione, oltre che di società, anche di persone fisiche, occorrerebbe novellare in tal senso l’art. 9 della L. 96/2012.

 

In merito alla revisione contabile, il Rapporto sull’Italia del 22-23 marzo 2012 del gruppo GRECO[7] del Consiglio d’Europa riconosce che le esigenze di revisione devono essere bilanciate, con una certa flessibilità, con le differenti necessità e modalità dei partiti, al fine di evitare, in particolare, che vengano imposte procedure troppo complicate per partiti piccoli che dispongono di strumenti amministrativi limitati o nulli. Sul punto il Rapporto raccomanda di:

§  introdurre norme chiare e coerenti sui requisiti di revisione contabile applicabili ai partiti politici;

§  garantire la necessaria indipendenza dei revisori che certificano i bilanci dei partiti politici.

 

In merito alla pubblicazione sul sito internet del Parlamento dei dati relativi alla situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di Governo e dei parlamentari, occorre tenere conto che la legge n. 441/82 ne prevede la pubblicazione anche per i parlamentari europei.

 

La legge n. 441 del 1982 reca disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti:

§  Camera e Senato;

§  Governo;

§  consigli e giunte regionali;

§  consigli e giunte provinciali;

§  consigli di comuni capoluogo di provincia o con popolazione superiore ai 15.000 abitanti;

§  Parlamento europeo.

Ciascuno di questi organi disciplina autonomamente le modalità di applicazione della legge, tranne Camera, Senato e Governo, per i quali valgono le disposizioni della legge.

Le disposizioni della legge impongono ai membri del Parlamento e del Governo di depositare una dichiarazione concernente la propria situazione patrimoniale; copia dell'ultima dichiarazione dei redditi; una dichiarazione concernente le spese sostenute per la propaganda elettorale.

L’obbligo riguarda anche la situazione patrimoniale e la dichiarazione dei redditi del coniuge non separato e dei figli conviventi, se gli stessi vi consentono.

Le dichiarazioni sono presentate presso l'Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza entro 3 mesi dalla proclamazione degli eletti. Le dichiarazioni dei redditi devono essere presentate ogni anno entro un mese dalla data di scadenza dell’obbligo di dichiarazione al fisco. Inoltre, entro 3 mesi dalla cessazione del mandato ciascun parlamentare deve presentare una dichiarazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale.

Le dichiarazioni vengono effettuate su uno schema di modulo predisposto dagli uffici di presidenza del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra loro.

Le dichiarazioni sono pubblicate in un apposito bollettino pubblicato a cura dell'Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza che è messo a disposizione di tutti i cittadini con diritto di voto (vedi oltre).

La legge non prevede forme di verifica e di controllo delle dichiarazioni.

Nel caso di inadempienza il Presidente della Camera alla quale l'inadempiente appartiene diffida il parlamentare ad adempiere entro il termine di quindici giorni. Eventuali altre sanzioni sono comminate dalla Camera di appartenenza. Comunque nel caso di inosservanza della diffida il Presidente della Camera di appartenenza ne dà notizia all'Assemblea.

Il decreto-legge 174/2012 ha stabilito la pubblicazione dei dati patrimoniali e reddituali dei consiglieri e assessori di regioni, province e comuni (con più di 15.000 abitanti) sui siti internet dei rispettivi enti.

Il citato D.Lgs. 33/2013, oltre a integrare e modificare in diversi punti la legge 441, ha disposto l’obbligo di pubblicazione dei dati (comprese le dichiarazioni patrimoniali di cui all’art. 2 della legge 4412/1982) concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico (titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale).

 

Nel corso dell’esame del Senato è stato aggiunto il comma 2-bis che pone in capo ai soggetti obbligati alle dichiarazioni patrimoniali e di reddito ai sensi della citata legge 441/1982 di corredare dette dichiarazioni di tutti i finanziamenti privati ricevuti, direttamente o tramite comitati di sostegno, di importo superiore a 5.000 euro l’anno. Anche di tali dichiarazioni è data evidenza nel sito internet  ufficiale del Parlamento, quando sono pubblicate nel sito internet del rispettivo ente.

 

Si osserva che una disposizione parzialmente analoga è recata dal comma 3, quinto periodo, del presente articolo.

 

Un primo beneficio, non monetario, derivante dall’iscrizione nel registro nazionale è indicato dallo stesso articolo 5, comma 3, collocato al di fuori del capo dedicato ai benefici economici.

Il comma prevede la non applicabilità dell’obbligo di presentare alla Presidenza della Camera dei deputati la dichiarazione congiunta, da parte del finanziatore e del ricevente, prevista dal terzo comma dell'articolo 4 della legge n. 659 del 1981, purché le erogazioni siano effettuate con mezzi di pagamento diversi dal contante che consentano di garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identità dell'autore.

Premesso che, per tutti i pagamenti sopra i mille euro, l’art. 49 del D.Lgs. 231/2007[8], come modificato dall’art. 12 del D.L. 201/2011[9] già pone, a partire dal 1° febbraio 2012, il divieto di utilizzo contanti, va evidenziato che il comma 3 deroga, solo per i soggetti iscritti nel registro nazionale, all'articolo 4 della legge n. 659 del 1981, non solo quanto all’obbligo di dichiarazione, ma anche quanto alla soglia dell’erogazione entro la quale non vi è obbligo di dichiarazione, che, da 5.000 euro, viene portata a 100.000 euro.

Tuttavia, pur esclusa la dichiarazione congiunta, se le erogazioni superano nell'anno i 5 mila euro, i rappresentanti legali dei partiti che ne hanno beneficiato, devono trasmettere alla Presidenza della Camera, entro tre mesi dalla percezione, l'elenco degli erogatori con la relativa documentazione contabile. In mancanza, o in caso di dichiarazioni mendaci, si applica la sanzione della multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, previste per le violazioni in materia di dichiarazione congiunta ai sensi del sesto comma dell'articolo 4 della citata legge n. 659 del 1981.

Tali finanziamenti sono soggetti ad obblighi di pubblicità, attraverso la pubblicazione dei donatori e dei relativi importi sul sito internet del Parlamento, come stabilito da una modifica apportata nel corso dell’esame del Senato, in luogo del sito internet della Camera come previsto dal decreto-legge vigente (per un analogo obbligo si veda il comma 2-bis del presente articolo).

Inoltre, l’elenco di donatori ed importi deve essere pubblicato come allegato al rendiconto di esercizio nel sito internet del partito.

Il Senato ha limitato la pubblicazione dei dati ai soli soggetti che abbiano prestato il proprio consenso, ai sensi degli articoli 22, comma 12, e 23, comma 4 del codice della privacy (D.Lgs. 196/2003).

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 4 del Codice della privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003), le opinioni politiche, nonché l’adesione a partiti, associazioni od organizzazioni a carattere politico, sono dati sensibili.

 

L’articolo 22 del Codice della privacy, al comma 12, applica anche al trattamento dei dati realizzato dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica i principi enunciati in generale per il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici. Dal richiamo alla disciplina generale, si ricava che:

-    i soggetti pubblici devono operare il trattamento dei dati secondo modalità volte a prevenire violazioni dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell'interessato;

-    nel fornire l'informativa di cui all'art. 13 del Codice, i soggetti pubblici fanno espresso riferimento alla normativa che prevede gli obblighi o i compiti in base alla quale è effettuato il trattamento dei dati sensibili;

-    i dati sensibili sono raccolti, di regola, presso l'interessato;

-    in applicazione dell'art. 11 del Codice, i soggetti pubblici verificano periodicamente l'esattezza e l'aggiornamento dei dati sensibili, nonché la loro pertinenza, completezza, non eccedenza e indispensabilità rispetto alle finalità perseguite nei singoli casi, anche con riferimento ai dati che l'interessato fornisce di propria iniziativa. Al fine di assicurare che i dati siano indispensabili rispetto agli obblighi e ai compiti loro attribuiti, i soggetti pubblici valutano specificamente il rapporto tra i dati e gli adempimenti. I dati che, anche a seguito delle verifiche, risultano eccedenti o non pertinenti o non indispensabili non possono essere utilizzati, salvo che per l'eventuale conservazione, a norma di legge, dell'atto o del documento che li contiene;

-    i dati sensibili contenuti in elenchi, registri o banche di dati, tenuti con l'ausilio di strumenti elettronici, sono trattati con tecniche di cifratura o mediante l'utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che, considerato il numero e la natura dei dati trattati, li rendono temporaneamente inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettono di identificare gli interessati solo in caso di necessità.

L’articolo 23 specifica che il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato; quando il trattamento riguarda dati sensibili, il consenso deve essere manifestato in forma scritta.

In particolare, in relazione alla disposizione in commento, l’interessato dovrà aver espresso un consenso specifico alla pubblicazione on-line dei propri dati sensibili.

 

Inoltre, il Senato ha soppresso la previsione, presente nel testo vigente, del diritto di tutti i cittadini di accesso alla documentazione secondo modalità stabilite dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati.

 

La formulazione della disposizione vigente riprende quella del secondo comma dell'articolo 8 della legge n. 441 del 1982, che stabilisce disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti.

L’art. 8 prevede che tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati hanno altresì diritto di conoscere, secondo le modalità stabilite dal Presidente della Camera dei deputati, le dichiarazioni sopra menzionate, previste dal terzo comma dell'articolo 4 della 659/1981.

In merito agli obblighi di pubblicità, l’art. 8 della legge n. 2/1997, commi 11, 12 e 13, prevedeva alcuni obblighi di pubblicità.

 

In particolare:

-    il legale rappresentante o il tesoriere tenuto a pubblicare entro il 30 giugno di ogni anno, almeno su due quotidiani, di cui uno a diffusione nazionale, il rendiconto corredato da una sintesi della relazione sulla gestione e della nota integrativa;

-    il rendiconto di esercizio, corredato della relazione sulla gestione, della nota integrativa, sottoscritti dal legale rappresentante o dal tesoriere del partito o del movimento politico, della relazione dei revisori dei conti, da essi sottoscritta, nonché delle copie dei quotidiani ove è avvenuta la pubblicazione, è trasmesso dal legale rappresentante o dal tesoriere del partito o del movimento politico, entro il 31 luglio di ogni anno, al Presidente della Camera dei deputati.

-    Il rendiconto di esercizio, la relazione sulla gestione e la nota integrativa sono comunque pubblicati, a cura dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, in un supplemento speciale della Gazzetta Ufficiale.

Tali obblighi sono stati circoscritti agli esercizi precedenti il 2013 dal comma 27 dell’art. 9 della legge 96/2012 che l’art. 14 del decreto – legge in esame non abroga.

 

Quindi la tracciabilità dell’erogazione e l’individuabilità dell’erogatore sono considerate dall’art. 5, comma 3, requisiti sufficienti per una semplificazione di adempimenti connessi all’erogazione.

 

Il comma in esame introduce una disciplina derogatoria rispetto all'articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n. 659, e successive modificazioni, senza ricorrere alla tecnica della novellazione. La presenza in fonti distinte di discipline attinenti allo stesso oggetto, una che pone la disciplina generale e l’altra l’eccezione, potrebbe determinare incertezze interpretative.

 

L’ultimo periodo del comma 3 prevede che, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro due mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, sono individuate le modalità per garantire la tracciabilità delle operazioni e l'identificazione dei soggetti di cui al primo periodo del presente comma.

 

Il comma 4 estende le previsioni di cui al comma 1 (ossia obbligo di pubblicazione sul proprio sito dello statuto, dei dati su organizzazione e funzionamento, bilancio e rendiconto) anche per le fondazioni e associazioni riconducibili a partiti, qualora presentino organi direttivi composti in tutto o in parte da deliberazioni di partiti; o eroghino ai partiti, a singoli parlamentari o consiglieri regionali somme a titolo di liberalità o contribuiscano al finanziamento di loro iniziative o servizi a titolo gratuito, in misura superiore al 10 per cento dei propri proventi di esercizio.

Per le fondazioni e associazioni del primo raggruppamento (relativo dunque alla composizione degli organi direttivi), si ricorda che l'articolo 6 pone l'obbligo al partito di allegarne i bilanci al proprio.

 

L'articolo 6 prevede che ai bilanci dei partiti siano allegati i bilanci delle loro sedi regionali (o corrispondenti a più regioni come specificato dal Senato) e quelli delle fondazioni e associazioni controllate dai partiti (si tratta delle sole fondazioni e associazioni afferenti al primo raggruppamento di cui al comma 4 dell’articolo 5, ossia quelle alla cui composizione degli organi direttivi hanno parte i partiti politici). Come disposto a seguito dell'approvazione di un emendamento al Senato, l’obbligo di allegare i bilanci regionali e delle fondazioni è rinviato all'esercizio 2014.

Certificazione esterna dei rendiconti

L'articolo 7 riguarda l'obbligo per i partiti iscritti nel registro, ossia quelli che intendano usufruire dei benefici previsti dalla legge, di avvalersi di una società di revisione esterna per il controllo della gestione contabile e finanziaria. Tale obbligo, nel testo vigente valido solo per i partiti iscritti nella seconda sezione del registro, ossia per i partiti che accedono alla ripartizione del due per mille, è stato esteso dal Senato anche ai partiti iscritti nella prima sezione. Anche le articolazioni regionali dei partiti iscritti al registro che siano dotate di autonomia amministrativa e abbiano ricevuto proventi di almeno 150 mila euro, sono tenuti alla certificazione esterna, a partire (come precisato al Senato) dal 2014.

 

Nel testo vigente del decreto-legge, la ripartizione del registro nelle due sezioni – la prima relativa ai partiti politici che soddisfano i requisiti per essere ammessi al finanziamento privato in regime fiscale agevolato, la seconda relativa ai partiti politici ammessi alla ripartizione delle risorse rinvenienti dalla destinazione da parte dei contribuenti del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e all’utilizzazione di locali - è funzionale, ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge, all’individuazione dei partiti cui si applicano le disposizioni già vigenti in tema di certificazione esterna dei rendiconti contenute nei commi 1 e 2 dell'articolo 9 della legge 6 luglio 2012, n. 96. L’articolo 7, comma 1, prevede infatti l’applicazione di tali disposizioni ai partiti iscritti nella seconda sezione del registro. Tale applicazione è stata estesa dal Senato, come accennato, a tutti i partiti iscritti nel registro.

Si tratta del controllo della gestione contabile e finanziaria da parte di società di revisione che esprime, con apposita relazione, un giudizio sul rendiconto di esercizio dei partiti e dei movimenti politici secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia. A tale fine la società verifica, nel corso dell'esercizio, la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili. Controlla altresì che il rendiconto di esercizio sia conforme alle scritture e alla documentazione contabili, alle risultanze degli accertamenti eseguiti e alle norme che lo disciplinano.

Il ricorso alla società di revisione è previsto dall’articolo 9, comma 1, della legge 96/2012 per i partiti e i movimenti politici, ivi incluse le liste di candidati che non siano diretta espressione degli stessi, che abbiano conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera medesima, al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. Lo stesso articolo 9, comma 2, prevede l'obbligo di avvalersi della società di revisione in caso di partecipazione in forma aggregata ad una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati per ciascun partito e movimento politico che abbia depositato congiuntamente il contrassegno di lista.

 

Come si vedrà più avanti, i requisiti stabiliti dall’articolo 9, comma 1, della L.96/2012, che non è oggetto di abrogazione in base all’art. 14 del disegno di legge, non coincidono con quelli stabiliti dall’articolo 10 del decreto-legge per l’iscrizione nel registro nazionale, rendendo così non chiaro il contorno della platea dei soggetti destinatari dell’’obbligo di revisione e di presentazione di atti contabili .

 

Il comma 2 dell’articolo 7 estende l’obbligo di certificazione esterna anche alle articolazioni regionali dei partiti iscritti al registro a condizione che:

§  siano dotate di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile;

§  abbiano ricevuto proventi nell’anno precedente di almeno 150 mila euro.

Anche per esse, come precisato nel corso dell’esame del Senato, l’obbligo di certificazione esterna decorre dall’esercizio 2014.

Controlli e sanzioni

L’articolo 8 del decreto-legge ribadisce le funzioni di controllo della Commissione per la trasparenza e il controllo sulla regolarità e sulla conformità alla legge del rendiconto dei partiti politici e dei relativi allegati, già previste dall’art. 9 della citata legge 96/2012. Ad esse tale articolo aggiunge quelle di controllo sull'ottemperanza agli obblighi di trasparenza e pubblicità stabiliti dallo stesso decreto-legge negli articoli 4 e 5. Inoltre, viene delineato un articolato apparato sanzionatorio in caso di violazione delle prescrizioni di legge.

 

L’art. 9, commi 4-8 della legge 96/2012, per i controlli della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, prevede che, entro il 15 giugno di ogni anno, i rappresentanti legali o i tesorieri dei partiti e dei movimenti politici, che abbiano conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera medesima o al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, o che abbiano partecipato in forma aggregata ad una competizione elettorale con una lista comune di candidati e abbiano depositato congiuntamente il contrassegno di lista, sono tenuti a trasmettere alla Commissione il rendiconto e i relativi allegati previsti dall'articolo 8 della legge 2 gennaio 1997, n. 2, concernenti ciascun esercizio compreso, in tutto o in parte, nella legislatura dei predetti organi. Unitamente ai suddetti atti sono trasmessi alla Commissione la relazione contenente il giudizio espresso sul rendiconto dalla società di revisione di cui il partito si è avvalso, nonché il verbale di approvazione del rendiconto medesimo da parte del competente organo del partito o movimento politico. In caso di partecipazione in forma aggregata ad una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati, ciascun partito e movimento politico che abbia depositato congiuntamente il contrassegno di lista è soggetto agli obblighi previsti.

Nello svolgimento della propria attività, la Commissione effettua il controllo anche verificando la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione prodotta a prova delle stesse. A tal fine, entro il 15 febbraio dell'anno successivo a quello di presentazione del rendiconto, invita i partiti e i movimenti politici interessati a sanare, entro e non oltre il 31 marzo seguente, eventuali irregolarità contabili da essa riscontrate. Entro e non oltre il 30 aprile dello stesso anno la Commissione approva una relazione in cui esprime un giudizio di regolarità e di conformità alla legge. La relazione è trasmessa ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, che ne curano la pubblicazione nei siti internet delle rispettive Assemblee.

Entro e non oltre il 15 luglio di ogni anno, la Commissione trasmette ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati gli elenchi dei partiti e movimenti politici che risultino, rispettivamente, ottemperanti e inottemperanti agli obblighi stabiliti, con riferimento all'esercizio dell'anno precedente. Entro lo stesso termine i casi di inottemperanza, nonché l'inottemperanza all'obbligo di pubblicazione nei siti internet del rendiconto e dei relativi allegati, sono contestati dalla Commissione ai partiti e movimenti politici interessati.

I rendiconti e i relativi allegati sono soggetti alle prescrizioni dell’art. 8 della legge n.2/1997. Tale legge, negli allegati A e B, reca, rispettivamente, il modello di redazione del rendiconto e quello dell’allegata relazione del legale rappresentante o del tesoriere sulla situazione economico-patrimoniale del partito o del movimento e sull'andamento della gestione nel suo complesso. Il rendiconto deve essere, altresì, corredato di una nota integrativa secondo il modello di cui all'allegato C della stessa legge e ad esso devono, inoltre, essere allegati i bilanci relativi alle imprese partecipate anche per tramite di società fiduciarie o per interposta persona, nonché, relativamente alle società editrici di giornali o periodici, ogni altra documentazione eventualmente prescritta dal Garante per la radiodiffusione e l'editoria. Specifici obblighi sono stabiliti per il rappresentante legale o il tesoriere che deve: tenere il libro giornale e il libro degli inventari; conservare ordinatamente, in originale o in copia, per almeno cinque anni, tutta la documentazione che abbia natura o comunque rilevanza amministrativa e contabile. I libri contabili tenuti dai partiti e dai movimenti politici, prima di essere messi in uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio da un notaio. Il notaio deve dichiarare nell'ultima pagina del libro il numero dei fogli che lo compongono. Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni compiute. L'inventario deve essere redatto al 31 dicembre di ogni anno, e deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività. L'inventario si chiude con il rendiconto e deve essere sottoscritto dal rappresentante legale o dal tesoriere del partito o movimento politico entro tre mesi dalla presentazione del rendiconto agli organi statutariamente competenti. Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità, senza parti in bianco, interlinee e trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili. Per le donazioni di qualsiasi importo è annotata l'identità dell'erogante.

 

Il comma 1, secondo periodo, dell’articolo 8 in esame prevede che, nell'ambito del controllo, la Commissione invita i partiti a sanare non solo eventuali inottemperanze, ma anche eventuali irregolarità. Non sono attribuiti poteri ispettivi alla Commissione e si rinvia agli stessi presupposti e alla stessa scansione temporale e procedimentale del controllo previsti dall’art. 9 della legge 96/2012, citando espressamente i commi 4, 5, 6 e 7 di tale articolo anche per il termine entro il quale inottemperanze o irregolarità devono essere sanate.

 

In merito si fa presente, in primo luogo, che il comma 7 dell’art. 9 della legge 96/2012 richiama a sua volta il  comma 20 dell’articolo 9 che, invece, l’art. 14, comma 4, lett. f), del decreto-legge in esame ha abrogato. Il rinvio al comma 20, nel quale è indicato il termine del 10 luglio, assume rilievo ai fini del termine per la sanatoria: venuto meno per effetto dell’abrogazione non vi sarebbe alcun termine entro il quale i partiti e i movimenti politici dovrebbero sanare.

In secondo luogo va sottolineato, come già sopra evidenziato, che i presupposti del controllo ex art. 9 comma 4 della L. 96/2012 non coincidono con quelli stabiliti dall’articolo 10 del decreto-legge.

 

Per effetto del rinvio ai commi 4, 5, 6 e 7 dell’art. 9 della legge 96/2012, la Commissione, alla quale sono trasmessi la relazione con il giudizio sul rendiconto della società di revisione e il verbale di approvazione del rendiconto medesimo da parte del competente organo del partito o movimento politico, effettua:

§  il controllo di regolarità e di conformità alla legge del rendiconto;

§  la verifica della conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione prodotta a prova delle stesse.

 

Secondo la legislazione previgente, seguendo la scansione del procedimento previsto dai citati commi da 4 a 7 dell’art. 9 della legge 96/2012, si arriva, in caso di inottemperanza, alle conseguenze previste dal comma 8 del citato articolo: il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati sospendono, per i fondi di rispettiva competenza, l'erogazione dei rimborsi e dei contributi spettanti ai partiti e ai movimenti politici che risultino inottemperanti e, se l'inottemperanza non è sanata entro il successivo 31 ottobre, la Commissione applica al partito o al movimento politico la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal comma 9, cioè la decurtazione dell'intero importo ad essi attribuito per l'anno in corso a titolo di rimborso per le spese elettorali e di contributo per il cofinanziamento.

Tali conseguenze vengono meno nel decreto- legge in esame, perché l’art. 14, comma 4, lett. f), dispone l’abrogazione, fra gli altri, dei commi 8 e 9, in considerazione del fatto che sono aboliti rimborsi e contributi, e mantiene l’istituto della sanzione della decurtazione dei contributi applicandolo al 2 per mille. Non viene invece mantenuto l’istituto della sospensione.

Va notato che l’abrogato art. 8, comma 17, della legge 2/1997 prevedeva, in caso di inottemperanza agli obblighi di cui al presente articolo o di irregolare redazione del rendiconto, che il Presidente della Camera dei deputati ne desse comunicazione al Ministro del tesoro che, sino alla regolarizzazione, sospendeva dalla ripartizione del fondo previsto dalla stessa legge i partiti e movimenti politici inadempienti.

Il previgente apparato sanzionatorio è sostituito dalle disposizioni dell’articolo 8, commi 2 e seguenti.

In particolare, il comma 2, sanziona l’inottemperanza alle disposizioni di cui al precedente articolo 7, in tema di società di revisione e di obbligo di presentare il rendiconto e i relativi allegati o il verbale di approvazione del rendiconto da parte del competente organo interno, con la cancellazione del partito politico dalla seconda sezione del registro. Nel corso dell’esame del Senato la sanzione è stata aggravata prevedendo la cancellazione da entrambe le sezioni del registro, impedendo la fruizione anche del finanziamento privato agevolato.

La fase che si apre con l’accertamento dell’inottemperanza è procedimentalizzata come segue: il partito può sanare l'inottemperanza entro il successivo 31 ottobre; in mancanza di sanatoria, la Commissione dispone, per il periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data della contestazione dispone la cancellazione dal registro.

L’inottemperanza produce effetti anche su coloro che svolgono le funzioni di tesoriere del partito, o esercitano “funzioni analoghe”: essi perdono la legittimazione a sottoscrivere i rendiconti relativi agli esercizi dei cinque anni successivi (comma 11).

 

Si osserva che la sanzione non sembra impedire la fruizione del 2 per mille dei due esercizi precedenti a quello in cui è disposta la cancellazione, per effetto della scansione temporale sopra ricordata della fase di controllo dei rendiconti e della relazione di revisione, in quanto essa è procedimentalizzata a decorrere dal 15 giugno dell’anno successivo all’esercizio contabile di riferimento (art. 9, comma 4, della legge 96/2012).

 

I commi successivi provvedono a sanzionare altre violazioni di legge, attraverso la decurtazione delle somme del due per mille come segue:

§  per redazione del bilancio in difformità da quanto indicato dall’articolo 8 della legge n. 2 del 1997 (circa la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari; la conservazione per almeno cinque anni di tutta la documentazione di rilevanza amministrativa e contabile; di indicazione e valutazione delle attività e passività; di rendicontazione nel rispetto delle norme di ordinata contabilità; di annotazione dell'identità di qualsiasi donatore) o per mancata pubblicazione nel sito internet del partito: decurtazione di un terzo della complessiva quota annuale del due per mille spettante (comma 3);

§  omissione di dati nel rendiconto di esercizio ovvero difformità di dati rispetto alle scritture e alla documentazione contabili: decurtazione dell'importo non dichiarato o difforme dal vero, sino al limite di un terzo, dalla complessiva quota annuale del due per mille spettante (comma 4, primo periodo);

§  difformità di voci del rendiconto rispetto all'allegato A della legge n. 2 del 1997, il quale reca il modello di redazione del rendiconto di esercizio: decurtazione fino a un ventesimo della complessiva quota annuale del due per mille spettante (comma 4, secondo periodo);

§  omissione o indicazione non corretta o non veritiera delle informazioni rese dalla relazione sulla situazione economico-patrimoniale e sull'andamento della gestione (è l'allegato B della legge n. 2 del 1997) o della nota integrativa (circa la valutazione e composizione delle voci del rendiconto; la partecipazione in imprese; su crediti e debiti, ratei e risconti, oneri finanziari, impegni non risultanti dalla stato patrimoniale proventi e oneri straordinari, numero di dipendenti per categoria: è l'allegato C della legge n. 2 del 1997): decurtazione fino a un ventesimo delle somme a valere sul due per mille, nel limite di un terzo di tale importo (comma 5).

 

La legge n. 96 del 2013 prevedeva una ulteriore sanzione - pari a un ventesimo del contributo complessivo annuale - per il partito che non avesse destinato "almeno il 5 per cento dei rimborsi elettorali ricevuti ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica". Tale disposizione è ora soppressa dal decreto-legge, in quanto sostituita dalle previsioni specifiche recate dall’articolo 9 (v. infra).

 

La Commissione gradua le sanzioni motivatamente, secondo la gravità delle irregolarità ravvisate e in ogni caso le sanzioni non possono superare nel complesso i due terzi delle somme spettanti ai sensi del’articolo 12 (comma 6).

Le sanzioni sono notificate al partito (com'era già previsto dall'articolo 9, comma 17 della legge n. 96). Sono inoltre comunicate al Ministero dell'economia, affinché apporti la corrispettiva riduzione della quota complessiva spettante al partito sul due per mille. Così il comma 10, che inoltre prevede che la riduzione incida per il periodo di imposta corrispondente all'esercizio rendicontato cui si riferisce la violazione. Non è ripresa la disposizione della legge n. 96 (articolo 9, comma 16, che figura tra le disposizioni abrogate dal decreto-legge) secondo cui le sanzioni valgono per il singolo partito inadempiente, in caso di lista congiunta.

Qualora il partito già abbia ricevuto tutti i contributi spettanti come due per mille e non abbia diritto a percepirne di nuovi, la Commissione gli applica direttamente la sanzione amministrativa - fino ai due terzi dell'ultima annualità di contribuzione ricevuta in quota due per mille (comma 7). Esso mira a non esentare dalla sanzione un partito già percettore di contributi che non si presenti (ad esempio perché discioltosi) alle elezioni - posto che presupposto delle sanzioni è la partecipazione alla competizione elettorale (nonché il conseguimento di un eletto in una delle tre elezioni, tra politiche e parlamentare europea).

Il comma 8 prevede l’applicazione, ai fini sanzionatori, delle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative contenute nella legge n. 689 del 1981, in particolare nel suo capo I ("Sanzioni amministrative"). Non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta o rateizzato (di cui agli articoli 16 e 26 della legge del 1981).

L'obbligo di rendicontazione e sottoposizione al controllo della Commissione è previsto non solamente per i partiti che fruiscano delle agevolazioni fiscali definite dal decreto-legge (detrazioni fiscali delle erogazioni liberali ricevute e due per mille) ma anche per quelli che ne abbiano fruito nel passato. Tale obbligo permane fino allo scioglimento degli stessi e, comunque, non oltre il terzo esercizio successivo a quello di percezione dell’ultima rata dei rimborsi elettorali (comma 9).

Tale disposizione ribadisce quanto previsto dalla legge n. 96 del 2012, articolo 9, comma 21, che è volto ad assicurare la trasparenza dei bilanci dei cosiddetti “partiti fantasma”, ossia di quei partiti che hanno ricevuto in passato i contributi elettorali e che poi, pur continuando ad amministrare i proventi di tali contributi, non presentandosi più alle elezioni, sarebbero stati sottratti all’obbligo di presentazione del rendiconto secondo la previgente disciplina, che connetteva l'obbligo all'erogazione, e quindi cessata questa, sarebbe venuto meno anche l'obbligo di presentazione del bilancio.

Infine, il comma 12 stabilisce l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 8 in esame a decorrere dall’anno 2014.

 

Si ricorda infine che il citato Rapporto GRECO[10] contiene un’espressa raccomandazione di rivedere le attuali sanzioni amministrative e penali relative a violazioni delle norme in materia di finanziamento della politica al fine di garantire che siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

Parità di accesso alle cariche elettive

L'articolo 9 dispone in ordine alla parità di genere per l'accesso alle cariche elettive, prevedendo la riduzione delle risorse loro spettanti per i partiti che presentino nelle elezioni politiche ed europee meno del 40 per cento di candidati di uno dei due sessi. In particolare, la misura della riduzione è pari allo 0,5% per ogni punto percentuale al di sotto del 40 per cento, fino al limite massimo del 10% (comma 2).

 

In secondo luogo, la disposizione vincola i partiti a destinare almeno il 10% delle risorse loro spettanti in iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica. Qualora tale soglia non venga garantita, viene applicata dalla Commissione una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad un quinto delle somme spettanti ai partiti a seguito della destinazione del 2 per mille. La sanzione è stata così aumentata nel corso dell'esame del Senato, mentre nel testo del decreto-legge vigente è pari ad un ventesimo (comma 3).

 

Le risorse eventualmente reperite a seguito delle sanzioni di cui sopra confluiscono, a decorrere dal 2014, in un fondo di nuova istituzione (comma 4) e sono distribuite, con cadenza annuale, tra i partiti per i quali la percentuale di eletti del sesso meno rappresentato in ciascuna elezione sia pari o superiore al 40 per cento. Il riparto avviene in misura proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito nell’elezione di riferimento (comma 5). Con una modifica introdotta nel corso dell’esame del provvedimento in Senato, si è precisato che partecipano al riparto solo i partiti iscritti nella seconda sezione del registro di cui all’articolo 4 (alla cui scheda di lettura si fa rinvio).

 

Ai fini dell’applicazione della disposizione, si considerano gli eletti dopo l’esercizio delle opzioni, ove previste dalla normativa elettorale vigente.

 

La disciplina così introdotta sostituisce integralmente quella già prevista dall’ordinamento che viene conseguentemente abrogata dal decreto in esame (art. 14, co. 4, lett. e) e f)).

Il riferimento è a quanto già previsto dalla legge 6 luglio 2012, n. 96, in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici, che prevede che i contributi pubblici spettanti a ciascun partito o movimento politico siano diminuiti del 5 per cento qualora il partito o il movimento politico abbia presentato nel complesso dei candidati ad esso riconducibili per l'elezione dell'assemblea di riferimento un numero di candidati del medesimo genere superiore ai due terzi del totale, con arrotondamento all'unità superiore (art. 1, comma 7). La norma era destinata ad avere applicazione nelle elezioni politiche nazionali, nelle elezioni europee e nelle elezioni regionali.

Un’ulteriore disposizione vincolava i partiti e i movimenti politici a destinare una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi ricevuti ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica, a tal fine introducendo una apposita voce all'interno del rendiconto (L. 157/1999, art. 3). In caso di inosservanza dell’obbligo, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari a un ventesimo dell'importo ad essi complessivamente attribuito per l'anno in corso a titolo di rimborso per le spese elettorali e di contributo per il cofinanziamento (L. 96/2012, art. 9, comma 13).

 

L’ordinamento italiano, sia a livello nazionale che a livello regionale, prevede ulteriori norme finalizzate alla promozione della partecipazione delle donne alla politica e dell’accesso alle cariche elettive, emanate in attuazione degli articoli 51, secondo comma, e 117, settimo comma, Cost.

A livello di legge elettorale nazionale, non si rinvengono specifiche disposizioni, ad eccezione di una norma di principio, contenuta della legge elettorale del Senato, secondo cui il sistema elettorale deve favorire “l’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini” (D.Lgs. n. 533/1993, art. 2).

Per le elezioni del Parlamento europeo, l’art. 56 del codice delle pari opportunità (d.lgs. n. 198/2006), che riprende una disposizione della legge elettorale europea del 2004, prevede che nell’insieme delle liste di candidati presentate da ciascun partito, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati. In caso di mancato rispetto si applica una riduzione dei rimborsi elettorali, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito; la riduzione non può superare la metà del rimborso elettorale.

Sono, comunque, inammissibili le liste che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i sessi.

Un elemento peculiare è la previsione di un meccanismo premiale per i partiti che eleggono candidati di entrambi i sessi: le somme decurtate sono destinate ai partiti che hanno eletto – e non semplicemente candidato - più di un terzo dei candidati di entrambi i sessi.

La disposizione per l’elezione del Parlamento europeo ha tuttavia natura transitoria e si applica solo per le prime 2 elezioni del Parlamento europeo successive alla legge elettorale del 2004 (elezioni del 2004 e del 2009).

Le disposizioni per favorire la partecipazione femminile per le elezioni europee non troveranno pertanto applicazione alle prossime elezioni europee, che si svolgeranno il prossimo 25 maggio 2014. Avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina prevista dalla legge n. 96/2012 sul finanziamento ai partiti, abrogata e sostituita da quella del decreto-legge in esame (v. supra).

Si segnala, inoltre, che è attualmente all’esame della 1ª Commissione Affari costituzionali del Senato un progetto di legge volto a introdurre un meccanismo di riequilibrio di genere nel sistema di elezione dei parlamentari italiani al Parlamento europeo, attraverso modifiche alla L. 24 gennaio 1979, n. 18. La Commissione ha approvato un testo unificato che prevede una quota di lista per cui in ciascuna lista i candidati dello stesso sesso non possono eccedere la metà, nonché la c.d. tripla preferenza di genere.

 

Si ricorda inoltre l’approvazione della legge 23 novembre 2012, n. 215, recante disposizioni promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali.

Per l’elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale della Regione Campania, contempla una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:

- la previsione della cd. quota di lista: nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi;

- l’introduzione della cd. doppia preferenza di genere, che consente all’elettore di esprimere due preferenze (anziché una, come previsto dalla normativa previgente) purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. Resta comunque ferma la possibilità di esprimere una singola preferenza.

In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, è peraltro previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato, a seconda che la popolazione superi o meno i 15.000 abitanti, che di fatto rende la quota effettivamente vincolante solo nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dall’ultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque, decade.

Nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovrarappresentato partendo dall’ultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. Ne deriva che l’impossibilità di rispettare la quota non comporta la decadenza della lista.

Per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Tale disposizione ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, nei quali non si applica la quota di lista.

La disposizione sulla presenza di entrambi i sessi nelle liste risulta peraltro priva di sanzione.

Le disposizioni per l’elezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti volte a garantire la parità di accesso di donne e uomini alle cariche elettive si applicano anche alle elezioni dei consigli circoscrizionali, secondo le disposizioni dei relativi statuti comunali.

La legge nulla dispone in ordine ai consigli provinciali, in quanto il sistema elettorale per questi organi, che dovrebbero divenire di secondo grado (eletti dai consiglieri comunali), è ancora in via di definizione.

Viene inoltre modificata la norma che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità.

In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per “garantire”, e non più semplicemente “promuovere”, la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.

Gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri statuti e regolamenti alle nuove disposizioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (ossia entro il 26 giugno 2013).

Per le elezioni regionali, la cui disciplina è rimessa alle leggi regionali, è introdotto il principio della promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive.

In realtà il principio già esiste a livello costituzionale (art. 117, settimo comma, Cost.), ma, trattandosi di una materia rimessa alle regioni, alla legge statale è consentito intervenire solo per le determinazione dei principi fondamentali.

Modificando la legge sulla parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (cd. legge sulla par condicio), la legge n. 215/2012 sancisce infine il principio secondo cui i mezzi di informazione, nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione.

Si ricorda infine che, dopo la modifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione, che ha dato avvio al processo di elaborazione di nuovi statuti regionali e di leggi per l’elezione dei consigli nelle regioni a statuto ordinario, tutte le regioni che hanno adottato norme in materia elettorale hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell’art. 117, settimo comma, Cost.

 

 

 

 


Disciplina delle contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta

Partiti ammessi

I commi 1 e 2 dell’articolo 10 definiscono i criteri per l’accesso dei partiti iscritti nel registro alla contribuzione volontaria in regime fiscale agevolato e al beneficio del 2 per mille.

Il Senato ha significativamente modificato il comma 1 (all’alinea), con l’introduzione di una condizione di esclusione dall’ammissione alla contribuzione agevolata e al 2 per mille per i partiti “che non hanno più una rappresentanza in Parlamento”. In tal modo si è profondamente inciso il contenuto dell’impianto del testo originario del decreto-legge (corrispondente a quello approvato dalla Camera), rimasto, da un punto di vista formale, invariato (nelle lettere a) e b)).

In base alla formulazione testuale della lettera a), per l’accesso dei partiti iscritti nel registro al finanziamento privato in regime fiscale agevolato di cui all’articolo 11 (detrazioni fiscali, su cui vedi oltre) è richiesto che:

§  i partiti abbiano ottenuto nell’ultima consultazione elettorale almeno un candidato eletto alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o delle province autonome;

§  in mancanza di eletti, è sufficiente aver presentato candidati in almeno 3 circoscrizioni per le elezioni della Camera o in 3 regioni per le elezioni del Senato o “in un consiglio regionale o delle province autonome” o 1 circoscrizione per le europee.

La lettera b) prevede requisiti più restrittivi per l’accesso al beneficio del 2 per mille (art. 12), cui sono ammessi solo i partiti iscritti nel registro che hanno almeno un candidato eletto alle elezioni della Camera, del Senato o del Parlamento europeo; sono invece escluse le elezioni regionali e non è sufficiente la semplice presentazione di candidati.

 

La formulazione dell’alinea del comma 1, che si riferisce a “partiti politici iscritti nel registro”, sembra indicare un’interpretazione diacronica delle condizioni di fruizione dei benefici previsti dal provvedimento, nel senso che esse possono sussistere o venir meno nel tempo, purché vi siano le condizioni di iscrizione nel registro previste dall’art. 4.

 

Il comma 2, anch’esso modificato dal Senato, prevede ulteriori criteri per l’ammissione alla contribuzione volontaria in regime fiscale agevolato e al beneficio del 2 per mille. In particolare possono essere ammessi i partiti politici iscritti al registro:

§  cui dichiari di fare riferimento un gruppo parlamentare costituito in almeno una delle Camere ovvero una singola componente interna al Gruppo misto (il testo originario del decreto-legge richiedeva invece la costituzione in gruppo parlamentare in entrambe le Camera e non richiamava le componenti del gruppo misto).

Secondo il regolamento della Camera (art. 14, comma 5), i deputati appartenenti al Gruppo misto possono chiedere al Presidente della Camera di formare componenti politiche in seno ad esso, a condizione che ciascuna consista di almeno dieci deputati. Possono essere altresì formate componenti di consistenza inferiore, purché vi aderiscano deputati, in numero non minore di tre, i quali rappresentino un partito o movimento politico, la cui esistenza, alla data delle elezioni della Camera, risulti in forza di elementi certi e inequivoci, e che abbia presentato, anche congiuntamente con altri, liste di candidati. Un'unica componente politica all'interno del Gruppo misto può essere altresì costituita da deputati, in numero non inferiore a tre, appartenenti a minoranze linguistiche tutelate dalla Costituzione, eletti in liste che di esse siano espressione.

§  che abbiano depositato congiuntamente il contrassegno elettorale e partecipato in forma aggregata a una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati o di candidati comuni alle elezioni del Senato, della Camera o del Parlamento europeo, riportando almeno un candidato eletto, sempre che si tratti di partiti politici iscritti nel registro prima del deposito del contrassegno (nel testo originario del decreto, era altresì sufficiente avere presentato liste comuni per l’elezione di un consiglio regionale o delle province autonome).

 

Si ricorda che, a legislazione vigente per accedere ai rimborsi elettorali è necessario avere almeno un candidato eletto. Questo criterio comune è stato introdotto dalla legge n. 96 del 2012 (art. 6 abrogato dal ddl in esame) che ha unificato i differenti requisiti previgenti. Per quanto riguarda il cofinanziamento pubblico/privato, la stessa legge n, 96, che ha introdotto tale tipo di agevolazione, ha prescritto, in mancanza di candidati eletti, il raggiungimento di almeno il 2 per cento dei voti validi.

Come già rilevato, occorre tenere presente che i requisiti stabiliti dall’articolo 9, comma 1, della L.96/2012, che non è oggetto di abrogazione in base all’art. 14 del disegno di legge, non coincidono con quelli stabiliti dall’articolo 10 del decreto-legge per l’iscrizione nel registro nazionale. Pur essendo previste differenti misure dalla legge 96/2012 da un lato e dal provvedimento in esame dall’altro, la diversità dei requisiti, rende non chiaro il contorno della platea dei soggetti destinatari del regime in esame.

L’accesso ai benefici è subordinato, come già previsto dall’art. 3 della legge 96/2012, alla presentazione di una richiesta formale da parte del partito (commi 2-4).

Le modalità di presentazione della richiesta, nel testo modificato dal Senato, sono le seguenti:

§  il termine per presentare la richiesta è il 30 novembre dell’anno precedente a quello per cui è richiesto l’accesso ai benefici (secondo la normativa previgente il termine è di 30 giorni dalle elezioni);

§  la richiesta è presentata dal rappresentante legale o dal tesoriere del partito alla Commissione di garanzia (in luogo dei Presidenti di Camera e Senato);

§  alla richiesta deve essere allegata una dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti, cui si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (DPR 28 dicembre 2000, n. 445) che stabilisce la sanzione penale per chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal medesimo testo unico;

§   la Commissione di garanzia entro 30 giorni accoglie o respinge la richiesta, con atto scritto motivato (attualmente non è prevista la possibilità di respingere la richiesta);

§  all’esito positivo del’esame della richiesta consegue l’iscrizione del partito politico in una o entrambe le sezioni del registro di cui all’articolo 4;

§  entro dieci giorni dall’iscrizione, la Commissione trasmette l’elenco dei partiti iscritti all’Agenzia delle entrate ai fini della compilazione della scheda per la destinazione del 2 per mille (v. art. 12).

La specifica disciplina delle modalità di presentazione della richiesta e di trasmissione della documentazione relativa alla sussistenza dei requisiti richiesti è demandata alla Commissione di garanzia (comma 6).

In via transitoria, per il 2014, il termine per la presentazione della domanda di accesso ai benefici è fissato al decimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e la Commissione provvede all’iscrizione in una o entrambe le sezioni del registro entro i successivi dieci giorni, previa verifica dei requisiti di cui ai commi 1 e 2.

 

Il commi da 7 a 12 introducono limiti al finanziamento privato dei partiti politici.

Per le persone fisiche è introdotto il limite massimo annuo complessivo di 100.000 euro. Il limite si riferisce sia alle erogazioni liberali in denaro che ai contributi in beni e servizi erogati in qualsiasi modalità; sono esclusi unicamente i lasciti mortis causa (comma 7).

Il limite è riferito ad un singolo partito politico; sono dunque ammesse erogazioni in favore di più partiti politici, purché ciascuna non superi il limite di 100.000 euro.

 

Rispetto al testo originario del decreto-legge (a sua volta corrispondente al testo del disegno di legge approvato in prima lettura dalla Camera), il limite massimo è stato ridotto da 300.000 a 100.000 euro, è stato soppresso il limite ulteriore commisurato ai proventi del partito (5 per cento) ed è stata eliminata la disciplina transitoria. Quest’ultima riguardava gli anni 2014, 2015 e 2016, anni in cui il limite massimo era anche in questo caso commisurato ai proventi del partito, rispettivamente nella misura del 15, del 10 e del 5 per cento.

 

Anche per i soggetti diversi dalle persone fisiche, il limite massimo annuo per le erogazioni liberali in denaro e i contributi in beni e servizi è pari a euro 100.000 (nel testo originario del decreto il limite era di 200.000 euro) (comma 8).

A differenza di quanto previsto per le persone fisiche, in tal caso il limite riguarda genericamente i partiti politici e non è riferito al singolo partito politico. Il limite sembrerebbe dunque da intendersi come un limite complessivo, riguardante tutte le erogazioni effettuate, anche se relative a partiti politici diversi.

Il limite non si applica ai trasferimenti di natura patrimoniale effettuati tra partiti o movimenti politici.

I criteri per l’applicazione del limite a gruppi di società o a società controllate o collegate (ex art. 2359 c.c.[11]) sono definiti con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari, da emanare entro 60 giorni dalla conversione del decreto.

 

I limiti ai finanziamenti da parte di persone fisiche o altri soggetti si applicano anche in caso di pagamenti effettuati in adempimento di obbligazione connesse a fideiussioni o ad altre forme di garanzie reali o personali concesse in favore di partiti politici (comma 9, primo periodo).

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato previsto (comma 7-bis) che le erogazioni liberali sono consentite a condizione che il versamento delle somme sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o secondo ulteriori modalità idonee a garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identificazione soggettiva e reddituale del suo autore e a consentire all'amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, che possono essere stabilite con regolamento da emanare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

 

Circa la decorrenza dei nuovi limiti, essi si applicano alle erogazioni effettuate successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge, cioè dopo il 28 dicembre 2013. Essi non si applicano peraltro alle fideiussioni e alle altre forme di garanzia reale o personale concesse prima dell’entrata in vigore del decreto, sino alla scadenza e nel limite degli obblighi risultanti alla data dell’entrata in vigore medesima (comma 10).

 

Sul piano sanzionatorio, chiunque corrisponda o riceva erogazioni o contributi in violazione dei limiti previsti è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio di quanto corrisposto o ricevuto in eccedenza. La sanzione è irrogata dalla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo del rendiconto dei partiti politici (comma 12).

Il partito che non ottempera alla sanzione non può accedere al beneficio del 2 per mille per un periodo di tre anni dall’irrogazione della sanzione. In tal caso il partito sembrerebbe liberato dall’obbligo di pagare la sanzione pecuniaria. Si valuti l’opportunità di un chiarimento al riguardo.

Resta ferma la disciplina penale sul finanziamento illecito ai partiti di cui all’art. 7 della legge n. 195 del 1974.

 

Ai sensi dell’art. 7 L. 195/1974, sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di società controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. Il divieto si applica anche alle società con partecipazione di capitale pubblico pari o inferiore al 20 per cento, nonché alle società controllate da queste ultime, ove tale partecipazione assicuri comunque al soggetto pubblico il controllo della società (primo comma).

Sono vietati altresì i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma diretta o indiretta, da parte di società non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dall'organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge (secondo comma).

Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle società di cui al secondo comma, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, è punito, per ciò solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge (terzo comma).

 

Una disciplina sanzionatoria speciale, meno rigorosa, riguarda la violazione dei limiti in caso di concessione di fideiussioni o altre garanzie reali o personali (comma 9, secondo e terzo periodo). In tal caso:

§  al soggetto che abbia erogato importi eccedenti i limiti annuali è fatto divieto di corrispondere, negli esercizi successivi, contributi in denaro, beni o servizi in favore dello stesso partito politico “fino a concorrenza di quanto versato in eccedenza” e di concedere allo stesso partito ulteriori garanzie reali o personali.

L’espressione “fino a concorrenza di quanto versato in eccedenza” appare incongrua. Il riferimento generico agli “esercizi successivi” sembra inoltre rendere il divieto illimitato nel tempo.

Sembrerebbero infine restare comunque ferme le garanzie reali o personali già prestate, anche quando abbiano comportato la violazione del limite.

§  al partito che abbia ricevuto importi eccedenti i limiti si applica, per ciascuna annualità, un riduzione delle risorse eventualmente spettanti sulla base della disciplina del 2 per mille, fino a concorrenza dell’importo eccedente.

A differenza di quanto previsto per le altre sanzioni per la violazione dei limiti, in caso di fideiussione o concessione di altre garanzie non viene specificato che resta ferma la disciplina penale sul finanziamento illecito ai partiti.

Si valuti l’opportunità di un chiarimento al riguardo.

 

Detrazioni per le erogazioni liberali

L'articolo 11 modifica il regime vigente in materia di detrazioni fiscali per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti politici.

 

La detrazione spetta alle erogazioni liberali effettuate, a partire dal 2014, ai partiti iscritti nella prima sezione del registro di cui all'articolo 4 e, come aggiunto dal Senato, anche alle erogazioni effettuate ai partiti e alle associazioni promotrici dei partiti, prima della loro iscrizione nel suddetto registro, purché essi risultino iscritti entro la fine dell'esercizio (comma 1).

 

Per quanto riguarda le persone fisiche, secondo le modifiche introdotte al Senato, le erogazioni liberali da 30 a 30.000 euro usufruiscono della detrazione del 26%, in luogo del 37% previsto nel testo originario del decreto-legge, che prevedeva un secondo scaglione (soppresso dal Senato), per gli importi da 20.000 a 70.000 euro, con una detrazione del 26% (comma 2).

 

Il Senato ha altresì soppresso la detrazione, per un importo pari al 52%, delle quote di iscrizione a scuole o corsi di formazione politica, previsti in appositi piani di formazione politica preventivamente presentati dai partiti, per un importo massimo di 500 euro per ciascuna annualità (ex commi 3, 4 e 5 ora soppressi).

 

Inoltre, con una modifica introdotta al Senato, si prevede la detraibilità a decorrere dall'anno di imposta 2007 delle erogazioni in denaro a favore di partiti effettuate esclusivamente tramite bonifico bancario o postale tracciabili (nuovo comma 4-bis). A tal fine la norma reca un rinvio all’articolo 15, comma 1-bis, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

 

Il predetto comma 1-bis, modificato dall’articolo 7, comma 1, della legge n. 96 del 2012, stabilisce che dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 24 per cento, per l'anno 2013, e al 26 per cento, a decorrere dall'anno 2014, delle erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti e dei movimenti politici che abbiano presentato liste o candidature elettorali alle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica o dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, oppure che abbiano almeno un rappresentante eletto a un consiglio regionale o ai consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, per importi compresi fra 50 e 10.000 euro annui, a condizione che siano effettuate mediante versamento bancario o postale.

La precedente formulazione (cioè quella in vigore dal 2007 al 2012) prevedeva una detrazione pari al 19 per cento per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti e movimenti politici per importi compresi tra 100.000 e 200 milioni di lire effettuate mediante versamento bancario o postale.

 

Si segnala, al riguardo, che l’articolo 14, comma 5, del decreto legge abroga il predetto comma 1-bis. Occorrerebbe pertanto operare un coordinamento tra le norme in commento.

 

Le società (comma 6) possono detrarre dalle imposte sui redditi un importo pari al 26% delle erogazioni liberali per gli importi tra 30 e 30.000 euro (così ridotti dal Senato). Il testo originario del decreto legge prevedeva un importo minimo detraibile pari a 50 euro e un importo massimo pari a 100.000 euro.

 

Ai sensi dell’articolo 73, comma 1, lettera a) del Tuir, richiamato dalla norma in commento, sono soggetti all'imposta sul reddito delle società le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee e le società cooperative europee residenti nel territorio dello Stato.

 

Sono escluse dall’agevolazione le seguenti tre tipologie di enti:

§  enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica;

§  gli enti i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, ovvero le società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente, i predetti soggetti, ovvero ne siano controllati o siano controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi;

§  per effetto delle modifiche introdotte al Senato, anche le società concessionarie dello Stato o di enti pubblici, limitatamente alla durata del rapporto di concessione.

 

I versamenti detraibili (comma 7) devono essere eseguiti mediante modalità idonee a garantire la tracciabilità dell'operazione e l'identificabilità dell'autore e a consentire all'amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli.

Le norme prevedono che tali modalità possano essere stabilite con regolamento, da emanare mediante decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

E' stata soppressa dal Senato la disposizione (comma 8) che poneva un limite, pari allo 0,15% dell'importo trasferito, all’ammontare delle commissioni bancarie gravanti sulle erogazioni liberali ai partiti effettuate con carte di credito e carte di debito.

 

L'onere derivante dal minor gettito dovuto alle detrazioni è valutato in 27,4 milioni per il 2015 e in 15,65 milioni dal 2016 (comma 9).

 

La copertura è garantita dai risparmi di spesa disponibili con l'abrogazione graduale dei contributi ai partiti politici disposta dall'articolo 14.

 

Si rammenta che l’articolo 14, comma 1, lettera b) dispone una riduzione progressiva del finanziamento: nel primo, nel secondo e nel terzo esercizio successivi a quello in corso al 28 dicembre 2013 (data di entrata in vigore del decreto in esame), il finanziamento è ridotto nella misura, rispettivamente, del 25, del 50 e del 75 per cento dell'importo spettante. Il comma 2 dell’articolo 14 prevede che il finanziamento cessi a partire dal quarto esercizio finanziario successivo a quello in corso al 28 dicembre 2013.

Considerata l’entrata in vigore del decreto-legge nel 2013, i partiti continuano a beneficiare del finanziamento pubblico fino al 2016 nelle seguenti misure:

§  2013: integralmente;

§  2014: riduzione del 25%;

§  2015: riduzione del 50%;

§  2016: riduzione del 75%.

 

In caso di insufficienza delle predette risorse, rilevata all’esito di apposito monitoraggio dell’erario, le norme dispongono la riduzione del tetto massimo delle risorse destinate alla devoluzione del 2 per mille IRPEF ai partiti politici (disciplinato all’articolo 12 del provvedimento in esame).

Viceversa, ove l’onere risulti inferiore, la differenza positiva andrà ad integrare le risorse destinate al 2 per mille.

 

Più in dettaglio, si affida (comma 10) all'Agenzia delle entrate il compito di monitorare le minori entrate derivanti dalle agevolazioni in esame, con obbligo di riferire in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso vi siano scostamenti rispetto alle previsioni - e fatta salva l'adozione di provvedimenti correttivi - il MEF provvede con decreto alla corrispondente riduzione delle risorse destinate al 2 per mille (iscritte nell’apposito fondo di cui all'articolo 12, comma 4), mediante corrispondente rideterminazione della quota del due per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da destinare a favore dei partiti politici.

Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle opportune misure.

 

Ove, invece, dal monitoraggio risulti un onere inferiore rispetto alle previsioni di legge, si provvederà a integrare le risorse al comma 9, le risorse di cui all'articolo 12, comma 4, sono integrate di un importo corrispondente alla differenza tra l'onere indicato al comma 9 e quello effettivamente sostenuto per le finalità di cui al presente articolo, come accertato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (comma 11).

 

Nel corso dell’esame parlamentare, è stato oggetto di discussione il confronto tra le agevolazioni fiscali previste per i partiti politici e le agevolazioni previste per altri enti non aventi scopo di lucro, con particolare riferimento alle ONLUS.

 

Il regime fiscale delle ONLUS

 

Un particolare trattamento fiscale di vantaggio è riservato dall’ordinamento giuridico alle ONLUS - Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale.

Per quanto concerne le imposte dirette, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento di attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità solidaristiche. Inoltre, non fanno parte del reddito imponibile i proventi che derivano dall’esercizio di attività direttamente connesse a quelle istituzionali (ovvero funzionali allo svolgimento di queste ultime), ai sensi dell’articolo 111-ter dei Testo Unico delle Imposte sui redditi – TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986. Non si applica la ritenuta del 4 per cento ai contributi corrisposti dagli enti pubblici alle ONLUS (articolo 16 del D.Lgs. n. 460 del 1997).

Per quanto concerne l’IVA, nello svolgimento di attività istituzionali e di attività connesse, le ONLUS possono effettuare cessioni di beni o prestazioni di servizi dietro corrispettivi, assoggettando a IVA le attività qualificabili come commerciali (indipendentemente dalla classificazione operata ai fini delle imposte sui redditi); per queste ultime, la ONLUS deve rispettare le regole ordinarie in materia di adempimenti connessi all’IVA, tranne l’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale per le attività istituzionali (ai sensi dell’articolo 15 del D.Lgs. n. 460 del 1997).

Altre attività svolte dalle ONLUS e considerate di particolare rilevanza sociale sono operazioni esenti da IVA (articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972). Ne consegue che l’ente, ancorché non sia tenuto ad applicare l’imposta, debba comunque svolgere gli adempimenti in materia di fatturazione / registrazione / dichiarazione.

Sono esclusi dall’IVA i proventi derivanti dalle raccolte pubbliche di fondi, effettuati in via occasionale, in concomitanza di ricorrenze o celebrazioni; accanto all’esenzione dei proventi vi è dunque l’esenzione anche degli adempimenti formali, salve le rendicontazioni. Le ONLUS godono altresì di agevolazioni sulle imposte indirette (registro, bollo, successioni e donazioni, canone RAI).

Le persone fisiche possono detrarre (articolo 15, comma 1.1 TUIR) un importo pari al 24 per cento, per l'anno 2013, e al 26 per cento, a decorrere dall'anno 2014, per le erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 2.065 euro annui, a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), purché il versamento di tali erogazioni sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante sistemi di pagamento tracciabili e che garantiscano all'Amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli.

I soggetti IRES possono dedurre (articolo 100 TUIR) le erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 2.065,83 euro o al 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato, a favore delle ONLUS.

Ai sensi dell’articolo 14 del decreto-legge n. 35 del 2005, le persone fisiche e le società possono dedurre dal reddito complessivo, nel limite del 10 per cento del reddito dichiarato e comunque  nella misura massima di 70.000 euro annui, le liberalità in denaro o in natura erogate in favore di:

-        Onlus;

-        associazioni di promozione sociale iscritte nell’apposito registro nazionale;

-        fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico;

-        fondazioni e associazioni riconosciute aventi per scopo statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate dal DPCM 8 maggio 2007.

 

 

Nella tabella che segue è messo a confronto l’articolo 11 nel testo del disegno di legge del Governo approvato dalla Camera (AS 1118), nel decreto-legge nel testo originario (AS 1213) e, infine, nel decreto-legge come modificato dal Senato (AC 2096)

 

AS 1118

AS 1213

AC 2096

1. A decorrere dall'anno 2014, le erogazioni liberali in denaro effettuate dalle persone fisiche in favore dei partiti politici iscritti nella prima sezione del registro di cui all'articolo 4 della presente legge sono ammesse a detrazione per oneri, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche disciplinata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, alle condizioni stabilite dal comma 2 del presente articolo.

1. A decorrere dall'anno 2014, le erogazioni liberali in denaro effettuate dalle persone fisiche in favore dei partiti politici iscritti  nella prima sezione del registro di cui all'articolo 4 del presente decreto sono ammesse a detrazione per oneri, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche disciplinata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, alle condizioni stabilite dal comma 2 del presente articolo.

 

1. A decorrere dall'anno 2014, le erogazioni liberali in danaro effettuate dalle persone fisiche in favore dei partiti politici iscritti  nella prima sezione del registro di cui all'articolo 4 del presente decreto sono ammesse a detrazione per oneri, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche disciplinata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, alle condizioni stabilite dal comma 2 del presente articolo. L'agevolazione di cui al presente articolo si applica anche alle erogazioni in favore dei partiti o delle associazioni promotrici di partiti effettuate prima dell'iscrizione al registro ai sensi dell'articolo 4 e dell'ammissione ai benefici ai sensi dell'articolo 10, a condizione che entro la fine dell'esercizio tali partiti risultino iscritti al registro e ammessi ai benefici.

2. Dall'imposta lorda sul reddito si detrae un importo delle erogazioni liberali di cui al comma 1, pari:

2. Dall'imposta lorda sul reddito si detrae un importo delle erogazioni liberali di cui al comma 1, pari:

 

2. Dall'imposta lorda sul reddito si detrae un importo delle erogazioni liberali di cui al comma 1, pari al 26 per cento per importi compresi tra 30 euro e 30.000 euro annui.

a) al 37 per cento, per importi compresi tra 30 e 20.000 euro annui;

a) al 37 per cento, per importi compresi tra 30 e 20.000 euro annui;

soppresso

b) al 26 per cento, per importi compresi tra 20.001 e 70.000 euro annui.

b) al 26 per cento, per importi compresi tra 20.001 e 70.000 euro annui.

soppresso

3. A decorrere dall'anno 2014, dall'imposta lorda sul reddito è altresì detraibile un importo pari al 75 per cento delle spese sostenute dalle persone fisiche per la partecipazione a scuole o corsi di formazione politica promossi e organizzati dai partiti di cui al comma 1. La detrazione di cui al presente comma è consentita nel limite dell'importo di euro 750 per ciascuna annualità per persona.

3. A decorrere dall'anno 2014, dall'imposta lorda sul reddito è altresì detraibile un importo pari al 75 per cento delle spese sostenute dalle persone fisiche per la partecipazione a scuole o corsi di formazione politica promossi e organizzati dai partiti di cui al comma 1. La detrazione di cui al presente comma è consentita nel limite dell'importo di euro 750 per ciascuna annualità per persona.

soppresso

4. La detrazione di cui al comma 3 è riconosciuta a condizione che le scuole o i corsi di formazione politica siano stati appositamente previsti in un piano per la formazione politica presentato dai partiti entro il 31 gennaio di ciascun anno e allegato alla richiesta di cui all'articolo 10, comma 3. Nel piano sono descritte in termini generali le attività di formazione previste per l'anno in corso, con indicazione dei temi principali, dei destinatari e delle modalità di svolgimento, anche con riferimento all'articolazione delle attività sul territorio nazionale, nonché i costi preventivati.

4. La detrazione di cui al comma 3 è riconosciuta a condizione che le scuole o i corsi di formazione    politica siano stati appositamente previsti in un piano per la formazione politica presentato dai partiti entro il 3l gennaio di ciascun anno e allegato alla richiesta di cui all'articolo 10, comma 3. In via transitoria, per l'anno 2014 il predetto termine è fissato al ventesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Nel piano sono descritte in termini generali le attività di formazione previste per l'anno in corso, con indicazione dei temi principali, dei destinatari e delle modalità di svolgimento, anche con riferimento all'articolazione delle attività sul territorio nazionale, nonché i costi preventivati.

soppresso

 

 

4-bis. A partire dall'anno di imposta 2007 le erogazioni in denaro effettuate a favore di partiti politici, esclusivamente tramite bonifico bancario o postale e tracciabili secondo la vigente normativa antiriciclaggio, devono comunque considerarsi detraibili ai sensi dell'articolo 15, comma 1-bis, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

5. La Commissione esamina il piano entro quindici giorni dal termine previsto dal comma 4 e, qualora non vi riscontri attività manifestamente estranee alle finalità di formazione politica, comunica il proprio nulla osta al partito interessato entro i quindici giorni successivi. Il partito è tenuto a informare i partecipanti alle scuole o corsi di formazione politica della comunicazione di cui al precedente periodo.

5. La Commissione esamina il piano entro quindici giorni dal termine previsto dal comma 4 e, qualora non vi riscontri attività manifestamente estranee alle finalità di formazione politica, comunica il proprio nulla osta al partito interessato entro i quindici giorni successivi. Il partito è tenuto a informare i partecipanti alle scuole o corsi di formazione politica della comunicazione di cui al precedente periodo.

soppresso

6. A decorrere dall'anno 2014, ai fini dell'imposta sul reddito delle società, disciplinata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si detrae, fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta lorda, un importo pari al 26 per cento dell'onere per le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore dei partiti politici di cui al comma 1 del presente articolo per importi compresi tra 50 euro e 100.000 euro, limitatamente alle società e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del medesimo testo unico, diversi dagli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica o i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, nonché dalle società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente, tali soggetti, ovvero ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi.

6. A decorrere dall'anno 2014, ai fini dell'imposta sul reddito delle società, disciplinata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si detrae, fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta lorda, un importo pari al 26 per cento dell'onere per le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore dei partiti politici di cui al comma 1 del presente articolo per importi compresi tra 50 euro e 100.000 euro, limitatamente alle società e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del medesimo testo unico, diversi dagli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica o i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, nonché dalle società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente, tali soggetti, ovvero ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi.

 

6. A decorrere dall'anno 2014, ai fini dell'imposta sul reddito delle società, disciplinata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si detrae, fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta lorda, un importo pari al 26 per cento dell'onere per le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore dei partiti politici di cui al comma 1 del presente articolo per importi compresi tra 30 euro e 30.000 euro annui, limitatamente alle società e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del medesimo testo unico, diversi dagli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica o i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, nonché dalle società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente, tali soggetti, ovvero ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi, nonché dalle società concessionarie dello Stato o di enti pubblici, per la durata del rapporto di concessione.

7. Le detrazioni di cui al presente articolo sono consentite a condizione che il versamento delle erogazioni liberali di cui ai commi 1 e 6 ovvero delle somme di cui al comma 3 sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o secondo ulteriori modalità idonee a garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identificazione del suo autore e a consentire all'amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, che possono essere stabilite con regolamento da emanare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

7. Le detrazioni di cui al presente articolo sono consentite a condizione che il versamento delle erogazioni liberali di cui ai commi 1 e 6 ovvero delle somme di cui al comma 3 sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o secondo ulteriori modalità idonee a garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identificazione del suo autore e a consentire all'amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, che possono essere stabilite con regolamento da emanare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

7. Le detrazioni di cui al presente articolo sono consentite a condizione che il versamento delle erogazioni liberali di cui ai commi 1 e 6 sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o secondo ulteriori modalità idonee a garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identificazione del suo autore e a consentire all'amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, che possono essere stabilite con regolamento da emanare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

8. Le spese di commissione sul versamento delle erogazioni liberali o delle quote associative in favore dei partiti o dei movimenti politici, effettuato tramite carte di credito o carte di debito, non possono superare lo 0,15 per cento dell'importo transatto.

8. Le spese di commissione sul versamento delle erogazioni liberali o delle quote associative in favore dei partiti o dei movimenti politici, effettuato tramite carte di credito o carte di debito, non possono superare lo 0,15 per cento dell'importo transatto.

soppresso

9. Alle minori entrate derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 7, valutate in 27,4 milioni di euro per l'anno 2015 e in 15,65 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto delle disposizioni recate dall'articolo 14, commi 1, lettera b), e 2, della presente legge.

9. Alle minori entrate derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 7, valutate in 27,4 milioni di euro per l'anno 2015 e in 15,65 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto delle disposizioni recate dall'articolo 14, commi 1, lettera b), e 2, del presente decreto.

9. Alle minori entrate derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 7, valutate in 27,4 milioni di euro per l'anno 2015 e in 15,65 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto delle disposizioni recate dall'articolo 14, commi 1, lettera b), e 2, del presente decreto.

10. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, l'Agenzia delle entrate provvede al monitoraggio delle minori entrate di cui al presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso in cui si verifichino, o siano in procinto di verificarsi, scostamenti rispetto alle previsioni, fatta salva l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 11, comma 3, lettera l), della citata legge n. 196 del 2009, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dall'attività di monitoraggio, dell'importo delle risorse disponibili iscritte nel fondo di cui all'articolo 12, comma 4, della presente legge, mediante corrispondente rideterminazione della quota del due per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da destinare a favore dei partiti politici ai sensi del medesimo comma 4. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al secondo periodo del presente comma.

10. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, l'Agenzia delle entrate provvede al monitoraggio delle minori entrate di cui al presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso in cui si verifichino, o siano in procinto di verificarsi, scostamenti rispetto alle previsioni, fatta salva l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 11, comma 3, lettera l), della citata legge n. 196 del 2009, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dall'attività di monitoraggio, dell'importo delle risorse disponibili iscritte nel fondo di cui all'articolo 12, comma 4, del presente decreto, mediante corrispondente rideterminazione della quota del due per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da destinare a favore dei partiti politici ai sensi del medesimo comma 4. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al secondo periodo del presente comma.

10. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, l'Agenzia delle entrate provvede al monitoraggio delle minori entrate di cui al presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso in cui si verifichino, o siano in procinto di verificarsi, scostamenti rispetto alle previsioni, fatta salva l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 11, comma 3, lettera l), della citata legge n. 196 del 2009, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dall'attività di monitoraggio, dell'importo delle risorse disponibili iscritte nel fondo di cui all'articolo 12, comma 4, della presente legge, mediante corrispondente rideterminazione della quota del due per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da destinare a favore dei partiti politici ai sensi del medesimo comma 4. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al secondo periodo del presente comma.

11. Qualora dal monitoraggio di cui al comma 10 risulti un onere inferiore a quello indicato al comma 9, le risorse di cui all'articolo 12, comma 4, sono integrate di un importo corrispondente alla differenza tra l'onere indicato al comma 9 e quello effettivamente sostenuto per le finalità di cui al presente articolo, come accertato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

11. Qualora dal monitoraggio di cui al comma 10 risulti un onere inferiore a quello indicato al comma 9, le risorse di cui all'articolo 12, comma 4, sono integrate di un importo corrispondente alla differenza tra l'onere indicato al comma 9 e quello effettivamente sostenuto per le finalità di cui al presente articolo, come accertato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

11. Qualora dal monitoraggio di cui al comma 10 risulti un onere inferiore a quello indicato al comma 9, le risorse di cui all'articolo 12, comma 4, sono integrate di un importo corrispondente alla differenza tra l'onere indicato al comma 9 e quello effettivamente sostenuto per le finalità di cui al presente articolo, come accertato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

IMU sugli immobili dei partiti politici

L’articolo 11-bis, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, assoggetta a IMU gli immobili dei partiti politici indipendentemente dalla loro destinazione d’uso, in deroga alla disciplina generale dell’imposta applicabile agli immobili degli enti non commerciali.

 

A tal fine, le disposizioni in esame modificano l’articolo 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 504 del 1992.

 

In merito all’applicazione dell’IMU agli enti non commerciali si ricorda che, stante il rimando della disciplina generale IMU alle esenzioni in precedenza vigenti per l’ICI (articolo 13, comma 13 del D.L. 201 del 2011, che mantiene ferme le disposizioni dell'articolo 9 del D.Lgs. n. 23 del 2011 il quale, a sua volta, estende all’IMU anche alcune norme vigenti in materia di ICI, tra cui quelle contenute nell’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992), sono esenti da imposta municipale gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di determinate attività: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché di attività di religione o di culto, ovvero dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana. L’articolo 91-bis del D.L. 1/2012 ha specificato che tale esenzione opera solo ove le predette attività – pur dando luogo, in astratto, a esenzione - siano svolte con modalità non commerciali.

In caso contrario, esse sono assoggettate ad IMU. Quando è possibile individuare gli immobili o le porzioni di immobili adibiti esclusivamente a attività di natura non commerciale, l’esenzione si applica solo alla frazione di unità in cui tale attività si svolge (articolo 91-bis, comma 2). Quando, invece, tale individuazione non risulta possibile, l'esenzione si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione (art. 91-bis, comma 3): dal 1° gennaio 2013 l’esenzione è applicata secondo un criterio di proporzionalità rispetto all’uso non commerciale dell’immobile, come risultante da apposita dichiarazione.

Il D.L. 174/2012 (articolo 9, comma 6) è dunque intervenuto affidando alla disciplina regolamentare il compito di individuare i requisiti atti a qualificare le attività insistenti sugli immobili stessi come svolte con “modalità non commerciali”, al fine di applicare l’esenzione prevista dalla legge per tali cespiti. Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200 reca le definizioni di ente non commerciale, delle attività svolte, delle modalità non commerciali e dell’utilizzazione mista. Sono quindi definiti i requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali nonché ulteriori requisiti per lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie, di attività didattiche, di attività culturali e attività ricreative, nonché di attività sportive.

La risoluzione n. 1/2012 del Dipartimento delle Finanze del MEF ha chiarito alcuni aspetti problematici relativi al medesimo provvedimento, in particolare concernenti l’applicabilità dello stesso agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la decorrenza delle norme che definiscono lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali. Nel dicembre 2012 la Commissione UE ha riscontrato che l’IMU è conforme alle norme dell’UE in materia di aiuti di Stato, in quanto limita chiaramente l'esenzione agli immobili in cui enti non commerciali svolgono attività non economiche. Inoltre, la nuova normativa prevede una serie di requisiti che gli enti non commerciali devono soddisfare per escludere che le attività svolte siano di natura economica. A parere della Commissione, tali salvaguardie garantiscono che le esenzioni dal versamento dell’IMU concesse agli enti non commerciali non comportino aiuti di Stato.

La legge di stabilità 2014 (articolo 1, commi da 719 a 721 della legge n. 147 del 2013) ha precisato la disciplina delle dichiarazioni e del versamento dell’IMU per gli enti non commerciali; i suddetti enti devono presentare la dichiarazione IMU esclusivamente in via telematica; con le stesse modalità ed entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione per l'anno 2013 dovrà essere presentata anche la dichiarazione per l'armo 2012. Il versamento dell'imposta municipale propria da parte degli enti non commerciali avverrà esclusivamente mediante modello F24 e, in deroga alle norme generali, è effettuato in tre rate: le prime due, di importo pari ciascuna al cinquanta per cento dell'imposta complessivamente corrisposta per l'anno precedente, devono essere versate entro il 16 giugno e il 16 dicembre; l'ultima, a conguaglio dell'imposta complessivamente dovuta, deve essere versata entro il 16 giugno dell'armo successivo a quello cui si riferisce il versamento.

 

Per effetto della norma in commento, gli immobili dei partiti politici, rimangono comunque assoggettati a IMU indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’immobile.

Si rammenta che l’articolo 2, comma 1, del decreto-legge in esame qualifica i partiti politici “libere associazioni”. Senza introdurre elementi innovativi rispetto all’attuale condizione giuridica, i partiti permangono pertanto associazioni prive di personalità giuridica, cui si applica il regime del codice civile riferito alle associazioni non riconosciute.

Di conseguenza i predetti immobili non ricadono nella disciplina IMU generalmente prevista per gli enti non commerciali, che fa discendere l’esenzione dell’imposta dalla destinazione dell’immobile a specifiche finalità e purché le relative attività siano svolte con modalità non commerciali.

 

Per completezza si rammenta che l’assetto della fiscalità immobiliare è stato innovato dalle norme contenute nella citata legge di stabilità 2014 (L. 147/2013, articolo 1, commi 639 e seguenti). Essa istituisce l'Imposta Unica Comunale (IUC), che si basa su due presupposti impositivi:

§  uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore: si tratta dell'imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali;

§  l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali: la componente riferita ai servizi, a sua volta si articola in un tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile; la tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore.

L'aliquota massima complessiva dell'IMU e della TASI non può superare i limiti prefissati per la sola IMU al 31 dicembre 2013, vale a dire il 10,6 per cento (in caso di aliquota ordinaria ovvero la minore aliquota prevista per le specifiche tipologie di immobili). Per il 2014, l'aliquota massima della TASI relativa all'abitazione principale non può eccedere il 2,5 per mille.

 

Destinazione del due per mille IRPEF

L’articolo 12 introduce, a decorrere dall’anno finanziario 2014, un meccanismo volontario di contribuzione ai partiti, riconoscendo a ciascun contribuente la facoltà di destinare il 2 per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) in favore di un partito politico (comma 1).

Per beneficiare di tale forma di finanziamento i partiti devono essere iscritti nel registro nazionale e devono aver avuto almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo nell’ultima consultazione elettorale per il Senato, la Camera o il Parlamento europeo (seconda sezione del registro).

I contribuenti effettuano la scelta per la destinazione del 2 per mille in sede di dichiarazione annuale dei redditi - riguardante il precedente periodo di imposta - con la compilazione di una scheda recante l’elenco dei partiti politici aventi diritto; può essere indicato un solo partito politico (comma 2). Nel corso dell’esame al Senato, è stato specificato che la scelta è effettuata anche dai contribuenti esonerati dall'obbligo di presentare la dichiarazione e che l’elenco dei partiti aventi diritto è trasmesso all'Agenzia delle entrate dalla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici.

Il sistema introdotto consente, dunque, a ciascun contribuente di scegliere se destinare il 2 per mille della propria IRPEF ad uno specifico partito politico. In caso di mancata effettuazione della scelta, le risorse restano acquisite all’erario a titolo di IRPEF; a differenza di quanto accade nella disciplina dell’8 per mille IRPEF, destinato alle confessioni religiose, il cd. “inoptato” non viene ripartito tra i beneficiari della disciplina.

Nel corso dell’esame la Senato, sono state definite le modalità di corresponsione delle risorse ai partiti (comma 2-bis). In particolare, si prevede che le risorse corrispondenti alle opzioni espresse dai contribuenti sono corrisposte ai partiti a titolo di acconto entro il successivo 31 agosto, comunque entro un limite complessivo pari al 40 per cento della somma autorizzata per ciascun anno (a tal fine si tiene conto delle dichiarazioni dei redditi presentate entro il 30 giugno, o entro aprile per chi si avvale del sostituto di imposta o entro maggio per chi si avvale del CAF).

Entro il successivo 31 dicembre sono corrisposte ai partiti le risorse destinate dai contribuenti sulla base del complesso delle dichiarazioni presentate entro gli ordinari termini di legge, al netto di quanto versato ai medesimi a titolo di acconto. Non si tiene conto delle dichiarazioni dei redditi presentate tardivamente o delle successive integrazioni dei contribuenti per la correzione di errori o omissioni (ai sensi dell'articolo 2, commi 7, 8 e 8-bis, del DPR n. 322 del 1998).

La somma complessivamente corrisposta ai partiti non può in ogni caso superare il tetto di spesa stabilito per ciascun anno.

 

È infatti previsto un limite massimo di spesa, pari a 7,75 milioni di euro per l'anno 2014, a 9,6 milioni di euro per l'anno 2015, a 27,7 milioni di euro per l'anno 2016 e a 45,1 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Tali risorse sono iscritte in un apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero dell'economia (comma 4).

Resta peraltro fermo quanto previsto dall’articolo 11, commi 10 e 11, sulle agevolazioni fiscali per le liberalità nei confronti dei partiti politici. In sostanza, nel caso in cui le risorse stanziate per tali agevolazioni fiscali risultino insufficienti, si procede ad una corrispondente riduzione del fondo per il due per mille; nel caso in cui, invece, le risorse stanziate per le agevolazioni risultino superiori rispetto agli oneri effettivi, si procede ad una corrispondente integrazione del fondo per il due per mille.

 

Considerando che la spesa risulta configurata come limite massimo, appare opportuno chiarire le conseguenze nel caso in cui il 2 per mille dell’IRPEF dei contribuenti che effettuano la scelta risulti superiore alla spesa autorizzata. In tale ipotesi potrebbe infatti rendersi necessario, ad esempio, procedersi ad una riduzione proporzionale delle somme da destinare ai beneficiari. Su questo punto potrebbe intervenire il decreto del Presidente del consiglio, su cui v. immediatamente infra.

 

Con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, sono stabiliti i criteri e le modalità per il riparto e la corresponsione delle somme ai partiti sulla base delle scelte operate dai contribuenti, in modo da garantire la tempestività e l'economicità di gestione, nonché le modalità di semplificazione degli adempimenti e di tutela della riservatezza e di espressione delle scelte preferenziali dei contribuenti. Il decreto deve essere adottato entro il termine – ordinatorio – di novanta giorni dalla conversione del decreto, su proposta del Ministro per le riforme costituzionali, di concerto con il Ministro dell'economia (comma 3).

Il testo originario del decreto-legge (corrispondente a quello approvato in prima lettura dalla Camera) rimetteva invece la disciplina ad un regolamento del Ministero dell’economia da adottare secondo la procedura dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400/1988, che prevede il parere del Consiglio di Stato, il visto e la registrazione della Corte dei conti e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

 

Si ricorda in proposito che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 116 del 2006, ha qualificato come "atto statale dalla indefinibile natura giuridica” un decreto del quale si esplicitava la natura non regolamentare.

Anche alla luce della valutazione di tale natura da parte della riportata giurisprudenza, si valuti il rinvio a tale tipologia di atti per la definizione di aspetti rilevanti, quali, ad esempio, la riservatezza delle scelte dei contribuenti, la cui disciplina sembra più propriamente riservata ad atti di natura normativa.

 

In via transitoria (comma 3-bis), per il primo anno di applicazione, con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, sono definite: a) la scheda per la destinazione del due per mille e le relative modalità di trasmissione telematica; b) le modalità per la semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti e la tutela della riservatezza delle scelte preferenziali, secondo quanto disposto in materia di destinazione dell'otto e del cinque per mille. Il provvedimento deve essere adottato entro dieci giorni dalla ricezione dell'elenco dei soggetti aventi diritto.

 

Si ricorda, al riguardo, che il Provvedimento 15 gennaio 2014 del Direttore dell'Agenzia delle entrate di approvazione dei modelli 730 e connessi (tra cui il modello 730-1 concernente la scelta della destinazione dell’otto per mille dell’IRPEF e la scelta della destinazione del cinque per mille dell’IRPEF) prevede che i sostituti d’imposta devono consegnare ad un ufficio postale o ad un soggetto incaricato della trasmissione telematica le schede per le scelte della destinazione dell’otto e del cinque per mille dell’IRPEF, modelli 730-1, contenute in busta, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dal contribuente.

L’effettuazione della scelta per la destinazione dell’otto per mille e del cinque per mille dell’Irpef sono facoltative e sono richieste, rispettivamente, ai sensi dell’art. 47 della legge 20 maggio 1985 n. 222 (e delle successive leggi di ratifica delle intese stipulate con le confessioni religiose), e ai sensi dell’art. 2, comma 250 della legge 23 dicembre 2009, n. 191. Entrambe queste scelte, secondo il d.lgs. n. 196 del 2003, comportano il conferimento di dati di natura “sensibile”.

 

All'onere derivante dall'istituzione del fondo per il 2 per mille si provvede (comma 5) mediante utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto della progressiva abolizione del finanziamento pubblico ai partiti politici, prevista dall'articolo 14.

Le somme iscritte annualmente nel fondo per il 2 per mille, non utilizzate al termine dell'esercizio, sono nuovamente riversate all'entrata del bilancio dello Stato (comma 6).

Dal punto di vista della formulazione del comma 6 sarebbe opportuno modificare la locuzione “sono nuovamente riversate”, sostituendola con la locuzione “sono versate”, ovvero specificare che le somme non utilizzate al termine dell’esercizio costituiscono economie di spesa.

 

Il testo originario del comma 6 prevedeva invece la conservazione in conto residui delle somme non utilizzate ai fini del loro utilizzo nell’esercizio successivo.

 

Nel corso dell’esame al Senato, è stata introdotta l’estensione della tariffa postale agevolata attualmente prevista per le comunicazioni dei partiti in occasione delle elezioni politiche alle comunicazioni individuali e al pubblico dei partiti relative alle destinazioni del due per mille; la tariffa agevolata può essere utilizzata solo nel mese di aprile di ciascun anno (comma 6-bis).

 

In particolare l’art. 17 L. n. 515/1993 prevede che ciascuna lista di candidati in una circoscrizione per le elezioni della Camera e del Senato ha diritto ad usufruire di una tariffa postale agevolata di lire 70, per plico di peso non superiore a grammi 70, per l'invio di materiale elettorale per un numero massimo di copie pari al totale degli elettori iscritti nella circoscrizione. Tale tariffa può essere utilizzata unicamente nei trenta giorni precedenti la data di svolgimento delle elezioni e dà diritto ad ottenere dall'amministrazione postale l'inoltro dei plichi con procedure a tempi uguali a quelli in vigore per la distribuzione dei periodici settimanali. Le agevolazioni tariffarie per le spedizioni postali di cui agli artt. 17 e 20 della L. 515 del 1993 sono state soppresse, con decorrenza dal 1 gennaio 2000, dall’art. 41, co. 1, della L. 448 del 1998. L’art. 4, co. 1, del D.L. 24 dicembre 2003, n. 353 (conv. dalla L. n. 46 del 2004) ha successivamente abrogato l’art. 41, co. 1, della L. 448 del 1998.

 

Ai relativi oneri, determinati nel limite massimo di euro 9 milioni di euro per il 2014, 7,5 milioni di euro per il 2015, e 6 milioni di euro per il 2016, si provvede anche in tal caso mediante utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto della progressiva abolizione del finanziamento pubblico ai partiti politici, prevista dall'articolo 14.

 

Si osserva che la norma prevede una copertura triennale a fronte di oneri di carattere permanente.

 

Si ricorda infine che la legge n. 2/1997 aveva introdotto un sistema analogo di finanziamento della politica, riconoscendo ai contribuenti la facoltà destinare una quota pari al 4 per mille dell'IRPEF al finanziamento dei movimenti e partiti politici.

A differenza della disciplina prevista dall’articolo in esame, il contribuente poteva destinare genericamente il 4 per mille ai movimenti e partiti politici, senza individuare uno specifico partito di riferimento. Le risorse confluivano in un fondo da ripartire tra i partiti che avessero al 31 ottobre di ciascun anno almeno un parlamentare eletto alla Camera o al Senato, in proporzione ai voti validi espressi in ambito nazionale a favore delle liste da essi presentate per l’ultima elezione della Camera (con disposizioni particolari per i partiti espressione di minoranze linguistiche o che non avessero presentato liste).

La disciplina non ha mai trovato di fatto compiuta applicazione, in quanto per il 1997 era prevista una disciplina transitoria e per 1998 si è proceduto alla ripartizione di una somma fissa (110 miliardi di lire), con riserva di conguaglio negli anni successivi.

La normativa sul 4 per mille ai partiti politici è stata poi abrogata dalla legge n. 157/1999, che ha introdotto un nuovo sistema di contribuzione pubblica ai partiti, nella forma dei rimborsi per spese elettorali, prevedendo altresì una disciplina transitoria per il riparto delle somme del 4 per mille (art. 7).

 

Raccolte telefoniche di fondi

L’articolo 13 sottopone la raccolta in via telefonica di fondi per campagne promozionali della partecipazione alla vita politica al codice di autoregolamentazione tra i gestori telefonici. Tale raccolta è qualificata erogazione liberale e gli addebiti, in qualunque forma effettuati dai soggetti che forniscono servizi di telefonia, degli importi destinati dai loro clienti alle suddette campagne promozionali sono esclusi dal campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto.

Il comma 1 prevede che la raccolta di fondi per campagne di promozione della partecipazione alla vita politica, sia attraverso SMS o altre applicazioni da telefoni mobili, sia dalle utenze di telefonia fissa attraverso una chiamata in fonia, sia disciplinata da un codice di autoregolamentazione tra i gestori telefonici autorizzati a fornire al pubblico servizi di comunicazione elettronica in grado di gestire le numerazioni appositamente definite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

 

Occorre tenere presente che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Commissione per le infrastrutture e le reti, con la delibera 26/08/CIR, recante il Piano di numerazione nel settore delle telecomunicazioni e disciplina attuativa, ha previsto, con l’art. 30, comma 4, dell'allegato A della stessa delibera,  l’obbligo degli operatori e dei fornitori di contenuti di sottoscrivere, entro il 1° luglio 2009, un codice di autoregolamentazione che, “oltre a prevedere le necessarie tutele a favore dell’utenza, includa anche la definizione uniforme e comune tra i vari operatori di prassi per l’informazione sui prezzi dei servizi, sulle modalità di attivazione e disattivazione dei servizi stessi”.

Il codice è stato adottato il 23 luglio 2012 con il titolo "codice di autoregolamentazione per la gestione delle numerazioni utilizzate per la raccolta fondi telefoniche non-profit".

L’art. 3, comma 1, n. 8, del suddetto codice stabilisce che “non potranno essere assegnate numerazioni per sostenere iniziative promosse da Organizzazioni che siano anche Associazioni Consumeristiche o Partiti Politici e Movimenti di Opinione, Organizzazioni Sindacali, Associazioni di Categoria, nonché per promuovere iniziative a sostegno di persone fisiche”. Il successivo comma dello stesso articolo prevede che “nel caso di richieste di iniziative che non rispettino anche uno solo dei criteri sopra citati il Gestore non potrà procedere all’assegnazione della numerazione”.

Analoga esclusione di tali soggetti è ribadita nelle Linee guida per la raccolta di fondi emanate dall’Agenzia per il terzo settore, soppressa dal d.l. 16/2012, con trasferimento delle relative funzioni al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 

Il comma 2 stabilisce che tale raccolta di fondi costituisce erogazione liberale e gli addebiti, in qualunque forma effettuati dai soggetti che forniscono servizi di telefonia, degli importi destinati dai loro clienti alle campagne di cui al primo periodo sono esclusi dal campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto.

 

E’ così prevista anche per la raccolta fondi promozionale della vita politica analoga qualifica prevista per la raccolta fondi per scopi benefici.

 

Per quest’ultima, la Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate (RIS) n. 124 /E del 12 agosto 2005, adottata a seguito di un interpello di un Comitato che aveva promosso una raccolta fondi per scopi benefici anche attraverso i c.d. SMS solidali, tramite un accordo con un gestore telefonico, ha affermato che "tale prestazione, in ragione della sua gratuità, possa considerarsi esclusa dall’ambito di applicazione dell’IVA", ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del DPR n. 633 del 1972. Ad analoga conclusione perviene anche la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 59 del 2007, che subordina l’esclusione a specifiche condizioni tra cui l’occasionalità delle iniziative di raccolta, la specificità del progetto per il quale è attivata la raccolta, nonché una specifica rendicontazione.

 

La raccolta fondi telefonica con numero solidale si delinea quindi come una prestazione totalmente gratuita ed esente da IVA, a patto che siano rispettate le condizioni derivanti dalle normative emesse in materia dall'Agenzia delle Entrate e stabilite dal Codice di Autoregolamentazione sottoscritto dai Gestori delle reti telefoniche mobili e fisse. Non essendo pertanto un servizio a pagamento, la sua concessione è a totale discrezione dei Gestori telefonici, che compiono un'insindacabile valutazione della richiesta e del materiale presentato.

 

Appare opportuno verificare la congruità del rinvio, disposto dall’articolo in esame, a disposizioni tecniche e di autoregolamentazione dettate per un settore specifico, nonché la trasponibilità, senza alcun adattamento, delle relative prescrizioni alle campagne di promozione della vita politica.

 


Disposizioni transitorie e finali

L’articolo 13-bis, introdotto nel corso dell’esame in Senato, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative all’applicazione del decreto-legge, con l’unica eccezione di quelle concernenti l’applicazione delle sanzioni amministrative (v. sopra, art. 8), che restano di competenza del giudice ordinario (comma 1).

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 7 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010), nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’articolo 133 dello stesso Codice, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi.

 

L’elenco delle materie di giurisdizione esclusiva è contenuto nell’art. 133 del Codice del codice del processo amministrativo, che dovrebbe essere oggetto di novella, con l’introduzione delle controversie in materia di finanziamento dei partiti politici.

 

In relazione alle controversie attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo - e dunque alla competenza dei tribunali amministrativi regionali - il comma 2 prevede l’applicazione del rito abbreviato disciplinato dall’art. 119 del c.d. Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010), caratterizzato da un dimezzamento dei termini processuali.

 

L’art. 119 del Codice del processo amministrativo elenca una serie di materie alle quali si applica il rito abbreviato comune, già originariamente disciplinato dall'art. 23-bis della legge sui TAR, che si caratterizza per il dimezzamento di tutti i termini processuali, eccezion fatta per i termini per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché dell’appello al Consiglio di Stato avverso le ordinanze cautelari.

Il particolare rito accelerato è subordinato alla sussistenza di alcuni presupposti, quali:

-        la presentazione di una domanda cautelare;

-        il previo accertamento della completezza del contraddittorio o la disposta integrazione dello stesso;

-        la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso;

-        la sussistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile.

Pertanto:

§  in sede di decisione della domanda cautelare, trascorsi almeno 20 giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, una volta accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite le parti costituite, può definire, in  camera di consiglio il giudizio in forma semplificata;

§  il TAR, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta l’integrazione dello stesso, se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di 30 giorni dalla data del deposito dell’ordinanza, disponendo altresì il deposito dei documenti necessari e l’acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti.

Si segnala inoltre che il comma 5 dell’art. 119 precisa che «quando almeno una delle parti, nell’udienza discussione, dichiara di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza, il dispositivo è pubblicato mediante deposito in segreteria, non oltre sette giorni dalla decisione della causa».

Stante l’esecutività del dispositivo stesso, la parte, al fine di ottenere la sospensione, può proporre appello entro 30 giorni dalla sua pubblicazione, con riserva dei motivi, da proporre entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro 3 mesi dalla pubblicazione del dispositivo (comma 6). In ogni caso, la mancata richiesta di sospensione dell’esecutività del dispositivo non preclude alla parte la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi.

Il dimezzamento dei termini opera anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo (comma 7).

 

Anche in tal caso, sarebbe opportuno novellare direttamente l’art. 119 del Codice del processo amministrativo, introducendo le controversie relative all’applicazione del decreto-legge sul finanziamento dei partiti nell’elenco delle materia alle quali si applica il rito abbreviato.

 

L’articolo 14 reca alcune norme transitorie ed abrogazioni.

I commi 1-3, consentono di mantenere la fruizione del sistema di contribuzione pubblica vigente prima dell’entrata in vigore del decreto, per i partiti e i movimenti politici che se ne avvalgono, per l'esercizio finanziario in corso e i tre esercizi successivi. Tale fruizione è sottoposta a progressive riduzioni nel suddetto arco temporale per cessare completamente dal 2017.

La progressione comporta la fruizione integrale nell’esercizio in corso al momento dell’entrata in vigore del decreto e successive riduzioni per i restanti esercizi rispettivamente, del 25, del 50 e del 75 per cento dell'importo spettante (comma 1). Le normative che dispongono il suddetto sistema di contribuzione sono abrogate dal successivo comma 4, ma restano in vigore per gli esercizi finanziari indicati allo scopo della progressiva riduzione della fruizione della contribuzione.

Considerata l’entrata in vigore del decreto-legge nel 2013, i partiti continuano a beneficiare del finanziamento pubblico fino al 2016 nelle seguenti misure:

§  2013: integralmente;

§  2014: riduzione del 25%;

§  2015: riduzione del 50%;

§  2016; riduzione del 75%.

 

Dal 2017 il finanziamento cessa (comma 2).

In ogni caso, non è previsto alcun finanziamento pubblico per le spese relative alle elezioni che si svolgano successivamente alla data di entrata in vigore del decreto in esame.

 

Il finanziamento attualmente previsto è pari a 91 milioni di euro (art. 1 L. 96/2012) ed è destinato, secondo la relazione tecnica, ad essere così ridotto:

(dati in milioni di euro)

 

2014

2015

2016

2017 e ss.

Fondo partiti politici (L n. 96/2012)

91,00

91,00

91,00

91,00

Riduzione ex art. 14, commi 1, lett. b), e 2

-22,75

-45,50

-68,25

-91,00

Fondo partiti politici

68,25

45,50

22,75

0,00

 

Le risorse che si liberano a seguito della riduzione disposta dall’articolo 14, pari a 22,75 milioni di euro per il 2014, 45,5 milioni per il 2015, 68,25 milioni per il 2016 e 91 milioni a decorrere dal 2017 sono utilizzate per coprire gli oneri derivanti dalle misure previste dal decreto-legge in esame.

Le risorse residue dopo questo utilizzo sono destinate dall’articolo 17 al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

 

Si osserva peraltro che i risparmi potrebbero essere superiori rispetto a quelli indicati nella relazione tecnica presentata al Senato.

In base alla legislazione vigente (L. n. 26/2012), le risorse per il finanziamento pubblico ai partiti, sia quelle destinate al rimborso delle spese elettorali che quelle da erogare a titolo di cofinanziamento, sono suddivise in quattro fondi, relativi alle elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento europeo e dei consigli regionali e delle province autonome.

La disciplina transitoria recata dall’articolo 14, comma 1, riconosce peraltro il finanziamento - in misura ridotta - solo per le elezioni svoltesi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto. Dal momento che nel 2014 si svolgeranno le elezioni europee, le risorse appostate nei fondi riferiti a tale elezioni appaiono destinate ad andare economia. Lo stesso vale per le risorse relative alle elezioni regionali, destinate ad andare in economia man mano che si procede ai rinnovi dei consigli.

 

La tabella seguente riepiloga le modalità di utilizzo delle risorse che si liberano a seguito della riduzione del Fondo per i partiti politici:

(dati in milioni di euro)

 

2014

2015

2016

2017 e ss.

Riduzione Fondo partiti politici

22,75

45,50

68,25

91,00

Maggiori detrazioni fiscali (art. 11, comma 9)

0

-27,4

-15,65

-15,65

2 per mille (art. 12, comma 9)

-7,75

-9,6

-27,7

-45,1

Tariffa postale agevolata (art. 12, comma 6-ter)

-9

-7,5

-6

0

Cassa integrazione partiti (art. 16)

-15

-8,5

-11,25

-11,25

Risorse per il fondo ammortamento titoli di Stato

-9,00

-7,5

7,65

19

 

I risparmi derivanti dalla riduzione del Fondo per i partiti politici non risultano sufficienti a coprire gli oneri derivanti nel 2014 e 2015 dall’introduzione della tariffa postale agevolata per le comunicazioni dei partiti per la devoluzione del 2 per mille (art. 12, commi 6-bis e 6-ter), oneri che non risultano inoltre coperti a decorrere dal 2017.

I risparmi derivanti dall’applicazione del decreto-legge da destinare al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sono dunque pari a 7,65 milioni di euro nel 2016 e a 19 milioni di euro annui a decorrere dal 2017.

 

Il comma 4 abroga:

·        gli articoli 1 e 3, commi dal secondo al sesto, della legge 18 novembre 1981, n. 659 che prevedono e disciplinano: il diritto dei partiti politici a un contributo finanziario a carico dello Stato come concorso nelle spese elettorali;

·        l'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n. 413 che disponeva un aumento del contributo dello Stato ai partiti;

·        l’articolo 9 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, il cui comma 1 era già stato abrogato dalla L.96/2012: quindi l’abrogazione incide sui commi successivi che riguardano la ripartizione dei fondi per le elezioni della Camera e del Senato, nonché l’art. 9-bis, che riguarda il contributo alle spese elettorali in occasione di elezioni suppletive;

·        l’articolo 12, comma 3, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 limitatamente alle parole: «dagli aventi diritto»: tale limitata abrogazione da un lato espunge il riferimento ad un diritto a contribuzione pubblica, dall’altro mantiene il testo dell’intero articolo perché riguarda la pubblicità e il controllo delle spese elettorali di partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati;

·        l'articolo 15, comma 13, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 limitatamente alle parole: «che non abbiano diritto ad usufruire del contributo per le spese elettorali»: tale abrogazione sopprime il riferimento al diritto alla contribuzione pubblica, ma resta intatto il riferimento all'articolo 9 della stessa legge che prevede il diritto, nonché la previsione cautelare in base alla quale i Presidenti delle Camere sospendono il versamento del contributo medesimo sino al deposito del consuntivo;

·        l'articolo 15, comma 14, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 limitatamente alle parole: «che non abbiano diritto ad usufruire del contributo per le spese elettorali» per sopprimere il riferimento al diritto alla contribuzione pubblica;

·        l'articolo 15, comma 16, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, limitatamente al secondo periodo: va notato che tale abrogazione, se da un lato sopprime il riferimento al diritto alla contribuzione pubblica e alla stessa contribuzione come base sulla quale applicare le sanzioni per violazione dei limiti delle spese per campagne elettorali, dall’altro però fa completamente venire meno l’impianto sanzionatorio per la violazione di tali limiti;

·        l'articolo 16 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, che riguarda il contributo per le elezioni europee;

·        l'articolo 6 della legge 23 febbraio 1995, n. 43; che riguarda l’ammontare del contributo per elezioni regionali;

·        l'articolo 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 5, 5-bis, 6, con esclusione del secondo periodo, 7, 8, 9, 10, della legge 3 giugno 1999, n. 157 che riguardano il rimborso per le spese elettorali sostenute da movimenti o partiti politici per il rinnovo del Senato, della Camera, del Parlamento europeo e dei consigli regionali: la non menzione del comma 4 e la salvezza del secondo periodo del comma 6 comporta che resti vigente la contribuzione per le spese referendarie;

·        gli articoli 2 e 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157;

·        gli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 9, commi da 8 a 21, e 10 della legge 6 luglio 2012, n. 96.

 

Per quanto riguarda la L. 96/2012, l’abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 4 e 6 comporta l’eliminazione della finora vigente disciplina del contributo pubblico per le spese elettorali e della disciplina della contribuzione pubblica a titolo di cofinanziamento.

L’abrogazione dell’art. 5 della stessa legge fa venir meno la disciplina degli statuti e degli atti costitutivi – atti costitutivi, si ricorda, non previsti dal decreto in esame – ivi stabilita.

Fra le disposizioni abrogate rientrano anche quelle volte a favorire il riequilibrio di genere nelle candidature alle elezioni (art. 1, comma 7, L. 96/2012) e ad incentivare la partecipazione attiva delle donne alla politica (art. 3 L. 157/1999 e art. 9, comma 13, L. 96/2012).

L’abrogazione dell’art. 10 della L. 96/2012, che riguarda la perdita di legittimazione dei tesorieri a sottoscrivere i rendiconti è connessa alla corrispondente disposizione contenuta nell’art. 8, comma 11, del decreto-legge.

 

Inoltre, ai sensi del successivo comma 5, a decorrere dal 1o gennaio 2014, in conseguenza della nuova disciplina sulle detrazioni fiscali per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti politici introdotta dal decreto-legge in esame, sono abrogate le seguenti disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi (DPR 22 dicembre 1986, n. 917, Tuir):

-        l'articolo 15, comma 1-bis, da ultimo modificato dall’articolo 7, comma 1, della legge n. 96 del 2012, il quale prevede una detrazione per le persone fisiche del 24 per cento per l'anno 2013 e del 26 per cento a decorrere dall'anno 2014, delle erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti e dei movimenti politici;

-        l'articolo 78, comma 1, nella parte in cui prevede una detrazione del 19 per cento dall’imposta sul reddito delle società per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti e movimenti politici per importi compresi tra 51,65 euro e 103.291,38 euro.

 

L’articolo 14-bis, introdotto dal Senato, introduce due modifiche alla norme in materia di controllo delle spese elettorali, utilizzando la tecnica della novella.

La prima di esse prevede che i rappresentanti di partiti che hanno presentato candidature alle elezioni politiche debbano presentare direttamente alla Corte dei conti il consuntivo delle spese elettorali, e non ai Presidenti delle rispettive Camere, che attualmente provvedono all'inoltro alla Corte, come richiesto dall’articolo 12, co. 1, della legge 515/1993.

Con la seconda novella la legge n. 96 del 2012 (articolo 13, comma 7), nella parte in cui prevede che in caso di mancato deposito dei consuntivi delle spese elettorali da parte dei partiti, movimenti politici e liste, la sezione regionale di controllo della Corte dei conti applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 500.000 euro. La modifica individua il soggetto sanzionatore in un collegio istituito presso la sezione regionale di controllo della Corte dei conti, invece che nella sezione stessa.

 

L'articolo 15 (comma 1) prevede che le norme in materia di pubblicità patrimoniale, la cui applicazione è stata estesa ad opera della legge 96/2012 ai tesorieri dei partiti, si applichi a costoro solamente nel caso il partito di riferimento abbia almeno un rappresentante eletto alla Camera o al Senato. Con un emendamento approvato Senato, tali disposizioni sono, inoltre, estese ai seguenti membri del partito che non ricoprono cariche elettive o di governo:

§  responsabile o rappresentante nazionale;

§  componente dell’organo di direzione politica nazionale;

§  presidente di organi nazionali deliberativi o di garanzia.

Dal tenore letterale della disposizione, sembrerebbe che la condizione di avere un rappresentante eletto non sussista per l’obbligo di pubblicità patrimoniale delle sopraddette categorie.

 

L'articolo 12 della legge n. 96 ha esteso l'applicazione delle disposizioni della legge n. 441 del 1982 recante disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti, per quanto compatibili, a coloro che abbiano la funzione di tesoriere o ad essa assimilabile, che non siano al contempo titolari di cariche elettive (per una sintesi delle disposizioni recate dalla legge 441 si veda sopra la scheda relativa al’articolo 5 del provvedimento in esame).

 

Il comma 2 aggiunge, a fini applicativi, che qualora il tesoriere o facente funzioni non sia membro del Senato o della Camera o del Parlamento europeo né membro del Governo né consigliere regionale o componente della giunta regionale né consigliere provinciale o componente della giunta provinciale né consigliere di Comuni capoluogo di provincia ovvero con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, debbano essere depositate presso l'Ufficio di Presidenza del Senato (cfr. l'articolo 10 della legge del 1982) la dichiarazione concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri; le azioni di società; le quote di partecipazione a società; l'esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società - nonché la copia dell'ultima dichiarazione dei redditi soggetti all'imposta sui redditi delle persone fisiche.

 

 

L'articolo 16 estende ai partiti politici la normativa in materia di trattamento straordinario di integrazione salariale e di contratti di solidarietà.

Più specificamente, il comma 1 estende, a decorrere dal 1° gennaio 2014, ai partiti e ai movimenti politici (e alle rispettive articolazioni e sezioni territoriali) la disciplina relativa al trattamento straordinario di integrazione salariale e ai relativi obblighi contributivi (a prescindere, come specificato al Senato, dal numero dei dipendenti) e ai contratti di solidarietà.

A tal fine, il successivo comma 2 autorizza la spesa di 15 milioni di euro per il 2014, di 8,5 milioni di euro per il 2015 e di 11,25 milioni di euro a decorrere dal 2016, alla quale si provvede attraverso l’utilizzo di quota parte dei risparmi conseguenti alla progressiva riduzione del finanziamento pubblico dei partiti e movimenti politici, così come graduata dall’articolo 14, commi 1, lett. b), e 2 del provvedimento in oggetto.

Il comma 3 dispone che le modalità attuative di quanto previsto dall’articolo in esame saranno stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze) da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.

 

Si fa presente che tale termine è scaduto il 29 gennaio 2014 e il decreto attuativo non risulta emanato.

 

Il trattamento straordinario di integrazione salariale (L. 223/1991) è riservato alle imprese industriali che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente la domanda.

Il trattamento, previa approvazione di un programma presentato dall'impresa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, può essere riconosciuto per:

-            ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale, per un periodo massimo di 24 mesi, prorogabili per altri 24;

-            crisi aziendale, per un periodo massimo di 12 mesi, prorogabili fino a 24 (in questo caso, un nuovo intervento, per la medesima causale, non può essere disposto prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente concessione);

-            procedure esecutive concorsuali (per un periodo massimo di 12 mesi, con proroga di 6 mesi).

I trattamenti relativi alla medesima unità produttiva non possono avere una durata superiore a 36 mesi nell’arco di un quinquennio, che decorre dal mese iniziale del primo dei trattamenti in considerazione.

La misura del trattamento è pari all’80 per cento della retribuzione che sarebbe spettata, fino ad un limite massimo pari, per il 2014, a 969,77 euro lordi mensili, ovvero a euro 1.165,58 nel caso in cui la retribuzione di riferimento sia, rispettivamente, inferiore/uguale o superiore a 2.098,04 euro mensili[12].

Sull'importo si applica l'aliquota contributiva ridotta a carico dei lavoratori apprendisti (attualmente pari al 5,84%).

 

I contratti di solidarietà sono accordi stipulati tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali, aventi ad oggetto la diminuzione dell’orario di lavoro e della retribuzione.

Per contratti di solidarietà espansivi si intendono gli accordi stipulati con la finalità di procedere a nuove assunzioni, attuando una riduzione stabile dell’orario di lavoro, con la contestuale assunzione di nuovo personale.

Per contratti di solidarietà difensivi si intendono quelli collettivi aziendali, stipulati tra imprese industriali rientranti nel campo di applicazione della CIGS e le rappresentanze sindacali, che, a norma dell'articolo 1 del D.L. 726/1984, stabiliscano una riduzione dell'orario di lavoro, al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale. In relazione a tale riduzione d'orario, di cui sia stata accertata la finalizzazione da parte dell'Ufficio regionale del lavoro, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, concede il trattamento d'integrazione salariale il cui ammontare è determinato nella misura del 60% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione d'orario.

Si ricorda che, da ultimo, l’articolo 1, comma 186, della L. 147/2013 (Stabilità 2014) incrementa per il 2014, nel limite massimo di 50 milioni di euro e a valere sulle risorse del Fondo sociale per occupazione e formazione, del 10% l'ammontare del trattamento di integrazione salariale per i contratti di solidarietà, che passa così dal 60% al 70% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione d’orario[13].

 

L’articolo 17 stabilisce un vincolo di destinazione delle economie di spesa derivanti dalla riduzione del finanziamento pubblico ai partiti, disposta ai sensi dell’articolo 14, commi 1 e 2, del decreto.

Le risorse che si liberano a seguito di tale riduzione, pari a 22,75 milioni di euro per il 2014, 45,5 milioni per il 2015, 68,25 milioni per il 2016 e 91 milioni a decorrere dal 2017 sono utilizzate:

§  quota parte, per coprire gli oneri derivanti da altre disposizioni previste dal decreto in esame (due per mille ex art. 12, co. 4, e spese per l’estensione ai partiti del trattamento straordinario di integrazione salariale e relativi obblighi contributivi nonché in materia di contratti di solidarietà ex art. 16). Si consideri, peraltro, che a seguito di una modifica introdotta dal Senato, il comma 6-ter dell’art. 12 del decreto prevede l’utilizzo di una quota dei risparmi derivanti dalla riduzione dei contributi anche per coprire le spese derivanti dall’applicazione delle tariffe postali agevolate (si cfr. scheda articolo 12). Pertanto, il Senato ha opportunamente coordinato la disposizione in esame con il rinvio a tale ulteriore destinazione;

§  per la quota parte residua rispetto alle menzionate destinazioni, i risparmi confluiscono nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

I risparmi derivanti dall’applicazione del decreto-legge da destinare al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato ammontano a 7,65 milioni di euro nel 2016 e a 19 milioni di euro annui a decorrere dal 2017 (si rinvia in proposito alla tabella sub art. 14).

 

L’articolo 17-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge di conversione del decreto, attribuisce all’Avvocatura dello Stato la rappresentanza in giudizio della Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici. Si applica a tal fine, in quanto compatibile, la disciplina vigente relativa all’Avvocatura (R.D. n. 1611 del 1933).

 

Si ricorda che l’Avvocatura dello Stato, istituita con il regio decreto n. 1611 del 1933, è l’organo cui spettano la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in tutti i giudizi civili, penali, amministrativi, arbitrali, comunitari e internazionali delle Amministrazioni dello Stato (anche se organizzate ad ordinamento autonomo), degli organi costituzionali, delle Autorità amministrative indipendenti e delle regioni a statuto speciale.

L’Avvocatura può, inoltre, assumere a determinate condizioni, il patrocinio delle Regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non statali, delle organizzazioni internazionali, degli Stati esteri, nonché dei dipendenti chiamati in giudizio per fatti e cause di servizio.

Dal punto di vista organizzativo sul territorio nazionale, gli uffici dell’Avvocatura – dipendenti dal Presidente del Consiglio ed al cui vertice è l’Avvocato Generale dello Stato – sono organizzati attraverso una struttura centrale, l’Avvocatura Generale, con sede a Roma, e 25 articolazioni periferiche, le Avvocature Distrettuali, dislocate in tutti capoluoghi di Regione o in ogni caso nelle città sedi di Corte d’Appello.

 

L’articolo 18, al comma 1, definisce, come all’inizio illustrato, la platea dei destinatari delle disposizioni contenute nel disegno di legge (si veda l’articolo 4).

Nel corso dl’esame del Senato, è stato aggiunto il comma 1-bis che, per assicurarne la pubblicità e l’accessibilità, i dati sono forniti dai partiti anche in formato aperto ai sensi dell’articolo 68, comma 3 del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005).

 

Tale disposizione definisce da un lato il formato dei dati di tipo aperto, un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi; e i dati di tipo aperto; quest’ultimi devono presentare le seguenti caratteristiche:

-    sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato;

-    sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai sensi della lettera a), sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati;

-    sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione. Solo in casi eccezionali essi sono resi disponibili a tariffe superiori ai costi marginali.

 

Infine, l'articolo 19 dispone in ordine alla entrata in vigore del provvedimento, stabilita nel giorno stesso della sua pubblicazione.

 

 

 

 


Il quadro normativo

In Italia il sistema dei partiti può contare su due principali fonti di finanziamento:

§  i contributi da parte dello Stato direttamente erogati ai partiti e movimenti politici;

§  i finanziamenti dei privati a partiti, movimenti e singoli esponenti politici, nei modi e limiti fissati dalla legge.

Sono inoltre previsti contributi statali agli organi ufficiali di informazione dei partiti (giornali e radio) ed agevolazioni fiscali (possibilità di detrazione d’imposta per le erogazioni di privati ai partiti; esenzione delle imposte per i trasferimenti ai partiti e per la registrazione degli statuti).

Il contributo pubblico a favore di partiti o movimenti politici è stato introdotto per la prima volta dalla legge 2 maggio 1974, n. 195. La legge 195/1974 è stata in seguito modificata e integrata dalla legge 18 novembre 1981, n. 659 e da altri provvedimenti (art. 1 della legge 8 agosto 1980, n. 422; art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 413). In base a tali leggi, si prevedevano:

§  una forma di contributo statale per il funzionamento ordinario dei partiti;

§  una ulteriore forma di contributo a titolo di rimborso per le spese elettorali da questi sostenute per le elezioni politiche, europee e regionali.

Con il referendum popolare del 18 aprile 1993, è stata disposta l’abrogazione delle disposizioni di legge che erogavano finanziamenti per il funzionamento ordinario dei partiti politici. Pertanto, l’unica forma di contributo da parte dello Stato che ha continuato a sussistere è quella relativa al rimborso delle spese elettorali, che successivamente è stata ridisciplinata con la legge 157 del 1999.

La legge 6 luglio 2012, n. 96 ha ridotto l’ammontare dei contributi e ha modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il 70% degli stanziamenti a favore dei partiti viene erogato, oltre che a titolo di rimborso per le spese sostenute in occasione delle elezioni, anche come contributo per il finanziamento delle attività politiche dei partiti, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento del partito ed è erogato in maniera proporzionale alle quote associative e ai finanziamenti privati raccolti. A questo fine si considerano solamente i partiti che abbiano raggiunto un risultato elettorale minimo stabilito dalla legge.

Per gli anni 2012 e 2013 i risparmi derivanti dalla riduzione sono destinati agli interventi nelle aree colpite da calamità naturali a partire dal 2009.

I contributi pubblici

La disciplina dei contributi pubblici ai partiti è recata principalmente dalla L. 157/1999, di riforma del sistema di finanziamento dei partiti, successivamente più volte modificata, da ultimo ad opera della citata L. 96/2012.

I criteri per il riparto delle somme da assegnare sono contenuti nella L. 515/1993 e nella L. 43/1995.

Le spese dei partiti e dei movimenti politici per le quali è versato il contributo sono quelle sostenute per le campagne elettorali relative ai seguenti organi:

§  Camera dei deputati;

§  Senato;

§  Parlamento europeo;

§  Consigli regionali.

I contributi, definiti rimborsi, sono corrisposti ripartendo, tra i movimenti o partiti politici aventi diritto, quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare: Senato della Repubblica; Camera dei deputati; Parlamento europeo; consigli regionali (L. 157/1999, art. 1, commi 1 e 3).

L’ammontare di ciascuno dei quattro fondi è pari, per ciascun anno di legislatura degli organi stessi, a 15.925.000 euro (L. 157/1999, art. 1, commi 1, 3 e 5).

La determinazione in misura fissa dell’ammontare di fondi è stata introdotta dalla L. 96/2012: in precedenza l’ammontare di ciascun fondo era fissato, per ciascun anno di legislatura, alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero degli iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera.

Per il rimborso a partiti o movimenti politici delle spese sostenute in campagna elettorale nella circoscrizione Estero ci sono specifiche disposizioni. Esse prevedono l’incremento dell’ammontare dei due fondi relativi alle spese elettorali per il rinnovo del Senato e della Camera nella misura dell’1,5 per cento, destinando le somme relative all’erogazione del rimborso per le elezioni politiche nella circoscrizione Estero (L. 157/1999, art. 1, commi 1-bis e 5-bis).

Sono escluse dal rimborso le campagne per le elezioni negli enti locali (consigli comunali e provinciali), ad eccezione delle consultazioni per il rinnovo dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, l’insieme dei cui componenti forma il Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige (Al riguardo si veda la L. 29 novembre 2004, n. 298, Interpretazione autentica dell'articolo 1, comma 1, della L. 3 giugno 1999, n. 157 e dell'articolo 6, comma 2, secondo periodo, della L. 23 febbraio 1995, n. 43, in materia di rimborso per le spese elettorali sostenute dai movimenti o partiti politici per il rinnovo dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano).

La legge prevede inoltre una forma di rimborso per le campagne relative ai referendum abrogativi di cui all’art. 75 e dei referendum costituzionali ex art. 138 della Costituzione (L. 157/1999, art. 1, co. 4).

Viene attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero delle firme valide raccolte fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e, comunque, entro un limite massimo pari complessivamente a 2.582.285 euro annui, a condizione la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto.

Si ricorda, infine, che la legge 96/2012 ha abrogato il fondo di garanzia per il soddisfacimento dei debiti dei partiti e movimenti politici maturati in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge 157/1999, alimentato dall’1 per cento delle risorse stanziate per l’erogazione dei rimborsi elettorali (fondo previsto dall’l’art. 6-bis, comma 2, della legge 157/1999).

La riduzione dei contributi

La legge 96/2012, oltre a ridefinire la formazione dei fondi, ha ridotto l’ammontare complessivo dei contributi di circa il 50%, fissandolo a 91.000.000 euro l’anno (art. 1).

L’ammontare dei rimborsi elettorali era già stato ridotto ad opera di diversi interventi adottati negli anni precedenti.

La legge finanziaria 2008 aveva ridotto di 20 milioni di euro a decorrere dal 2008 l’autorizzazione di spesa destinata all’erogazione dei rimborsi ai partiti e movimenti politici delle spese elettorali e referendarie, di cui alla L. 157/1999 (L. 244/2007, art. 2, co. 275).

Successivamente, l'art. 5, comma 4, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 aveva ridotto (a partire dalla XVI legislatura) del 10% l'importo di 1 euro che, ai sensi del già ricordato art. 1, comma 5, primo periodo, della legge 157/1999, doveva essere moltiplicato per il numero di cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera, al fine di determinare l'ammontare dei fondi per i rimborsi, per ciascun anno di legislatura.

Inoltre, la stessa norma aveva abrogato la disposizione che consentiva il versamento delle quote annuali anche in caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati. Anche questa disposizione sarebbe dovuta entrare in vigore a partire dalla legislatura successiva (vedi oltre).

Il decreto-legge 98/2011 (art. 6) aveva apportato un'ulteriore riduzione del 10% al suddetto importo, che si veniva a cumulare alle due riduzioni sopra ricordate in modo da raggiungere una riduzione complessiva del 30%. In effetti, anche la prima riduzione, nel 2008, che interveniva in termini assoluti (20 milioni) e non percentuali, ha avuto l’effetto di una riduzione di circa il 10%.

Come per la riduzione del 2010, anche quella disposta dal decreto-legge 98 non incideva sull’ammontare dei rimborsi destinati ai comitati promotori dei referendum ed era destinata a trovare applicazione a decorrere dal primo rinnovo del Senato, della Camera, del Parlamento europeo e dei consigli regionali successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Veniva, invece, anticipata l’abrogazione della disposizione che consentiva il proseguimento del versamento dei contributi anche in caso di scioglimento anticipato.

Le riduzioni introdotte dal D.L. 78/2010 e 98/2011, che avrebbero dovuto applicarsi a partire dalla XVII legislatura, sono state assorbite dal dimezzamento operato dalla legge 96/2012, che ha trovato immediata applicazione anche sui contributi in corso di erogazione nel 2012.

La ripartizione dei fondi

La L. 157/1999 (art. 2) rinvia, per la determinazione degli aventi diritto alla ripartizione dei fondi e per il calcolo di tale ripartizione, ad eccezione degli importi per i rimborsi relativi alla circoscrizione Estero, alle leggi vigenti in materia (in particolare, con riferimento ai rimborsi elettorali per le elezioni politiche, all’art. 9 della L. 515/1993; per le elezioni regionali, all’art. 6 della L. 43/1995; per le elezioni europee, all’art. 16 della L. 515/1993).

La legge 96/2012 (art. 6) è intervenuta, in primo luogo, provvedendo a fissare un criterio comune a tutti i tipi di elezione (ad eccezion e sempre delle elezioni nella circoscrizione Estero) per l’accesso ai rimborsi, individuato nell’ottenimento di almeno un candidato eletto. Inoltre, i partiti sono tenuti ad adottare un atto costitutivo ed uno statuto, pena la decadenza dal diritto ai contributi (L. 96/2012, art. 5).

In particolare, il fondo relativo alla Camera dei deputati è ripartito in proporzione ai voti di lista conseguiti tra i partiti e movimenti che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto (in precedenza il requisito consisteva nel superamento della soglia dell’1 per cento dei voti validamente espressi).

Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica è invece ripartito su base regionale. A tal fine il fondo è in primo luogo suddiviso tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra le liste di candidati presentatisi nella regione con il medesimo contrassegno, in proporzione ai voti conseguiti in ambito regionale. Partecipano alla ripartizione del fondo le liste di candidati che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto nella regione. In precedenza, in alternativa al candidato eletto, era previsto anche il criterio del conseguimento del 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale e del 15 per cento per i candidati non collegati ad alcun gruppo (L. 515/1993, art. 9, co. 2).

Per quanto riguarda i rimborsi per le campagne elettorali nella circoscrizione Estero, gli importi aggiuntivi derivanti dall’incremento dell’1,5 per cento dei due fondi relativi al rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato e della Camera (vedi supra) sono ripartiti, in primo luogo, tra le quattro ripartizioni in cui si suddivide la circoscrizione Estero (rispettivamente comprendenti gli Stati e i territori afferenti all’Europa, all’America meridionale, all’America settentrionale e centrale ed all’Africa, Asia, Oceania e Antartide), in proporzione alla popolazione.

In ogni ripartizione, la relativa quota è quindi proporzionalmente suddivisa tra le sole liste di candidati che abbiano ottenuto almeno un eletto o almeno il 4 per cento dei voti validi nella ripartizione (L. 157/1999, art. 1, co. 5-bis).

Il fondo per le elezioni del Parlamento europeo è suddiviso tra i partiti e movimenti politici che abbiano ottenuto almeno un rappresentante eletto, in proporzione ai voti riportati da ciascuno di essi sul piano nazionale (L. 515/1993, art. 16).

Infine, per le elezioni regionali la legge prevede la distribuzione del fondo tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione.

 

Tuttavia, poiché l’ammontare complessivo dei fondi relativi a ciascuna delle elezioni è attualmente determinato in ragione del numero degli aventi diritto al voto, l’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, ha ritenuto di dover estendere lo stesso criterio del numero di elettori anche per la ripartizione del fondo tra le regioni. (Questo criterio è stato applicato la prima volta con Delibera dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati 22 luglio 1999, Piano di ripartizione del fondo relativo alle spese elettorali dei movimenti e partiti politici per il rinnovo del consiglio regionale della Sardegna, pubblicato sulla G.U. n. 173 del 26 luglio 1999).

 

Nell’ambito di ciascuna regione, la quota spettante è quindi ripartita, proporzionalmente ai voti riportati, tra le liste che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto al consiglio regionale della regione interessata (L. 43/1995, art. 6, co. 2).

L’erogazione dei rimborsi relativi ai referendum è subordinata (per quanto riguarda i referendum abrogativi) al raggiungimento, nella consultazione referendaria, del quorum di validità di partecipazione al voto (50 per cento più uno degli aventi diritto al voto); (L. 157/1999, art. 1, co. 4).

Le modalità di erogazione dei rimborsi

L’erogazione del rimborso è disposta con decreti del Presidente della Camera dei deputati o del Presidente del Senato della Repubblica, secondo le rispettive competenze. Il Presidente della Camera provvede anche all’erogazione dei contributi relativi alle elezioni europee e regionali ed ai referendum.

I partiti o movimenti politici che intendono usufruire dei rimborsi sono tenuti a farne richiesta, a pena di decadenza, al Presidente del ramo del Parlamento competente, entro 30 giorni dalla data delle elezioni (L. 96/2012, art. 3).

 

In precedenza la richiesta doveva essere presentata entro 10 giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle liste (L. 157/1999, art. 1, co. 2).

 

Quanto alle modalità di corresponsione dei rimborsi, il contributo è versato sulla base di quote annuali entro il 31 luglio di ogni anno. In caso di scioglimento anticipato del Senato o della Camera, il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi si interrompe. Le somme erogate o da erogare ai partiti a titolo di rimborso per le spese elettorali possono costituire oggetto di operazioni di cartolarizzazione e sono comunque cedibili a terzi (L. 157/1999, art. 1, co. 6). I rimborsi relativi ai referendum sono corrisposti in un’unica soluzione, entro il 31 luglio dell’anno in cui si è svolta la consultazione referendaria (L. 157/1999, art. 1, co. 6).

I rimborsi elettorali sono posti a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dai partiti e movimenti politici (L. 157/1999, art. 6-bis).

Il cofinanziamento

La legge 96/2012, come anticipato sopra, ha introdotto, a fianco dei contributi per le spese elettorali, una nuova forma di contribuzione alla politica a titolo di cofinanziamento ai partiti e movimenti politici (art. 2) modellata sul sistema tedesco della legge sui partiti (Parteiengesetz). Non si tratta di una risorsa aggiuntiva: il meccanismo è basato su due diverse modalità di corresponsione del fondo per il finanziamento della politica (come si è detto pari a 91 milioni): il 70% continua ad essere erogato come contributo alle spese elettorali (ed anche per il funzionamento delle attività politiche) dei partiti, mentre la quota restante del 30%, è attribuito in proporzione alla capacità di autofinanziamento. In pratica per ogni euro ricevuto da privati nell’ambito di erogazioni liberali, comprese le quote di iscrizione, il partito riceve 50 centesimi di contributo, nel limite massimo di 10.000 euro annui per ogni persona fisica o ente erogante.

Hanno diritto alla quota di cofinanziamento i partiti che hanno conseguito un candidato eletto nell’elezione di riferimento, oppure che abbiano ottenuto almeno il 2% dei voti validi alle elezioni della Camera. Pertanto la platea dei partiti che possono accedere al cofinanziamento è più ampia rispetto a quella dei partiti che usufruiscono dei contributi elettorali, comprendendo anche quelli che non hanno nessun eletto ma che hanno una minima rappresentanza a livello nazionale.

L’ammontare stabilito dalla legge (il 30% dei 91 milioni) rappresenta la cifra massima impegnabile: ai partiti spetta un rimborso proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione e i contributi non attribuiti sono versati all’entrata del bilancio dello Stato.

Le modalità di attribuzione delle quote di cofinanziamento sono le stesse previste per i contributi elettorali.

La partecipazione delle donne alla vita politica

Un’ipotesi di finalizzazione del finanziamento pubblico ai partiti è contenuta nella legge 157/1999 (art. 3) ed è intesa a promuovere la partecipazione delle donne alle attività politiche.

Si prevede, a carico dei partiti, l’obbligo di destinare almeno un importo pari al 5 per cento del totale dei rimborsi elettorali ricevuti ad iniziative connesse alle predette finalità. Dell’effettivo adempimento di tale obbligo, è data notizia attraverso l’iscrizione della quota in una apposita voce nell’ambito del rendiconto annuale previsto dalla L. 2/1997.

In caso di inottemperanza a tale obbligo è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad un ventesimo dell’importo complessivamente per l’anno in corso a titolo di rimborsi per le spese elettorali e di contributi di cofinanziamento (art. 9, co. 13, L. 96/2012).

Per quanto riguarda la promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive, l’art. 3 della L. 90/2004, modificativa della legge per l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, con esclusivo riferimento alle elezioni europee e limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge, ha introdotto il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e ha stabilito che, nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista.

Per i movimenti o partiti politici che non abbiano rispettato questa disposizione si prevede una riduzione del contributo alle spese elettorali corrisposto dallo Stato: l’importo del rimborso previsto dalla L. 157/1999 è ridotto, fino a un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito.

La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui sopra è invece erogata, quale “premio”, ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuta proclamata eletta una quota superiore a un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita proporzionalmente ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico.

La disposizione illustrata è successivamente confluita nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006, art. 56) ed è stata applicata alle elezioni europee del 2004 e del 2009.

 

I finanziamenti privati ai partiti

La legge disciplina due forme di finanziamento dei privati alla politica: il finanziamento ai partiti in generale e quello ai singoli candidati nel corso delle campagne elettorali.

Con la legge 195/1974 sono stati introdotti alcuni limiti alla contribuzione dei privati a favore delle forze politiche e misure finalizzate a garantire la trasparenza delle relative fonti di finanziamento.

La legge delimita l’ambito dei soggetti privati che possono erogare contributi ai partiti.

Possono versare contributi ai partiti o alle loro articolazioni politico-organizzative, nonché ai gruppi parlamentari, i singoli privati (persone fisiche) e le persone giuridiche (enti, associazioni, società, ecc.). Per queste ultime i finanziamenti sono ammessi soltanto se:

§  la società non ha una partecipazione pubblica superiore al 20%;

§  la società non è controllata da una società con partecipazione pubblica;

§  i finanziamenti sono deliberati dall’organo sociale competente;

§  i finanziamenti sono regolarmente iscritti in bilancio (L. 195/1974, art. 7, co. 2).

E’ invece vietata la contribuzione ai partiti o alle loro articolazioni politico-organizzative, nonché ai gruppi parlamentari da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20% o di società controllate da società pubbliche anche con una partecipazione inferiore al 20% se questa ne assicura comunque il controllo (L. 195/1974, art. 7, co. 2).

La violazione delle disposizioni illustrate è punita con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, e con la multa fino al triplo della somma versata o percepita (L. 195/1974, art. 7, co. 3).

La L. 659/1981 (art. 4, co. 1) ha esteso tali divieti (e le relative sanzioni) ai finanziamenti e contributi, in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, a:

§  membri del Parlamento nazionale;

§  membri italiani del Parlamento europeo;

§  consiglieri regionali, provinciali e comunali;

§  candidati alle predette cariche;

§  raggruppamenti interni dei partiti politici;

§  coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale nei partiti politici.

Fermi i divieti generali di finanziamento dei partiti, previsti dall’art. 7 della L. 195/1974 e sopra illustrati, le persone fisiche e le persone giuridiche possono contribuire alle attività di partiti e movimenti politici, mediante erogazioni in denaro o fornendo beni e servizi, senza limiti di importo.

La legge impone peraltro il rispetto di alcuni obblighi posti a tutela della trasparenza.

Ad esempio, quando il contributo privato supera, nell’arco dell’anno, la somma di 5.000 euro, il donatore e il beneficiario sono tenuti a sottoscrivere una dichiarazione congiunta indirizzata alla Presidenza della Camera dei deputati. (L. 659/1981, art. 4, co. 3, il limite originario – 50.000 euro – è stato così ridotto dalla L. 96/2012). Inoltre, i partiti hanno l’obbligo di rendicontare tutti i contributi ricevuti per la campagna elettorale al Presidente della Camera (v. infra, Obblighi di dichiarazione).

Per la violazione di tali disposizioni è prevista una multa da due a sei volte l’importo del contributo non dichiarato e la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici (L. 659/1981, art. 4, co. 6).

Per quanto riguarda la sanzione penale prevista dalla L. 659, va peraltro rilevato che la giurisprudenza prevalente ritiene che essa sia stata sostituita con sanzione pecuniaria amministrativa già a partire dal 1981, sulla base dei criteri generali dettati dalla L. 689/1981, Modifiche al sistema penale, in materia di depenalizzazione di delitti e contravvenzioni.

I contributi da parte dei privati sono soggetti ad un regime fiscale agevolato sotto forma di detrazione di imposta (D.P.R. 917/1986, art. 15, co. 1-bis e art. 78, vedi infra, Il regime fiscale del finanziamento privato).

Inoltre, la legge stabilisce limiti di spesa per le campagne elettorali: le spese elettorali dei partiti o formazioni politiche che partecipano alla elezioni per il rinnovo delle Camere non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero complessivo dei cittadini iscritti nelle liste elettorali delle circoscrizioni (o collegi) in cui il partito o movimento o lista presenta candidature, a tal fine sommando le iscrizioni nelle liste elettorali per la Camera e quelle per il Senato (L. 515/1993, art. 10).

Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito che partecipa alle elezioni regionali non possono superare la somma risultante dall’importo di 1 euro moltiplicato per il numero di iscritti nelle liste elettorali per la elezione della Camera nelle circoscrizioni provinciali nelle quali ciascun partito ha presentato proprie liste (L. 43/1995, art. 5, co. 3). Il limite delle spese riferibili a ciascun partito (o gruppo di liste) è stato elevato dalla Regione Lazio (L.R. n.2/2005, art. 9) e dalla Regione Toscana (L.R. n.74/2004, art. 14), che hanno legiferato in materia.

Limiti di spesa per le campagne elettorali dei partiti, prima non previsti, sono stati introdotti dalla legge 96/2012, anche per le consultazioni elettorali provinciali e comunali (art. 13) e per quelle europee (art. 14).

 

I finanziamenti privati ai candidati

Una disciplina speciale è prevista per la raccolta di contributi per le campagne elettorali da parte dei singoli candidati. Restano ferme le disposizioni stabilite in generale per il finanziamento dei partiti politici (trasparenza dei finanziamenti da parte di società; divieto di ricevere finanziamenti da organi della p.a. o da essa partecipati; obbligo di dichiarazione dei contributi superiori, nell’anno, a 5.000 euro, etc., sulle quali vedi supra) che la citata L. 659/1981 (art. 4, co. 1) ha esteso anche ai candidati.

I candidati alle elezioni politiche possono raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale esclusivamente per il tramite di un mandatario elettorale (L. 515/1993, art. 7, co. 3). Ciascun candidato comunica al competente Collegio regionale di garanzia (organo istituito presso ciascuna Corte di appello) il nominativo del mandatario elettorale da lui designato.

La legge prevede, inoltre, un tetto massimo per le spese relative alla campagna elettorale di ciascun candidato, che non possono superare l’importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 52.000 per ogni circoscrizione (o collegio) elettorale e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,01 per ogni cittadino residente nelle circoscrizioni (o collegi) elettorali nei quali il candidato si presenta (L. 515/1993, art. 7, co. 1).

Come per i partiti politici, sono previsti limiti di spesa per le campagne elettorali dei candidati che si presentano alle elezioni regionali.

Limiti di spesa per le campagne elettorali dei partiti, prima non previsti, sono stati introdotti dalla legge 96/2012, anche per le consultazioni elettorali provinciali e comunali (art. 13) e per quelle europee (art. 14).

Le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alle elezioni regionali in una lista provinciale non possono superare l’importo massimo dato dalla cifra fissa pari ad euro 38.802,85 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,0061 per ogni cittadino residente nella circoscrizione. Per i candidati che si presentano nella lista regionale il limite delle spese per la campagna elettorale è pari ad euro 38.802,85. Per coloro che si candidano in più liste provinciali le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l’importo più alto consentito per una candidatura aumentato del 10 per cento. Per coloro che si candidano in una o più circoscrizioni provinciali e nella lista regionale le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l’importo più alto consentito per una delle candidature nelle liste provinciali aumentato del 30 per cento (L. 43/1995, art. 5, co. 1. Gli importi originari sono stati rivalutati dal D.M. 1° marzo 2010).

I limiti di spesa per ciascun candidato sono stati elevati dalla Regione Lazio (L.R. n. 2/2005, art. 9) che eleva la cifra fissa a 50.000 euro e la cifra variabile a 0,03) e ridotti dalla Regione Toscana (L.R. n. 74/2004, art. 14) l'importo massimo è dato dalla cifra fissa pari a euro 10.000 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,005 per ogni elettore della circoscrizione. La legge regionale della Toscana inoltre, poiché elimina la lista regionale, introduce un limite di spesa specifico per il candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale, pari a euro 110.000 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,005 per ogni elettore della Regione.

 

Obblighi di dichiarazione

Partiti

Per tutti i contributi ai partiti che - nell’arco di un anno - superino la somma di 5.000 euro il donatore e il beneficiario hanno l’obbligo di effettuare entro tre mesi (o entro il mese di marzo dell’anno successivo) una dichiarazione congiunta al Presidente della Camera (L. 659/1981, art. 4, co. 3).

Tale disposizione non si applica per tutti i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari; nell’ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera, l’obbligo della dichiarazione è posto a carico del solo soggetto che li percepisce.

I rappresentanti dei partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati che concorrono per le elezioni politiche hanno inoltre l’obbligo di rendicontare tutti i contributi ricevuti per la campagna elettorale presentando ai Presidenti delle rispettive Camere, entro 45 giorni dall’insediamento, un consuntivo relativo alle spese per la campagna elettorale e le relative fonti di finanziamento. I controlli su tali rendiconti sono effettuati dalla Corte dei conti, cui i Presidenti delle Camere trasmettono la documentazione, attraverso un Collegio di controllo sulle spese elettorali, a tal fine istituito, composto da tre magistrati estratti a sorte tra i consiglieri in servizio (L. 515/1993, art. 12).

Il Referto sui consuntivi delle spese elettorali e sui relativi finanziamenti relativi alla campagna per le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 è stato trasmesso dalla Corte dei conti al Parlamento il 4 dicembre 2009[14].

Il Referto della Corte dei conti sulle elezioni politiche 2006 è del marzo 2008[15].

 

Inoltre i legali rappresentanti o i tesorieri dei partiti o dei movimenti politici che hanno ottenuto almeno il 2% dei voti validi alla Camera, oppure che hanno almeno un rappresentante eletto in uno degli organi per i quali sono previsti i contributi elettorali (Camera, Senato, Parlamento europeo o consiglio regionale) devono trasmettere al Presidente della Camera, entro il 15 giugno di ogni anno, un rendiconto di esercizio, corredato di una relazione sulla gestione e di una nota integrativa. Il rendiconto deve riportare le somme relative ai crediti per contributi elettorali e ai rimborsi elettorali. Nella relazione devono essere indicate le spese sostenute per le campagne elettorali e l’eventuale ripartizione tra i livelli politico-organizzativi del partito o del movimento dei contributi per le spese elettorali ricevuti.

Il rendiconto di esercizio, prima della approvazione da parte del partito è sottoposto al giudizio di una società di revisione esterna.

Il controllo successivo dei rendiconti è effettuato dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, organismo istituito dalla legge 96/2012 (art. 9).

La Commissione sostituisce il Collegio di revisori nominati d’intesa tra i Presidenti delle due Camere, all’inizio di ciascuna legislatura che effettuava un controllo formale dei bilanci dei partiti ai sensi della previgente disciplina (L. 2/1997, art. 1, co. 14).

La Commissione è composta da 5 membri designati dai vertici delle tre massime magistrature, nella seguente proporzione:

§  1 membro da parte del Primo Presidente della Corte di cassazione;

§  1 membro da parte del Presidente del Consiglio di Stato;

§  3 membri da parte del Presidente della Corte dei conti.

Le designazioni sono ratificate dall’atto di nomina congiunto dei Presidenti delle Camere. Il 3 dicembre 2012 il Presidente della Camera e il Presidente del Senato hanno nominato i componenti della Commissione su designazione dei vertici delle magistrature (determinazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 4 dicembre 2012, n. 283).

Come prevede la legge, con tale atto è stato anche individuato, tra i componenti, il Presidente-coordinatore della Commissione.

I membri della Commissione sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali con qualifica non inferiore a quella di consigliere di cassazione o equiparata.

I componenti della Commissione non percepiscono alcun compenso per l’attività prestata di controllo sui bilanci dei partiti. Il mandato dei membri della Commissione è di 4 anni ed è rinnovabile una sola volta.

La sede della Commissione è stabilita presso la Camera; le risorse di personale di segreteria necessarie all’operatività della Commissione sono garantite congiuntamente e in pari misura da Camera e Senato.

La Commissione effettua il controllo sui bilanci verificando anche la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate alla documentazione prodotta.

In caso di inottemperanza o di irregolarità nella formazione del bilancio è previsto un articolato sistema di sanzioni che possono arrivare alla decurtazione dell’intero importo dei contributi pubblici.

La legge del 2012 ha introdotto anche un obbligo di trasparenza: i bilanci sono pubblicati, anche in formato open data, sia sui siti internet dei partiti, sia in quello della Camera.

Inoltre, la legge dispone in ordine alla destinazione dei contributi che devono essere finalizzati esclusivamente al finanziamento dell’attività politica, ponendo nel contempo alcuni vincoli per il loro impiego, quali il divieto a investire la liquidità in strumenti finanziari diversi dai titoli pubblici degli Stati dell’Unione europea.

Candidati ed eletti

I membri delle due Camere sono tenuti, entro tre mesi dalla proclamazione, a presentare presso l’Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza, e al competente Collegio di garanzia elettorale, una dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l’attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di mezzi propagandistici messi a disposizione dal partito di appartenenza (L. 441/1982, art. 2, co. 1; L. 515/1993, art. 7, co. 6). Anche i candidati non eletti sono tenuti alla dichiarazione al Collegio di garanzia elettorale, ma anche agli adempimenti sotto indicati (L. 515/1993, art. 7, co. 7).

Alla dichiarazione debbono essere allegate in copia le dichiarazioni inviate al Presidente della Camera relative ai contributi ricevuti - anche al di fuori della campagna elettorale - che superino da parte di una singola fonte in un anno la somma di 5.000 euro (L. 659/1981, art. 4, co. 3; L. 441/1982, art. 2, co. 2).

L’obbligo di dichiarazione sussiste a carico sia di chi riceve, sia di chi eroga il finanziamento, e può essere assolto, soltanto per i contributi erogati per la campagna elettorale, anche mediante la autocertificazione dei candidati (L. 659/1981, art. 4, co. 4).

Oltre alle informazioni previste dalle leggi n. 659 e n. 441, alla dichiarazione deve essere allegato un rendiconto relativo ai contributi e servizi ricevuti ed alle spese sostenute, nel quale vanno riportati i contributi e servizi provenienti dalle persone fisiche, se di importo o valore superiore a 5.000 euro, e tutti i contributi e servizi di qualsiasi importo o valore provenienti da soggetti diversi. Alla dichiarazione devono essere inoltre allegati gli estratti del conto corrente bancario e postale utilizzati (L. 515/1993, art. 7, co. 6). Le verifiche sull’osservanza della legge sono effettuate dal Collegio regionale di garanzia elettorale (L. 515/1993, art. 14). Per il parlamentare eletto che violi tali disposizioni, le sanzioni possono giungere sino alla decadenza dalla carica (L. 515/1993, art. 15, comma 7).

 

Il regime fiscale del finanziamento privato

La legge 2/1997 ha disciplinato il regime fiscale delle erogazioni liberali delle persone fisiche e giuridiche in favore dei partiti (art. 5 e 6 che hanno aggiunto, rispettivamente, il comma 1-bis all’art. 13-bis, successivamente rinumerato come art. 15, e l’art. 91-bis, successivamente rinumerato come art. 78, del D.P.R. 917/1986, recante il Testo unico delle imposte sui redditi).

La legge prevede che sono detraibili le erogazioni in favore dei partiti che abbiano presentato proprie candidature alle elezioni politiche o europee, ovvero abbiano almeno un rappresentante eletto in un consiglio regionale.

 

Tali requisiti sono stati introdotti dalla legge 96/2012. In precedenza, nel silenzio della norma, l’Agenzia delle entrate aveva individuato come destinatari delle erogazioni suscettibili di detrazione i partiti o movimenti politici che nel periodo d’imposta in cui è effettuata l’erogazione hanno almeno un parlamentare eletto alla Camera dei Deputati o al Senato della Repubblica (Risoluzione 15 febbraio 2005, n. 15).

 

Il sistema si basa sul principio della detraibilità di quote dell’erogazione liberale a favore di movimenti o partiti politici dall’imposta sui redditi.

In particolare la legge prevede:

§  per le erogazioni liberali in denaro delle persone fisiche, la detrazione dall’imposta lorda di un importo pari al 24% per il 2013 e del 26% dal 2014 (prima della legge 96/2012 l’importo detraibile era del 19%) dell’onere sostenuto, per importi compresi tra 50 e 10.000 euro (il limite massimo, in precedenza 103.291,38 euro è stato abbassato dalla legge 96/2012);

§  per le erogazioni liberali in denaro delle società di capitali e degli enti commerciali, la detrazione dall’imposta lorda di un importo pari al 19% dell’onere sostenuto, sempre per importi compresi tra 51,64 e 103.291,38 euro. Peraltro, la detrazione non è consentita agli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica o i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, nonché alle società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente tali soggetti, ovvero ne siano controllati o siano controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi;

§  non si applicano le agevolazioni fiscali alle persone fisiche, società di capitali ed enti commerciali che abbiano dichiarato passività nelle dichiarazioni rese nell’esercizio finanziario precedente a quello nel quale l’erogazione liberale ha avuto luogo (L. 2/1997, art. 7).

Inoltre, l’art. 5 della L. 157/1999 ha previsto una ulteriore agevolazione, stabilendo i trasferimenti a favore di movimenti e partiti politici non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni.

 

L'imposta sulle successioni e donazioni, già soppressa dall’articolo 13 della L. 383/2001, è stata nuovamente istituita dal comma 47 dell’art. 2, del D.L. 262/2006.

 

 


Statuto e finanziamento dei partiti politici europei

E’ all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio, secondo la procedura legislativa ordinaria, una proposta di regolamento (COM(2012)499), presentata dalla Commissione europea il 12 settembre 2012, relativa allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee.

Il Parlamento europeo dovrebbe esprimersi in prima lettura il 16 aprile 2014, approvando un testo di compromesso in corso di negoziazione con il consiglio e con la Commissione. Obiettivo della Presidenza greca del Consiglio dell’UE è quello di approvare definitivamente la proposta prima della scadenza del mandato dell’attuale legislatura del Parlamento europeo (evitandone in tal modo la decadenza).

La presentazione della proposta risponde, secondo quanto indicato dalla Commissione, all’esigenza di dare seguito alle innovazioni introdotte nel titolo II del Trattato sull’Unione; particolare rilievo assumono i commi 3 e 4 dell’articolo 10 del Trattato, i quali prevedono che ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione e che i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione. Questo medesimo principio, del resto, è espresso dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 12, par. 2), alla quale la Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato conferisce forza giuridicamente vincolante.

La proposta è volta a sostituire il vigente regolamento (CE) n. 2004/2003, introducendo numerose innovazioni:

§  riconoscere ai partiti politici europei ed alla fondazioni ad essi collegati una personalità giuridica europea, che subentrerebbe alle personalità giuridiche nazionali eventualmente preesistenti, consentendo di superare gli ostacoli legati alle diversità degli ordinamenti giuridici nazionali (attualmente i partiti politici europei e le fondazioni, benché ricevano fondi dal bilancio dell’UE, sono soggetti giuridici nazionali). Si segnala che mentre la proposta di iniziale della Commissione europea demandava il controllo sulla registrazione e de-registrazione dei partiti politici europei e delle fondazioni europee al Parlamento europeo, il testo di compromesso all’esame del Consiglio attribuisce tale compito ad una apposita autorità monocratica nominata di comune accordo da Parlamento europeo, Commissione europea e Consiglio dell’UE;

§  prevedere nello statuto di un partito politico europeo norme minime in merito alla sua organizzazione interna tra le quali, in particolare, regole per l’ammissione, dimissione ed esclusione dei suoi membri; norme per i poteri e la composizione degli organi di partito; criteri chiari e trasparenti per la selezione di candidati; norme per il processo decisionale interno;

§  introdurre forme di trasparenza e controllo più incisive sulle loro attività e su quelle delle fondazioni, prevedendo in particolare sanzioni per le violazioni dei valori dell’UE e delle disposizioni del regolamento;

§  elevare il tetto delle donazioni individuali ai partiti politici a livello europeo rispetto agli attuali 12.000 su base annuale (nella proposta iniziale della Commissione europea si proponeva un tetto di 25.000 euro; nei negoziati attualmente in corso in sede di Consiglio, la Presidenza greca ha proposto che il suddetto tetto sia fissato in una forchetta compresa tra 15.000 e 20.000 euro).

 

Nella XVI legislatura, la I Commissione Affari costituzionali e la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera hanno approvato, il 20 dicembre 2012, un documento finale nel quale esprimono una valutazione positiva sulla proposta di regolamento della Commissione europea, con alcune osservazioni riferite, in particolare: a) all’equiparazione, prospettata dalla proposta ai fini del riconoscimento dei partiti politici europei, dei rappresentanti di Parlamenti regionali o di Assemblee regionali ai deputati del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali che potrebbe avvantaggiare gli Stati membri con una più accentuata articolazione a livello regionale; b) alla necessità di chiarire l’effettiva portata del riconoscimento di una personalità giuridica europea per i partiti politici europei; c) alla previsione della soglia limite del 40 per cento del bilancio annuale del partito per i contributi a favore di un partito politico europeo provenienti dai suoi membri.

 

 

 

 



[1] AC A.C. Turco 244, 506 e 3809 Bersani 4973, Gozi 4955 e Casini 4956; ricorre alla categoria dell’associazione anche l’AC 1722, che non prevede però specifici procedimenti di costituzione.

[2] D.P.R. 10 febbraio 2000 n. 361, Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto.

[3] AC 3809 Sposetti , AC4950 Casini, AC 4973 Bersani, AC 4955 Gozi, AC 4954 Donadi, AC5111 Donadi.

[4] Così la proposta di legge AC 4956 Casini ed altri.

[5] A.C. Pisicchio 853.

[6] Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto.

[7] Groupe d’Etats contre la corruption.

[8]     Decreto legislativo 21 novembre 2007 n. 231, Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

[9]     Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[10]Il          Rapporto al punto 151 rileva che “l’attuale regime sanzionatorio è molto limitato e particolarmente debole. In pratica, le sanzioni sono pressoché limitate alla sospensione dei finanziamenti pubblici fino a che non siano sanate le irregolarità formali nella rendicontazione. Nella loro attuale forma, le sanzioni nonsono né efficaci né proporzionate né dissuasive.

[11] Ai sensi dell’art. 2359 c.c., sono considerate società controllate:1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole; l'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

 

[12] Come stabilito dalla Circ. INPS n. 12 del 29 gennaio 2014.

[13] Al riguardo, merita ricordare che l’articolo 1, comma 6, del D.L. 78/2009 aveva disposto, in via sperimentale e per il biennio 2009-2010, un incremento del 20%, della suddetta integrazione salariale (passando quindi dal 60% all’80% del richiamato trattamento retributivo), incremento prorogato (nella medesima misura dell’80%) a tutto il 2013, dall’articolo 1, comma 256, della L. 228/2012).

[14]http://www.corteconti.it/opencms/opencms/handle404?exporturi=/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/controllo_spese_elettorali/delibera_cse_9_2009.pdf&%5d

[15]http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/controllo_spese_elettorali/referto_politiche_2006.pdf